[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

CAPITOLO 16

Maria beatissima viene a conoscere le risoluzioni prese dal diavolo per perseguitare la Chiesa , ne chiede rimedio alla pre­senza dell'Altissimo in cielo e ne informa gli apostoli; san Giacomo si reca a predicare in Spagna, dove una volta ella lo visita.

 

307. Quando Lucifero e i suoi ministri, dopo la con­versione di Paolo, stavano escogitando il modo di vendi­carsi sulla nostra Signora e sui cristiani, non immagina­vano che la sua vista penetrasse le oscure caverne infer­nali e quanto vi era di più occulto nei loro conciliaboli; in tale inganno, quei cruentissimi draghi si ripromettevano più sicura la vittoria e l'esecuzione dei loro decreti contro di lei e contro i discepoli. Ella, però, dal luogo del suo ri­tiro, scrutava con la chiarezza della sua scienza quello che i nemici della luce discutevano e decidevano, intendendo tutti i loro fini e i mezzi scelti per conseguirli, lo sdegno che nutrivano per l'Altissimo e per lei, nonché il loro fe­roce odio per gli apostoli e gli altri fedeli. Nella sua sag­gezza valutava altresì che, senza il permesso celeste, essi non possono realizzare niente di ciò che architettano nel­la loro malvagità; tuttavia, poiché nell'esistenza mortale la battaglia è inevitabile e le erano note la fragilità e l'igno­ranza che gli uomini comunemente hanno della maliziosa astuzia con cui i demoni procurano la loro perdizione, pro­vava grande dolore e apprensione nell'osservare piani tan­to perfidi per rovinarli.

308. Con queste eminentissime doti di carità e sapien­za, a lei partecipate direttamente da quelle di Dio, le fu comunicata anche un'altra specie di attività infaticabile, simile a quella di lui, che sempre opera come atto puris­simo. La vigilante Vergine aveva continuamente preoccu­pazione attuale della gloria dell'Onnipotente, come pure della salvezza e consolazione dei suoi figli; inoltre, nel suo intimo castissimo e prudente meditava eccelsi misteri, con­frontando il passato con il presente e tutto questo con il futuro, che prevedeva con discrezione e lungimiranza so­vrumane. L'acceso desiderio della felicità perenne dei mem­bri della Chiesa, insieme alla compassione materna che sentiva delle loro tribolazioni e dei pericoli che li sovra­stavano, la stimolavano a fare sue quelle pene. Per quan­to dipendeva dal suo ardore, anelante a sopportarle per tut­ti nella propria persona, bramava che gli altri seguaci del Redentore si impegnassero con gioia e letizia, guadagnan­dosi la grazia e la vita senza fine, e che le sofferenze di tutti gravassero su lei sola. Anche se questo non era pos­sibile nell'equità e provvidenza divina, si deve considerare un affetto tanto raro e meraviglioso, ed esserle grati che talvolta la volontà del supremo Re condiscendesse real­mente ad esso per appagare la sua sete e darle ristoro nel­le sue ansietà, consentendo che patisse per noi e ci meri­tasse enormi benefici.

309. La Principessa , però, non capì nei dettagli quello che veniva stabilito contro di lei, ma solo in generale di essere oggetto della rabbia più furiosa dei principi delle te­nebre. Ciò che determinavano di fare le fu parzialmente celato per disposizione superna, affinché successivamente fosse maggiore il trionfo che avrebbe ottenuto. In effetti, il preavviso delle tentazioni e persecuzioni che avrebbe do­vuto sostenere non era per lei necessario come per gli al­tri, che non erano tanto nobili; delle loro difficoltà ebbe, dunque, cognizione più precisa. Dato che in tutto ricorre­va all'orazione per consultare l'Eterno, come istruita dal­l'esempio e dall'insegnamento del Maestro, lo fece subito con diligenza, abbassandosi in disparte fino a terra come di consueto, e con mirabile fervore parlò così:

310. «Immenso sovrano, perfetto e incomprensibile, ec­co steso al vostro cospetto questo vile vermiciattolo. Per il vostro Unigenito e mio Signore, vi scongiuro di non riget­tare le domande e i gemiti che presento al vostro sconfi­nato amore con quello che, uscito dall'incendio che di­vampa in voi, è stato riversato in questa semplice ancella. In nome dell'intera comunità ecclesiale, vi offro il sacrifi­cio della passione di Cristo e quello del suo corpo consa­crato, le preghiere a voi tanto gradite che egli vi ha in­nalzato mentre era nel mondo, la bontà che per il riscat­to di tutti lo mosse ad incarnarsi nel mio grembo, dove l'ho portato per nove mesi, alimentandolo poi al mio se­no; ponderate tutto, per concedermi licenza di implorare ciò che il mio cuore, aperto al vostro sguardo, sospira».

311. La Regina , rapita in estasi, contemplò Gesù che seduto sul trono impetrava che fosse esaudita, in quanto lo aveva generato ed era in tutto bene accetta al Padre, il quale si dichiarava vincolato dalle invocazioni che ella gli aveva indirizzato e soddisfatto di esse e quindi, fissandola con infinita benevolenza, pronunciava le seguenti parole: «Maria, mia diletta, ascendi più su». Allora, venne dal cie­lo un'innumerevole moltitudine di angeli di diversi ordini, i quali, giunti dinanzi a lei, la sollevarono dal suolo, che toccava con la fronte. Immediatamente la condussero in anima e corpo all'empireo, presso la sede della Trinità, che le si rivelò con una visione sublime, benché non intuitiva­mente ma per specie. Costei, prostratasi, adorò Dio nelle tre Persone con incommensurabile umiltà e riverenza, e re­se grazie al Salvatore per aver appoggiato la sua supplica, sollecitandolo a farlo ancora. Egli, che da dove era la ri­conosceva come sua degna madre, non dimenticò l'obbe­dienza che le aveva prestato; anzi, davanti a tutta la sua corte rinnovò questa dimostrazione di figlio e come tale raccomandò un'altra volta quello di cui ella aveva premu­ra. L'Altissimo rispose:

312. «Mio Unigenito, nel quale ho la pienezza del mio compiacimento, le mie orecchie sono attente a colei che vi ha fatto nascere e la mia clemenza è incline ad acconten­tarla in tutto». Poi, rivolto a lei proseguì: «Amica mia, pre­scelta da me tra migliaia, tu sei strumento della mia on­nipotenza e deposito della mia carità. Abbi calma nei tuoi affanni ed esponimi ogni tuo bisogno, perché ascolterò le tue richieste, che sono sante ai miei occhi». Avuto questo beneplacito, ella disse: «Sommo Creatore, che a tutto da­te e sostenete l'esistenza, le mie aspirazioni riguardano la vostra Chiesa. Siate pietoso e abbiatene cura, perché è ope­ra del Verbo fatto uomo, fondata ed acquistata con il suo sangue. Contro di essa tornano ad ergersi il serpente anti­co e i suoi alleati, pretendendo la rovina dei vostri fedeli, che sono il frutto della redenzione. Confondete le loro per­verse deliberazioni e difendete gli apostoli, vostri ministri, e gli altri battezzati; affinché questi siano liberati dalla lo­ro ira e dalle loro trame, le concentrino pure su di me, se è fattibile. Io sono una sola povera e i vostri servi sono molti; dunque, essi godano di tranquillità e dei vostri fa­vori, così che possano dedicarsi alla vostra esaltazione, e sia io a sopportare quello che incombe su di loro. Com­batterò contro satana e voi, con il vigore del vostro brac­cio, lo vincerete e sgomenterete nella sua crudeltà».

313. Il nostro Re riprese: «Mia carissima, ti accordo quanto è possibile: proteggerò i miei devoti in ciò che sarà conveniente per la mia gloria e ti lascerò soffrire quello che sarà utile per la loro corona. Perché ti sia manifesto il segreto del mio giudizio, con il quale tutto questo va di­spensato, sali al nostro seggio, dove il tuo ardore ti dà spa­zio nel nostro concistoro e nella singolare partecipazione dei nostri attributi. Vieni, ti saranno svelati tanti misteri in ordine alla guida della comunità dei credenti e al suo sviluppo. Eseguirai il tuo volere, che coinciderà con il no­stro, come adesso ti illustreremo». Ella si accorse di esse­re alzata dalla forza di questa dolcissima voce e collocata alla destra di sua Maestà, con ammirazione e giubilo di tutti i beati, che capirono il discorso e la decisione del lo­ro sovrano. Fu senza dubbio una novità tale da muoverli a meraviglia il vedere che una donna nella carne mortale era elevata e invitata al fianco della Trinità, per essere il­luminata su verità relative alla direzione della Chiesa, che erano nascoste a tutti e racchiuse nelle profondità divine.

314. Susciterebbe stupore se lo si facesse in qualche città, chiamandone una alle assemblee nelle quali si discute del governo pubblico, e ancor più se la si introducesse nel­le sedute dei consigli supremi, dove si affrontano e risol­vono le questioni di maggiore complessità ed importanza per i regni e la loro amministrazione. Si stimerebbe que­sta innovazione poco sicura, dato che Salomone afferma di essere andato in cerca della ragione e di aver trovato un uomo su mille che la possedeva, ma neppure una don­na. Sono così rare quelle che l'hanno costante e retta, per la loro fragilità naturale, che normalmente essa non si pre­sume in nessuna; se poi ce ne sono alcune, non fanno nu­mero per occuparsi di affari ardui e dibattuti senza che abbiano un'altra luce oltre a quella comune. Questa legge non comprendeva Maria perché, se Eva nella sua ignoranza cominciò a distruggere la casa del mondo che il Signore aveva edificato, ella, che fu sapientissima e madre della sa­pienza, la rifabbricò e la trasformò con la sua incompara­bile prudenza', che le ottenne di entrare in quel concisto­ro, nel quale si parlava di tale riparazione.

315. Lì fu interrogata un'altra volta su che cosa voles­se per sé e per tutti i cristiani, in particolare per i Dodici e i discepoli. La saggia Regina espresse ancora il suo fer­voroso anelito alla magnificazione di Dio e al loro sollie­vo nella persecuzione che i nemici tramavano contro di essi. Anche se le tre Persone conoscevano tutto ciò, le co­mandarono di dichiararlo per dare la loro approvazione e compiacersene, e per renderla più istruita su nuovi arcani inerenti ai loro decreti e alla predestinazione degli eletti. Per spiegare quanto mi è stato rivelato su questo, asseri­sco che, essendo la volontà della Vergine perfetta ed in tut­to straordinariamente giusta e gradita all'Altissimo, pare che questi non potesse desiderare nulla che fosse contra­rio ad essa. Egli era rivolto verso l'ineffabile santità di lei e come ferito dai capelli e dallo sguardo di una compagna tanto diletta, unica tra tutti. Il Padre la trattava come fi­glia, il Figlio come madre e lo Spirito come sposa, e tutti e tre le avevano affidato la Chiesa , ponendo in lei tutta la fiducia; per questo, non intendevano stabilire l'esecuzione di niente senza consultarla e ricevere in qualche modo il suo consenso.

316. Perché il suo beneplacito e quello della Signora coincidessero in questo, l'Onnipotente dovette comunicar­le ulteriormente la sua scienza e gli occulti disegni della provvidenza con la quale egli dispone con peso e misurar, nella maniera più equa e adeguata, ogni cosa concernente le sue creature, i loro fini e i loro mezzi. Dunque, in tale circostanza ella fu rischiarata mirabilmente su quello che era opportuno che il sommo potere operasse e ne penetrò le recondite motivazioni. Seppe quali e quanti apostoli era bene che patissero e perissero prima del suo passaggio da questa vita all'altra, quali sofferenze avrebbero sostenuto per il nome di Gesù, quali cause vi erano per ciò e per la necessità che fondassero la Chiesa spargendo il proprio sangue, come aveva fatto il loro Maestro. Inoltre, apprese che, per la cognizione di quanto avrebbero dovuto sop­portare i seguaci del Redentore, avrebbe compensato con il proprio dolore il non subire ella stessa tutto quello che ambiva, poiché era inevitabile che affrontassero una tri­bolazione momentanea per arrivare al premio eterno pron­to per loro. Affinché avesse materia più abbondante per questo tipo di merito, fu informata dell'ormai prossima uc­cisione di Giacomo e della prigionia di Pietro, ma non le fu detto che l'angelo l'avrebbe liberato, sciogliendo le sue catene. Le fu annunciato anche che a ciascuno sarebbe sta­to concesso il genere di pena e di martirio proporzionato alle forze della grazia e del suo spirito.

317. Per soddisfare completamente l'ardente carità del­la purissima Principessa, la Trinità le accordò di combat­tere ancora le sue battaglie contro i serpenti infernali e di conquistare le vittorie e i trionfi che gli altri non poteva­no conseguire, schiacciando loro la testa e confondendoli nella loro arroganza per indebolirli e fiaccarne le energie contro i fedeli. A questo scopo, le furono rinnovati tutti i doni e la partecipazione degli attributi divini, ed ognuna delle tre Persone la benedisse. Quindi, i custodi la ripor­tarono all'oratorio del cenacolo nel medesimo modo in cui l'avevano condotta all'empireo. Appena uscì dall'estasi, si prostrò a terra in forma di croce e, stretta alla polvere, con incredibile umiltà e versando tenere lacrime ringraziò il Si­gnore per il beneficio del quale l'aveva arricchita, senza che in esso ella avesse dimenticato di dare prova della sua sconfinata modestia. Si trattenne, poi, per un po' con gli esseri superni sui misteri e i bisogni della Chiesa, per ac­correre attraverso il loro ministero dove c'era più urgenza. Le sembrò conveniente avvertire i Dodici di alcune cose e rinvigorirli, incoraggiandoli per le angustie che l'avversario comune avrebbe provocato loro, dato che essi erano quelli contro i quali lottava più duramente. Perciò, parlò a Pietro, a Giovanni e agli altri che erano con loro e li av­visò di molti fatti che sarebbero accaduti; inoltre, confermò la conversione di san Paolo, manifestando lo zelo con cui proclamava sua Maestà e la sua legge.

318. Inviò dei messaggeri celesti agli apostoli che era­no già fuori Gerusalemme ed anche ai discepoli, perché li preparassero ed esortassero con le stesse notizie che ave­va trasmesso agli altri e li mettessero al corrente del mu­tamento avvenuto in Saulo; comandò in particolare ad uno di essi di palesare a quest'ultimo le trame che il demonio ordiva contro di lui, di animarlo e renderlo saldo nella spe­ranza dell'aiuto di Dio nelle sue fatiche. Eseguirono ciò con la consueta velocità, obbedendo alla loro Regina, e com­parvero a coloro ai quali erano stati indirizzati. Questo sin­golare favore colmò tutti di profonda consolazione e nuo­vo ardimento, e ciascuno rispose con rispettosa ricono­scenza tramite gli stessi, promettendole di morire con le­tizia per l'onore del suo Unigenito. Pure il giovane di Tar­so risaltò in questo, perché la sua devozione e la sua bra­ma di vedere la propria salvatrice e di esserle grato lo spro­navano a più evidenti dimostrazioni e a più grande sotto­missione. Egli era allora a Damasco, dove evangelizzava e disputava con i membri di quelle sinagoghe, anche se su­bito dopo si trasferì in Arabia, facendo in seguito ritorno nel luogo dal quale era partito.

319. San Giacomo il Maggiore era più lontano di tutti gli altri, poiché era uscito per primo dalla città per la mis­sione e, trascorsi alcuni giorni nei dintorni, si era recato in Spagna. Si era imbarcato a Ioppe, l'attuale Giaffa, nel trentaquattro dopo Cristo, nel mese di agosto, che allora si chiamava sestile, un anno e cinque mesi dopo la pas­sione, otto mesi dopo la lapidazione di Stefano e cinque mesi prima della conversione di Paolo, secondo quanto ho già scritto. Da lì, facendo scalo in Sardegna, era approda­to al porto di Cartagena, nel quale aveva cominciato la pre­dicazione; presto, diretto dallo Spirito, aveva preso il cam­mino per Granada, dove aveva capito che la messe era ab­bondante e l'occasione opportuna per soffrire per Gesù, co­me in effetti successe.

320. Era tra i prediletti di Maria e tra coloro che ella assisteva di più, sebbene esteriormente non lo distingues­se molto, per l'uniformità con la quale prudentemente trat­tava tutti come pure perché egli era suo parente. Anche Giovanni, suo fratello, aveva lo stesso legame con lei, ma a suo vantaggio giocavano altre ragioni, perché tutto il col­legio apostolico sapeva che il Maestro stesso dalla croce lo aveva dato come figlio a sua Madre e così, se questa la­sciava trasparire il suo affetto, non c'erano gli inconvenienti che ci sarebbero stati se lo avesse fatto con Giacomo o con chiunque altro tra loro; intimamente, però, aveva un amo­re del tutto speciale per lui, e glielo rivelò sempre con gra­zie eccezionali. Egli le meritò con la riverenza e la vene­razione in cui si segnalava ed ebbe necessità della sua di­fesa perché, essendo di cuore nobile e generoso e di ani­mo ferventissimo, andava incontro alle tribolazioni e ai ri­schi con invincibile valore. Perciò, precedette i suoi com­pagni nell'avviarsi a portare l'annuncio e a subire il mar­tirio. Nel tempo del suo peregrinare fu proprio un fulmi­ne come figlio del tuono, giacché per questo ricevette tale nome quando si unì agli altri.

321. In Spagna gli si presentarono inconcepibili diffi­coltà e persecuzioni mosse da satana per mezzo dei giu­dei. Non furono piccole neppure quelle che poi dovette sop­portare in Italia e in Asia minore, da dove tornò a Gerusalemme a diffondere la lieta novella e ad affrontare il sup­plizio, dopo aver percorso in pochi anni province tanto di­stanti e nazioni tanto diverse. Poiché non appartiene al mio intento riferire tutto quello che sostenne in così vari viag­gi, esporrò solo ciò che conviene a questa Storia. Quanto al resto, ho compreso che la nostra Signora ebbe cura di lui in modo eccezionale per i motivi da me addotti, e che attraverso i suoi angeli lo preservò da parecchi gravi peri­coli e frequentemente lo confortò mandandoli a trovarlo e a dargli informazioni e consigli, perché ne aveva bisogno più degli altri, considerata la brevità della sua vita. Spes­so il medesimo Redentore fece scendere dal cielo alcuni suoi servitori affinché lo proteggessero e lo trasportassero da una parte all'altra, guidandolo nei suoi spostamenti e nella sua opera.

322. Nel periodo in cui dimorò in Spagna, tra gli altri benefici che gli furono elargiti dalla Vergine due furono as­sai considerevoli, perché ella stessa lo visitò e soccorse. Una di queste apparizioni, che si verificò a Saragozza, è tanto certa quanto celebrata nel mondo, e oggi non si potrebbe negarla senza distruggere una verità così pia, confermata e consolidata da mirabili prodigi e da testimonianze per più di milleseicento anni; accennerò ad essa nel prossimo ca­pitolo. Dell'altra, che fu la prima, non mi è noto che si con­servi memoria, poiché fu più nascosta. Secondo quello che mi è stato svelato, accadde a Granada, nella maniera che adesso spiegherò. Gli ebrei avevano lì delle sinagoghe fin dal momento del loro arrivo; la terra era fertile e la vici­nanza ai porti del Mediterraneo consentiva loro di tenersi comodamente in contatto con la Palestina. Quando vi giun­se Giacomo, avevano sentito parlare degli avvenimenti ri­guardanti sua Maestà: alcuni di essi ambivano di conosce­re i suoi insegnamenti e il loro fondamento, ma nella mag­gioranza erano già stati preparati con un'empia incredulità da Lucifero a non accoglierli e a non permettere che fossero trasmessi agli altri, perché contrari ai loro riti e a Mo­sè; infatti, avevano paura che altrimenti i pagani avrebbe­ro eliminato il giudaismo. Con tale diabolico inganno, im­pedivano la fede in costoro, che, constatando che Cristo era rigettato come impostore dal suo stesso popolo, non si per­suadevano facilmente a seguirlo.

323. L 'Apostolo entrò in città e, appena ebbe iniziato a predicare, si imbatté nella loro resistenza: lo facevano pas­sare per un avventuriero, imbroglione, inventore di sette false, stregone ed ammaliatore. Egli aveva con sé dodici discepoli, ad imitazione del suo Signore, e, siccome per­severavano tutti nella proclamazione del Vangelo, cresceva l'odio contro di essi, tanto che fu presa la decisione di uc­ciderli; in effetti, ne fu assassinato immediatamente uno, che si era opposto con ardente zelo. Dato che, però, non temevano la morte ed anzi aspiravano a patire per Gesù, continuarono a proporre il loro messaggio ancor più in­trepidamente. Dopo che ebbero faticato in questo per va­ri giorni ed ebbero convertito molti abitanti di quel luogo e della zona circostante, il furore dei giudei si accese mag­giormente. Infine, questi li catturarono tutti e li trascina­rono in catene fuori delle mura per ammazzarli, e appena furono in campagna legarono nuovamente i loro piedi af­finché non fuggissero, perché li ritenevano maghi e in­cantatori. Mentre stavano per decapitarli, Giacomo non cessava di implorare il favore dell'Altissimo e della sua Re­gina. Le disse: «Santa Madre del mio Salvatore, assistete in quest'ora il vostro umile schiavo. Voi che siete clemen­tissima, pregate per me e per questi confessori. Se è vo­lontà dell'Onnipotente che periamo qui per la sua gloria, supplicatelo che riceva la mia anima alla sua presenza. Ri­cordatevi di me e beneditemi in nome di colui che vi ha scelto tra tutti. Accettate il sacrificio che faccio di non in­contrare i vostri occhi misericordiosi in quest'ora, che per me deve essere l'ultima. O Maria, o Maria!».

324. Ripeté tante volte l'invocazione finale, che ella ascoltò dal suo oratorio, da dove stava osservando distin­tamente tutto ciò che succedeva a quel suo amatissimo fi­glio. Allora, le sue viscere materne si mossero a tenera com­passione per la tribolazione che egli sosteneva e nella qua­le le si rivolgeva, e ne provò particolare dolore pure per il fatto di essere così lontana anche se, avendo chiaro che niente era difficile al potere infinito, si inclinò a desidera­re di aiutarlo in quel frangente; inoltre, tale pena aumentò in lei poiché aveva cognizione che sarebbe stato il primo a versare il proprio sangue. Comunque, non chiese a Dio o agli esseri celesti di portarla da lui, perché la trattenne dal farlo la sua eccezionale prudenza, con la quale inten­deva che la provvidenza non avrebbe fatto mancare il ne­cessario, e nel domandare queste grazie mentre viveva quaggiù si regolava sul beneplacito della Trinità, con ec­cellente discrezione e riguardo.

325. Il suo Unigenito, che teneva l'attenzione fissa ai suoi aneliti come santi, giusti e pieni di pietà, dispose al­l'istante che i suoi mille custodi eseguissero quanto ella so­spirava. Questi le si manifestarono in forma umana e, pa­lesatole l'ordine che avevano avuto, senza alcun indugio la fecero salire su un trono formato da una bellissima nuvo­la e la condussero in Spagna, sul campo dove erano Gia­como e i suoi e dove i nemici che li avevano fatti prigio­nieri avevano già sguainato le scimitarre o sciabole. Solo l'Apostolo la vide sulla nube, dalla quale ella gli parlò con dolcezza: «Mio diletto, carissimo al Redentore, state di buon animo e siate benedetto eternamente da colui che vi ha creato e vi ha chiamato alla sua luce. Orsù, servitore fedele, alzatevi e siate sciolto dai ceppi». Egli si era pro­strato come meglio aveva potuto. Alle parole della fortis­sima Principessa, le catene di tutti si aprirono in un atti­mo e si trovarono liberi. I giudei, che avevano le armi in pugno, caddero a terra e vi rimasero per alcune ore privi di sensi, mentre i demoni, che li appoggiavano e provoca­vano furono precipitati negli abissi infernali. Così, sua Maestà poté essere magnificato senza impedimenti da quei dodici e da Giacomo, e questi ringraziò la Vergine con in­comparabile sottomissione e giubilo del suo intimo; gli al­tri, pur non potendola contemplare, dall'accaduto si rese­ro conto del prodigio, e il loro maestro lo rivelò nella mi­sura che gli parve conveniente per confermarli nella fede, nella speranza e nella devozione a lei.

326. Tale singolare beneficio fu anche più mirabile per­ché la Signora non solo lo difese dalla morte affinché tut­to quel regno traesse giovamento dalla sua predicazione, ma regolò anche i suoi spostamenti; ella, infatti, incaricò cento dei suoi angeli di accompagnarlo, guidandolo di pae­se in paese e proteggendolo dappertutto da ogni pericolo, e di indirizzarlo quindi verso Saragozza. Essi le obbediro­no e gli altri la trasferirono al cenacolo. Con una simile scorta, Giacomo percorse quei territori più sicuro che gli israeliti nel deserto. Lasciò a Granada alcuni dei suoi, che poi vi subirono il martirio, e proseguì il viaggio in molte località dell'Andalusia con i rimanenti e con gli altri che accoglieva. Giunse a Toledo e di là passò in Portogallo, in Galizia e per Astorga; facendo delle deviazioni verso posti differenti, arrivò nella Rioja e da Logrono si recò a Tude­la e, infine, a Saragozza. Nel suo peregrinare si separò via via da parecchi suoi discepoli, che designò come pastori di varie città, dove aveva piantato la Chiesa e il culto di­vino. In quelle regioni fece tanti e così straordinari mira­coli che non devono sembrare incredibili quelli che si san­no, essendo ben più numerosi quelli che si ignorano. Il frutto che raccolse fu immenso, tenuto conto del tempo in cui vi dimorò. È stato un errore dire o pensare che con­vertì poche persone, perché ovunque andò stabilì la co­munità, ordinando tanti vescovi per il governo dei figli che aveva generato in Cristo.

327. Per terminare questo capitolo avverto che in mol­teplici maniere ho conosciuto le teorie opposte degli sto­rici ecclesiastici su quanto sto scrivendo, cioè l'uscita de­gli apostoli da Gerusalemme allo scopo di evangelizzare, la distribuzione tra loro delle parti del mondo, la compo­sizione del simbolo, la partenza di Giacomo e la sua uc­cisione. Riguardo a tutti questi avvenimenti ho compreso che dissentono considerevolmente nell'attribuire ad essi una datazione e nell'accordarli con i libri canonici. Il Si­gnore, però, non mi ha comandato di chiarire questi ed al­tri dubbi, né di comporre queste controversie; anzi, fin dal principio ho riferito che egli mi ha ingiunto di stendere il presente racconto senza opinioni, affinché non le mescoli con la verità. Quando ciò che affermo è conseguente al te­sto sacro, non contrasta in niente con esso e corrisponde alla dignità della materia che tratto, non posso dare mag­giore autorità alla narrazione, e neppure pretenderà di più la pietà cattolica. Potrà anche capitare che per tale strada si risolvano alcuni punti dibattuti, e questo lo faranno co­loro che sono dotti e letterati.

 

Insegnaniento della Regina del cielo

328. Mia eletta, la meraviglia che hai qui esposto, cioè il mio innalzamento al trono regale di Dio perché egli po­tesse parlare con me dei decreti della sua provvidenza, è così particolare e grande che supera le facoltà dei viatori; solamente in patria, nella visione beatifica, essi capiranno siffatto mistero con speciale gaudio accidentale. Questa grazia eccezionale fu in qualche modo effetto e compenso dell'ardore con cui amavo ed amo il sommo Bene e del­l'umiltà con cui mi confessavo sua ancella; furono queste virtù a sollevarmi lassù mentre vivevo nella carne. Allora, voglio che tu penetri profondamente un arcano che senz'al­tro fu uno dei più sublimi operati in me e uno di quelli che dettero più motivo di ammirazione ai ministri super­ni e ai santi. Bisogna che tu trasformi la cognizione che ne hai in una vigilantissima sollecitudine e in accesi desi­deri di imitarmi in ciò per cui meritai tali favori.

329. Intendi dunque che non una volta sola, ma mol­te, fui elevata fino alla sede della Trinità nel periodo che trascorse tra la venuta dello Spirito e il giorno nel quale fui assunta, dopo il mio trapasso, per gioire perennemen­te. In quello che ti resta da dichiarare della mia vita, af­ferrerai altri segreti al riguardo; però, per quanto mi fu concesso dalla destra dell'Altissimo, ricevetti abbondantis­simi doni, nelle diverse maniere che erano possibili alla sua potenza infinita e alla capacità che egli mi conferì per l'ineffabile e quasi immensa partecipazione delle sue per­fezioni. Talora, elargendomeli, il Padre proclamava: «Spo­sa mia, il tuo affetto e la tua fedeltà, superiore a quella di tutti gli altri, ci vincolano e ci danno la pienezza di com­piacimento che bramiamo. Ascendi presso di noi, per es­sere assorta nell'abisso della nostra divinità ed avere qui il quarto posto, nei limiti permessi a una semplice creatura. Prendi possesso della nostra gloria, i cui tesori mettiamo nelle tue mani. Tuoi sono il cielo, la terra e i mari; godi nella tua esistenza peritura dei privilegi della beatitudine al di sopra di ogni altro. Ti servano tutte le nazioni e tut­ti gli esseri, ti obbediscano le potestà e i supremi serafini, e tutte le nostre ricchezze siano in comune con te. Ap­prendi le decisioni della nostra sapienza ed abbi parte in esse, dato che sei assolutamente retta e irreprensibile. Ad­dentrati nelle spiegazioni di quello che determiniamo con equità; il tuo volere sia uno con il nostro, ed uno il moti­vo in ciò che stabiliamo per la nostra Chiesa».

330. Con questa benignità tanto ineffabile quanto sin­golare indirizzava la mia volontà per conformarla alla sua, affinché nella comunità ecclesiale non si facesse niente se non per mia disposizione, e questa fosse quella di lui stesso, le cui ragioni e convenienze conoscevo nel suo eterno consiglio. In esso vidi che per legge universale io non po­tevo sostenere tutte le pene di ognuno, principalmente de­gli apostoli; ma la mia aspirazione, benché irrealizzabile, non fu una deviazione dal beneplacito dell'eccelso sovra­no, che la suscitò in me come indizio e testimonianza del mio amore sconfinato, dal momento che anelavo a questo appunto per il Signore stesso, che ha tanta tenerezza ver­so gli uomini. Io ero sincera e il mio cuore era pronto per quello che chiedevo; perciò egli lo gradì e mi premiò co­me se l'avessi eseguito, giacché mi causò molto dolore non poter soffrire per ciascuno. Da questo nasceva in me la compassione che avevo dei martiri e dei tormenti con i quali furono uccisi i Dodici e gli altri, poiché in tutti e con tutti ero afflitta e tribolata, e in un certo modo morivo con loro. Tale fu la mia affezione per i miei figli! E questa ades­so, tranne che per il patire, è la medesima, anche se essi non sanno fin dove li obblighi la mia carità per esserne grati in misura adeguata.

331. Questi inesprimibili benefici mi furono accordati mentre stavo accanto al mio Gesù, rapita in estasi, e mi dilettavo nelle sue prerogative ed eccellenze, per quanto potevano essere comunicate ad una semplice creatura. I di­segni celesti erano manifestati innanzitutto all'umanità san­tissima di Cristo, nell'ordine mirabile che essa ha con la divinità alla quale è congiunta nel Verbo. Subito, tramite lui, erano trasmessi a me in un'altra maniera. L'unione del­la sua umanità con la persona del Verbo, infatti, è imme­diata, sostanziale e intrinseca, e quindi la partecipazione della divinità e dei suoi decreti è corrispondente e pro­porzionata; per me, invece, veniva seguito un altro ordine, stupendo e senza esempi, che aveva luogo in un essere non divino, ma somigliante all'umanità santissima e, dopo di essa, il più vicino a Dio stesso. Non potrai comprendere facilmente ciò, ma i beati lo hanno fatto ognuno nel grado di scienza a lui spettante, e tutti hanno inteso la mia conformità con il mio Unigenito, e pure la differenza. Que­sto li mosse e li muove ancora a comporre nuovi cantici a onore e lode dell'Onnipotente, perché fu uno dei più gran­di prodigi che il suo braccio vigoroso fece in me.

332. Affinché tu dilati maggiormente le tue energie e quelle della grazia in desideri e sentimenti pii, anche se que­sti riguardano quanto non puoi mettere in pratica, voglio svelarti un'altra cosa. Quando io scoprivo gli effetti della re­denzione nella giustificazione delle anime, e gli aiuti che era­no infusi ad esse per mondarle ed elevarle per mezzo della contrizione o del battesimo e di altri sacramenti, ne avevo stima fino a provarne quasi invidia. Non avevo colpe delle quali purificarmi e dunque questo non mi poteva essere con­cesso come ai peccatori, ma, poiché piansi il male che ave­vano compiuto più di tutti loro e mi mostrai riconoscente a sua Maestà per la sua liberale misericordia, ottenni più di quello che era necessario per la salvezza dell'intera discen­denza di Adamo. Sino a tal punto l'Altissimo si riteneva im­pegnato dalle mie opere e tale fu la virtù che egli dette lo­ro perché trovassero favore presso di lui!

333. Considera quanto tu mi sia debitrice, ora che ti ho illuminato e istruito su realtà tanto venerabili; non te­nere oziosi i tuoi talenti e non fare andare perduti tanti beni. Vieni dietro a me attraverso l'imitazione perfetta dei miei atti. Per infervorarti di più nell'amore di Dio, tieni continuamente a mente la brama che il Maestro ed io ave­vamo della beatitudine dei credenti e le nostre lacrime per la rovina definitiva che molti si procurano da soli con una falsa ed ingannevole allegrezza. Devi contraddistinguerti ed esercitarti parecchio in tale zelo, come sposa fedelissima di colui che per questo si abbandonò alla morte di croce, e come figlia e discepola mia; infatti, se la forza di un si­mile ardore non mi privò della vita fu perché questa mi fu conservata miracolosamente, ed essa mi meritò di avere un posto nel trono e nel consesso della Trinità. Se tu, amica, sarai così diligente nel modellarti su di me e così attenta nell'obbedirmi come io esigo da te, ti assicuro che sarai partecipe dei doni che io feci al mio servo Giacomo e che ti assisterò nei travagli e ti guiderò, secondo quello che ti ho promesso ripetutamente; inoltre, il Signore con te sarà tanto generoso che supererà ogni tua attesa.