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CAPITOLO 20

 

L'Altissimo si manifesta alla sua diletta Maria, nostra principessa, con un favore singolare.

 

725. La nostra divina Principessa vedeva ormai prossimo il chiaro giorno della desiderata visione del sommo Bene. Come in un chiarore che annuncia il giorno imminente, percepiva nelle sue facoltà la forza dei raggi di quella luce divina, che già le si avvicinava. Alla vicinanza dell'invisibile fiamma che illumina e non consuma, si accendeva tutta, e così il suo spirito, ristorato dagli annunci di questo nuovo chiarore, domandava ai suoi angeli: «Amici e signori, mie sentinelle vigilanti e fedelissime, ditemi: a che punto sono della mia notte? E quando arriverà l'alba del mio chiaro giorno, nel quale i miei occhi vedranno il Sole di giustizia, che illumina e dà vita ai miei affetti e al mio spirito?». I santi principi risposero: «Sposa dell'Altissimo, è vicina la vostra bramata verità e luce e non tarderà molto perché già viene». Con questa risposta si aprì alquanto il velo che impediva la vista delle sostanze spirituali e le si manifestarono i santi angeli; li vide, come al solito, nella loro stessa essenza, senza sentire impaccio o dipendenza alcuna dal corpo o dai sensi.

726. Con queste speranze, e con la vista degli spiriti divini, Maria santissima si risollevò alquanto alla vista del suo amato. Ma quella sorta d'amore che cerca l'oggetto nobilissimo della volontà, si soddisfa solo con lui e senza di lui il cuore ferito dai dardi dell'Onnipotente non ha riposo, benché sia con gli stessi angeli e santi. La nostra Principessa, alquanto rianimata e rinfrancata, parlò ai suoi santi angeli e disse loro: «Principi sovrani e luminari della luce inaccessibile, dove abita il mio amato e perché per così lungo tempo non ho meritato di vedervi? In che cosa vi sono dispiaciuta, mancando di corrispondere al vostro volere? Ditemi, signori e maestri miei, in che cosa sono stata negligente, affinché io non sia più abbandonata per colpa mia». Le risposero: «Signora e sposa dell'Onnipotente, noi ubbidiamo alla voce del nostro creatore e ci regoliamo tutti secondo la sua santa volontà. Egli ci comandò che ci nascondessimo alla vostra vista quando vi celò la sua, ma anche che, seppure nascosti, stessimo attenti e solleciti della vostra cura e difesa; così abbiamo fatto, stando in vostra compagnia benché nascosti alla vostra vista».

727. «Ditemi dunque ora - replicò Maria santissima - dove sta il mio Signore, il mio bene, il miò creatore? Ditemi se i miei occhi lo vedranno subito o se per caso l'ho disgustato, perché questa vilissima creatura pianga amaramente la causa della sua pena. Ministri e ambasciatori del supremo Re, abbiate compassione della mia afflizione amorosa e datemi segni del mio amato». Le risposero: «Subito, Signora, vedrete colui che l'anima vostra desidera; alla vostra dolce pena subentri ormai la fiducia, perché il nostro Dio non si nega a chi così sinceramente lo cerca. Grande è, Signora, l'amore della sua bontà verso chi lo accetta e sarà munifico nell'esaudire la vostra accorata richiesta». I santi angeli la chiamavano Signora apertamente sia perché erano sicuri della sua prudentissima umiltà, sia perché erano soliti coprire la forza di questo onorevole titolo aggiungendovi quello di sposa dell'Altissimo, dato che essi erano stati testimoni dello sposalizio che con lei aveva celebrato sua Maestà. Del resto la divina Sapienza aveva disposto che gli angeli, nascondendole fino al tempo opportuno solamente il titolo e la dignità di Madre del Verbo, le prestassero grande riverenza, per cui essi glielo dimostravano in molti modi, benché di nascosto la vene-rassero assai più che palesemente.

728. Tra questi dialoghi e colloqui amorosi, la divina Principessa attendeva l'arrivo del suo Sposo e sommo bene. Quand'ecco i serafini che l'assistevano incominciarono a prepararla con nuova illuminazione delle sue facoltà, pegno sicuro ed esordio del bene che aspettava. Ma siccome questi benefici accendevano ancor più l'ardente fiamma del suo amore senza tuttavia conseguire ancora il suo desiderato fine, crescevano sempre più le sue angosce amorose; in mezzo ad esse, parlando coi serafini, disse loro: «Spiri-ti sovrani, che siete più vicini al mio Bene, specchi limpidissimi in cui, riverberando il suo ritratto, io ero solita contemplarlo con gaudio dell'anima mia, ditemi: dove si trova la luce che v'illumina e vi riempie di bellezza? Ditemi: perché il mio amato indugia così tanto? Ditemi: che cosa impedisce che gli occhi miei lo vedano? Se ciò accade per colpa mia, io correggerò i miei errori; e se così è perché non merito l'adempimento del mio desiderio, mi conformerò al suo volere; se poi si compiace del mio dolore, lo patirò con allegrezza di cuore, ma ditemi: come vivrò io senza la mia stessa vita? Come mi orienterò senza la mia luce?».

729. A questi dolci gemiti i santi serafini risposero: «Signora, il vostro amato non tarda quando per vostro bene ed amore si allontana e indugia, poiché per consolare egli affligge chi più ama, per dargli più gioia lo rattrista e per essere trovato si ritira; vuole che seminiate con lacrime per raccogliere poi con giubilo il dolce frutto del dolore. E se il Bene amato non si nascondesse, non sarebbe cercato con quell'ansietà che nasce dalla sua lontananza, né l'anima rinnoverebbe i suoi affetti, né crescerebbe tanto la dovuta stima del suo tesoro».

730. Le diedero quella illuminazione di cui ho parlato, per purificarle le facoltà, non perché avesse colpe da cui essere purificata, dato che non poté commetterle; ma benché tutti i suoi moti ed atti in quella lontananza del Signore fossero stati meritori e santi, erano necessari questi nuovi doni per pacificarle lo spirito, per attutire nelle sue facoltà l'agitazione causata dalle sofferenze e pene d'amore al vedere che Dio le si era nascosto e per farla passare a quest'altro stato di nuovi e differenti favori. Infatti, per proporzionare le facoltà all'oggetto e al modo di vederlo, era necessario rinnovarle e predisporle a ciò. Tutto questo fecero i santi serafini, come si è detto nel libro secondo al capitolo quattordici, e quindi il Signore le diede l'ultimo ornamento e un'ulteriore qualità per prepararla in sommo grado alla disposizione immediatamente precedente la visione che le voleva manifestare.

731. Questa elevazione graduale andava provocando nelle facoltà della divina Regina gli effetti e gli atti di amore e virtù che lo stesso Signore intendeva produrre e che io non sono in grado di spiegare meglio. A quel punto, dunque, sua Maestà tolse il velo e, dopo essere stato tanto tempo nascosto, si mostrò alla sua sposa unica e diletta, Maria santissima, per mezzo di una visione astrattiva della divinità. Tale visione, pur non essendo immediata, fu tuttavia chiarissima e altissima nel suo genere. Per mezzo di essa il Signore asciugò le lacrime ininterrotte della nostra Regina, premiò i suoi affetti e le sue pene d'amore ed esaudì il suo desiderio, cosicché ella riposò, tutta traboccante di gioia, nelle braccia del suo diletto. In questo abbraccio si rinnovò la gioventù di quest'ardente e fervorosa aquila, per sollevare tanto più il volo alla regione impenetrabile della Divinità. Con le specie, ossia immagini, che dopo questa visione le restarono in modo ammirabile, ella si elevò a un'altezza che nessun'altra creatura può raggiungere o comprendere, al di fuori di Dio.

732. Il giubilo, che la purissima Signora provò in questa visione, era proporzionato sia all'estrema asprezza del dolore per cui passò, sia ai meriti che precedettero tale gaudio. Ma solo io posso dire che dove abbondò il dolore, abbondò anche la consolazione, e che la pazienza, l'umiltà, la fortezza, la costanza, gli affetti e le pene d'amore di Maria per tutta la durata di questa lontananza furono le più sublimi che mai siano state raggiunte da una semplice creatura. Solo la nostra Signora conobbe la finezza di questa sapienza e seppe dare il giusto peso alla privazione della visione del Signore. Ella sola percepì nel modo dovuto la sua lontananza e, sentendone tutto il peso, seppe anche cercarlo con pazienza, patire con umiltà, tollerare con fortezza e santificare tutto ciò col suo ineffabile amore, nonché stimare poi il beneficio e goderne.

733. Una volta sollevata a questa visione, prostrandosi con affetto alla presenza divina, Maria santissima disse a sua Maestà: «Signore e Dio altissimo, incomprensibile e sommo bene dell'anima mia, giacché sollevate dalla polvere questo povero e vile vermicello, ricevete, o Signore, la vostra medesima bontà e gloria, con quella che vi danno i vostri servitori come umile ringraziamento dell'anima mia. E se, come di creatura vile e terrena, le mie opere vi dispiacquero, correggete ora, Signore mio, ciò che in me non vi è gradito. O bontà e sapienza unica ed infinita, purificate questo cuore e rinnovatelo, perché vi sia grato, umile e contrito, cosicché non lo disprezziate. Se non seppi accogliere come dovevo le piccole pene e la morte dei miei genitori, e se in qualche cosa deviai dal vostro beneplacito, ordinate, ve ne prego, altissimo mio Signore, le mie facoltà e le mie opere come Signore onnipotente, come Padre e Sposo unico dell'anima mia».

734. A questa umile orazione l'Altissimo rispose: «Sposa e colomba mia, il dolore della morte dei tuoi genitori e l'afflizione per altre prove è naturale effetto della condizione umana e non è colpa; per l'amore col quale ti rassegnasti in tutto alla disposizione della mia divina volontà, meritasti nuovamente la mia grazia e il mio favore. Io dispenso la vera luce e i suoi effetti con la mia sapienza, come Signore di tutto, e formo successivamente il giorno e la notte; creo il sereno e dono anche alle tempeste il loro tempo, perché il mio potere e la mia gloria si accrescano, l'anima cammini più sicura con la zavorra della conoscenza di sé e mediante le onde violente delle tribolazioni acceleri ulteriormente il viaggio, giunga al porto sicuro della mia amicizia e grazia e, più colma di meriti, m'induca a riceverla con maggior compiacimento. Questo è, mia diletta, l'ordine ammirabile della mia sapienza e per questo mi nascosi in questo tempo dalla tua vista, perché da te voglio ciò che è più santo e più perfetto. Servimi dunque, mia bella, poiché sono tuo sposo e Dio di misericordia infinita e il mio nome è ammirabile nella multiforme varietà delle mie grandi opere».

735. Da questa visione la nostra principessa Maria uscì tutta rinnovata e divinizzata, piena di nuova conoscenza della divinità e degli arcani misteri del Re, proclamando il suo nome, adorandolo e lodandolo con incessanti cantici e sublimi elevazioni del suo pacifico e tranquillissimo spirito. Nella medesima proporzione crescevano in lei l'umiltà e tutte le altre virtù. La sua continua richiesta era sempre quella di ricercare la più perfetta e gradita volontà dell'Altissimo e in tutto e per tutto eseguirla e adempierla. Così passò alcuni giorni, fino a che successe ciò che si dirà nel capitolo seguente.

 

Insegnamento della Regina del cielo signora nostra

 

736. Figlia mia, molte volte ti ripeterò la lezione della più grande sapienza per le anime, che consiste nell'ottenere la conoscenza della croce per mezzo dell'amore alle sofferenze, imitandomi nel patirle. E se l'indole dei mortali non fosse tanto grossolana, essi dovrebbero esserne avidi solo per il compiacimento del loro Dio e Signore, il quale in ciò ha loro manifestato la sua volontà, perché il servo fedele e premuroso deve anteporre sempre il compiacimento del suo padrone alla sua medesima comodità. Ma la rozzezza dei mondani è tale che non solo non si lasciano vincolare dal dovere di questa buona corrispondenza verso il loro Padre e Signore, ma neppure dalla sua assicurazione che tutto il loro rimedio consiste nel seguire Cristo sulla via della croce e nel patire, come figli peccatori, col Padre innocente per guadagnare il frutto della redenzione con la conformazione delle membra al loro capo.

737. Ricevi dunque, o carissima, questo insegnamento e scrivilo nel tuo cuore; sappi che come figlia dell'Altissimo, come sposa del mio Figlio santissimo e come mia discepola, quando non avessi altro interesse, devi per tuo ornamento comprare la preziosa gemma del patire, per esser gradita al tuo Signore e sposo. E ti avverto, figlia mia, che fra i doni e i favori della sua mano e i patimenti della sua croce, devi anteporre, privilegiare ed abbracciare la sofferenza piuttosto che la consolazione delle sue carezze, poiché nel preferire i favori e le delizie può incidere l'amore che porti a te stessa, mentre nell'accettare le tribolazioni e le pene può operare solamente l'amore di Cristo. Infatti, se fra i regali del medesimo Signore e le tribolazioni di ogni genere, purché non dovute a colpa, si devono preferire le pene perfino alle gioie spirituali, che stoltezza è mai quella degli uomini di amare così ciecamente i piaceri sensibili e turpi, aborrendo tutto ciò che è patire per Cristo e per la salvezza della propria anima?

738. La tua incessante orazione, figlia mia, sarà il ripetere sempre: «Eccomi, o Signore, che volete fare di me? Saldo è il mio cuore, pronto e non turbato; che volete, Signore, che io faccia per voi?». Queste parole devono però essere sincere e venire veramente dal cuore e devono essere pronunciate con intimo e fervoroso affetto, più che con le labbra. I tuoi pensieri siano alti, la tua intenzione molto retta, pura e nobile; sia quella di ricercare solo e in tutto il maggior compiacimento del Signore, il quale con peso e misura dispensa pene, grazie e favori. Esamina sempre con quali pensieri, con quali azioni ed in quali occasioni puoi offendere o compiacere di più il tuo sposo, affinché tu conosca ciò che in te devi correggere e ciò che devi desiderare. Qualunque disordine, per quanto piccolo, e ciò che è meno puro e perfetto, anche se può apparire lecito e di qualche profitto, troncalo e allontanalo subito da te, perché tutto ciò che non è gradito al Signore devi considerarlo cosa cattiva o almeno per te inutile: nessuna imperfezione ti sembri piccola se dispiace a Dio. Con questo sollecito timore e questa santa sollecitudine, camminerai sicura. E sii certa, carissima figlia mia, che il pensiero umano non giunge a comprendere quanto sia grande la ricompensa che l'altissimo Signore riserva alle anime che vivono con una tale attenzione e sollecitudine.