[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

CAPITOLO 22

 

La nascita del precursore di Cristo e quello che fece in tale occasione la sovrana signora Maria santissima.

 

270. Giunse l'ora della nascita al mondo della lampada, che preveniva il chiaro Sole di giustizia ed annunziava il desiderato giorno della legge di grazia. Era tempo opportuno che già uscisse alla luce del mondo il grande profeta dell'Altissimo e più che profeta Giovanni, il quale preparando i cuori degli uomini indicasse l'Agnello, che doveva redimere e santificare il mondo. Prima che uscisse dal grembo materno, il Signore manifestò al bambino benedetto che si approssimava l'ora della sua nascita per dare inizio al cammino dei mortali nella luce comune. Giovanni aveva già l'uso perfetto della ragione, sublimato con la luce divina e scienza infusa, che aveva ricevuto dalla presenza del Verbo incarnato; con essa conobbe e comprese che veniva a prendere posto in una terra maledetta e piena di pericolose spine e a mettere il piede in un mondo pieno di lacci e seminato di malvagità, dove molti naufragavano e perivano.

271. Tra questa conoscenza e l'ordine divino e naturale di nascere, il grande bambino stava come dubbioso e incerto. Da una parte la gravidanza era giunta al termine e il suo corpo era già completamente formato, per cui naturalmente veniva costretto con forza a nascere; ed egli conosceva e sentiva che il grembo materno lo spingeva fuori. Si univa all'efficacia della natura l'espressa volontà del Signore, che glielo comandava. Dall'altra parte conosceva e ponderava i pericoli del rischioso cammino della vita mortale, cosicché tra il timore e l'ubbidienza si tratteneva con paura e si muoveva con prontezza. Avrebbe voluto resistere e voleva ubbidire, dicendo fra sé: «Dove vado, se entro nella lotta con il rischio di perdere Dio? Come mi esporrò alla vita tra i mortali, dove tanti vengono meno e perdono il senno ed il cammino della vita? Sto nell'oscurità nel grembo di mia madre, ma ora passo ad altre tenebre di maggiore pericolo. Sto come oppresso da quando ho ricevuto l'uso della ragione, ma mi affliggono maggiormente l'indipendenza e la libertà dei mortali. Nonostante ciò, Signore, andiamo al mondo secondo la vostra volontà, perché compierla è sempre la cosa migliore; e se nel vostro servizio, o re altissimo, posso spendere tutto me stesso, questo solo mi faciliterà l'uscire alla luce e l'accettare il cammino della vita. Datemi, Signoré, la vostra benedizione per passare nel mondo».

272. Il precursore di Cristo meritò con questa preghiera che sua Maestà nell'istante della nascita gli desse di nuovo la sua benedizione. Il fortunato bambino conobbe ciò, perché ebbe Dio presente nella sua mente; seppe anche che egli lo inviava ad operare cose grandi a suo servizio e gli prometteva la sua grazia per eseguirle. Prima di riferire il parto felicissimo di santa Elisabetta, però, per accordare il momento in cui si verificò con il testo degli Evangelisti, avverto che questa ammirabile gravidanza durò nove mesi meno nove giorni, perché in questo spazio di tempo, in virtù del miracolo con il quale fu concessa fecondità alla madre sterile, il feto si perfezionò e giunse al punto di poter nascere. Quando san Gabriele disse a Maria santissima che sua cugina Elisabetta era incinta da sei mesi, si deve intendere che non era compiuto il sesto, perché mancavano otto o nove giorni. Ho già detto che la purissima Signora partì per visitare santa Elisabetta il quarto giorno dopo l'incarnazione del Verbo. Poiché non parti immediatamente, san Luca dice che Maria santissima in quei giorni si mise in viaggio e raggiunse in fretta la montagna. Nel viaggio impiegarono altri quattro giorni.

273. Inoltre, il medesimo Evangelista dice che Maria santissima dimorò quasi tre mesi a casa di santa Elisabetta; mancavano, infatti, solo due o tre giorni al compimento del terzo mese, perché in tutto è esatto il testo del Vangelo. Secondo questo conto è necessario dire che Maria santissima, signora nostra, fu presente non solamente al parto di santa Elisabetta e alla nascita di san Giovanni, ma anche alla circoncisione e alla determinazione del suo nome misterioso. In verità, contando otto giorni dall'incarnazione del Verbo, segue che, secondo il calcolo dei mesi solari, la nostra Signora giunse con san Giuseppe alla casa di Zaccaria il due aprile, verso sera. Aggiungendo adesso altri tre mesi meno due giorni, a incominciare dal tre aprile, si arriva al primo luglio, che è l'ottavo giorno dalla nascita di san Giovanni e quello della sua circoncisione. L'indomani, al mattino, Maria santissima partì per ritornare a Nazaret. Sebbene l'evangelista san Luca racconti il ritorno della nostra Regina alla sua casa prima di riferire il parto di santa Elisabetta, in realtà tale viaggio avvenne dopo. Il sacro testo ne anticipa la narrazione per terminare tutto ciò che riguarda la beatissima Regina e poi proseguire la storia della nascita del precursore, senza interrompere un'altra volta il filo del discorso. Così mi è stato dato di capire per scriverlo.

274. Avvicinandosi dunque l'ora del desiderato parto, la madre santa Elisabetta sentì che il bambino si muoveva; tutto ciò era effetto della natura e dell'ubbidienza del piccolo. Per alcuni moderati dolori che le sopravvennero, ne diede avviso alla principessa Maria; però, non la chiamò perché assistesse al parto, dal momento che la degna riverenza dovuta all'eccellenza di Maria ed al frutto che portava nel suo grembo verginale la trattenne prudentemente dal chiedere ciò che non pareva conveniente. La grande Signora non andò neppure di persona dove stava sua cugina; ma le inviò le fasce ed i pannicelli che teneva pronti per avvolgervi il fortunato bambino. Questi nacque immediatamente molto perfetto e cresciuto, testimoniando con la limpidezza del suo corpo quella della sua anima, perché non ebbe tante impurità come gli altri bambini. Lo avvolsero nelle fasce, che erano già prima grandi reliquie, degne di venerazione. Dopo un adeguato spazio di tempo, stando già santa Elisabetta composta e riordinata, Maria santissima uscì dal suo oratorio per comando del Signore e andò a visitare il bambino e la madre e a congratularsi con quest'ultima.

275. La Regina accolse tra le sue braccia il neonato, su richiesta della madre, e l'offrì come nuova oblazione all'eterno Padre. Sua Maestà lo ricevette con approvazione e compiacimento e come primizia delle opere del Verbo incarnato e dell'esecuzione dei suoi divini decreti. Il felicissimo bambino, ripieno di Spirito Santo, riconobbe la sua legittima Regina e signora e le fece riverenza non solo interiormente, ma anche esteriormente con una dissimulata inclinazione della testa; poi, di nuovo adorò il Verbo divino fatto uomo nel talamo della sua madre purissima, dove questi gli si manifestò ancora con specialissima luce. Siccome conosceva anche il beneficio che tra i mortali aveva ricevuto, il bambino, riconoscente, fece grandi atti di gratitudine, di amore, di umiltà e di venerazione verso il Dio uomo e la sua Madre vergine. L'umilissima Signora, offrendolo all'eterno Padre, fece per lui questa preghiera: «Altissimo Signore e Padre nostro, santo ed onnipotente, ricevete le primizie del vostro Figlio santissimo e mio Signore. Questo bambino è stato santificato e riscattato per mezzo del vostro Unigenito dal potere e dagli effetti del peccato e dagli antichi nemici. Ricevetelo come sacrificio mattutino ed infondete in lui con la vostra santa benedizione il divino Spirito, affinché adempia fedelmente il ministero al quale lo destinate in onore vostro e del vostro Unigenito». Questa preghiera della nostra Regina e signora fu in tutto efficace; ella conobbe come l'Altissimo arricchiva il bambino scelto come suo precursore e questi sentì ancora nel suo spirito l'effetto di così ammirabili benefici.

276. Mentre la grande Regina e signora dell'universo teneva tra le braccia il piccolo Giovanni, stette dissimulatamente in un'estasi dolcissima per qualche istante; in essa fece l'orazione e l'offerta per il bambino, tenendolo reclinato sul proprio seno, dove presto avrebbe riposato l'Unigenito del Padre e suo. Questa fu singolarissima prerogativa del grande precursore, non ottenuta da alcun altro santo. Non è eccessivo che l'angelo lo annunciasse grande davanti al Signore. Prima di nascere, infatti, fu visitato e santificato da Dio e alla sua nascita fu sollevato e posto nel trono della grazia, occupando per primo le braccia nelle quali si sarebbe adagiato lo stesso Verbo incarnato. Così, accese nella Madre dolcissima il desiderio di ricevere in esse quanto prima il proprio figlio e Signore e, a questo pensiero, ella provò un affetto speciale e tenerissimo verso il precursore appena nato. Santa Elisabetta conobbe questi misteri divini, perché il Signore glieli manifestava mentre guardava suo figlio tra le braccia di colei che ne era più madre di lei stessa, dato che egli doveva a santa Elisabetta la natura e a Maria purissima così eccellente stato di grazia. Tutto questo creava una soavissima consonanza tra i cuori delle due felicissime e fortunate madri e del bambino, che aveva anch'egli luce di così ammirabili misteri. Questi, con i movimenti infantili delle sue tenere membra, dimostrava il giubilo del suo spirito: s'inchinava alla beatissima Signora, sollecitava le sue carezze e mostrava premura di non allontanarsi da lei. Ella lo accarezzava, ma con tanta maestà e temperanza che non lo baciò mai, come suole permettere tale età, perché custodì e riservò intatte le sue castissime labbra per il suo Figlio santissimo. Neppure osservò il volto del bambino, perché fissò tutta l'attenzione sulla santità della sua anima, guardandolo soltanto quel poco che poteva bastare per riconoscerlo. Tanto grandi erano la prudenza e la modestia della Regina del cielo!

277. Ben presto si divulgò la notizia della nascita di Giovanni, come dice san Luca, e tutti quelli del parentado e i vicini vennero a congratularsi con Zaccaria e con santa Elisabetta; infatti, la loro casa era ricca, nobile e stimata in tutto il paese e la santità di entrambi si era conquistata i cuori di quanti li conoscevano. Sia per queste ragioni sia perché li avevano visti per tanti anni senza discendenza, essendo santa Elisabetta sterile e già arrivata ad età matura, questo avvenimento provocò in tutti grande stupore e allo stesso tempo somma allegrezza, poiché capivano che quello era più figlio di miracolo che di natura. Il santo sacerdote Zaccaria era ancora muto e non poteva manifestare il suo giubilo, perché non era giunta l'ora nella quale tanto misteriosamente doveva sciogliersi la sua lingua. Tuttavia, manifestava con altre dimostrazioni il gaudio interiore che sentiva ed offriva all'Altissimo affettuose lodi e ripetuti ringraziamenti per il beneficio inaudito che già aveva cominciato a riconoscere dopo la sua incredulità, come dirò nel capitolo seguente.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

278. Figlia mia carissima, non ti rechi meraviglia che il mio servo Giovanni avesse timore e difficoltà nell'uscire al mondo, perché i figli ignoranti del secolo non sanno amarlo tanto quanto i saggi sanno aborrirlo e temere i suoi pericoli grazie alla conoscenza e luce divina che hanno. Questa, appunto, possedeva eminentemente colui che nasceva come precursore del mio Figlio santissimo; così, conoscendo il rischio, doveva pure sentirne il timore. Questo gli servì per entrare nel mondo felicemente, perché chi più lo conosce ed aborrisce naviga più sicuro nelle sue onde e nel suo profondo golfo. Il fortunato bambino cominciò la sua vita con tanta avversione ed opposizione a ciò che è terreno che non fece mai tregua in questa guerra. Non scese a compromessi, non accettò le velenose lusinghe della carne, non offrì i suoi sensi alla vanità né si aprirono i suoi occhi per vederla; in questa impresa, cioè nel disprezzare il mondo e quanto è in esso, poi, diede la vita per la giustizia. Non può vivere in pace ed in alleanza con Babilonia il cittadino della vera Gerusalemme né è compatibile il sollecitare la grazia dell'Altissimo e lo stare in essa con l'essere nel tempo stesso amico dei suoi dichiarati nemici, perché nessuno poté mai né può servire a due padroni, né possono stare insieme la luce e le tenebre, Cristo e Belial.

279. Guardati, carissima, più che dal fuoco, da quelli che vivono posseduti dalle tenebre e amano il mondo, perché la sapienza dei figli del secolo è carnale e diabolica e le loro vie tenebrose conducono alla morte. Quando sarà necessario indirizzare qualcuno verso la vera vita, benché tu debba per conseguire questo offrire la tua vita naturale, conserva sempre la pace del tuo intimo. Ti assegno tre luoghi, affinché tu viva in essi e mai ne esca con l'attenzione. Se, poi, qualche volta il Signore ti comanderà di assistere le creature nelle loro necessità, voglio che ciò avvenga senza che tu perda questo rifugio, appunto come chi vive in un castello circondato dai nemici e, comparendo alla porta per negoziare ciò che è indispensabile, da là dispone quello che conviene con tanta circospezione che sta più attento al cammino per il quale deve tornare a ritirarsi e a nascondersi che agli affari di fuori, e sempre sta guardingo e timoroso del pericolo. Devi avere la stessa accortezza, se vuoi vivere sicura, perché tieni per certo che sei circondata da nemici crudeli e velenosi più degli aspidi e dei basilischi.

280. I luoghi della tua abitazione devonò essere la divinità dell'Altissimo, l'umanità del mio Figlio santissimo ed il segreto del tuo cuore. Come la perla racchiusa nella sua conchiglia e come il pesce nel mare, tu devi vivere nella divinità, nei cui spazi interminabili dilaterai i tuoi affetti e desideri. L'umanità santissima sarà il muro che ti difenderà ed il suo petto aperto sarà il talamo dove tu ti stenderai e ti riposerai all'ombra delle sue ali. Il tuo intimo, poi, ti darà pacifica gioia con la testimonianza della coscienza e questa ti faciliterà, se la conservi pura, in una relazione amichevole e dolce con il tuo sposo. Affinché in tutto questo ti aiuti con il ritiro fisico, voglio e bramo che l'osservi nella tua stanza o cella e che tu ne esca solo quando la forza dell'ubbidienza o l'esercizio della carità ti costringeranno a farlo. Ti manifesto un segreto, cioè che vi sono demoni destinati da Lucifero con suo espresso ordine a stare attenti ai religiosi ed alle religiose, quando escono fuori dal loro ritiro, per investirli subito ed attaccaili con tentazioni che li abbattano. Essi non entrano facilmente nelle celle, perché qui non vi è tanta occasione di parlare, vedere ed usare male i sensi, dando loro la possibilità di fare preda e di cibarsi come lupi feroci. Perciò, sono tormenta-ti dalla ritiratezza e dalla circospezione dei religiosi, e le detestano, perché diffidano di poterli vincere quando non li trovano fra i pericoli della vita tra gli uomini.

281. Generalmente, poi, è certo che i demoni non hanno potere alcuno sopra le anime, se queste per qualche colpa veniale o mortale non si assoggettano loro e non li lasciano entrare. Il peccato mortale, infatti, dà loro un diritto in qualche modo espresso sopra chi lo commette per indurlo ad altri; quello veniale, nella misura in cui debilita le forze dell'anima, le accresce al nemico per tentare. Con le imperfezioni si ritardano il merito ed il progresso della virtù nell'operare ciò che è più perfetto; anche ciò dà coraggio all'avversario. L'astuto serpente, quando conosce che l'anima tollera la propria tiepidezza e si espone facilmente al pericolo con una oziosa leggerezza e dimenticanza del suo danno, la insidia, la segue per colpirla con il suo veleno mortale e l'attira, inavveduta come un semplice uccellino, finché cada in qualche laccio dei molti che egli tende a questo fine.

282. Stupisciti dunque, figlia mia, per ciò che circa questo conosci con la divina luce e piangi con intimo dolore la rovina di tante anime immerse in questo pericoloso sonno. Esse vivono ottenebrate dalle loro passioni e dalle loro tendenze depravate, dimentiche del pericolo, insensibili nel danno, inavvedute nelle occasioni; invece di preveniHe e temerle, le cercano con cieca ignoranza, seguono con impeto furioso le loro prave inclinazioni e ciò che è dilettevole, non mettono freno alle passioni ed ai desideri, non badano a dove posano i piedi, si buttano in qualsiasi pericolo e precipizio. I nemici sono innumerevoli, la loro astuzia è diabolica ed insaziabile, la loro vigilanza senza tregua, la loro ira instancabile, la loro diligenza senza trascuratezza. Per questo, quale meraviglia che da simili o, per meglio dire, da così dissimili e disuguali estremi provengano ai viventi danni tanto irreparabili? E che, essendo infinito il numero degli stolti, sia senza numero anche quello dei reprobi? Quale stupore che il demonio s'insuperbisca con tanti trionfi quanti gliene danno i mortali con la propria spaventosa perdizione? Il Dio eterno ti preservi, o carissima, da tanta disavventura; e tu piangi con dolore quella dei tuoi fratelli, chiedendone continuamente il rimedio per quanto sarà possibile.