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CAPITOLO 24

Il costato di Gesù, già spirato, viene ferito da un colpo di lancia; egli è deposto dalla croce e sepolto. Si narra, inoltre, ciò che in questa circostanza operò Maria santissima, fino al suo ritorno al cenacolo.

1436. Il quarto Vangelo narra che presso la croce stavano Maria, la madre di Gesù, Maria di Cleofa e Maria di Màgdala. Sebbene ciò venga riferito prima che si racconti della morte del nostro Salvatore, si deve comprendere che l'invitta Regina vi restò anche dopo, sempre in piedi accanto al duro legno, adorando su di esso l'Unigenito già spirato e la divinità che era ancora unita al suo corpo. Ella rimaneva salda tra le onde impetuose di afflizione che penetravano fino nell'intimo del suo castissimo petto, e con la sua eminente scienza meditava i misteri della redenzione e l'armonia con la quale la sapienza superna li ordinava. La sua maggiore sofferenza era la sleale ingratitudine che con tanto danno sarebbe stata mostrata verso un beneficio così raro e meritevole di infinita riconoscenza. Era allo stesso tempo preoccupata di come dare sepoltura al sacro corpo di suo Figlio e di chi lo avrebbe deposto dalla croce, verso la quale teneva sempre alzati i suoi occhi. Con questo inquietante pensiero parlò così agli angeli che l'assistevano: «Ministri dell'Altissimo e miei amici nella tribolazione, sapete bene che non vi è alcun dolore pari al mio. Ditemi, dunque: in che modo tirerò giù il diletto dell'anima mia? Come e dove troverò un sepolcro degno di lui? In quanto sua madre, questo spetta a me. Ditemi che cosa io debba fare ed aiutatemi con la vostra diligenza».

1437. Essi le risposero: «Signora nostra, il vostro cuore affranto si dilati per abbracciare ciò che ha ancora da patire. L'Onnipotente ha celato la sua gloria e il suo potere, per assoggettarsi all'empia disposizione dei malvagi, e vuole sempre accondiscendere alle leggi fissate dalle sue creature. Una di queste prevede che i condannati non siano calati senza licenza del giudice. Noi saremmo pronti e forti nell'obbedirvi e nel proteggere il nostro vero Dio, ma la sua destra ci trattiene, perché è sua volontà difendere in tutto la sua causa e spargere il sangue che gli è restato a favore degli uomini, per vincolarli maggiormente a corrispondere al suo amore, che li ha riscattati così copiosamente. Se essi non ne approfitteranno nella maniera dovuta, il loro castigo sarà deplorevole, e il suo rigore sarà il compenso della lentezza con la quale l'Eterno procede alla vendetta». Tali parole accrebbero la pena dell'oppressa Vergine, poiché non le era stato ancora manifestato che sua Maestà avrebbe dovuto essere infilzato con una lancia e il sospetto di ciò che sarebbe avvenuto la pose in nuova angoscia.

1438. In quel momento scorse avvicinarsi una truppa di gente armata; nel timore di qualche altra ingiuria contro il defunto, si rivolse a Giovanni e alle due donne: «Ahimè, il mio strazio giunge ormai all'estremo e il mio cuore si frantuma in me! Non sono ancora soddisfatti di averlo ucciso? Pretendono di offendere in qualche altro modo il sacro corpo già privo di vita?». Era la vigilia della solenne festa del sabato e i giudei, per celebrarla senza altre preoccupazioni, avevano chiesto a Pilato il permesso di rompere le gambe ai tre giustiziati, affinché perissero più in fretta e potessero così essere sistemati quella sera stessa, senza rimanere esposti fino al giorno seguente. I soldati distinti da Maria beatissima si dirigevano verso il Calvario con tale intento. Quando furono lì, constatando che i due ladroni ancora respiravano, spaccarono loro gli arti, ma per Cristo, che era già esanime, non ce ne fu bisogno; si adempiva così l'arcana profezia riportata nel libro dell'Esodo nella quale era stato comandato di non spezzare le ossa dell'agnello pasquale, che era sua figura. Uno di costoro, di nome Longino, però, accostatosi a lui, trafisse con la lancia il suo costato, da dove subito uscì sangue e acqua, come dichiara l'Evangelista, affermando di aver visto e di rendere testimonianza alla verità.

1439. Il sacro corpo, ormai morto, non poté avvertire la sofferenza, ma la sentì bene la Regina nel suo purissimo petto, come se vi avesse ricevuto il colpo; questo tormento, tuttavia, fu minore di quello che ella provò di fronte alla ribadita crudeltà con la quale era stato aperto il costato del suo Unigenito. Mossa a compassione, ella disse a colui che l'aveva fatto: «Il Signore abbia pietà di te per l'afflizione che mi hai inflitto». La sua indignazione, o meglio la sua mansuetudine, arrivò sin qui e non oltre, come esempio per tutti noi per quando saremo oltraggiati. Nella considerazione della candidissima colomba, tale torto fatto al Redentore fu molto pesante e il contraccambio che ella ne rese al colpevole, rispondendo al male con doni e benedizioni, fu il più grande beneficio, quello cioè di essere guardato dall'Altissimo con misericordia; così, infatti, avvenne, perché suo Figlio, vincolato dalla sua richiesta, stabilì che alcune gocce del sangue e dell'acqua schizzassero sul volto di lui, dandogli attraverso questo favore la vista corporale, che egli quasi non aveva, e quella dell'anima, affinché conoscesse il Crocifisso che aveva inumanamente ferito. Si convertì e, piangendo i suoi peccati, li lavò con il sangue e con l'acqua scaturiti dal fianco di colui che comprese essere vero Dio e salvatore del mondo. Subito lo proclamò tale alla presenza dei suoi compagni, a loro maggiore confusione e come ulteriore attestazione della loro durezza e perfidia.

1440. La prudentissima Madre capì il significato del colpo di lancia: in quell'ultimo sangue unito ad acqua che zampillava dal costato di sua Maestà nasceva la Chiesa, purificata e rinnovata in virtù della sua passione, e dal sacro petto venivano fuori come dalla radice i rami che poi si sarebbero dilatati ovunque con frutti di vita eterna. Richiamò ugualmente nel suo intimo l'episodio della pietra percossa dalla verga della giustizia del Padre affinché sgorgasse acqua viva con cui mitigare la sete di tutti gli uomini, rinfrescando e rinfrancando quanti fossero andati a berne. Ponderò la corrispondenza delle acque dell'Eden, diramate in quattro corsi sulla superficie della terra per fecondarla, con queste cinque fontane che si aprirono, ancora più abbondanti ed efficaci, nei piedi, nelle mani e nel costato del nuovo paradiso dell'umanità santissima di Gesù. Ella racchiuse questo ed altro in un cantico di lode che compose a sua gloria dopo la lesione provocata dalla lancia; in esso pregò con fervore perché quei misteri si compissero a vantaggio di tutti.

1441. Il giorno di Parascève declinava già verso sera e la tenerissima Vergine non aveva ancora alcuna certezza riguardo alla sepoltura che desiderava dare al Signore, il quale lasciava che la sua tribolazione si alleggerisse nel modo determinato dalla sua provvidenza ispirando Giuseppe di Arimatèa e Nicodemo. Questi erano entrambi retti e discepoli di lui, benché non del numero dei settantadue, perché nascosti per timore dei giudei, che detestavano come sospetti e nemici quanti ascoltavano i suoi insegnamenti e lo confessavano loro maestro. A Maria non era stato rivelato l'ordine della volontà superna circa la deposizione nel sepolcro e, con la difficoltà che le si presentava, cresceva in lei la dolorosa sollecitudine, dalla quale non trovava la maniera di trarsi fuori con la propria diligenza. Stando così affranta, sollevò gli occhi al cielo e disse: «Immenso sovrano, nella vostra infinita bontà e sapienza vi siete degnato di innalzarmi dalla polvere alla sublime condizione di genitrice del vostro Unigenito e con sconfinata generosità mi avete concesso di nutrirlo al mio seno, di allevarlo e di stare con lui sino alla sua uccisione. Ora tocca a me, come madre, dare decorosa sepoltura al suo sacro corpo. Le mie energie giungono solo a bramarlo e a farmi spezzare il cuore per la sofferenza di non averne la possibilità: vi supplico di dispiegare nella vostra potenza i mezzi perché io lo possa fare».

1442. Ella elevò questa orazione quando fu sferrato il colpo di lancia e, dopo un breve spazio di tempo, si accorse che si avvicinava altra gente, con delle scale e degli strumenti che le fecero immaginare che stessero venendo a togliere dalla croce il suo inestimabile tesoro. Non sapendone il fine, si afflisse un'altra volta paventando qualche crudeltà e, rivolgendosi a Giovanni, domandò: «Figlio mio, che intento avranno costoro, che arrivano con tante attrezzature?». L’Apostolo la rassicurò: «Non temeteli, mia Signora, sono Giuseppe e Nicodemo, con alcuni loro servitori, tutti amici e devoti del Redentore». Il primo era giusto davanti all'Altissimo e rispettato tra il popolo, nobile e membro del sinedrio, come fa comprendere l'Evangelista affermando che non aveva aderito alla decisione e all'operato degli assassini di colui che credeva il Messia. Anche se fino ad allora lo aveva seguito in segreto, in quel momento si manifestò, per effetto della salvezza. Abbandonando la paura dell'invidia dei giudei e non badando al potere dei romani, andò arditamente da Pilato e gli chiese il corpo di sua Maestà, per calarlo giù e dargli onorata sepoltura, sostenendo che era innocente e vero Dio, come era testimoniato dai miracoli della sua vita e della sua morte.

1443. Il governatore non ebbe animo di negarglielo, ma anzi gli diede licenza di disporne nel modo che gli sarebbe parso più conveniente, e costui, ottenuto tale permesso, uscì dalla sua casa. Chiamò quindi Nicodemo, che era anch'egli giusto e dotto nelle lettere divine e umane e nelle sacre Scritture, come si deduce da ciò che gli fu dichiarato ti arido di notte si recò ad udire le parole di Cristo: ti uomini santi stabilirono con audacia di seppellire Gesù: Giuseppe procurò la sindone e il sudario nel quale avvolgerlo e Nicodemo comprò addirittura cento libbre degli aromi con i quali si era soliti ungere i defunti più ragguardevoli; con queste cose preparate e con alcuni utensili si avviarono al Calvario con il loro seguito e con altre persone pie, nelle quali già agiva il sangue sparso per tutti.

1444. Pervennero al cospetto della Vergine, che con incomparabile pena continuava a rimanere sotto il duro legno con il discepolo diletto e le altre Marie; invece di salutarla, per il dolore che si riaccese in ciascuno con enorme veemenza alla vista dell'eccelso e struggente spettacolo, stettero per un po' prostrati ai suoi piedi, e tutti a quelli della croce, dando libero corso alle lacrime e ai sospiri senza proferire niente. Gemettero ininterrottamente con amari lamenti, finché ella li rialzò dal suolo, fece loro coraggio e li confortò; solo allora la salutarono, con umile compassione. L'accortissima Madre si mostrò grata della loro pietà e dell'ossequio che erano venuti a rendere al loro Signore e maestro ponendo in un sepolcro il corpo ormai defunto, e a nome di lui promise loro il premio. Giuseppe rispose: «Nostra Regina, proviamo già nell'intimo la soave forza dello Spirito, che ci ha mossi con tanto ardore che non abbiamo saputo meritare né sappiamo esprimere». Subito entrambi si spogliarono del mantello, appoggiarono con le proprie mani le scale alla croce e salirono a schiodare il sacro corpo. Ella stava molto vicina, assistita da Giovanni e da Maria di Màgdala. Al nobile d'Arimatèa parve che lo strazio si sarebbe rinnovato in lei se lo avesse toccato mentre lo deponevano, e pregò l'Apostolo di farla allontanare per distogliere la sua attenzione; questi, però, conoscendo meglio il suo invincibile cuore, ribatté che dal principio della passione era sempre restata presente accanto al suo Unigenito e non se ne sarebbe separata sino alla fine, perché lo adorava come Dio e lo amava come frutto delle sue viscere.

1445. Nonostante ciò, la implorarono di accogliere in parte la supplica che le facevano di ritirarsi leggermente indietro, ma ella replicò: «Carissimi, poiché mi sono trovata a vedere configgere il mio delicatissimo Figlio, vi scongiuro di considerare come cosa buona che io sia qui ora che gli vengono tolti i chiodi. Questo atto così pietoso, benché mi laceri ancora, mi sarà tanto più di sollievo quanto più lo potrò guardare». Quindi, procedettero nell'ordinare la deposizione. Asportarono prima di tutto la corona dal sacro capo, scoprendo le ferite assai profonde che vi aveva lasciato, la portarono giù con immensa devozione e tra i singhiozzi, e la porsero alla gentilissima Signora. Ella la ricevette in ginocchio con ammirevole riverenza, accostandola al suo volto verginale, irrigandola con abbondante pianto e graffiandosi per il contatto con le spine; nello stesso istante invocò il Padre di fare in modo che esse, consacrate con il sangue di Cristo, fossero onorate dai fedeli che le avrebbero avute in futuro.

1446. Subito, a sua imitazione, le venerarono l'Evangelista, Maria di Màgdala, le altre Marie e alcune donne che erano con loro. Fecero lo stesso con i chiodi: per prima la Principessa, seguita poi dai circostanti. Ella, per prendere il corpo di Gesù, genuflessa, stese la sindone spiegata; Giovanni reggeva la testa e Maria di Màgdala i piedi, per aiutare Giuseppe e Nicodemo, e tutti insieme, con grande rispetto e sofferenza, lo consegnarono a lei. Ciò le provocò tanto affanno quanto delizia: osservare così piagato il più bello tra i figli dell'uomo ravvivava il suo tormento, mentre tenerlo stretto al petto le dava smisurata angoscia e allo stesso tempo sommo gaudio, perché il suo ardentissimo affetto riposava nel possesso del suo tesoro. Lo adorò con supremo ossequio, effondendo lacrime di sangue, e dopo di lei lo fecero anche i suoi innumerevoli custodi, ma questo rimase nascosto; poi tutti gli altri, a cominciare dal discepolo, venerarono il sacro corpo, che ella cingeva a tal fine tra le braccia stando seduta in terra.

1447. Agiva in tutto con sapienza e prudenza tali da dare stupore ai mortali e agli esseri celesti: le sue parole erano ben ponderate, dolcissime per la compassione verso tanto splendore sfigurato, tenere per il cordoglio e arcane per ciò che significavano; il suo dolore faceva impressione più di ogni altro possibile; commuoveva e illuminava tutti su un mistero tanto sublime quale era quello di cui trattava; inoltre, senza eccedere né mancare in quanto doveva, manifestava nell'atteggiamento un'umile maestà, tra la serenità del viso e la tristezza che sentiva. Con questa varietà così uniforme parlava con il Salvatore, con l'Eterno, con gli spiriti sovrani, con gli astanti e con l'intero genere umano, per la cui redenzione il suo diletto si era liberamente immolato. Non mi trattengo oltre a riferire in dettaglio le sue assennate e meste espressioni, perché la pietà cristiana ne immaginerà molte e non posso fermarmi su ognuna.

1448. Dopo un po', Giovanni e Giuseppe la pregarono di permettere la sepoltura perché si avvicinava la sera e, accorta, acconsentì. Il corpo fu unto sullo stesso lenzuolo con gli oli aromatici acquistati da Nicodemo e in questo atto religioso vennero consumate tutte le cento libbre che erano state comprate; quindi, esso fu collocato sul feretro, per essere trasportato. Maria, vigile in tutto, convocò molti cori di angeli, perché assistessero con i suoi alla sistemazione nel sepolcro delle membra del loro Creatore, e immediatamente essi discesero dall'alto in forma visibile, sebbene solo a lei. Si disposero dunque due processioni: una composta da loro e l'altra da uomini. Sollevarono il sacro corpo Giovanni, Giuseppe, Nicodemo e il centurione che era stato presente quando il Signore era spirato e lo aveva confessato Figlio di Dio. Gli andava dietro la Vergine, accompagnata da Maria di Màgdala, dalle altre Marie e dalle pie donne. Oltre a queste persone, intervenne un ingente numero di credenti, che, mossi dalla luce superna, erano venuti al Calvario dopo il colpo di lancia. In tale ordine si incamminarono tutti in silenzio e tra i gemiti verso un giardino poco distante, dove Giuseppe possedeva una tomba nuova, nella quale nessuno era stato ancora deposto; in questo fortunatissimo luogo posero le spoglie. Prima che esse fossero coperte con la lapide, l'avveduta Madre le adorò ancora, con ammirazione di tutti, angeli e uomini. Subito, gli uni e gli altri la imitarono e venerarono il loro Re, crocifisso e sepolto; quindi, misero lì davanti una pietra, che, come dice il Vangelo, era molto grande.

1449. Nel momento in cui fu serrato il sepolcro di Gesù, si chiusero quelli che si erano aperti alla sua morte, rimanendo come in attesa per conoscere se mai sarebbe toccata ad essi la felice sorte di accogliere nel proprio seno il corpo defunto del loro autore incarnato; gli davano così quanto potevano, mentre i giudei non lo avevano ricevuto vivo e loro benefattore. A sorvegliarlo restarono molti custodi divini, ai quali aveva comandato ciò la loro Signora, che lasciava là il proprio cuore. Con lo stesso silenzio e ordine con cui erano giunti da quel monte, tutti vi risalirono. La Maestra delle virtù si accostò alla croce e la adorò con enorme devozione, e senza indugio fecero lo stesso Giovanni, Giuseppe e gli altri. Poiché il sole era già tramontato, la scortarono sino alla casa in cui si trovava il cenacolo, dove ella si ritirò; affidandola al discepolo, alle Marie e ad altre seguaci, i rimanenti si congedarono da lei e singhiozzando le chiesero la benedizione. La semplice e saggia Regina si mostrò grata per l'ossequio che avevano prestato al suo Unigenito e per il beneficio da lei avuto, e li licenziò pieni di altri segreti doni interiori, con larghi aiuti della sua natura cortese e della sua indulgente umiltà.

1450. Il sabato mattina i sommi sacerdoti e i farisei, confusi e turbati per ciò che stava accadendo, si recarono da Pilato e gli domandarono di far vigilare la tomba, perché Cristo, da loro chiamato impostore, aveva detto che sarebbe tornato in vita dopo tre giorni ed era possibile che i suoi lo rubassero e poi affermassero che era risorto. Egli accondiscese e costoro misero la guardia al sepolcro. Questi perfidi tentavano solo di nascondere ciò che temevano sarebbe successo, come si capì in seguito, quando corruppero i soldati affinché dichiarassero che sua Maestà era stato portato via; siccome, però, non c'è consiglio contro Dio in questo modo si divulgò e confermò maggiormente la risurrezione.

Insegnamento della Regina del cielo

1451. Carissima, la ferita al petto di mio Figlio fu assai crudele e dolorosa solo per me, ma i suoi effetti misteriosi sono deliziosi per le anime sante, che ne sanno gustare la dolcezza. Mi afflisse molto, ma per coloro ai quali fu indirizzato tale arcano favore è uno sconfinato sollievo nella sofferenza; per comprenderlo ed esserne partecipe, devi considerare che egli, per la sua ardentissima tenerezza verso di loro, oltre alle piaghe nei piedi e nelle mani volle avere quella sul cuore, che è la sede dell'amore, affinché potessero entrare attraverso di essa per goderne attingendo alla sua stessa fonte, e vi trovassero rifugio e consolazione. Bramo che nel tuo esilio tu cerchi soltanto questo conforto e che tu abbia il costato come abitazione sicura sulla terra; lì apprenderai le proprietà e le leggi della carità in cui prendermi a modello, e che in contraccambio delle ingiurie dovrai benedire chi offenderà te o qualcosa di tuo, come hai inteso che feci io quando fui trafitta dal colpo inferto al mio diletto già spirato. Ti assicuro che non puoi fare alcuna opera più potente di questa presso il cielo, per ottenere con efficacia la grazia che desideri. La preghiera che si fa dimenticando gli oltraggi non ha forza solo per te, ma anche per chi li ha arrecati, perché il mio pietoso Signore si commuove, vedendo che gli uomini lo imitano nel perdono e nell'intercessione per chi fa loro del male; così essi hanno parte al sommo bene che egli manifestò sul Calvario. Scrivi in te queste mie parole e mettile in pratica per emularmi in ciò che ho stimato di più. Contempla tramite quello squarcio il cuore del tuo sposo, e me, che in lui ho tanto affetto verso i nemici e tutte le creature.

1452. Medita anche la sollecita puntualità con la quale l'Altissimo accorre in modo opportuno a rispondere alle necessità di chi lo invoca con vera fiducia, come fece con me quando restai triste e abbandonata mentre dovevo dare degna sepoltura a Gesù. Allo scopo di soccorrermi in tale angustia riempì di zelo e di benevolenza l'intimo di quei giusti, che se ne preoccuparono alleviando tanto la mia pena da essere colmati, per questo atto e per la mia orazione, di meravigliosi influssi divini per tutto il tempo della deposizione e della sistemazione nel sepolcro, venendo resi nuovi e illuminati sugli eventi della redenzione. Questo è l'ordine mirabile della soave e vigorosa provvidenza dell'Eterno, che, per vincolare alcuni a sé, pone nella tribolazione altri, e muove chi può assistere il bisognoso affinché il benefattore, per il suo gesto meritevole e per la supplica del povero che lo riceve, venga rimunerato con quanto non avrebbe guadagnato per altre vie. Il Padre delle misericordie, che stimola con i suoi aiuti le azioni, le paga poi come è conveniente, per la corrispondenza alle sue ispirazioni con quel poco di cooperazione da parte nostra in ciò che per essere buono proviene tutto da lui.

1453. Rifletti, poi, su come egli agisca rettamente, compensando gli affronti sopportati con pazienza. Dal momento che il mio Unigenito era morto disprezzato, irriso e bestemmiato, dispose subito che fosse sepolto onoratamente, indusse molti a confessarlo loro sovrano e salvatore e ad acclamarlo santo e innocente, e volle che nella stessa occasione, mentre finivano di crocifiggerlo ignobilmente, fosse adorato come Figlio di Dio e persino i suoi avversari sentissero in se stessi l'orrore e il turbamento del peccato commesso nel perseguitarlo. Questi benefici, anche se non tutti ne approfittarono, furono effetto della passione e anch'io concorsi con le mie implorazioni affinché egli fosse venerato da quelli che conoscevo.