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CAPITOLO 13

 

Maria santissima conosce la volontà del Signore che il suo Figlio unigenito sia circonciso, e ne parla con san Giuseppe; viene dal cielo il nome santissimo di Gesù.

 

513. Appena la prudentissima Vergine si trovò madre per l'incarnazione del Verbo nel suo grembo, incominciò a riflettere tra sé circa le tribolazioni e le pene che il suo Figlio dolcissimo veniva a patire. Poiché la sua conoscenza delle Scritture era molto profonda, comprendeva con essa tutti i misteri che queste contenevano, per cui andava prevedendo e calcolando con incomparabile compassione quanto egli doveva soffrire per la redenzione degli uomini. Questo dolore previsto e meditato con tanta sapienza fu un prolungato martirio della mansuetissima Madre dell'Agnello che doveva essere sacrificato. Tuttavia, quanto al mistero della circoncisione che doveva avere luogo dopo la nascita, la divina Signora non aveva ricevuto alcun ordine e non conosceva affatto la volontà dell'eterno Padre. Stando in tale incertezza, la compassione muoveva gli affetti e animava la dolce voce della tenera ed amorosissima Madre. Ella considerava con la propria prudenza che il suo Figlio santissimo veniva ad onorare la sua legge, dandole valore con l'osservarla e confermandola con l'adempimento, che inoltre veniva a patire per gli uomini, che il suo ardentissimo amore non ricusava il dolore della circoncisione e che anche per altri fini avrebbe potuto essere conveniente l'accettarla.

514. D'altra parte l'amore e la compassione materna la spingevano a risparmiare, se possibile, al suo dolcissimo piccolo questa pena, anche perché la circoncisione serviva per purificare dal peccato originale, da cui il bambino Dio era del tutto libero, non avendolo contratto in Adamo. In sospeso tra l'amore per il suo Figlio santissimo e l'ubbidienza all'eterno Padre, la prudentissima Signora fece molti atti eroici di virtù, di cui sua Maestà si compiacque in modo incomparabile. Avrebbe potuto liberarsi da questo dubbio domandando subito al Signore ciò che doveva fare, ma, essendo tanto prudente ed umile, si tratteneva. Non interrogò neppure i suoi angeli, perché con ammirabile sapienza soleva attendere il tempo opportuno e conveniente, prefissato dalla divina Provvidenza in tutto, e non si affrettava mai con ansia o curiosità ad indagare qualcosa in modo soprannaturale e straordinario, soprattutto quando ciò doveva servire per alleviarle qualche pena. Quando si presentava una questione grave e dubbia, che potesse dare occasione di qualche offesa al Signore, o un caso urgente per il bene delle creature, in cui fosse necessario conoscere la volontà divina, ella domandava prima licenza di supplicarlo che le rivelasse il suo compiacimento e beneplacito.

515. Ciò non è contrario a quello che ho già scritto in precedenza, cioè che Maria santissima non faceva niente senza interrogare sua Maestà. Questa consultazione per conoscere la volontà divina, infatti, non avveniva investigando con desiderio di una rivelazione straordinaria, perché in ciò aveva grande riserbo e prudenza, e in casi rari la domandava. Ciò che ella praticava era piuttosto il consultare senza nuova rivelazione la luce abituale e soprannaturale dello Spirito Santo, che la guidava ed indirizzava in tutte le sue azioni; sollevando qui la vista interiore, conosceva in essa la maggiore perfezione e santità nelle opere e nelle azioni comuni. Sebbene, infatti, sia vero che la Regina del cielo aveva diverse ragioni e come speciale diritto di chiedere al Signore in qualsiasi modo quale fosse la sua volontà, tuttavia, poiché era esempio di santità e discrezione, non si valeva di questo potere se non nei casi in cui così conveniva. Negli altri si regolava adempiendo letteralmente ciò che disse Davide: Come gli occhi della schiava, alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noia. Questa luce ordinaria, però, nella Signora del mondo era maggiore che in tutti i mortali presi insieme; e, attraverso di essa, la volontà divina domandava il suo «fiat».

516. Il mistero della circoncisione era particolare ed unico; esso richiedeva, perciò, un'illuminazione speciale del Signore, che la prudente Madre attendeva nel tempo opportuno. Intanto, interpellando la legge, che la ordinava, diceva fra sé: «O legge comune, sei retta e santa, ma molto dura per il mio cuore, se lo devi ferire in colui che ne è la vita ed il vero Signore! Che tu sia inflessibile per purificare dalla colpa chi ne è infetto, è giusto; ma che tu debba usare la tua forza sull'innocente senza macchia sembra eccesso di rigore, se non ti sostiene il suo amore! Oh, se piacesse al mio diletto evitare questa prova! Ma come la ricuserà chi viene a cercare le pene, ad abbracciare la croce e ad adempiere e portare a compimento la legge? O strumento crudele, quanto meglio faresti se scaricassi il colpo sulla mia vita e non sul Signore che me l'ha data! Figlio mio, dolce amore e luce della mia anima, com'è possibile che così presto spargiate quel sangue che vale più del cielo e della terra? Il mio tormento di amore mi spinge ad evitare il vostro e ad esimervi dalla legge comune, che come suo autore non vi comprende. Il desiderio di adempiere questa legge, però, mi obbliga a consegnarvi al suo rigore, se voi, dolce mia vita, non commutate la vostra pena nella mia, disponendo che la patisca io al vostro posto. Vi ho dato io, Signore mio, la natura umana di Adamo, ma senza macchia di colpa; per questo la vostra onnipotenza mi ha dispensata dalla comune legge di contrarla. In quanto poi siete Figlio dell'eterno Padre ed impronta della sua sostanza per l'eterna generazione, siete infinitamente distante dal peccato. Come dunque, Signore mio, volete assoggettarvi alla legge della sua riparazione? Eppure io vedo, Figlio mio, che, essendo voi maestro e redentore degli uomini, dovete confermare l'insegnamento con l'esempio e non perderete neppure un iota o un segno in questo. O eterno Padre, se è possibile, adesso il coltello perda il suo acume e la carne la sua sensibilità. Tutto il dolore si riversi su questo vile vermiciattolo. Il vostro Figlio unigenito adempia la legge, ma sia io sola a sentire la dolorosa pena di essa. O crudele ed inumana colpa, che così presto eserciti la tua asprezza su chi non ti ha potuto commettere! O figli di Adamo, aborrite e temete il peccato, poiché per suo rimedio è necessario che sparga sangue e patisca lo stesso Dio e Signore».

517. La pietosa Madre univa questo dolore alla gioia di vedere nato, e tra le sue braccia, l'Unigenito del Padre. Così passò i giorni che trascorsero fino alla circoncisione. Era partecipe di tale dolore il castissimo sposo Giuseppe, perché solo con lui parlò del mistero, sebbene le parole fossero poche per la compassione e per le lacrime di entrambi. Prima che fossero compiuti gli otto giorni dalla nascita, però, la prudentissima Regina, alla presenza del Signore, parlò con sua Maestà del suo dubbio e gli disse: «Altissimo re, Padre del mio Signore, ecco la vostra schiava con il vero sacrificio e con la vera ostia tra le mani. Il mio gemito e la sua causa non sono nascosti alla vostra sapienza. Fatemi conoscere, Signore, la vostra volontà divina in ordine a ciò che devo fare con il Figlio vostro e mio, per adempiere la legge. Se, patendo io i dolori derivanti dalla sua durezza ed anche altri maggiori, posso riscattare il mio dolcissimo bambino e Dio vero, ecco il mio cuore pronto ad abbracciarli; ed eccolo ugualmente disposto a non risparmiarlo, se per vostra volontà deve essere circonciso».

518. L'Altissimo le rispose: «Figlia e colomba mia, non si affligga il tuo cuore perché devi sottoporre tuo Figlio al coltello ed al dolore della circoncisione, poiché io l'ho inviato al mondo per dare ad esso esempio e per mettere fine alla legge di Mosè adempiendola interamente. Se l'abito dell'umanità, che tu gli hai dato come madre, deve essere rotto con la ferita della sua carne e nel tempo stesso della tua anima, egli soffre anche nell'onore, essendo Figlio mio per eterna generazione, impronta della mia sostanza, uguale a me in natura, maestà e gloria; io, infatti, lo sottopongo alla legge ed al mistero che toglie il peccato, senza manifestare agli uomini che egli non ha né può avere colpa. Già sai, figlia mia, che per questa e per altre tribolazioni maggiori mi devi consegnare il tuo e mio Unigenito. Lascia, dunque, che sparga il suo sangue e mi dia le primizie della salvezza eterna degli uomini».

519. La divina Signora si conformò a questo decreto dell'eterno Padre, come collaboratrice della nostra salvezza, con tale pienezza di santità che non può essere spiegata con ragionamento umano. Gli offrì subito con rassegnata ubbidienza e con ardentissimo amore il suo Figlio unigenito e disse: «Signore e Dio altissimo, vi offro la vittima e l'ostia del sacrificio a voi gradito insieme a tutto il mio cuore, benché pieno di compassione e di dolore nel considerare come gli uomini abbiano offeso la vostra bontà infinita a tal punto da rendere necessario che ne sia data soddisfazione da una persona che sia Dio. Eternamente vi lodo, perché guardate la creatura con infinito amore, non risparmiando il vostro medesimo Figlio per redimerla. Io, che per vostra degnazione sono Madre sua, devo più di tutti i mortali e delle altre creature abbandonarmi alla vostra volontà; così, vi offro il mansuetissimo Agnello che deve togliere i peccati dal mondo con la sua innocenza. Se, però, è possibile che l'acume di questo coltello si moderi sul mio dolce bambino aumentando nel mio cuore, il vostro braccio può operare ciò».

520. Maria santissima uscì da questa preghiera e, senza manifestare a san Giuseppe ciò che in essa aveva inteso, con rara prudenza e con parole dolcissime lo preparò a disporre la circoncisione del bambino Dio. Come consultandolo e domandando il suo parere, gli disse che, avvicinandosi già il tempo stabilito dalla legge per la circoncisione` del divino neonato, sembrava necessario eseguirla, perché non avevano ordine di fare il contrario. Aggiunse che entrambi dovevano all'Altissimo più che tutte le creature insieme e, perciò, erano tenuti ad essere più puntuali nell'adempiere i suoi precetti, più disposti nel patire per suo amore in riconoscenza di un debito tanto incomparabile e più solleciti nel servire il suo Figlio santissimo, conformandosi in tutto al suo divino beneplacito. A queste ragioni il santissimo sposo rispose con somma venerazione e grande sapienza, dicendo che, non avendo saputo niente in contrario dal Signore, si conformava in tutto alla volontà divina manifestata con la legge comune e che il Verbo incarnato, sebbene come Dio non fosse soggetto alla legge, essendo vestito dell'umanità ed in tutto perfettissimo maestro e redentore, avrebbe gradito adempierla come gli altri uomini. Poi, domandò alla sua Sposa divina come le piaceva eseguire la circoncisione.

521. Maria santissima rispose che, adempiendosi la legge nella sostanza, le sembrava che tutto dovesse avvenire come per la circoncisione degli altri bambini. Ella non doveva, però, lasciare e consegnare il Figlio ad un'altra persona; l'avrebbe portato e tenuto tra le sue braccia. Poiché la costituzione e la delicatezza del bambino Dio gli avrebbero fatto sentire il dolore più degli altri circoncisi, era conveniente che fosse preparata la medicina che si applicava solitamente alla ferita negli altri bambini. Inoltre, pregò san Giuseppe di procurarle subito una piccola caraffa di cristallo o di vetro in cui riporre la sacra reliquia della circoncisione del bambino Dio per conservarla presso di sé. Intanto, l'accorta Madre preparò i panni dove far cadere il sangue, che doveva cominciare ad essere versato in prezzo del nostro riscatto, in modo che non ne andasse perduta neppure una goccia e che ancora non se ne spargesse sulla terra. Preparato tutto ciò, là divina Signora dispose che san Giuseppe avvisasse e pregasse il sacerdote di venire alla grotta, affinché il bambino non uscisse di là e la circoncisione si effettuasse per mano di un ministro più conveniente e più degno di così grande ed arcano mistero.

522. Nel medesimo tempo Maria santissima e san Giuseppe parlarono del nome che dovevano imporre al bambino Dio nella circoncisione. Il santo sposo disse: «Signora mia, quando l'angelo dell'Altissimo mi rivelò questo grande mistero, mi ordinò anche che chiamassimo Gesù il vostro sacro Figlio». Rispose la vergine Madre: «Dichiarò lo stesso nome a me, quando il Verbo eterno prese carne nel mio grembo. Poiché abbiamo saputo il nome dalla bocca dell'Altissimo per mezzo degli angeli suoi ministri, è giusto che con umile riverenza veneriamo gli occulti ed imperscrutabili giudizi della sua sapienza infinita in questo santo nome e che il mio figlio e Signore si chiami Gesù. Lo indicheremo al sacerdote, affinché annoti questo nome divino nel registro degli altri bambini circoncisi».

523. Mentre la gloriosa Signora del cielo e san Giuseppe stavano in questa conversazione, scesero dalle altezze innumerevoli angeli in forma umana, con vesti bianche e risplendenti, nelle quali si scoprivano certi ricami color carne, di ammirabile bellezza. Portavano palme nelle mani e corone sulla testa, ciascuna delle quali emetteva raggi più vividi che molti soli; in comparazione con la bellezza di quei santi principi tutto ciò che è visibile e leggiadro nella natura sembra bruttezza. Ma ciò che più risaltava nella loro bellezza era uno stemma sul petto, che pareva scolpito o incastonato in esso, con sopra un cristallo, nel quale ognuno portava scritto il nome dolcissimo di Gesù; la fulgida luce di questo, che vibrava da ciascuno stemma, vinceva quella di tutti gli angeli insieme. Così, lo spettacolo di tanta moltitudine veniva ad essere così raro e singolare che non si può spiegare con parole né immaginare. Questi santi angeli si divisero in due cori nella grotta, contemplando tutti il loro re e Signore tra le braccia verginali della felicissima Madre. Venivano come capi di questo esercito i due grandi principi san Michele e san Gabriele, più risplendenti degli altri angeli, a preferenza dei quali portavano tra le mani il nome santissimo di Gesù, scritto con lettere più grandi e come in alcuni piccoli scudi di incomparabile splendore e bellezza.

524. I due principi si presentarono singolarmente alla loro Regina e le dissero: «Signora, questo è il nome di vostro Figlio, che sta scritto nella mente di Dio da tutta l'eternità; la beatissima Trinità lo ha dato al vostro unigenito e Signore nostro con la potestà di salvare il genere umano. Lo colloca sulla sede e sul trono di Davide: egli regnerà su di esso, castigherà i suoi nemici, trionfando su di loro li umilierà sino a porli a sgabello dei suoi piedi e giudicando con giustizia innalzerà i suoi amici per collocarli nella gloria alla sua destra. Tutto questo, però, deve essere operato a costo di tribolazioni e di sangue; ora lo spargerà con questo nome, perché è nome di salvatore e redentore, e queste saranno le primizie di ciò che dovrà patire per ubbidire al suo eterno Padre. Tutti noi ministri e spiriti dell'Altissimo, che qui veniamo, siamo inviati e destinati dalla santissima Trinità per servire l'Unigenito del Padre e vostro, per assistere personalmente a tutti i misteri della legge di grazia e per accompagnarlo ed aiutarlo finché salga trionfante alla Gerusalemme celeste, aprendone le porte al genere umano; dopo ciò lo godremo con speciale gloria accidentale più degli altri beati, ai quali non è stato dato questo felicissimo incarico». Il fortunatissimo sposo san Giuseppe vide ed intese tutto ciò insieme alla Regina del cielo, ma la comprensione non fu uguale in entrambi. La Madre della sapienza penetrò altissimi misteri della redenzione; san Giuseppe ne conobbe molti, ma non come la sua divina sposa. Peraltro, entrambi furono ripieni di giubilo e meraviglia e con muovi cantici glorificarono il Signore. Quello, poi, che avvenne loro in vari ed ammirabili eventi, non è possibile esprimerlo a parole e non troverei termini per manifestare il mio pensiero.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

525. Figlia mia, voglio rinnovare in te l'insegnamento e la luce che hai ricevuto per trattare con sommo onore il tuo Signore e sposo, perché l'umiltà ed il timore riverenziale devono crescere nelle anime nella misura in cui ricevono favori più particolari e straordinari. Poiché molte di esse non hanno tale conoscenza, alcune si rendono indegne o incapaci di grandi benefici. Altre, che li ricevono, finiscono per incorrere in una pericolosa grossolanità, che molto offende il Signore; infatti, per la soavità dolce ed amorevole con la quale spesso concede loro grazie e le accarezza, tendono ad assumere un atteggiamento audace e puerilmente presuntuoso, trattando la Maestà infinita sen za la riverenza che le devono, e cominciano ad investigare con vana curiosità per vie soprannaturali ciò che è superiore al loro intelletto e non conviene loro sapere. Questo ardire nasce dal giudicare ed esercitare con ignoranza terrena un rapporto familiare con Dio, parendo loro che questo debba essere come quello che una creatura umana suole tenere con un'altra uguale a sé.

526. In questo giudizio, però, l'anima s'inganna molto, misurando il rispetto che si deve alla Maestà infinita con la familiarità e con la confidenza che l'amore umano produce tra i mortali. Nelle creature razionali la natura è uguale, benché le qualità siano differenti; con l'amore e con l'amicizia può essere dimenticata la differenza che le fa disuguali, poiché entrambi conferiscono ai rapporti umani un tratto di assoluta familiarità. L'amore per Dio, però, non deve mai dimenticare l'eccellenza inestimabile dell'oggetto infinito, perché, se esso guarda alla bontà immensa e perciò non ha misura che lo limiti, tuttavia la riverenza guarda alla maestà dell'essere divino. Come in Dio sono inseparabili la bontà e la maestà, così nella creatura non si deve separare la riverenza dall'amore. Deve sempre precedere la luce della fede divina, che manifesta all'amante l'essenza dell'oggetto da lui amato; tale luce deve risvegliare e fomentare il timore riverenziale e dare peso e misura agli affetti disuguali, che l'amore cieco e sconsiderato suole generare, quando opera senza ricordarsi dell'eccellenza e della disuguaglianza dell'amato.

527. Quando la creatura è di cuore grande ed è esercitata nel timore santo, non corre questo pericolo di dimenticarsi della riverenza dovuta all'Altissimo per la frequenza dei favori, benché siano grandi, perché non si abbandona tutta incautamente ai piaceri spirituali, né per essi perde la prudente attenzione alla suprema Maestà; anzi, la rispetta e venera tanto più quanto più la ama e conosce. Con queste anime il Signore tratta come un amico fa con un altro. Sia dunque regola inviolabile per te, figlia mia, quando godrai dei più stretti abbracci e favori dell'Altissimo, quella di stare tanto più attenta a rispettare la grandezza del suo essere infinito ed immutabile, ed a magnificarlo ed amarlo al tempo stesso. Ora, sapendo questo, conoscerai e pondererai meglio il beneficio che ricevi e non incorrerai nel pericolo e nell'audacia di quelli che con curiosa leggerezza vogliono in qualsiasi incontro, piccolo o grande, ricercare e domandare il segreto del Signore. Essi vorrebbero che la sua prudentissima provvidenza si volgesse con attenzione alla vana curiosità che li muove con qualche passione disordinata, nata non da zelo ed amore santo, ma da affetti umani e riprensibili.

528. Considera in rapporto a questo la prudenza con la quale io operavo e che mi tratteneva nei miei dubbi, anche se nel trovare grazia agli occhi del Signore nessuna creatura può uguagliarmi. Eppure, nonostante ciò e sebbene io tenessi tra le mie braccia lo stesso Dio e fossi sua vera madre, non gli chiesi mai che mi dichiarasse cosa alcuna in modo straordinario, né per saperla, né per alleggerirmi di qualche pena, né per altro fine umano; tutto ciò, infatti, sarebbe stato fragilità naturale, curiosità vana o vizio riprensibile e niente di questo poteva avere luogo in me. Quando, però, la necessità mi obbligava per la gloria del Signore o l'occasione era inevitabile, prima chiedevo a sua Maestà licenza di proporgli il mio desiderio. Sebbene si mostrasse sempre molto propizio e mi rispondesse con grande amorevolezza domandandomi che cosa volessi dalla sua misericordia, io mi annientavo ed umiliavo sino alla polvere e chiedevo solo che m'insegnasse ciò che era più gradito ai suoi occhi.

529. Figlia mia, scrivi nel tuo cuore questo insegnamento e bada di non volere mai indagare né sapere con desiderio disordinato e curioso cosa alcuna superiore alla ragione umana. Il Signore infatti non risponde a tale insipienza e, inoltre, il demonio sta assai attento a questo vizio nelle persone che conducono una vita spirituale. Come ordinariamente è lui l'autore di questa viziosa curiosità e la suscita con la sua astuzia, così con questa stessa suole rispondere mascherato da angelo di luce; ingannando gli imperfetti e gli incauti. Anche quando tali domande fossero suscitate solo dall'inclinazione naturale, non per questo si dovranno porre o si dovrà darsene pensiero; in un'attività così alta come il rapporto con il Signore, infatti, non si deve seguire il dettame della ragione mossa dalle sue passioni, poiché la natura infetta e depravata per il peccato si trova molto disordinata ed incline a movimenti privi di accordo e misura, che non è giusto ascoltare o avere come regola. Neppure per alleggerirsi dalle pene e dalle tribolazioni la creatura deve ricorrere alle rivelazioni divine. La sposa di Cristo ed il vero suo servo, infatti, non devono usare i suoi favori per fuggire dalla croce, ma per cercarla e portarla con lui e per abbandonarsi, quanto a quella che darà loro, alla sua divina disposizione. Io voglio da te tutto questo, moderando il tuo timore e piegandoti maggiormente verso l'estremo dell'amore, per allontanarti dal contrario. Da oggi in poi voglio che tu perfezioni le ragioni che ti muovono, operando in tutto per amore, che è la motivazione più perfetta. Questo non ha limitazione né modo; perciò, voglio che tu ami con eccesso e tema con moderazione quanto basti a non infrangere la legge dell'Altissimo ed a regolare con rettitudine tutte le tue azioni interiori ed esteriori. Sii in ciò diligente e sollecita, anche se ti costa molta tribolazione e pena, poiché io l'ho sofferta nel circoncidere il mio Figlio santissimo. L'ho fatto perché nelle leggi sante ci veniva dichiarata ed intimata la volontà del Signore, a cui in tutto e per tutto dobbiamo ubbidire.