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CAPITOLO 4

 

A dodici anni il fanciullo Gesù si reca a Gerusalemme con sua Madre e suo padre e, nascosto a loro, rimane nel tempio.

 

746. Durante la Pasqua degli azzimi, Gesù, Maria e Giuseppe ogni anno, come già ho riferito, compivano il viaggio al tempio. A dodici anni - tempo in cui si dovevano manifestare gli splendori della sua inaccessibile e divina luce - Gesù, insieme ai genitori, andò a Gerusalemme, secondo l'usanza. La solennità degli azzimi durava sette giorni, come disponeva la legge, e quelli più importanti erano il primo e l'ultimo. I nostri divini e celesti pellegrini si trattenevano a Gerusalemme per tutto il settenario, celebrando la festa nel culto del Signore e pregando come abitualmente facevano gli israeliti, sebbene nel segreto del mistero fossero così singolari e differenti da tutti gli altri. La fortunata Madre ed il suo santo sposo in questi giorni ricevevano dalla mano del Signore grazie e benefici superiori a qualsiasi umana immaginazione.

747. Trascorsi i giorni della festa, quando presero la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Si tenne nascosto mentre essi proseguivano il loro viaggio, ignari di quanto stesse accadendo. Per permettere questo, il Signore si valse delle usanze e del gran numero di gente che, in quella solennità, era incalcolabile, tanto da dover dividere in gruppi i forestieri, separando le donne dagli uomini per convenienti motivi di discrezione e riservatezza. I fanciulli che partecipavano a queste feste erano accompagnati, indifferentemente, o dai padri o dalle madri non essendovi pericoli di decoro. San Giuseppe pensò, così, che il fanciullo Gesù fosse in compagnia della sua santissima Madre con la quale stava di solito; né immaginava che ella potesse andare senza di lui sapendo che la divina Regina lo amava e conosceva più di ogni creatura angelica ed umana. La gran Signora non aveva giustificazioni valide per giudicare che il suo Figlio santissimo andasse con san Giuseppe, ma lo stesso Signore la distolse da tale preoccupazione con altri divini e santi pensieri, affinché non vi badasse. Nel momento in cui si fosse accorta di essere sola senza il suo amatissimo e dolcissimo Figlio, avrebbe immaginato che san Giuseppe lo tenesse con sé e che il Signore delle altezze si fosse fatto compagno di lui per dargli consolazione.

748. Con questa convinzione i santi Maria e Giuseppe camminarono un giorno intero. I forestieri uscivano dalla città per diverse strade e allontanandosi da Gerusalemme ricomponevano le proprie famiglie. Maria santissima e il suo sposo si ritrovarono insieme nel luogo stabilito per sostare la prima notte dall'uscita da Gerusalemme. La gran Signora vide che il fanciullo Dio non era con Giuseppe come aveva immaginato ed egli ugualmente si accorse che non era con sua madre. Entrambi ammutolirono per lo spavento e la sorpresa, senza potersi parlare per un po' di tempo. Ciascuno, giudicandosi con profonda umiltà, diede a se stesso la colpa accusandosi di aver avuto poca cura del santissimo Figlio e di averlo perso di vista. Ignoravano il mistero e il modo in cui sua Maestà avesse fatto questo. Riprendendo poi animo, i celesti sposi con sommo dolore si consigliarono su ciò che fosse bene fare. L'amorosa Madre disse a san Giuseppe: «Sposo e signore mio, non avrà quiete il mio cuore se non ritorniamo, con sollecitudine, in cerca del mio Figlio santissimo». Così fecero. Iniziarono la ricerca tra i parenti e gli amici, ma nessuno fu in grado di dare notizie di lui, né di alleviare il loro dolore. Al contrario, questo aumentò per le risposte negative da parte di coloro che testimoniavano di non averlo veduto durante il ritorno da Gerusalemme.

749. L 'afflitta Madre si rivolse ai suoi santi angeli. Quelli che portavano l'insegna del santissimo nome di Gesù - dei quali si parlò a proposito della circoncisione - erano rimasti con lo stesso Signore, mentre altri accompagnavano la Madre purissima: ciò avveniva sempre quando si separavano. A questi, che erano circa diecimila, la loro Regina domandò: «Amici e compagni miei, ben conoscete la giusta causa del mio dolore. Io vi chiedo che in così amara afflizione siate voi il mio conforto, dandomi notizie del mio amato, affinché io lo cerchi e lo ritrovi. Date qualche respiro al mio affannato cuore che, lontano dal suo bene e dalla sua vita, mi balza fuori dal petto per rintracciarlo». I santi angeli sapevano che la volontà del Signore era di offrire alla sua Madre santissima l'occasione di tanti meriti. Non era tempo di rivelarle il mistero e pur non perdendo di vista il loro Creatore e nostro redentore, le risposero con parole di consolazione senza dirle dove si trovasse il suo Figlio santissimo e cosa stesse facendo. Nonostante questo aumentavano i dubbi della prudentissima Signora e con grande dolore crescevano anche le sue sollecitudini, le sue lacrime e i suoi sospiri per rintracciare diligentemente non la dramma perduta, come per la donna nel Vangelo, ma tutto il tesoro del cielo e della terra.

750. La Madre della sapienza parlava con se stessa e nel suo cuore prendevano forma vari pensieri. Il primo era se Archelao avesse avuto notizie del fanciullo Gesù e imitando la crudeltà di Erode, suo padre, lo avesse fatto arrestare. Benché la Regina del cielo sapesse attraverso le divine Scritture, nonché le rivelazioni e gli insegnamenti del suo Figlio santissimo e maestro divino, che non era ancora giunto il tempo della passione e morte del suo e nostro Redentore e che non gli avrebbero tolto la vita, fu afferrata dal dubbio e dal timore che lo avessero messo in prigione e lo stessero maltrattando. Pensando umilmente e bassamente di sé, sospettò di averlo disgustato nel servizio e nell'assistenza, tanto da indurlo a ritirarsi nel deserto con il suo precursore san Giovanni. Altre volte, parlando con il suo assente Bene, gli diceva: «Dolce amore e gloria dell'anima mia, per il desiderio che avete di patire per gli uomini non eviterete alcun sacrificio né alcuna offerta con la vostra immensa carità. Anzi, mi immagino, padrone e Signore mio, che di proposito ne andrete in cerca. Dove andrò? Dove vi ritroverò, luce degli occhi miei? Volete che il dolore di essere separata da voi mi tolga la vita? Non mi meraviglio, mio Bene, che castighiate con la vostra lontananza colei che non seppe approfittare del beneficio della vostra compagnia. Perché, Signore mio, mi avete arricchita con i dolci regali della vostra infanzia, se io poi dovevo rimanere priva della vostra amabile assistenza e dottrina? Ahimè! Come non potei meritare di avervi per figlio e godervi in questo tempo, così ora confesso purtroppo quanta riconoscenza vi debbo per avermi la benignità vostra accettato come serva. Se, poiché sono vostra Madre indegna, posso avvalermi di questo titolo per cercarvi, come mio Dio e come mio bene datemi, o Signore, la possibilità di farlo e concedetemi ciò che mi manca per essere degna di ritrovarvi. Io vivrò contenta con voi nel deserto, nelle pene e nelle fatiche, nelle tribolazioni e da qualunque parte. Mio Signore, l'anima mia desidera che io meriti, con dolori e tormenti, di morire se non vi trovo, o di vivere in vostra compagnia e al vostro servizio. Quando il vostro essere divino si celò al mio intimo, mi restò però la presenza della vostra amabile umanità: benché questa si mostrasse a me severa e meno affabile del solito, io trovavo i vostri piedi ai quali prostrarmi. Ora sono priva di questa fortuna e mi si è nascosto completamente il sole che mi illuminava; mi sono rimasti solo i gemiti e le angosce. Vita dell'anima mia, quanti sospiri dall'intimo del cuore posso mandarvi! Questi non sono degni della vostra clemenza perché non so dove vi troveranno i miei occhi».

751. Maria santissima perseverava nel pianto e nei gemiti senza trovare quiete, riposo, sonno, e per tre giorni di seguito non mangiò. Benché i diecimila angeli l'accompagnassero in forma umana e la vedessero così afflitta e addolorata, non le manifestarono dove avrebbe ritrovato il fanciullo perduto. Il terzo giorno la gran Regina decise di andare a cercarlo nel deserto, dove si trovava san Giovanni, essendo incline a credere che il suo Figlio santissimo fosse insieme a lui, dal momento che non aveva avuto notizie dell'arresto da parte di Archelao. Quando stava per fare ciò che aveva pensato, i santi angeli la trattennero e le dissero di non andare nel deserto, perché il Verbo incarnato non si trovava là. Pensò allora di andare a Betlemme nella capanna dove era nato, ma i santi angeli la distolsero anche da questo, dicendole che il Signore non era così lontano. La beatissima Madre udiva queste risposte e sapeva che gli spiriti sovrani non ignoravano il luogo dove si trovava il bambino Gesù. Fu la sua rara prudenza a renderla saggia, umile e silenziosa così che non replicò e non osò domandare loro dove lo avrebbe ritrovato, poiché sapeva che glielo nascondevano per volontà del Signore. Con magnificenza e venerazione la Regina degli stessi angeli trattava gli arcani misteri dell'Altissimo, i suoi ministri e i suoi ambasciatori. Questo fatto fu un'occasione che le si presentò per manifestare il coraggio nobile e regale del suo cuore.

752. Il dolore sopportato e sofferto da tutti i martiri non fu pari a quello che Maria santissima provò in questa circostanza. Niente e nessuno poté e può uguagliare la sua pazienza e la sua sofferenza, perché l'esperienza di aver perso il suo Figlio santissimo sorpassava tutto il creato. La conoscenza, l'amore e la stima che ella aveva per lui superavano ogni pensiero immaginabile. Il dubbio era già grande abbastanza per dover conoscere la causa, come ho già detto. In questi tre giorni il Signore la lasciò nello stato comune di grazia di cui ella soleva godere quando era privata dei favori particolari. A parte la vista e la conversazione con i santi angeli, l'Altissimo le sospese i benefici che frequentemente comunicava alla sua anima santissima. Da tutto questo si sa solo in parte quale dolore dovette sopportare la divina ed amorosa Madre. Quale prodigio di santità, prudenza, fortezza e perfezione! Con un tormento così inaudito e con una pena così grande, ella non si turbò e non perdette la pace interiore ed esteriore. Non si sdegnò né si offese, non compì azioni o disse parole sregolate, non cedette alla tentazione della tristezza o della collera, come ordinariamente succede nelle grandi tribolazioni ai figli di Adamo, ai quali a volte anche senza queste capita che le passioni e le facoltà dell'anima cadano nell'agitazione e nella confusione. La Signora delle virtù agì, invece, con armonia celestiale e, benché il suo dolore così grande le avesse ferito il cuore, serbò tale contegno in tutte le sue azioni senza cessare mai di riverire e lodare il Signore e neppure di pregare e rivolgere richieste per il genere umano, affinché le fosse concesso di ritrovare il suo Figlio santissimo.

753. Con questa sapienza divina e con grande diligenza lo cercò per tre giorni continui chiedendo a diverse persone qua e là, descrivendo alcuni segni particolari del suo amato affinché le figlie di Gerusalemme lo potessero riconoscere girando per la città attraverso strade e piazze, come disse Salomone riguardo a questa Signora. Alcune donne le domandavano cosa avesse di diverso il suo unico Figlio che si era perduto, ed ella rispondeva con le parole dette dalla sposa nel Cantico dei Cantici: Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Una donna udì queste parole e disse: «Un fanciullo rispondente alla descrizione si accostò ieri alla mia porta a chiedere l'elemosina, io gliela diedi e la sua amabilità e bellezza mi rubarono il cuore. Sentii allora dentro di me una dolce forza e tanta compassione nel vedere un fanciullo così grazioso povero e abbandonato». Ecco le prime notizie che la dolorosa Madre seppe riguardo al suo Unigenito, a Gerusalemme. Fu risollevata nel dolore, ma proseguì le sue ricerche trovando altre persone che le riferirono le stesse cose. Con queste indicazioni si avviò verso l'ospizio della città pensando che avrebbe ritrovato fra i poveri lo sposo e l'artefice della povertà, essendo questi i suoi legittimi fratelli e amici. Avendo domandato di lui, risposero che un fanciullo con quelle caratteristiche li aveva visitati in quei tre giorni, offrendo alcune elemosine e consolandoli nelle loro fatiche e pene.

754. Queste indicazioni procuravano alla celeste Signora soavi e teneri sentimenti d'affetto che dall'intimo del cuore inviava al suo Figlio nascosto. Subito le venne in mente che, se non era con i poveri, poteva essere nel tempio a pregare. Allora i santi angeli le risposero: «Regina e signora nostra, la vostra consolazione è vicina, e la vedrete subito con la luce dei vostri occhi. Affrettate il passo e giungete al tempio». San Giuseppe, che aveva preso un'altra strada per cercare il fanciullo Dio, arrivò alla presenza della sua sposa. Da un altro angelo era stato avvertito di recarsi al tempio. In quei tre giorni anch'egli aveva patito incomparabile e grande dolore, vagando da una parte all'altra, alcune volte con la sua sposa celeste, altre senza di lei e con grande pena. La sua vita avrebbe corso dei pericoli se la mano del Signore non lo avesse confortato e se la prudentissima Signora non si fosse preoccupata che mangiasse e si riposasse ogni tanto dalla grande fatica. Il vero e vivo affetto che aveva per il fanciullo Dio lo costringeva a cercarlo con veemenza ed ansietà tanto da fargli dimenticare di prendere cibo e di riposare. All'annuncio dei santi principi, Maria purissima e Giuseppe si recarono al tempio dove accadde quanto dirò nel capitolo seguente.

 

Insegnamento della Regina del cielo

755. Figlia mia, il genere umano sa per esperienza che ciò che si ama e si possiede con gioia non si perde senza dolore. Questa verità, conosciuta attraverso la prova, avrebbe dovuto rimproverare gli uomini e far loro sapere il disamore che hanno per il loro Dio e creatore. Purtroppo sono tanti quelli che lo perdono e pochi coloro che soffrono di questa perdita, perché non sono degni di amarlo e di possederlo per mezzo della forza della grazia. Non reca loro alcuna pena perdere un bene che non amano e non possiedono, e perciò, perdutolo, trascurano di cercarlo. Vi è, però, una grande differenza in questi allontanamenti del vero Bene: non si equivalgono il nascondersi di Dio all'anima per metterla alla prova nell'amore accrescendo le virtù e l'allontanarsi dell'anima stessa per la pena delle colpe. Il primo è opera dell'amore divino e via per comunicarsi maggiormente alla creatura che lo desidera e lo merita, il secondo è un giusto castigo di Dio. Nella prima lontananza del Signore l'anima si umilia per il santo timore e per l'amore filiale. Benché la coscienza non muova rimproveri, il cuore tenero ed amoroso sa quale sia il pericolo, avverte la perdita e, come dice il saggio, acquista la beatitudine perché è sempre timoroso. L'uomo non sa se è degno dell'amore o del rifiuto da parte di Dio, perché tutto questo è riservato per la fine. Nella vita terrena comunemente accadono cose al giusto e al peccatore senza differenza.

756. Il pericolo di prendere tali eventi come provenienti dalle medesime cause, come dice il saggio, è la cosa peggiore che possa avvenire sotto il sole. I peccatori e gli empi sono pieni di malizia e hanno il cuore indurito credendosi falsamente e pericolosamente sicuri di sé, perché vedono che indifferentemente accadono le cose a loro e agli altri. Così non si può sapere chi è eletto e chi no, chi è amico e chi è nemico, chi è giusto e chi è peccatore, chi merita odio e chi amore. Eppure, se gli uomini guardassero alla propria coscienza senza passione e senza inganno, ciascuno troverebbe una risposta conveniente. Quando la coscienza reclama per i peccati commessi, è stoltezza dell'uomo non attribuire a sé le sofferenze che patisce, e non riconoscere l'assenza della grazia e la perdita del sommo Bene. Se la ragione fosse libera si accorgerebbe che il segno maggiore della lontananza da Dio è il non avvertire, con dolore profondo, la perdita o la mancanza della gioia spirituale e degli effetti della grazia. L'assenza di queste percezioni nell'anima creata e destinata all'eterna felicità è indizio di mancanza di desiderio e di amore. Se l'anima cerca questa beatitudine attentamente fino a raggiungere qualche soddisfazione e una prudente sicurezza, per quanto possibile in questa vita, saprà di non aver perduto per colpa sua il sommo Bene.

757. Io persi il mio Figlio santissimo dalla vista corporale. Benché avessi la speranza di ritrovarlo, l'amore e il dubbio del motivo della sua lontananza non mi diedero riposo fino a quando non lo ritrovai. In questo voglio che tu mi imiti, o carissima, sia che lo perda per colpa tua o per opera sua. Affinché ciò non ti accada come castigo, con tutta la tua forza devi evitare una tale disgrazia. La tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada non ti separino mai dal tuo bene. Se sarai fedele come devi per non perderlo, né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarti dall'amore di Dio. Sono così forti i vincoli del suo amore che nessuno li può rompere se non la stessa volontà della creatura.