[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

CAPITOLO 8

Si illustra il miracolo con il quale le specie sacramentali si con­servavano in Maria santissima da una comunione all'altra e il modo in cui ella operava dopo essere discesa dal cielo.

 

118. Ho già accennato alcune volte a questo beneficio, riservandone la spiegazione al tempo opportuno. Adesso ne parlerò, così che un tale prodigio a vantaggio della nostra Maestra non resti privo dei chiarimenti che la devozione può desiderare. La mia inadeguatezza mi angustia, perché non solo ignoro enormemente più di quello che intendo, ma pure su ciò che so mi esprimo con diffidenza e con poca soddisfazione dei termini che uso, insufficienti per comunicare il concetto; eppure, non ho l'ardire di tacere le grazie che ella ricevette dalla destra del suo diletto do­po aver fatto ritorno quaggiù per governare la comunità ecclesiale. Se queste erano state eccelse ed ineffabili anche prima, da allora crebbero con bella varietà, manifestando che era infinito il potere che le accordava ed immensa la capacità di colei alla quale erano concesse, unica ed elet­ta tra tutte.

119. Per un tanto prezioso e straordinario miracolo, cioè la conservazione delle specie sacramentali con il corpo di Cristo nel petto di Maria, non si deve cercare una causa diversa da quella degli altri doni con i quali sua Maestà la trattò in maniera singolare; mi riferisco alla sua santa vo­lontà e alla sua illimitata sapienza, con cui determina sem­pre con ponderazione e misura quanto convenga. Alla pru­denza e pietà cattolica basterebbe avere coscienza che eb­be soltanto questa semplice creatura come madre natura­le, e che ella sola fra tutte fu degna di esserlo. Tale favo­re fu senza paragoni e modelli, e sarebbe crassa ignoran­za volere esempi per persuaderci che l'Altissimo abbia fat­to con lei quello che mai fece né farà con altre anime, poi­ché ella sola si innalza al di sopra dell'ordine comune. Seb­bene ciò sia vero, egli desidera che con la luce della fede e con altre illuminazioni giungiamo a comprendere le mo­tivazioni per le quali era giusto che il suo braccio onni­potente effettuasse queste meraviglie nella sua ammirevo­lissima genitrice. Così, per esse lo conosceremo e lodere­mo in lei e per lei, e capiremo quale sia la sicurezza del­la nostra speranza e della nostra sorte nelle mani vigoro­se di una simile Regina, nelle quali l'Eterno ha depositato tutta la forza della sua tenerezza. Conformemente a que­sto, esporrò quanto mi è stato rivelato.

120. Costei visse per trentatré anni con il suo unigenito e Dio, senza allontanarsene mai dall'ora in cui egli nacque dal suo grembo verginale sino alla croce. Lo allevò, lo servì, lo accompagnò, lo seguì e lo imitò, comportandosi in tut­to e sempre come madre, figlia, sposa e fedelissima ancel­la ed amica. Godette della sua vista, della sua conversazio­ne, dei suoi insegnamenti e delle elargizioni che per tanti meriti e riguardi ottenne nell'esistenza peritura. Salendo al cielo, Gesù fu obbligato dal cuore e dalla ragione a con­durla con sé, per non stare senza di lei e per non farla ri­manere separata da lui; tuttavia, la loro intensa carità ver­so gli uomini spezzò in un certo modo questo laccio e que­sta unione, muovendo la nostra dolce Signora a tornare ad edificare la Chiesa , e il Salvatore ad inviarla, accettando la distanza che veniva momentaneamente a frapporsi tra lo­ro. Dato che, però, il Figlio del Padre aveva la facoltà di compensare tale privazione, il farlo diventava per lui un de­bito di amore, e questo suo sentimento non sarebbe stato molto credibile ed evidente qualora egli le avesse negato di discendere con lei senza abbandonare il seggio regale. Inol­tre, l'ardentissimo affetto della Principessa, abituata alla sua presenza, di cui si nutriva, l'avrebbe fatta stare in uno sta­to di insopportabile violenza, se tanto a lungo non lo aves­se avuto accanto come era possibile.

121. Il nostro Maestro dette risposta a questa esigenza dimorando incessantemente in lei sotto le specie consa­crate sino a quando ella continuò ad abitare tra noi; co­sì, in qualche maniera supplì largamente alla prossimità di cui si era allietata in precedenza. Anche allora se ne era distaccato parecchie volte per attendere alle opere del­la redenzione ed in tali occasioni ella era stata afflitta dal sospetto o dal timore delle sue fatiche, nel dubbio sulla data del suo rientro. La gioia di averlo con sé era sempre stata temperata dal dolore della morte sul duro legno che lo sovrastava, della quale non aveva mai potuto dimenti­carsi; dopo la burrasca della passione, invece, mentre egli stava già alla destra del supremo sovrano e simultanea­mente nel suo castissimo petto, si rallegrava della sua vi­cinanza senza paure e ansietà. In lui, poi, contemplava tutta la beatissima Trinità con il tipo di visione che ho già descritto. Si compiva così alla lettera quanto ella aveva di­chiarato nel Cantico dei cantici: «Lo tengo stretto e non lo lascerò finché non l'abbia condotto in casa di mia madre, cioè nella comunità ecclesiale, dove gli farò bere vi­no aromatico, del succo del mio melograno».

122. Con questa grazia il Signore mantenne pure la pro­messa fatta ai cristiani nella persona degli apostoli, allor­ché aveva annunciato che sarebbe stato con loro sino alla fine del mondo. Ciò si realizzò dall'istante stesso in cui furono pronunciate quelle parole, ed anzi da prima, poi­ché egli era già in lei come sacramento; altrimenti, senza questo nuovo miracolo, non si sarebbero adempiute dall'i­nizio, perché nei primi anni non ci furono né edifici per il culto né disposizioni per la conservazione dell'eucaristia, che veniva consumata completamente nel giorno in cui era celebrata. Solo Maria fu il tabernacolo in cui il Verbo in­carnato stette in quel periodo, per non essere mai assente dalla terra, dall'ascensione alla fine dei tempi. Anche se non vi stava per uso dei devoti, vi stava per loro utilità e per altri scopi assai gloriosi, giacché la Vergine pregava e intercedeva per tutti nel tempio di se stessa. Ella adorava a nome della Chiesa colui che restava in essa nel pane con­sacrato e che, per mezzo di lei e del proprio essere custo­dito in lei, era congiunto in quel modo al corpo mistico dei credenti. Portando in sé il suo diletto, rese tale secolo più felice di quelli in cui egli è stato, come oggi, in altri cibori. Lì, infatti, gli fu sempre data somma riverenza e venerazione, e non fu mai offeso, come è invece accaduto successivamente. Egli in lei ricevette con abbondanza le delizie che dall'eternità aveva cercato nei figli dell'uomo. Essendo questa la finalità della sua stabile permanenza tra i suoi, sua Maestà non la conseguiva per nessuna via così adeguatamente come stando nel cuore della purissima Regina, che era la sfera più legittima dell'amore di Dio, l'e­lemento proprio e il centro dove riposava. Tutte le altre creature, paragonate a lei, erano come straniere, perché in esse non c'era spazio conveniente all'incendio divino, che brucia sempre di infinita carità.

123. Per quanto mi è stato rivelato, mi accingo a parla­re della tenerezza dell'Unigenito per la Signora e a palesa­re sino a che punto ella giungesse a vincolarlo a sé, tanto che, se non l'avesse accompagnata ininterrottamente sotto le specie sacramentali, sarebbe partito dal trono del Padre per starle accanto in tutta la sua vita quaggiù. Se per farlo fosse stata necessaria per le dimore celesti e i loro abitanti la privazione della presenza dell'umanità santissima, egli avrebbe stimato ciò di minore importanza. Tale affermazio­ne non è esagerata, poiché dobbiamo confessare che trova­va in lei un genere di affetto più simile a quello della sua volontà che in tutti i beati insieme, e corrispondentemente le voleva bene più che a loro. Se colui del quale si raccon­ta nella parabola evangelica si allontanò da novantanove pe­corelle per andare dietro a una sola che gli mancava e non per questo sosteniamo che abbandonò il più per il meno, nell'empireo non sarebbe sembrato strano neanche che il buon pastore Gesù si allontanasse dal resto degli eletti per andare dalla candidissima agnella che lo aveva rivestito del­la sua stessa natura e, in essa, lo aveva allevato e nutrito. Certamente gli occhi di questa sposa e Madre lo avrebbero forzato a tornare là dove era già disceso per riscattare con la sua sofferenza la progenie di Adamo, meno obbligato, o per meglio dire disobbligato dai peccati. Se fosse venuto per stare con lei, lo avrebbe fatto invece per godere della sua prossimità; ciò non richiese, però, che si separasse dall'Al­tissimo perché, nell'eucaristia, questo vero Salomone soddisfaceva i propri sentimenti e quelli della Principessa, nel cui petto giaceva come in una lettiga.

124. L 'Onnipotente operava tale meraviglia nella manie­ra seguente. Quando ella accoglieva in sé le specie sacra­mentali, queste si ritiravano dallo stomaco, dove gli alimenti comuni sono digeriti, per non corrompersi, mescolarsi o confondersi con lo scarso cibo che prendeva. Esse si si­tuavano nel suo stesso cuore, come in cambio del sangue che aveva offerto affinché da esso si formasse l'umanità san­tissima con la quale il Verbo si era unito ipostaticamente. L'eucaristia viene chiamata estensione dell'incarnazione, per cui era giusto che ne partecipasse in maniera singolare co­lei che aveva mirabilmente concorso a questa.

125. La temperatura cardiaca negli animali è assai ele­vata, e nell'uomo non può essere più bassa, data la sua ec­cellenza e nobiltà nel modo di essere e di agire e nella lun­ghezza dell'esistenza. La provvida natura, attraverso qual­che sistema di ventilazione, permette un raffreddamento e la moderazione del calore innato che, senza alcun dubbio, è alla radice di quello dell'intero corpo. Nella nostra Mae­stra esso era molto intenso, per la sua costituzione gene­rosa, ed era inoltre aumentato dagli impulsi e dai moti del suo ardore; nonostante ciò, l'eucaristia non si alterava né consumava. Per la sua conservazione erano indispensabili numerosi interventi straordinari, ma non dobbiamo pen­sare che questi fossero limitati, trattandosi di quella don­na unica, che era tutta un prodigio di miracoli in lei rac­colti. Questo favore cominciò dalla prima comunione che le fu data durante la cena e, perché fosse incessante, le specie consacrate restarono in lei fino alla seconda, che ri­cevette dalle mani di Pietro nell'ottavo giorno dopo la Pen ­tecoste. In tale istante, si consumarono quelle che teneva in sé e al loro posto entrarono le nuove; da allora si an­darono succedendo le une alle altre, senza che mai fosse assente in lei il suo figlio e Signore.

126. Per questo beneficio e per quanto ho già asserito circa la visione astrattiva continua di Dio, Maria fu così di­vinizzata, e le sue facoltà e i suoi atti furono tanto innalzati al di sopra di ogni pensiero umano, che è impossibile farsi un'idea del suo stato nella vita mortale. Non trovo neppure termini capaci di esprimere quel poco che mi è stato ma­nifestato. Nell'uso dei sensi venne dal cielo completamente rinnovata e trasformata in rapporto a come li utilizzava: da una parte, era distante dall'Unigenito e li impiegava degna­mente quando conversava con lui per mezzo di essi; dal­l'altra, avvertiva e sapeva di averlo nel cuore, dove egli at­traeva tutta la sua concentrazione. Dal momento del suo ri­torno nel mondo, strinse un patto con i suoi occhi e otten­ne più potere e controllo per non ammettere le immagini ordinarie delle cose materiali, se non nella misura adegua­ta per governare i membri della Chiesa e per capire ciò che fosse opportuno effettuare e disporre a tal fine. Non se ne valeva e per ragionare non aveva bisogno di volgersi al luo­go interiore in cui negli altri esse si depositano per essere utili alla memoria e all'intelletto. Lo faceva con altre specie infuse e con la scienza che le era comunicata con la visio­ne estrattiva dell'Eterno, nel modo in cui i beati in lui co­noscono quanto quello specchio volontario intende mostra­re loro in se medesimo oppure tramite altre visioni delle creature in se stesse. Così, la nostra Regina comprendeva tutto quello che conformemente al beneplacito superno era tenuta a compiere in ogni cosa e non ricorreva alla vista per apprendere niente di questo, pur osservando dove andasse e con chi parlasse solo con uno sguardo.

127. Adoperava un po' di più l'udito, perché doveva ascoltare quello che i credenti e gli apostoli le racconta­vano sulla condizione delle anime e della comunità, e in ordine alle loro esigenze e alla loro consolazione, per da­re risposte, insegnamenti e consigli. Lo faceva, però, con tanto dominio che non entravano in lei voci o suoni che discordassero anche minimamente dall'eccelsa perfezione della sua dignità, o che non fossero necessari per l'eserci­zio della carità verso il prossimo. Non impiegava l'olfatto per gli odori terreni, ma ne sentiva uno celestiale per me­rito dei custodi, che avevano per questo profondi motivi a lode dell'Onnipotente. Pure il suo gusto mutò considere­volmente ed ella scoprì che dopo essere stata nell'empireo poteva fare a meno degli alimenti; tuttavia, non le fu co­mandato di non prenderne, ma ciò fu lasciato al suo ar­bitrio. Si nutriva di rado e scarsamente, quando Pietro e Giovanni la pregavano di farlo o per non provocare am­mirazione, cioè per obbedienza o per umiltà. In tali casi, non distingueva il sapore del cibo più di quanto avrebbe fatto un corpo apparente o glorioso se avesse mangiato qualcosa. Discerneva appena anche quello che toccava e non ne aveva diletto sensibile; però, percepiva al tatto con mirabile soavità e giubilo le specie sacramentali nel suo cuore e generalmente poneva attenzione a questo.

128. Simili doni le furono accordati su sua richiesta, per­ché consacrò nuovamente i sensi insieme alle facoltà ad operare con ogni pienezza di virtù per la maggiore esalta­zione dell'Altissimo. Sebbene sempre, iniziando dalla sua immacolata concezione, avesse soddisfatto il debito di ser­va fedele e di prudente dispensatrice dell'abbondanza del­la grazia e delle elargizioni ricevute, come si è spesso ri­petuto, dopo essere ascesa con il Salvatore fu migliorata in tutte e le fu concessa una diversa maniera di avvalersene, più somigliante a quella dei santi glorificati in corpo e ani­ma che a quella degli altri viatori, benché non godesse ancora della visione beatifica. Non ci sono esempi più chiari per spiegare lo stato felicissimo, singolare e divino della Vergine allorché ella tornò per guidare la Chiesa.

129. A ciò corrispondeva la sua sapienza, poiché le era­no noti i decreti e la volontà di Dio su quanto doveva e desiderava realizzare, e quando, in che modo, in che se­quenza, con quali parole e in quali circostanze era bene fare ciascuna azione. In questo non le erano superiori nep­pure i medesimi esseri spirituali che ci assistono conti­nuando a contemplare sua Maestà; anzi, agiva con sag­gezza così sublime da sorprenderli, perché erano consape­voli che a nessun'altra semplice creatura era possibile so­pravanzarla o giungere all'eccellenza con cui ella coopera­va. La riverenza che essi rendevano in lei a suo Figlio era una delle cose che le infondeva sommo gaudio. Avevano fatto lo stesso gli eletti, ai quali lo scorgerla salire con Ge­sù, presente contemporaneamente nel suo cuore nell'euca­ristia, aveva procurato straordinaria gioia. Maria si ralle­grava dell'adorazione del Santissimo Sacramento nel suo petto poiché aveva coscienza della maniera rozza e villana in cui lo avrebbero venerato i mortali; in risarcimento di questa mancanza che tutti avrebbero commesso, offriva il culto degli angeli, che penetravano più degnamente tale mistero e lo onoravano senza inganno e senza negligenze.

130. Alcune volte il corpo di Cristo le si mostrava glo­rioso dentro di lei, altre con la bellezza naturale della sua umanità santissima, altre poi, e quasi incessantemente, le erano rivelati tutti i miracoli compresi in quell'augustissi­mo sacramento. Ella si allietava di queste realtà stupende e di molte ancora che non possiamo capire nella vita cor­ruttibile, e che le si manifestavano in se stesse o nella vi­sione astrattiva del supremo sovrano. Oltre che le specie di lui, le furono date quelle di tutto ciò che doveva compiere sia per sé sia per la comunità ecclesiale. Per lei aveva va­lore soprattutto intuire il diletto del suo Unigenito nello stare nel suo purissimo cuore; per quanto mi è stato fatto in­tendere, esso era più grande di quello che traeva dalla com­pagnia dei beati. O prodigio eccezionale e unico del pote­re infinito! Tu sola fosti dimora più accetta agli occhi del tuo Autore di quanto lo poté essere il più alto cielo inani­mato, da lui fatto come sua abitazione. Colui che quegli spazi sconfinati non possono contenere si restrinse e rin­chiuse in te, e trovò una sede e un trono conveniente non soltanto nel tuo castissimo grembo, ma anche nell'immen­sa estensione della tua capacità e del tuo affetto. Tu sola non esistesti mai senza essere il suo cielo, ed egli non stet­te mai senza di te dopo averti plasmato e con pieno com­piacimento riposerà in te per tutti i secoli della sua inter­minabile eternità. Tutte le nazioni parlino di te, tutte le ge­nerazioni ti benedicano", tutti gli esseri ti magnifichino ed in te lodino il loro vero Signore e redentore, il quale per te sola ci visitò e rialzò dalla nostra infelice caduta.

131. Chi tra gli uomini o tra gli stessi ministri superni potrà esprimere l'incendio che divampava nel candidissi­mo intimo della prudente Regina? Chi potrà afferrare qua­le fu l'impeto del fiume della Divinità che inondò e assorbì questa città di Dio? Quali erano i suoi sentimenti, moti, atti in ordine a ogni virtù e dono elargitole senza misura, mentre operava sempre con tutta la forza di questi favori senza pari? Quali preghiere e suppliche innalzava per i cre­denti? Quale carità ebbe per noi? Quali beni ci procurò e guadagnò? Solo l'artefice di questa incomparabile meravi­glia la conosce. Solleviamo, dunque, la speranza, ravvivia­mo la fede, eccitiamo l'ardore verso la pietosa Madre, im­ploriamo la sua intercessione e il suo patrocinio, dal momento che non le negherà niente a nostro vantaggio colui che, essendo figlio suo e fratello nostro, le fece tali dimo­strazioni di tenerezza quali quelle di cui ho già detto e le altre che riferirò più avanti.

 

Insegnamento della Regina del cielo

132. Carissima, da tutto ciò che sinora ti ho svelato del­la mia storia puoi rilevare facilmente che in nessuna sem­plice creatura tranne me c'è un modello dal quale tu possa ricopiare la sublime perfezione cui aneli. Ora, però, sei ar­rivata a illustrare il più elevato stato delle doti che io ebbi durante il mio pellegrinaggio terreno, e sei pertanto mag­giormente tenuta a rinnovare le tue aspirazioni e ad appli­care interamente le tue facoltà all'irreprensibile imitazione di quanto ti insegno. È ormai opportuno che ti abbandoni completamente alla mia volontà in quello che richiedo da te. Affinché tu sia più stimolata al conseguimento di questo, ti avverto che, quando Gesù si introduce in coloro che si ac­costano a lui con venerazione, con innocenza e senza tiepi­dezza, essendosi preparati con tutto l'impegno, benché le spe­cie sacramentali si consumino rimane in essi con una gra­zia particolare con cui li assiste, arricchisce e guida, ricom­pensandoli della buona ospitalità che gli hanno dato. Pochi ottengono questo beneficio, poiché tanti lo ignorano e si co­municano senza un simile atteggiamento, quasi a caso e per abitudine, privi del dovuto santo timore. Non sei all'oscuro di tale segreto, per cui, perché ciò non ti sia rifiutato, voglio che ogni giorno lo riceva degnamente, siccome lo fai con questa frequenza per comando dei tuoi superiori.

133. Bisogna che tu ti avvalga dell'attenzione e della me­moria, meditando su quanto hai appreso che io facevo, co­sì che questo sia la norma dei tuoi desideri, del fervore, della riverenza, dell'amore e dei gesti con i quali devi di­sporre il tuo animo come tempio del tuo sposo e sommo Re. Sforzati, quindi, di concentrare in te tutte le tue ener­gie e, prima e dopo averlo accolto, tieni fisso lo sguardo sulla fedeltà di sposa che gli spetta. Soprattutto, poni ca­tenacci ai tuoi occhi e resistenti serrature ai tuoi sensi, affinché nella dimora di sua Maestà non penetrino imma­gini profane ed estranee. Conserva puro il tuo cuore, poi­ché in uno che è già occupato non può entrare la pienez­za della sapienza divina. Tutto ti sarà chiaro con l'illu­minazione che l'Altissimo ti ha concesso, se ti dedicherai solo ad essa, con assoluta rettitudine di intenzione. Dato che non puoi evitare totalmente i rapporti con gli altri, ti conviene avere molto dominio su di te e non ammettere figure di realtà materiali che non ti aiutino ad agire con la più eccelsa virtù. Sappi distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile e la verità dall'inganno. Perché in que­sto tu abbia una stretta somiglianza con me, esigo che da ora in poi consideri con quale circospezione debba com­piere tutte le azioni, grandi e piccole, per non sbagliare.

134. Pondera bene, dunque, il comune errore dei mor­tali ed i penosi danni che essi subiscono, giacché nelle lo­ro determinazioni in genere si muovono esclusivamente in base alle percezioni dei sensi e scelgono subito quello che devono eseguire, senza altri consigli e altre valutazioni. La sensibilità sollecita immediatamente le inclinazioni ani­mali, ed è naturale che gli atti vengano fatti con l'impeto delle passioni eccitate, piuttosto che con il sano giudizio della ragione. Perciò, chi considera l'ingiuria solo con il dolore che essa gli ha causato si volge all'istante alla ven­detta, come chi va dietro soltanto alla cupidigia della co­sa altrui che ha visto si decide all'ingiustizia. In questo mo­do si comportano numerosissimi infelici, quali sono coloro che seguono la concupiscenza degli occhi, gli affetti del­la carne e la superbia della vita, cioè quanto offrono loro il mondo e il demonio, che non hanno altro da dare. Non accorgendosi della trappola, credono luce le tenebre, dolce ciò che è amaro, un antidoto per le loro bramosie il vele­no letale, sapienza la cieca ignoranza diabolica e terrena. Tu, figlia mia, guardati da una così pericolosa illusione, e non badare mai ai sensi e a quello che essi ti fanno rite­nere vantaggioso. Rifletti su come procedi con la scienza e l'intelligenza che Dio non mancherà mai di infonderti a ta­le scopo. Quindi, se ti sarà possibile, prima di prendere le tue risoluzioni domanda il parere del direttore spirituale o del superiore; altrimenti, rivolgiti a qualcuno a te sotto­messo, perché anche questo è più sicuro che affidarsi alla propria volontà, la quale può essere turbata ed offuscata dagli istinti. Devi osservare l'ordine che ti ho detto spe­cialmente nelle opere esterne, con segretezza e circospe­zione e come richiederanno la carità verso il prossimo e le occasioni che ti si presenteranno. In esse è necessario non perdere l'orientamento della lampada interiore nel profon­do mare e nella difficile navigazione delle relazioni con le creature, dove sempre si corre il rischio di perire.