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CAPITOLO 21

Pilato pronunzia la sentenza di morte contro l'Autore della vita; sua Maestà porta la croce sul colle dove deve morire ed è seguito da Maria santissima. Si narrano, inoltre, le azioni della Madre contro il demonio in tale circostanza ed altri eventi.


1354. Pilato sancì il decreto di morte sulla croce contro colui che è la vita stessa, il nostro Salvatore, per soddisfare ed appagare i farisei e gli scribi. Dopo che fu notificata la sentenza, l'innocentissimo reo fu guidato in un altro luogo della casa del giudice, dove gli fu tolto l'ignominioso mantello di porpora che gli avevano fatto indossare per burlarsi di lui come finto re. Da parte di Gesù questo atto fu colmo di mistero, ma da parte dei giudei si trattò di un'azione deliberatamente malvagia. Costoro lo fecero condurre al supplizio con le sue vesti, affinché tutti potessero riconoscerlo; infatti, a causa dei flagelli, degli sputi e della corona di spine, il suo volto appariva tanto sfigurato che il popolo avrebbe potuto individuarlo solo dall'abito. Gli rimisero la tunica inconsutile che gli angeli, su ordine della Regina, avevano posto sotto i loro occhi prendendola di nascosto dall'angolo di una stanza dove gli sbirri l'avevano gettata quando lo avevano spogliato per rivestirlo del mantello di porpora, segno di derisione e di scandalo. Essi, però, non compresero ciò che stava accadendo e tanto meno vi prestarono attenzione, essendo così preoccupati e solleciti di accelerare l'uccisione del Redentore.

1355. La notizia della condanna fece subito il giro della città e tutti si riversarono precipitosamente nel palazzo di Pilato per osservare il Nazareno mentre veniva portato al martirio. Gerusalemme era strapiena di gente perché, oltre ai suoi numerosissimi abitanti, molti vi erano giunti per celebrare la Pasqua. Tutti accorsero per la novità e le vie furono riempite. Era venerdì, il giorno della Parasceve, che in greco significa preparazione o disposizione, perché proprio in quel giorno gli ebrei si preparavano e si disponevano per il sabato seguente, ritenuto da loro una grande solennità. In tale giorno non eseguivano alcun lavoro e neppure cucinavano il cibo, ma facevano ogni cosa il venerdì. Il mansuetissimo Agnello fu fatto uscire, vestito dei propri indumenti: il suo viso era talmente ferito che nessuno avrebbe mai potuto scorgere in lui lo stesso Cristo che avevano veduto prima. Come dice Isaia, apparve disprezzato e reietto, percosso da Dio e umiliato, perché il sangue seccatosi e i rigonfiamenti lo avevano reso tutto una piaga. Alcune volte gli spiriti superni, per comando della Vergine afflitta, lo avevano ripulito dagli sputi nauseanti, ma quei malvagi ricominciarono subito a sputargli addosso e lo fecero senza misura, tanto che egli fu totalmente ricoperto dalle schifose immondezze. Di fronte a uno spettacolo così infausto, si sollevò tra la folla un clamore e un chiasso tanto confuso che non si intendeva più nulla e si udiva solamente lo strepito e l'eco delle voci. Tra tutte risuonavano quelle dei sommi sacerdoti e dei farisei, che con gioia smodata e piena di scherno si rivolgevano alla moltitudine affinché si acquietasse, sgombrasse la strada e potesse ascoltare la sentenza. Tutto il resto del popolo era disorientato e diviso da giudizi diversi; differenti, infatti, erano i sentimenti di ciascuno come pure differenti erano le provenienze degli astanti. Molti di loro erano stati beneficati dalla bontà del Signore e dai suoi miracoli; altri avevano appreso e accolto il suo insegnamento ed erano suoi amici e conoscenti. Alcuni piangevano amaramente, altri si domandavano quali delitti avesse commesso quell'uomo da meritare un tale castigo, ed altri ancora rimanevano turbati e ammutoliti. Tutto era scompiglio e tumulto.

1356. Degli Undici solo Giovanni era presente. Egli stava accanto alla Madre dolente ed era possibile scorgere entrambi benché fossero alquanto separati dalla calca. Quando l'Apostolo vide il Maestro - dal quale sapeva di essere molto amato - trascinato così davanti alla gente e segnato dalla sofferenza, venne meno e perse i sensi come morto. Anche le tre Marie caddero a terra tramortite da un freddo deliquio. Solo la Regina rimase invitta. Il suo cuore generoso, nonostante il profondo dolore umanamente impossibile da comprendere e da immaginare, non si abbatté, né si scoraggiò, né provò la debolezza dello svenimento come successe agli altri. Si mostrò in tutto prudentissima, forte e degna di stima, si comportò esteriormente con accortezza e, senza singhiozzi né grida, confortò le altre donne e il discepolo prediletto; chiese all'Altissimo che infondesse in essi il coraggio e li consolasse con la sua presenza affinché ella potesse trovare in loro una compagnia fino alla fine della passione. Grazie a questa implorazione Giovanni e le altre Marie ebbero sostegno, si ripresero dallo svenimento e poterono parlare di nuovo con lei. Fra tanta confusione e toccata dalla più amara delle afflizioni, la Signora non fece alcun gesto né movimento, mentre, con la dignitosa compostezza di una sovrana, lasciava scendere dagli occhi incessanti e copiose lacrime. Guardava l'Unigenito, supplicava l'eterno Padre e gli offriva il martirio del Salvatore, unendosi a tutte le sue azioni. Ella conosceva la malizia del peccato, penetrava i misteri della redenzione umana, invitava gli angeli a riflettervi e pregava per gli amici e i nemici. Dando il giusto posto all'amore di madre e alla pena che ne corrispondeva, si prodigava nelle opere di virtù, richiamando in tal modo l'ammirazione del cielo e il sommo compiacimento della Divinità. Non è possibile riferire con i miei termini le espressioni che ella sapientemente andava formando nel suo intimo e sussurrando sulle labbra, e quindi ne lascio la considerazione alla pietà cristiana.

1357. I sommi sacerdoti e i soldati cercavano di calmare e di far tacere il popolo, perché si potesse udire la sentenza contro il Messia; infatti, dopo avergliela notificata personalmente, volevano proclamarla dinanzi a lui. La folla fece dunque silenzio e, mentre egli stava in piedi come un criminale, cominciarono a leggerla ad alta voce, cosicché tutti ne potessero ascoltare il contenuto. Fecero lo stesso per diverse volte sulle strade e da ultimo ai piedi della croce. Questa condanna è stata stampata e diffusa in volgare ed io l'ho vista; secondo la cognizione che mi è stata data, nella sostanza è vera, salvo alcune parole che le sono state aggiunte. Io la ripeterò qui senza queste ultime, ma esattamente con quelle che mi sono state dette, senza aggiungervi o togliere nulla. Esse suonano come segue:

1358. «Io, Ponzio Pilato, governatore della Galilea Inferiore, reggente dell'impero romano in Gerusalemme, nel palazzo del pretorio, giudico e pronunzio la condanna a morte di Gesù, chiamato Nazareno, originario della Galilea, uomo sedizioso, sovvertitore della legge, del nostro senato e del grande imperatore Tiberio Cesare. Con la presente sentenza stabilisco che perisca sulla croce, come si usa per i colpevoli, perché egli ogni giorno ha riunito e chiamato a raccolta numerose persone, ricche e povere, e non ha cessato di provocare tumulti per tutta la Giudea, proclamandosi Figlio di Dio e re d'Israele. Inoltre ha minacciato la rovina di questa insigne città, del suo tempio e del sacro impero, negando il tributo a Cesare. Ha avuto persino l'ardire di entrare con rami di palma in Gerusalemme e nel tempio di Salomone, accompagnato da una folla numerosa. Ordino al primo centurione Quinto Cornelio di condurlo per le vie a sua vergogna, legato com'è e flagellato per mio comando. E affinché chiunque possa riconoscerlo, gli siano lasciate le sue vesti e gli sia messo sulle spalle il duro legno sul quale sarà inchiodato. Vada per tutte le strade pubbliche, in mezzo ai due ladroni che sono stati similmente condannati per furti e omicidi, perché ciò serva da esempio intimidatorio, per tutto il popolo e per i malfattori. Inoltre esigo che questo farabutto venga spinto fuori dalle mura per la porta Pagora, adesso detta Antoniana. Sia preceduto da un banditore che dichiari ad alta voce le colpe enunciate in questo mio decreto e poi sia condotto al monte chiamato Calvario, dove si usa dare il supplizio e giustiziare gli empi. Qui sia inchiodato sulla stessa croce che avrà dovuto portare ed il suo corpo rimanga appeso fra i due suddetti ladroni. Sopra di essa, precisamente sulla parte più alta, sia posta l'iscrizione con il suo nome nelle tre lingue oggi più frequentemente usate, ossia l'ebraico, il greco e il latino: "Questi è Gesù Nazareno, Re dei Giudei", perché tutti capiscano ed egli sia da tutti conosciuto. Similmente ingiungo, sotto la pena della perdita dei beni, della vita e di essere considerato un ribelle contro l'impero, che nessuno, a qualunque stato o condizione appartenga, ardisca temerariamente impedire o ostacolare la sentenza di giustizia da me pronunziata, amministrata e da eseguirsi rigorosamente secondo i decreti e le leggi dei romani e degli ebrei. Nell'anno della creazione del mondo cinquemiladuecentotrentatré, il venticinque marzo. Ponzio Pilato, giudice e governatore della Galilea Inferiore, in nome dell'impero romano, come sopra di propria mano».

1359. Secondo tale computo, la creazione del mondo avvenne in marzo e dal giorno in cui fu plasmato Adamo sino all'incarnazione del Verbo trascorsero cinquemilacentonovantanove anni. Se si aggiungono i nove mesi durante i quali egli dimorò nel seno verginale della sua santissima Madre e i trentatré anni in cui visse sulla terra, se ne hanno cinquemiladuecentotrentatré e, conformemente al computo romano degli anni fino al venticinque marzo, i tre mesi avanzano. Secondo il calcolo della Chiesa al primo anno del mondo non toccano più di nove mesi e sette giorni, poiché il secondo anno comincia dal primo di gennaio. Per quanto concerne le diverse opinioni dei dottori, mi è stato comunicato che è vera e giusta quella della Chiesa nel martirologio romano.

1360. Dopo che la sentenza di Ponzio Pilato fu pronunciata ad alta voce alla presenza di tutti, i soldati misero sulle spalle delicate e piagate di sua Maestà la pesante croce. Gli sciolsero le mani, perché fosse in grado di tenerla, ma non gli slegarono il corpo, per poterlo trascinare con le corde a loro piacimento. E per maggiore crudeltà le girarono due volte intorno al collo. Il duro legno era lungo quindici piedi, costruito grossolanamente e molto pesante. Il banditore diede inizio alla lettura della condanna e la confusa e turbolenta moltitudine di gente, insieme ai ministri della giustizia e alle guardie, cominciò a muoversi, in una scomposta processione, tra grandi strepiti e clamori e si incamminò per le vie della città dal palazzo di Pilato verso il monte Calvario. Quando il Redentore prese su di sé la croce, la guardò con un'espressione piena di giubilo e di inusitata allegrezza, come suole fare lo sposo nel vedere i preziosi monili della sua sposa; parlò con essa, nel suo cuore, e l'accolse con queste parole:

1361. «O croce, bramata dall'anima mia! Finalmente appaghi le mie aspirazioni! Tu mi sei così cara! Vieni a me, o mia diletta, stringimi fra le tue braccia e su di esse, come su un sacro altare, mio Padre riceva il sacrificio dell'eterna riconciliazione con il genere umano. Per morire sopra di te sono disceso dal cielo e ho assunto carne mortale e passibile. Tu devi essere lo scettro con il quale trionferò su tutti i miei avversari, la chiave con cui aprirò le porte del paradiso ai miei eletti, il luogo santo dove trovino misericordia i colpevoli discendenti di Adamo e anche il luogo dei tesori, da cui essi possano attingere per arricchire la loro povertà. Mi voglio servire di te per dare valore e considerazione agli oltraggi e agli obbrobri degli uomini, tanto da far sì che i miei amici li abbraccino con gioia e li cerchino con desiderio ardente, per potermi seguire sul cammino che io spianerò loro attraverso di te. Dio immenso, vi glorifico come sovrano dell'universo e in obbedienza al vostro divino beneplacito prendo su di me il legno dell'immolazione della mia umanità innocentissima e volontariamente accetto di portarlo per la salvezza dei viventi. Accoglietemi come oblazione gradita alla vostra equità, affinché essi d'ora innanzi non siano più servi, ma figli ed eredi: vostri eredi e coeredi con me del vostro regno».

1362. La Principessa contemplava questi arcani e guardava gli avvenimenti senza che alcuno le rimanesse nascosto: di tutti aveva un'altissima conoscenza ed una profonda comprensione, superiore perfino a quella dei ministri celesti. Gli eventi che non riusciva a vedere con gli occhi del corpo, li percepiva con l'intelligenza della rivelazione: quest'ultima glieli manifestava mediante le azioni interiori del suo Unigenito. In questa luce divina penetrò lo straordinario valore dato al santo legno nel momento in cui venne a contatto con il nostro Maestro. Senza indugio, la prudentissima Vergine lo adorò e venerò con il culto dovuto e lo stesso fecero anche tutti gli spiriti superni che erano al loro servizio. Accompagnò il Signore nelle effusioni di tenerezza con le quali egli accolse la croce e si rivolse ad essa con espressioni che le si addicevano come corredentrice. Pregò anche l'Onnipotente, imitando in tutto come viva immagine, senza allontanarsene per nulla, il suo modello originale. Quando la voce del banditore risuonò per le strade proclamando il giudizio, ella nell'udirlo compose un cantico di lode. Inneggiò all'innocenza immacolata di Gesù contrapponendo la benedizione ai delitti citati nella sentenza, quasi volesse commentarne le parole in suo onore e a sua gloria. Nel comporre tale inno fu aiutata dai custodi che lo ripetevano alternatamente con lei, mentre gli abitanti di Gerusalemme bestemmiavano il loro Creatore.

1363. Poiché in questa via di dolore tutta la fede, la scienza e la carità erano serbate nel cuore grande di Maria, ella solamente fu in grado di intendere in modo perfetto ed avere una cognizione appropriata di ciò che significassero la passione e la morte di Dio per il genere umano. E senza perdere l'attenzione a quello che esteriormente era necessario fare, considerò nella sua saggezza i misteri della redenzione. Soppesò anche con la massima ponderazione chi fosse colui che stava patendo, ad opera di chi e per chi patisse; infatti ella fu l'unica, dopo l'Altissimo, a ricevere la più sublime cognizione della dignità della persona di Cristo, della sua natura divina e umana, delle perfezioni e degli attributi relativi ad essa. La candida colomba non fu solamente testimone oculare di quanto egli provò, ma ne fece anche esperienza. Divenne così motivo di sante emulazioni non solo per gli uomini, ma anche per gli stessi angeli che non ottennero tale pienezza di grazia. Essi vennero a sapere come la Regina sentisse e portasse in sé i dolori di suo Figlio, e l'inesplicabile compiacimento che ne aveva la santissima Trinità. Compensava così la pena che non poteva sperimentare con l'onore e le lodi che andava tributando. Alcune volte capitava che la Madre partecipasse nel suo spirito e nel suo corpo castissimo ai patimenti corrispondenti a quelli inflitti a lui, prima ancora che le venissero manifestati tramite l'intelletto. E come colta dallo spavento, gridava: «Ahimè, quale agonia fanno subire ora al mio dolcissimo diletto!». E subito era rischiarata su tutto ciò che stavano facendo a sua Maestà. Fu a tal punto eroica e fedele nel sopportare e nell'imitare colui che era suo modello e nostro bene, da non concedersi mai alcun sollievo naturale; non solo delle membra, in quanto non riposò, né mangiò, né dormì, ma anche dello spirito, privandosi dei piaceri e delle consolazioni che le avrebbero potuto arrecare conforto, fatta eccezione di quelle che le furono comunicate attraverso la forza della grazia divina. Allora la Signora le accolse con umiltà e riconoscenza per attingervi nuovo coraggio ed essere concentrata con maggiore fervore sulla tribolazione del suo Unigenito e sulla ragione dei suoi tormenti. Ella ebbe chiara notizia della malizia dei giudei e dei soldati, dei bisogni, della rovina e dell'ingratissima natura dell'umanità, per la quale egli stava offrendo la propria vita.

1364. La destra dell'Eterno, in questa circostanza, fece per mano di Maria, segretamente, un mirabile prodigio contro Lucifero e i suoi ministri. Costoro seguirono con attenzione tutto quello che stava accadendo nel martirio di Gesù, del quale avevano una conoscenza non chiara per non dire confusa. Allorché egli prese la croce sulle sue spalle, tutti i suoi nemici rimasero sbigottiti e come paralizzati, provando una meraviglia del tutto inusitata e una rinnovata tristezza accompagnata da confusione e rabbia. Afferrato da questi nuovi e insuperabili sentimenti di angoscia e di paura, il principe delle tenebre temette che il suo regno avrebbe potuto essere minacciato da una pesante ed irreparabile distruzione e cadere in rovina; decise dunque di scappare e di rifugiarsi con tutti i suoi seguaci nelle caverne infernali, ma, mentre pensava di eseguire tale desiderio, intervenne la Vergine che glielo impedì. L'Altissimo stesso infatti la illuminò, rivestendola della sua potenza e facendole comprendere ciò che dovesse fare, e così ella si volse contro i diavoli e con il comando di una sovrana li trattenne dalla fuga, ordinando loro di attendere la fine di ogni cosa rimanendo presenti. Essi non si poterono opporre perché avevano cognizione della forza superna che operava in lei e, sottomessi al suo volere come se fossero stati catturati e legati, accompagnarono il Signore fino al Calvario, dove era stabilito che dal trono della croce avrebbe trionfato contro di loro. Non trovo un esempio adeguato per poter spiegare la mestizia e l'abbattimento che da allora in avanti li oppressero. A nostro modo di intendere, essi salirono verso il monte come i condannati condotti al supplizio, debilitati, infiacchiti e rattristati dal timore del giusto castigo. Questa pena del demonio fu conforme alla sua natura malvagia e corrispondente al danno che aveva recato al mondo introducendovi il peccato e la morte, per l'annientamento dei quali Dio stesso si stava immolando.

1365. Il nostro Salvatore proseguì il cammino, portando sulle spalle, come dice Isaia, il segno della sovraunità, da cui avrebbe regnato sulla terra e l'avrebbe assoggettata, meritando che il suo nome fosse esaltato al di sopra di ogni altro nome e riscattando tutto il genere umano dall'egemonia che satana aveva conquistato su di esso. Lo stesso profeta chiama questo potere giogo, sbarra e bastone dell'aguzzino che risolutamente e imperiosamente esigeva il tributo della prima colpa. Per vincere tale tiranno, distruggere lo scettro del suo dominio e il giogo della nostra schiavitù, sua Maestà prese il duro legno su di sé nello stesso punto in cui si mette il giogo della servitù e lo scettro della potenza regale - come colui che spoglia di questi il drago e lo trasferisce sulla sua schiena - affinché gli schiavi discendenti di Adamo, da questo momento in poi, lo riconoscessero come loro legittimo Signore e vero re e lo seguissero sulla via della croce. Da questa, infatti, avrebbe attirato tutti a sé, e li avrebbe comprati al caro prezzo del suo sangue e della sua vita.

1366. Oh, quanto atroce è la nostra ingratitudine e deplorevole la nostra dimenticanza! Che i giudei e gli autori del martirio di Gesù ignorassero il mistero nascosto ai principi del mondo e non osassero toccare la croce perché la giudicavano un'infamante disonore, fu loro colpa e assai grave. Eppure non lo fu come la nostra, poiché questo arcano fu a noi prontamente svelato e noi nella fede di questa verità siamo in grado di condannare la cecità di quelli che, perseguitarono il nostro Salvatore. Se consideriamo dunque rei coloro che ignorarono ciò che avrebbero dovuto sapere, quanto grande sarà il peccato di tutti noi, che, conoscendo e confessando Cristo come nostro redentore, tuttavia lo offendiamo, perseguitiamo e uccidiamo come fecero i giudei? O mio Gesù, mio dolcissimo amore, voi luce del mio intelletto e gloria dell'anima mia, non affidate alla mia indolenza e tiepidezza il volervi seguire con la mia croce sul cammino della vostra! Fatemi questo favore: attiratemi a voi e correrò dietro alla fragranza della vostra inesprimibile pazienza, della vostra ineffabile umiltà nell'ora del disprezzo e dell'angoscia. Prenderò parte alle offese, alle umiliazioni, alle sofferenze che vi sono state inflitte. Sia questa la mia porzione e la mia parte di eredità, il mio onore e il mio riposo sulla terra e, ad eccezione della vostra croce e delle onte, non voglio né consolazione, né riposo, né gioia alcuna. Mentre i giudei e tutto il popolo ormai reso cieco fuggivano per le strade di Gerusalemme onde evitare di toccare il legno dell'innocentissimo condannato, egli riusciva ad aprirsi un varco nel vuoto che si era creato intorno a lui per paura del contagio che la sua gloriosa ignominia, secondo la perfidia dei persecutori, avrebbe seminato. Il resto della via era preso d'assalto dalla folla e in mezzo alla confusione di grida e clamori si sentì risuonare la voce del banditore della sentenza.

1367. Le guardie, prive di ogni umana compassione e pietà, trascinavano il Signore con incredibile crudeltà e totale mancanza di rispetto: alcuni lo tiravano in avanti con le corde perché accelerasse il passo; altri lo trattenevano dal di dietro per poterlo tormentare. A causa di questa violenza e del grave peso, egli spesso barcollava e più volte cadeva e, allorché urtava contro le pietre, gli si aprivano nuove ferite, soprattutto sulle ginocchia; ciò gli causanva una piaga ancora più profonda sulle spalle. Quando vacillava, il duro legno urtava contro il suo santissimo capo o viceversa il capo contro di esso, e le spine della corona ad ogni colpo si conficcavano affondando sempre più nella carne non ancora ferita. Gli aguzzini accompagnavano queste atrocità con maledizioni, oltraggi e ingiurie e coprivano il suo volto di polvere, escrementi e sputi a tal punto da accecare i suoi occhi colmi di clemenza verso tutti; così essi stessi sì condannavano perché indegni di uno sguardo tanto benevolo. Impazienti e bramosi di assistere alla sua morte, non gli permettevano di prendere respiro; la sua umanità, essendo scesa su di essa in poche ore una pioggia di strazi, era spossata e sfigurata e, secondo il parere dei presenti, era già sul punto di rendere la vita tra indicibili dolori.

1368. Tra la moltitudine di gente si avviò anche la Vergine dolente e afflitta, partendo dalla casa di Pilato, per seguire il suo Unigenito insieme a Giovanni, a Maria Maddalena e alle altre Marie. Siccome il tumulto e la confusione impedivano loro di avvicinarsi a lui, la Regina pregò il Padre affinché le concedesse la grazia di stare ai piedi della croce in modo da poterlo vedere fisicamente e, secondo la volontà divina, ordinò agli angeli di realizzare tale disposizione. Essi le obbedirono con enorme rispetto e con prontezza la fecero passare per una scorciatoia, dalla quale andarono incontro al Maestro. Madre e Figlio si guardarono in volto e per entrambi si rinnovò il dolore di ciò che ciascuno stava soffrendo; tuttavia non proferirono alcuna parola, perché la rozzezza degli sgherri non lo avrebbe permesso. Ella lo adorò e con la voce interiore lo supplicò che, non potendo recargli alcun sollievo come era indotta a desiderare per compassione e non permettendo egli stesso agli spiriti celesti di farlo, almeno si degnasse con il suo potere di suscitare nella mente degli aguzzini il pensiero di mandargli qualcuno che lo aiutasse. Cristo, il nostro bene, accolse questa richiesta, per la quale obbligarono Simone di Cirene a portare la sua croce. I farisei e i soldati si convinsero a fare questo passo, spinti in parte da un certo senso di naturale umanità e in parte dal timore che Gesù spirasse prima di giungere ad essere crocifisso, poiché egli era ormai allo stremo delle forze.

1369. Nessun essere vivente può comprendere l'angoscia che la Principessa provò durante il percorso verso il monte Calvario avendo sotto lo sguardo quel Figlio che ella sola sapeva degnamente conoscere ed amare. E sarebbe caduta in deliquio e quindi morta se la potenza divina non l'avesse sostenuta con la sua forza mantenendola in vita. Provata dalla più profonda e amara sofferenza si rivolse interiormente a sua Maestà: «Mio diletto e Dio eterno, luce dei miei occhi, accogliete il sacrificio che faccio di non potervi rendere leggero il peso della croce, di non poterla prendere su di me, che sono una semplice creatura, per morire su di essa per amore vostro come voi volete morire per l'ardentissimo amore verso gli uomini, o amantissimo mediatore tra la colpa e la giustizia! Come potete esercitare la misericordia tra tante e così grandi ingiurie ed offese? O amore senza fine e senza misura, che permettete tali tormenti e obbrobri per manifestare ancor più apertamente l'incendio della vostra carità! O amore infinito e dolcissimo! Se l'intimo dei discendenti di Adamo e la loro volontà fossero in mio potere, non corrisponderebbero così male alle pene che patite per tutti! Chi potrebbe parlare al loro cuore e intimare loro ciò di cui vi sono debitori, poiché tanto caro vi è costato il riscatto della loro schiavitù e il rimedio della loro rovina?». E la gran Signora del mondo proferiva altre prudentissime e sublimi espressioni, che io non sono in grado di fare mie.

1370. Come riferisce l'evangelista san Luca, tra la folla seguivano il Nazareno molte donne, che si lamentavano e piangevano amaramente. Rivolgendosi loro, egli affermò: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Con queste misteriose parole volle dare credito alle lacrime che sarebbero state versate per la sua passione e in qualche modo anche la sua approvazione, mostrandosi così grato per la loro pietà; volle inoltre indicare alle pie discepole il motivo e il fine che devono avere le nostre, affinché siano ben indirizzate. Allora esse ignoravano tutto ciò: piangevano solo sulle ingiurie, le umiliazioni e i dolori che il loro Maestro era costretto a sopportare e in lessun modo sulle cause per le quali soffriva; perciò meritarono di essere istruite. Fu come se egli avesse detto loro: «Piangete sui vostri peccati e quelli dei vostri figli e non sui miei, che non ne ho né posso averne. E anche se il provare compassione di me è cosa buona e giusta, io voglio che gemiate sulle vostre colpe piuttosto che su quello che io sto subendo per esse: in tal modo passeranno su di voi e sui vostri figli il prezzo del mio sangue e la redenzione che questo cieco popolo ignora; infatti, verranno i giorni del giudizio e del castigo universale in cui saranno considerate fortunate coloro che non avranno generato, mentre i dannati chiederanno ai monti e ai colli di coprirli per non vedere la mia indignazione. Se in me che sono innocente le loro trasgressioni hanno prodotto questi effetti, che cosa non produrranno in loro allorquando si troveranno così aridi, senza frutti di grazia né meriti?».

1371. Come ricompensa per il loro pianto e la loro compassione, quelle fortunate donne furono rischiarate dal Signore affinché potessero comprendere la sua dottrina. Intanto si adempì la preghiera che Maria aveva fatto. I sommi sacerdoti, i farisei e i soldati decisero di chiamare qualcuno per aiutare Gesù fino al Calvario. In quel momento sopraggiunse Simone il Cireneo, detto così perché nativo di Cirene, città della Libia; costui era il padre di Alessandro e Rufo, due discepoli del Signore. I giudei lo obbligarono a prendere il suo posto per un tratto di strada. Essi non vollero avvicinarsi alla croce né toccarla, perché si vergognavano reputandola come strumento del castigo di un uomo giustiziato quale insigne malfattore. Si servirono di tali cerimonie e usarono questa misura di precauzione contro di essa per indurre la gente a pensarla come loro. Il Cireneo la prese su di sé e andò dietro a sua Maestà costretto a procedere tra i due ladroni affinché tutti lo credessero e ritenessero un delinquente al pari di loro. La Principessa intanto si avvicinava a Cristo come aveva bramato e chiesto al Padre. Nel suo martirio, sebbene ne condividesse da vicino i patimenti con tutti i suoi sensi e ne prendesse parte, ella era a tal punto conforme al beneplacito divino da non accennare mai ad alcun movimento e gesto interiore o esteriore che potesse far pensare al desiderio di ritrattare il suo consenso alla sofferenza del suo figlio e Dio. L'amore, la grazia e la santità di questa Regina furono così grandi da superare e vincere la natura.

Insegnamento della Regina del cielo

1372. Carissima, voglio che il risultato dell'obbedienza per la quale scrivi la mia Storia sia quello di formare una vera discepola del mio Unigenito e mia. A tale scopo sono orientati, innanzitutto, l'illuminazione superna che ricevi riguardo a questi arcani tanto sublimi e degni di venerazione e poi gli insegnamenti che ti impartisco e ripeto continuamente al fine di distaccare il tuo cuore dall'affetto umano delle creature, sia dal nutrirlo tu in prima persona sia dall'accettarlo da alcun altro. Così vincerai gli impedimenti del demonio, molto pericolosi per il tuo carattere incline alla condiscendenza; ed io, che lo conosco, ti guido e ti accompagno nel cammino come la madre e la maestra che educa e corregge. Con la scienza dell'Altissimo penetri già i misteri della sua passione e anche l'unica vera via della vita, quella della croce. Non tutti sono chiamati e scelti per percorrerla: molti sono quelli che vogliono seguire il Salvatore, ma solo pochissimi sono veramente disposti ad imitarlo; infatti quando giungono a sentire il peso della tribolazione, lo respingono e se ne allontanano. Il dolore è duro da sopportare per la natura umana, il frutto dello spirito è profondamente nascosto e solo pochi si lasciano guidare dalla luce. Molti fra i mortali si dimenticano della verità, ascoltano la voce della carne, che viziano ed appagano. Amano ardentemente l'onore del mondo e disprezzano gli oltraggi e le ingiurie; avidi delle ricchezze, aborriscono la povertà; assetati dei piaceri, sono terrorizzati dalla mortificazione. Essi sono nemici della croce del Messia e con orrore fuggono da essa, giudicandola ignominiosa come coloro che lo hanno ucciso.

1373. Molti credono, ingannandosi, di stargli accanto senza soffrire, senza operare o faticare e vivono già contenti e appagati per il fatto di non essere tanto arditi nel commettere colpe. Sono persuasi che tutta la perfezione consista nella prudenza o nella tiepida carità, e così non negano niente alla propria volontà e non praticano le virtù che molto costano alla carne. Costoro uscirebbero da tale menzogna se pensassero che il mio diletto non solo fu redentore ma anche maestro, e lasciò nel mondo non solamente il tesoro dei suoi meriti, come rimedio alla loro dannazione, ma anche la medicina necessaria per la malattia per cui si infermò la natura a causa del peccato. Nessuno è più saggio di lui e nessuno poté conoscere l'amore come lui. Con tutto ciò, benché potesse quanto voleva, non scelse una vita piacevole né facile, ma travagliata e piena di afflizioni. Egli non avrebbe esercitato la sua dottrina esaurientemente ed efficacemente se, nel redimere gli uomini, non li avesse istruiti sul modo di vincere il diavolo, la tentazione e se stessi. Questo trionfo si ottiene con la croce, la penitenza, la compunzione, il rinnegamento di sé: sono la caratteristica, la testimonianza e il segno dell'amore dei predestinati.

1374. Poiché sai il valore della santa croce e l'onore che per essa ricevettero le umiliazioni e le tribolazioni, abbracciala e portala con gioia ricalcando le orme del tuo Maestro. La tua gloria in questo pellegrinaggio non sia altro che la persecuzione, il disprezzo, l'infermità, la tribolazione, l'umiliazione e quanto vi è di penoso e contrario alla condizione della carne peritura. Poiché mi emuli in tutti gli esercizi compiacendomi, non voglio che ti procuri né accetti sollievo o riposo in alcuna cosa terrena. Non devi soppesare lungamente tra te e te le sofferenze che sopporti e tanto meno manifestarle con la pretesa di trovarne alleviamento. Non devi neppure esagerare e ingrandire le persecuzioni e le molestie che ti causeranno le creature. Mai sfugga dalla tua bocca che è molto quello che subisci, né ti venga in mente di fare un confronto con i patimenti altrui. Con questo non intendo dire che sia una colpa ricevere qualche sollievo onesto e moderato o lamentarsi con paziente rassegnazione. In te, però, una tale liberazione sarebbe un'infedeltà verso il tuo sposo, poiché tu sei a lui obbligata molto più di mille altri. La tua corrispondenza nel penare e nell'amare non potrà essere scusata se non sarà piena di dedizione, delicatezza e lealtà. Talmente conformata a se stesso ti vuole il Signore che neppure un sospiro devi concedere alla tua debolezza senza avere un fine più sublime del semplice riposarti e ristorarti. E se l'ardore ti costringerà, allora lasciati rapire dalla sua forza soave per riposare amando; ma ben presto l'amore della croce saprà congedare tale conforto: tu sai che io facevo questo con docile rinunzia. Sia per te regola generale che ogni consolazione umana è imperfetta e comporta dei pericoli; devi accogliere solo quella che ti invierà l'Altissimo direttamente o attraverso i suoi angeli. Dei doni che ti elargirà la sua destra prendi ciò che ti possa aiutare ad essere forte per soffrire di più e per distaccarti dalle cose effimere e piacevoli, che toccano la sensibilità.