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L'ARALDO DEL DIVINO AMORE - RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE
LIBRO QUINTO
PREFAZIONE DI LANSPERGIO
Questo quinto libro fornisce salutari rivelazioni che c'insegnano come
bisogna prepararsi alla morte, accoglierla con gioia e rassegnazione,
implorando l'aiuto di Dio e dei Santi. Si vede anche come l'equa
censura della divina giustizia renda a ciascuno, dopo la morte, secondo
le opere compiute, quantunque la misericordia di Dio abbia preparato,
per quelli che muoiono nella carità, un aiuto potente nelle preghiere e
nelle buone opere dei viventi.
In questo libro sono riportate alcune pratiche di devozione utilissime
ai defunti, i quali sono soprattutto suffragati dalle offerte attinte
nel tesoro infinito dei meriti di Gesù Cristo. E' una glorificazione
meravigliosa della misericordia di Dio, della ineffabile dolcezza della
sua bontà che concede a tutti gl'infelici peccatori un rimedio, col
quale possono, se vogliono, liberare se stessi e gli altri dalle colpe
e dalle pene dovute al peccato.
PROLOGO:
Siccome il Signore rivela talvolta, per il bene dei meriti dei defunti,
per eccitarci coi loro esempi a respingere gli ostacoli ed ottenere le
eterne ricompense; così ci e parso opportuno raccogliere in questo
ultimo libro quanto il Signore volle rivelare a Geltrude, riguardo a
parecchie anime. Si parla dapprima dell'affabile, gloriosa, venerabile
Abbadessa Geltrude di Hackeborn della quale si è stimolati ad ammirare
la vita, quantunque difficile ad imitarla; e spinti a ringraziare il
buon Dio che volle colmarla di doni tanto eccelsi.
CAPITOLO I. - GLORIOSO TRAPASSO DI GELTRUDE DI HACKEBORN,
SECONDA ABBADESSA DEL MONASTERO E SORELLA DI S. MATILDE
Geltrude di Hackeborn fu veramente grande, piena di Spirito Santo e
degna di tutta la nostra filiale tenerezza. Bisogna renderle lode e
onore perchè durante quaranta anni e undici giorni, ella esercitò la
carica abbaziale con saggezza, prudenza, soavità e discrezione
ammirabile, a la gloria di Dio ed a bene delle anime.
Aveva ardente amore per Dio, tenerezza e sollecitudine incomparabile
per il prossimo, disprezzo profondo per se stessa.
La sua umiltà la portava a visitare gli ammalati, a soccorrerli, a
servirli colle sue mani: li consolava, si sforzava di farli riposare e
voleva sollevarli in tutti i loro bisogni, cosa che faceva spendendosi
completamente, fino a quando la tenerezza delle sue figlie, non
subentrava a porre un limite alla sua dedizione d'amore. Spesso era la
prima nei lavori più pesanti, si faceva un onore di scopare il
chiostro, riordinare la casa, e talora si affaticava da sola, fino a
quando il suo esempio e le sue dolci parole trascinavano amabilmente le
Suore a venirle in aiuto.
La sua esimia virtù aveva irradiato splendori durante tutta la vita:
rosa di meravigliosa freschezza, era la compiacenza di Dio e degli
uomini. Dopo quaranta anni e undici giorni di fecondo Superiorato, fu
colpita, da una malattia, chiamata piccola apoplessia.
Coloro ch'ebbero il bene di conoscerla sanno quanto penetrò nell'anima
delle sue figlie lo strale scoccato dall'Ormipotente per attrarre a sè,
e togliere dalla terrestre miseria quell'anima così nobile e così ricca
di virtù!
Noi non pensiamo che possa esservi stata in tutto il mondo creatura
dotata dai Signore di doni naturali, gratuiti e nascosti, più ricchi e
preziosi. Infatti, benché il numero delle persone che aveva accolto e
educato nella vita religiosa sorpassi di molto il centinaio, pure non
abbiamo mai sentito dire che alcuno ispirasse maggior affetto di lei e
potesse esserle preferita. Basti dire che alcune bimbe, di non ancora
sette anni, ricevute nel Monastero, ed incapaci di discernimento, erano
talmente attratte dalla sua bontà appena l'ebbero conosciuta per madre
della loro anima, che la preferirono tosto al babbo, alla mamma ed a
tutti i parenti. Sarebbe troppo lungo diffondersi in particolari e dire
com'era giudicata dagli estranei che la vedevano e raccoglievano le sue
parole, ricche di sapienza celeste. Tornino tutti questi doni che le
furono accordati, in lode e ringraziamento a Dio, abisso infinito e
sorgente di ogni bene!
Quando dunque questo raggio di sole parve scomparire sotto le ombre di
morte, le figlie, temendo con la perdita di si luminoso esemplare di
saggia direttiva, d'una Madre sì tenera, di deviare dal retto sentiero
della perfezione, si rifugiarono, con slancio dei cuore, nel Padre
delle misericordie, implorando, con insistenti suppliche, la guarigione
della loro Madre. Dio, che è la bontà suprema dalla quale tutto ciò che
è buono riceve cose buone, non sdegnò le preghiere di quelle anime
desolate; ma siccome il rendere la salute all'inferma non entrava nei
disegni della sua Provvidenza, volle tuttavia consolare le figlie,
mostrando la beatitudine della loro Madre. Perciò esaudì le loro
suppliche; dando loro, per mezzo di Geltrude, risposte piene di
conforto, come si vedrà in seguito.
Una volta infatti, mentre Geltrude pregava per la malata, desiderando
conoscere il suo stato, il Signore le disse: « Ho atteso questo tempo con gaudio
ineffabile, per condurre la mia Sposa nella solitudine e parlarle cuore
a cuore. Il mio desiderio si attua, perchè ella entra in tutte le mie
vie e compie in ogni cosa la mia Volontà ». Tali parole
significavano che la malattia è quella solitudine ove Gesù parla al
cuore della sua diletta, più che alle sue orecchie; le sue parole non
colpiscono l'orecchio del corpo, perchè le parole che si rivolgono al
cuore sono più sentite che ascoltate. Le parole del signore alla sua
eletta sono le tribolazioni e le angosce ch'ella prova pensando che la
malattia la rende inutile, ch'ella perde il tempo, che le consorelle
affaticandosi intorno a lei, lo perdono esse pure, giacchè non le sarà
dato di poter guarire. Ma ella risponde a tali tentazioni nel modo da
Dio desiderato, cioè, custodendo la pazienza e non bramando che una
sola cosa, cioè che in essa si compia la divina Volontà.
Questa risposta si fa sentire fino in cielo, non in modo umano, ma per
mezzo dello strumeno divino del Sacro Cuore di Gesù, ove risuona per
allietare la SS. Trinità e tutta la Corte celeste. Infatti il cuore
dell'uomo non potrebbe certo accettare volontieri la sofferenza per
compiere la Volontà di Dio, se tale disposizione non fosse riversata
nell'anima sua dallo stesso Cuore di Gesù Cristo; è dunque per mezzo di
questo Cuore divino, che tale risposta può riecheggiare in cielo.
Disse ancora il Signore: «La
mia eletta compie i miei più cari desideri, accettando i dolori della
malattia, lungi d'imitare la regina Vasthi che disprezzò gli ordini
d'Assuero, quando quel re le ordinò di entrare col diadema in testa,
perchè i grandi della corte potessero, contemplare la sua bellezza. Io
pure voglio far risplendere la magnificenza della mia Sposa davanti
all'adorabile Trinità ed a tutta la Corte celeste, perciò la tormento
con gli spasimi della malattia. Ma ella compie i desideri del mio
Cuore, accettando con tranquillità, pazienza e discrezione í ristori
che il suo stato reclama: ciò le varrà grandi gradi di gloria, perchè
deve superare se stessa per agire in tal modo. Ella però deve farsi
coraggio pensando che, grazie alla mia bontà infinita « diligentibus
omnia eooperantur in bonum - Tutto coopera al bene di coloro che amano
» (Rom. VIII, 28).
Un'altra volta, mentre Geltrude pregava per la malata, Gesù le disse: «
Talvolta mi compiaccio di mirare, la mia eletta che sta preparandomi
doni graditi, e allora le procuro perle e fiori d'oro. Ecco ciò che
queste parole significano; Le perle sono i suoi sensi, i fiori sono le
ore disponibili che le permettono di prepararmi, ornamenti belli,
graditi, preziosi; giacchè, appena può e riprende le forze, si occupa
subito della sua carica, per quanto le riesce possibile. Con
sollecitudine prende diverse misure per conservare ed accrescere la
Religione perché, dopo la sua morte, le sue parole ed i suoi esempi
siano come colonna saldissima che, per la mia eterna gloria, sostenga
la stato religioso.
Se però s'accorge che il lavoro nuoce alla sua salute, lo lascia tosto
e mi abbandona ogni cosa con grande fiducia. Questa fedeltà a
riprendere il lavoro, o a lasciarlo quando le forze declinano, commuove
profondamente il mio Cuore». Un'altra volta che la santa Abbadessa, di
dolce memoria, s'affliggeva di non poter compiere lavori di mano,
temendo di sciupare il tempo, si rivolse, con la solita umiltà a
Geltrude, preferiva i suoi consigli a quelli delle altre, le raccomandò
di pregare il Signore per quell'intenzione.
Geltrude lo fece ben volentieri e ricevette questa risposta: « Il Re di
bontà non esige che la sua diletta lavori a rendere più bella la sua
corona, mentre Egli stesso, prodigandole la sua immensa tenerezza, si
compiace di tenerle le mani strette nelle sue; ma ciò che vuole prima
di tutto, è che sempre si trovi pronta a compiere la sua Volontà. Così
il mio divin Cuore si compiace nella sua eletta, sia che sapporti
dolcemente l'infermità che le impedisce di lavorare, sia che si occupi,
per quanto può, della sua carica, quando la sofferenza le lascia un po'
di respiro ».
Siccome poi la malattia le impediva di esercitare perfettamente i suoi
doveri di Abbadessa, ella pensò di dimettersi, ma prima volle sapere da
Geltrude quale era la divina Volontà. La Santa ricevette questa
risposta: « Con tale
malattia santifico la mia Sposa per stabilirmi in essa, quasi in
gradita dimora, così come il Pontefice, mediante la consacrazione,
santifica una chiesa. Le serrature poste alla porta della medesima, la
garantiscono contro i malfattori; così, mediante la malattia, Io la
chiudo, per così dire, afflnchè i suoi sensi siano liberati da una
folla di cose esteriori, che non hanno grande utilità e spesso turbano
il cuore, allontanandolo da me. Nel libro della Sapienza ho proclamato:
« Deliciae meae sunt esse cum fìliis hominum - Le mie delizie sono di
stare coi figli degli uomini » (Prov. VIII, 31). Ho dunque mandato la
malattia a questa mia Sposa per abitare in essa, secondo quest'altra
parola: « Juxta est Dominus his qui tribulato sunt corde - Il Signore è
vicino a coloro che soffrono » (Ps. XXXIII, 19). Ho voluto ch'ella sia
adorna di buoni desideri e di ottima volontà, perchè mi sia dato
dimorare in essa come un re sul suo letto di riposo, e gustare le mie
delizie nella sua anima, prima di fare gustare a lei stessa le gioie
eterne. Lo ho lasciato l'uso parziale dei sensi esteriori, perché
potesse trasmettere ancora le mie volontà alle sue figlie, come altra
volta diedi agli Israeliti l'Arca santa che rivelava i miei oracoli e
nella quale essi dovevano onorarmi. Simile a quell'Arca santa ella deve
dare la manna, cioè diffondere sulle sue suddite la dolcezza delle
consolazioni con teneri affetti, e parole soavi. Ella deve rinchiudere
anche la verga di Aronne per la correzione delle ribelli, dopo di aver
riflesso la cosa nel vigore dello spirito, ricordandosi che avrei
potuto Io stesso correggere i cattivi col rimorso, o con la sofferenza,
ma che ho preferito agire con la sua mediazione per aumentare i suoi
meriti. Quando ella avrà esercitato la sua missione secondo la misura
delle sue forze, non subirà nessun detrimento se, fra coloro ch'ella
corregge, ve ne sono alcune che non si emendano, perchè l'uomo pianta e
inaffia, ma Io solo dò l'incremento ».
Altra volta ella si turbò, temendo che vi fosse negligenza da parte sua
nell'omettere la S. Comunione, l'orazione ed altre pratiche di Regola.
Le sembrava anche di comunicarsi con poco rispetto, poiché la sua grave
infermità le impediva di prepararsi accuratamente. Il Signorà volle
istruirla e consolarla per tramite di Geltrude: « Sappi che quando, per
giusto senso di discrezione, tralascia di comunicarsi; o di compiere
altra pratica, la mia infinita bontà si affretta ad attribuirle un bene
che supplisce a quello che non ha potuto acquistare, perchè tutti i
tesori della Chiesa sono miei, ed Io posso disporre dei medesimi ».
Siccome è proprio delle anime virtuose temere il male anche dove non
esiste, ella si contristò, vedendo le persone che la servivano, perdere
il tempo, poichè le lor cure non le portavano nessun reale refrigerio.
Ma Dio, che è fedele e che non permette che un'anima sia tentata al di
sopra delle sue forze, la consolò ancora per mezzo di Geltrude. «
Desidero che per mio amore e per mio onore ella sia servita con
rispetto, bontà, diligenza e allegrezza, perchè Io, il Dio che in essa
abita, l'ho posta a capo del Monastero; ciascuna è dunque tenuta ad
assisterla, come i membri servono il capo. Ella, da parte sua, deve
rallegrarsi che ani serva di lei, come di un tenero amico, per
aumentare i meriti dei miei eletti, giacchè considererò come resi a me
tutti i servigi che le saranno prodigati, e tutta l'affezione che le si
dimostrerà, sia pure con una sola parola».
Nel giorno di S. Lievino (vescovo e martire, compagno di S. Bonifacio -
XII Novembre) tutta la Comunità si era riunita per domandare la sua
guarigione al santo martire; Geltrude, avendolo pregato con maggior
insistenza, ebbe questa risposta: « Quando il re si rallegra con la sua
sposa nel segreto della camera nuziale, è forse conveniente che un
soldato venga a pregarlo di far uscire la sposa, perchè la famiglia del
servo possa godere la presenza dell'augusta regina? Così non si può
troppo supplicare per avere la guarigione di una persona tanto unita a
Dio e che, con la sua sapienza e bontà, offre al Re dei cieli le prove
della sua tenerezza ». Impariamo che coloro che maggiormente
glorificano Dio nel loro stato d'infermità, meritano, invocando i
Santi, di ricevere una dolce abbondanza di grazia che accresce la loro
pazienza e li aiuta a ritrarre dalla malattia frutti più graditi a Dio.
Prendo come testimonio della fedeltà di quanto dico tutte le persone
che in questa malattia hanno riconosciuto la grazia di Dio, ed ammirato
la virtù di quella veneranda Madre.
Durante ventidue settimane ella rimase così priva dell'uso della lingua
da non poter manifestare nessun desiderio, nè con parole, nè con segni;
ella diceva solo queste due parolette: spiritus meus - il mio spirito.
Le consorelle che la servivano non potevano nè capire, né sodisfare i
suoi desideri. La cara Madre, dopo d'aver ripetuto lungamente e con
fatica: spiritus meus, vedendo che tutto era inutile, taceva come un
dolce agnello, e, guardando con l'occhio semplice della colomba quello
che si faceva contro la sua volontà, sorrideva mestamente, senza mai
lasciar trapelare la minima impazienza.
Il grande amore di Dio e del prossimo, vita della sua vita, erano così
profondamente radicati nei suo cuore che, persino nei momenti del più
acuto spasimo, bastava una sola parola riguardante Dio, per renderla
serena, tanto che sembrava non avere più nulla da soffrire.
La sua grande divozione si manifestava con copiosissime lagrime prima
della S. Comunione, e con lo zelo per ascoltare la S. Messa. Ella
voleva, ad ogni costo esservi condotta, quantunque fosse priva dell'uso
di una gamba e che l'altra fosse così addolorata da non poter neppure
toccarla: ma tutto dissimulava purchè non la privassero del grande
tesoro della S. Messa.
Aveva pure grande fervore per il divin Ufficio. Facile ad assopirsi per
la sua malattia, si faceva violenza per destarsi quando suonavano le
ore canoniche, e riusciva, come per miracolo, a mantenersi sveglia. Se
poi aveva incominciato il suo leggero pasto, le interrompeva sino alla
fine delle preghiera. L'ultima volta che disse: spiritus meus, fu per
chiedere di recitare Compieta, dopo dì che entrò in agonia.
La sua bontà mostrò assai spesso la perfezione della sua carità;
siccome non poteva articolare che le due parole spiritus meus, se ne
serviva in ogni bisogno, per ricevere cioè coloro che la visitavano,
per accompagnare un gesto affettuoso a chi la circondava, per
rispondere a tutte le domande, per esprimere tenerezza alle sue figlie,
stringendo loro la mano e accarezzandole amorosamente. Tutte
confessavano che, lungi dall'annoiarsi, provavano a quel capezzale
delizie misteriose, molto più che se ne avessero ascoltato discorsi
eloquenti, accompagnati da doni preziosi. Ella congedava le sue figlie
con le stesse parole: spiritus meus, levando la mano malata per
benedirle con soavità: scena commovente e dolce!
Un giorno seppe che una sua figlia, colpita da grave malore, aveva
dovuto coricarsi. Quantunque non potesse nè fare un passo, nè dire
altre parole se non spiritus meus, fece capire, con cenni ripetuti, che
voleva visitare l'inferma e lo fece con tanta insistenza che bisognò
accontentarla e condurla dalla malata. Ella le mostrò tali segni di
compassione coi suoi gesti, che anche i cuori indifferenti, ne furono
commossi fino alle lagrime. Ma la penna non può vergare il poema di
virtù e di tenerezza che si celava in quel cuore; perciò offriamo a
Dio, Autore d'ogni bene, un sacrificio di lode per i doni meravigliosi
fatti alla sua Sposa.
Da quanto andiamo dicendo, si può concludere che vi era qualche cosa di
miracoloso nel pronunciare ch'ella faceva, in modo distinto, queste
parole spiritus meus, poichè non poteva dire altro. Geltrude, che
l'amava con particolare tenerezza, volle interrogare il Signore
chiedendoGli la ragione di questo fatto. Egli rispose: « Sono il Dio che abito in essa:
ora Io ho attirato e unito intimamente il suo spirito al mio, si che
ella, in tutte le creature, cerca me solo. Quando per chiedere, o per
rispondere, ella dice spiritus meus, parla di me, che vivo nel suo
spirito. Così ogni volta che pronuncia queste parole, mostro alla Corte
celeste come quest'anima non pensi che a me e le preparo una eterna
ricompensa ».
Potremmo ancora riportare molti altri fatti riguardanti questa venerata
Madre, ma crediamo bene abbreviare perchè tali cose provano una sola
realtà cioè che, essendo ancora visibile, agli occhi umani, pure Dio
abitava in lei e con lei, così che, in tutte le, sue azioni, ella si
lasciava condurre dolcemente, dallo Spirito del Signore (ciò che è
conforme agli insegnamenti della Sacra Scrittura).
Un mese prima di perdere la parola, ella si sentì così male da sembrare
sul punto di morire. Quando le venne data con sollecitudine l'Estrema
Unzione, davanti alla Comunità riunita, il Signore Gesù apparve
raggiante di splendore: Egli tendeva le mani come per abbracciare la
sua Sposa, e stava sempìe di fronte a lei, in modo che potesse vederlo
da qualsiasi parte si fosse voltata.
Géltrude comprese la tenerezza del Signore per la sua Sposa diletta,
giacchè, quattro mesi prima della sua morte, si era mostrato a lei
nello stesso atteggiamento, tendendo le mani per ammettere fa sua anima
al divino amplesso e all'eterno bacio.
Geltrude chiese poi al Signore come mai quella venerarti da Abbadessa
potesse uguagliare i meriti delle vergini già canonizzate, che avevano,
versato il sangue per la fede. Le rispose Gesù: « Il primo anno che
ella ricevette la carica abbaziale unì talmente la sua volontà alla mia
e compi, con la mia grazia, tutte le sue opere con tale perfezione, da
uguagliarsi alle vergini più sante; in seguito ella continuò a
progredire; così le riserbo un aumento di beatitudine pari ai suoi
meriti ». Da queste divine parole si potrà comprendere la fulgida
gloria di cui la nostra Madre è rivestita in cielo.
Quando arrivò il giorno tanto ardentemente desiderato e preparato con
tante suppliche, quando scoccò l'ora dell'agonia il Signore accorse a
lei con gaudio: a destra aveva la sua beatissima Madre, a sinistra S.
Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto. Il Salvatore era seguito
da una immensa moltitudine di Santi e specialmente dalla candida
falange delle Vergini che, durante l'agonia della morente, sembravano
riempire la casa e frammischiarsi con le monache.
Le consorelle non abbandonarono la moribonda, deplorando la sua perdita
con lagrime, sospiri e supplicando Dio per il trapasso di quella
diletta. Quando Gesù giunse al suo capezzale, le mostrò tanta bontà,
con tenerezze divine, che la morte perdette tutta la sua amarezza.
Quando poi, nella lettura del Passio, si giunse a quelle parole et
inclinato capite emisit spiritum, Gesù. parve non poter, più trattenere
le fiamme del suo amore: si chinò verso la malata, aperse con le sue
stesse mani il Cuore e lo tenne davanti a lei.
La Comunità tutta era in preghiera. Geltrude, spinta dalla sua
particolare affezione, disse al Signore: « O buon Maestro, in virtù di
quella inesauribile tenerezza con cui ci hai dato una Superiora così
degna del nostro amore, degnati, per quanto è possibile, assimilarla
alla tua Madre, mostrandole qualche cosa dell'affezione di cui hai
circondato la beatissima Vergine, quando usci dal suo corpo mortale».
Il Signore, commosso da tenera compassione, parve dire a sua Madre: «
Dimmi, o Madre, ciò che ho fatto per Te; di più dolce, quando stavi per
uscire dal corpo, perché questa mia Sposa mi prega di agire nello
stesso modo con la sua Superiora morente ». La misericordiosissima
Vergine rispose con bontà: « La
cosa che mi parve più deliziosa, o Figlio mio, fu quella di trovare un
rifugio sicuro fra le tue braccia ». « Tu hai ricevuto
questo favore, o Madre, per avere meditato spesso sulla terra, con
dolorosi sospiri, tormenti della mia Passione ». E aggiunse: « La mia eletta dovrà supplire a
tali meriti che non ha, sopportando oggi l'angoscia che le procura la
sua respirazione difficile, tante volte quante tu stessa hai sospirato
in terra al ricordo della mia Passione».
Cosi ella passò quel giorno d'agonia. Durante questo tempo ella usufruì
delle tenerezze del divin Cuore che si apriva davanti a lei come un
giardino di fiori profumati, o come un tesoro di aromi preziosi. Ad
ogni istante si vedevano gli Angeli scendere dal cielo, guardarla e
invitarla a seguirli con questa dolce melodia da essi modulata: «
Vieni, vieni; vieni, o Signora, perché le delizie del cielo sono
preparate per te ». « Alleluia, Alleluia! - Veni, veni, veni, Domina,
quia te expeetant coelt deliciae. Alleluia, Alleluial ».;
L'ora deliziosa s'avvicinava, l'ora nella quale le Sposo celeste, il Re
di gloria, il Figlio del Padre si preparava a fare riposare nella
Camera nuziale dell'amore quella Sposa diletta che aspettava con sì
ardenti desideri il volo supremo. Il Signore si avvicinò e le disse
queste dolci parole «
Ecco che nel bacio del mio potente amore, io m'impossesso di te, affine
di presentarti al Padre mio, nell'amplesso del mio Cuore
». Come se avesse voluto dirle: « La mia onnipotenza ti ha trattenuta
finora in terra per darti possibilità di maggior merito; ma l'ardore
della mia tenerezza non può più trattenersi, quindi ti libera dal corpo
e ti consegna a me, come desideratissimo tesoro, perchè calmi la
violenza dell'amore, gustando in te le più soavi delizie ». E subito
quell'anima felice, cento volte felice, lasciando la spoglia mortale,
s'inalzò con giubilio ineffabile, per entrare nell'augusto santuario
del S. Cuore di Gesù, che le era stato aperto con tanto amore, letizia
e generosità, come più sopra abbiamo detto. Nessun mortale saprebbe
immaginare quello che lassù quell'anima, che meritò di passare per tale
via, ricevette di tenerezza, ciò che vide e intese. La debolezza umana:
non potrebbe esprimere che balbettando le tenere carezze dello Sposo
che accolse la sua diletta nelle profondità del suo Sacro Cuore, e i
giocondi trasporti della Corte celeste che, con le sue lodi, parve
coronare quella festa di nuove gioie.
Unite pur non al palpito gaudioso del cielo, tenteremo di cantare un
inno di giubilo e di ringraziamento a Dio, Autore di ogni bene.
Quando dunque quel sole brillante, che aveva diffuso così lontano i
suoi benefici raggi, scomparve dalla terra, quando quella gocciolina
d'acqua rientrò nell'oceano da dove era uscita, le figlie, rimaste
quaggiù nelle tenebre della desolazione, levarono verso il cielo lo
sguardo della fede per tentare di scoprire mediante la speranza,
qualche cosa della gloriosa felicità della loro Madre. Tuttavia esse
continuavano a piangere per il sacrificio di una Madre così buona,
veramente superiore a tutto quello che avevano visto nel passato, e che
potevano sperare nell'avvenire. I loro rimpianti erano però illuminati
da un certo senso di gioia al pensiero della gloria di quell'eletta:
così facevano salire le loro lodi verso il cielo, confidando la loro
desolazione alla tenera affezione dell'Estinta. Esse cantarono il
Responsorio Surge Virgo, et nostra Sponso preces aperi; tua vox est
dulcis in aure Domini: quae pausas sub umbra Diletti. Ab aestu mundi
transfer nos ad amoena paradisi. Pulchre Sion filia pro mortali tunica.
Agni testa vellere, et corona gloriae. Ab aestu. - Levati, o Vergine, e
presenta le nostre preghiere allo Sposo: la tua voce è dolce
all'orecchio del Signore: o tu, che riposi all'ombra del Diletto,
toglici dagli ardori di questo mondo e trasportaci nelle delizie del
Paradiso. O figlia di Sion che hai mutata la tunica mortale con la
veste dell'Agnello e con la corona della gloria.
Essendo malata Matilde, cantora del Monastero, fu Geltrude che intonò
questo canto: il corpo verginale, tempio agusto di Cristo, fu portato
da mani caste in cappella e deposto davanti all'altare.
Quando tutta la Comunità si prostrò in preghiera, l'anima dell'eletta
defunta comparve, rivestita di gloria incomparabile. Ella stava davanti
alla SS. Trinità e pregava per le agnellette che, durante il terreno
pellegrinaggio, le erano state confidate.
Mentre si cantava la S. Messa per la defunta, Geltrude sfogava il suo
dolore con Gesù, il quale volendo consolarla le disse con tenerezza: «
Non basto forse io a darti tutto quello che ti ho tolto? Nel secolo si
usa fidarsi di un uomo onesto, il quale dopo la morte dei suoi
vassalli, prende in tutela i loro beni, perchè si è persuasi che egli
nulla trascurerà per il vantaggio degli eredi. Fidati dunque di me, io
ti consolerò perchè sono la bontà infinita: se tu a me ti rivolgerai
con tutto il cuore, sarò per te, tutto quello che la defunta Madre era
per ciascuna di voi ».
Nello stesso momento in cui, come più sopra si disse, il Signore
ricevette nel suo Cuore l'anima della defunta, diffuse sul mondo intero
una rugiada di grande dolcezza, e Geltrude comprese che in
quell'istante, tutte le preghiere che salivano al cielo erano esaudite.
All'indomani, giorno della sepoltura, Geltrude fece la sua oblazione
all'Offertorio della prima Messa, per l'anima della defunta. Per
supplire ai suoi meriti offerse l'amabilissimo Cuore di Gesù, tale e
quale è nei suoi rapporti con l'umanità, cioè colmo dei beni e delle
perfezioni che scorrono dal medesimo Cuore sui cuori degli uomini, per
risalire poi, con pienezza, verso Dio. Il Signore parve accettare
quell'offerta, sotto il simbolo di un vaso, in forma di cuore, colmo di
ricchi doni: Egli lo chiuse nel suo seno, poi chiamò l'anima della
defunta, dicendole: « Vieni piccola vergine (virguncula) vieni da me, e
disponi dei beni che le tue figlie ti hanno mandato ». Ella si volse
allora al suo Diletto, ed immerse la mano nel seno del Signore,
osservando quello che in esso racchiudeva. Siccome colà trovava la
perfezione di tutte le virtù e di tutti i doni, ella toglieva a uno a
uno quei tesori, li indirizzava a Dio, e diceva con la sua solita
dolcezza: « O amato Gesù, questo converrebbe alla Priora, questo a
quell'altra, e questo a quell'altra consorella». Siccome sulla terra
aveva notato ciò che mancava a ciascuna, ora cercava di supplirvi con
le virtù del Cuore di Gesù. Il Signore, guardandola con ineffabile
amore, le disse ancora: « Avvicinati
di più, o mia diletta ». Ella si alzò e si pose a sinistra
del Signore che la circondò col suo braccio e, serrandola al Cuore, le
disse: « Vedi ora le cose come le miro Io stesso ».
Quelle parole le fecero capire ch'ella era guidata dall'affezione umana
nel distribuire alle sue figlie i doni del Signore, secondo ciò che
aveva conosciuto in terra. Ora che il Signore l'aveva unita totalmente
a sè, ella non poteva vedere se non ciò che Dio vedeva, quel Dio che
ama gli uomini più di quanto noi possiamo comprendere e che però loro
lascia dei difetti, che servono ai suoi disegni di Provvidenza.
All'elevazione Geltrude offerse a Dio, per l'anima della sua diletta
Priora, in unione alla sacratissima Ostia la filiale tenerezza che Gesù
provò per Maria, sua amorosissima Madre. Allora il Figlio di Dio,
chiamando soavemente la defunta, le disse: « Avvicinati, piccola
vergine. Voglio mostrarti la filiale affezione del mio Cuore ». La
Madonna prese quell'anima fra le sue braccia, la condusse dal Signore
che si chinò su lei per farle gustare, con un soavissimo bacio, qualche
cosa della filiale tenerezza che sentiva per la sua Madre. Siccome tale
visione si ripeteva ad ogni S. Messa, e più di venti erano già state
celebrate per la defunta, Geltrude cercò di offrire a Dio qualche cosa
di più grande ancora, per aumentare i meriti della sua amatissima
Priora. Ella presentò dunque la filiale affezione che Gesù, come Dio,
ebbe per il Padre, e che, come uomo, ebbe per la Madre.
Il Figlio di Dio, tenendosi ritto davanti all'eterno Genitore, chiamò
l'anima della defunta e le disse: « Vieni,
mia Signora e mia Regina, perchè ti viene invìato un dono ancora più
prezioso ». E siccome l'anima della defunta, guidata dalla
Mano della Madonna, erasi inalzata a vette sublimi, Geltrude,
seguendola con lo sguardo, le disse: « O Madre mia, ben presto non
potrò più nè vederti, nè capire la meravigliosa gloria che ti circonda
». Ella rispose: « Tu
potrai però sempre interrogarmi su quanto desideri sapere
». E Geltrude: « O Madre cara, perchè le tue preghiere non ci ottengono
di frenare le lagrime? Noi ci sentiamo tutte male a furia di piangere
la tua assenza, pur sapendo che a te non piacciono queste esagerazioni
indiscrete ».
La defunta rispose: « Il mio Salvatore; nella sua dolce tenerezza, muta
per me in gloria e in vantaggio tutto quello che di solito torna di
poco profitto ad altri: ora sappi che, per la discrezione con cui seppi
guidarvi, Egli mi permette di offrire in un calice d'oro tutte le
lagrime che voi versaste per la mia morte. Per ciascuna di queste
lagrime Egli versa in me le dolci acque della Divinità e quando esse
hanno calmato la mia sete, canto al Diletto un inno di ringraziamento
per le mie figlie e per tutti colora che mi piangono ».
Geltrude chiese se tale effetto era raggiunto da tutte le lagrime, o
soltanto da quelle che si versavano in vista di Dio, per il timore che
la sua morte portasse un rilassamento nella religiosa osservanza.
Quell'anima beata rispose: « Questa gioia mi viene elargita, anche per
le lagrime che si versano solo per semplice tenerezza; tuttavia quando
offro le lagrime sparse per l'onore di Dio, allora il mio Salvatore
stesso canta con me l'inno del ringraziamento: queste sante lagrime mi
procurano un gaudio superiore alle altre, così come il Creatore è al di
sopra delle creature ».
Poi, avendo chiamata Geltrude per nome, le disse: « Cara figlia, sappi
che ho ricevuto una ricompensa speciale per averti incoraggiata in
vista di Dio, a compiere quell'affare che bene conosci. Per questo io
ascolto sempre nel Cuore del mio Diletto un canto d'amore che
assomiglia a quello di uno strumento melodioso, tanto che tutta la
Corte celeste si rallegra con me. Tale canto procura ai miei occhi un
mite splendore, al palato un gusto squisito, all'odorato un soave
profumo. Soltanto il senso del tatto non prova speciale godimento,
perchè ho commesso alcune negligenze a questa riguardo, quantunque con
buona; intenzione e per amore di pace ».
Mentre si sonava l'Elevazione, Geltrude offerse l'Ostia santa al Padre,
per riparare le negligenze della defunta. L'Ostia divina apparve allora
come uno scettro ammirabile che sembrava bilanciarsi con un grazioso
movimento: esso era davanti all'anima della defunta che non poteva
tuttavia toccarlo, perchè, nell'altra vita, non si può supplire alle
mancanze commesse quaggiù. In virtù di quel sentimento di affettuosa
riconoscenza di cui il Signore l'aveva dotata, la defunta parve pregare
per tutti coloro che assistevano alle sue esequie: tale preghiera
ottenne a ciascuna la remissione di molti peccati, e un aumento di
grazia, di forza, di vigore per fare il bene.
Alla benedizione che si dava alla fine della S. Messa, la diletta
Priora apparve in piedi, davanti al trono della sempre adorabile
Trinità, alla quale rivolse questa supplica: « O Dio, che sei l'Autore
di ogni, bene, accorda un favore alla mia spoglia mortale. Quando le
mie figlie verranno sulla mia tomba a gemere sulle loro pene e sulle
loro colpe, fa che una segreta consolazione le assicuri che io sono
veramente la loro Madre ».
Il Signore accolse con bontà questa domanda e in nome della sua
Onnipotenza, della sua Sapienza e Bontà, benedisse ciascuna anima in
particolare. Quando poi questa beata Madre venne deposta nella tomba,
il Signore, per confermare quella benedizione, parve fare tanti segni
di croce quante erano le palate di terra che cadevano sulla cassa.
Allorchè essa fu interamente ricoperta, la Vergine Maria, Madre di Dio,
tracciò ella pure con la sua dolce mano, lo stesso segno di croce, come
un sigillo, atto a testimoniare il favore concesso da Dio alla defunta.
All'intonazione del responsorio « Regnum mundi »; dopo la sepoltura, il
cielo parve ammantarsi dì nuova gioia, così come una casa di cui ogni
pietra, e ogni lastra si fossero messe a danzare, per esprimere la loro
allegrezza. La defunta apparve preceduta da un coro di vergini, di cui
ella era la regina: con una mano teneva un giglio circondato da altri
fiori, con l'altra guidava le vergini che le erano state confidate e
che l'avevano preceduta nella gloria. Al loro seguito camminavano altre
vergini del Paradiso. Fra gioia ed allegrezza esse giunsero al trono di
Dio. Alle parole del Responsorio: quem vidi, Dio Padre accordò nuovi
favori a quell'amatissima anima che conduceva le vergini, già sue
figlie. All'altra parola quem amavi, il Figlio di Dio le accordò pure
le sue grazie; all'espressione in quem credidi, lo Spirito Santo
l'arricchì dei suoi doni. Ma quando si cantò quem diiext, la defunta
aperse le braccia per dare un tenero amplesso a Gesù, suo amatissimo
Sposo.
In seguito venne detto il Responsorio Libera me e si vide in cielo
radunarsi un altro coro composto dalle anime che, in virtù dei meriti
della defunta, delle S. Messe e preghiere offerte per lei, in quel
giorno erano giunte all'eterna gloria. In quel numero si notò un
fratello converso del Monastero che aveva trascurato la vita
spirituale; egli per i meriti della santa Priora, aveva avuto il
massimo refrigerio.
Nel trentesimo giorno la beata Priora apparve ancora a Geltrude
raggiante di una gloria così meravigliosa, da eclissare tutto quello
che prima aveva ammirato. Si vedevano rifulgere di splendore
soprattutto i mali sopportati pazientemente nell'ultima malattia. Un
libro d'oro, magnificamente ornato, apparve davanti al trono: esso
conteneva tutti gli insegnamenti che aveva dati agli inferiori. In
avvenire si vedranno i tesori che i suoi esempi e le sue parole avranno
prodotto nelle anime.
Geltrude, stupita di tante meraviglie, chiese alla beata Priora quale
ricompensa avesse ricevuto per i dolori sopportati al braccio destro.
Ella rispose: « Con la destra abbraccio teneramente il mio Diletto e
provo una gioia incomparabile, vedendo come il mio amatissimo Sposo
trovi le sue delizie nell'essere circondato dal mio braccio, come da
preziosa collana. Il lato destro della defunta sembrava, dalla testa
fino ai piedi tempestato di gemme preziose, il cui splendore si
rifletteva anche sul lato sinistro. L'ornamento di destra indicava le
ricompense ai suoi dolori, lo splendore di sinistra stava a significare
i meriti acquistati per l'unione della sua volontà al divin
beneplacito. Era dunque, da una parte e dall'altra, come un gioco di
luci, simile a quello dei raggi di sole che si riflettono nelle acque.
La sofferenza poi che la beata Madre defunta aveva provato per la
perdita della parola, le fu ripagata da un bacio divino, che le venne
dato da Gesù appena spirata, il cui splendore sarebbe durato
eternamente, con gaudio ineffabile di tutta la Corte celeste.
Durante la S. Messa, Geltrude, ricordando il bene ricevuto dalla Santa
Abbadessa, pregò il Signore di ricompensarla Lui stesso. Egli rispose:
« Ciascuna di voi mi venga in aiuto, eccitandomi a diffondere su di lei
i miei doni, perchè non so vedere in me alcun bene, che non sia
disposto a cederle ». E il Signore, guardando con tenerezza la defunta,
aggiunse « I tuoi benefici furono bene accordati, poichè hanno in
ricambio tale riconoscenza ». La Santa Priora si prostrò allora davanti
al trono della divina Maestà e ringraziò Dio per la fedeltà delle sue
figlie, dicendo: « Lode eterna, immensa, immutabile sia a Te,
dolcissimo Dio, per tutti i tuoi benefici, e benedetto sia il tempio
nel quale mi hai preparato a ricevere un frutto sì dolce e salutare ».
E aggiunse: « O Dio, che sei la mia vita, ricompensa Tu stesso per me
». Rispose il signore: « Fisserò su loro lo sguardo della mia
misericordia », nel contempo fece due segni di croce con la mano per
accordare a ciascun membro della Comunità la grazia di dare buon
esempio al prossimo con opere esterne, ed agire unicamente per amore di
Dio.
CAPITOLO II. - L'ANIMA DI E. PARAGONATA DAL SIGNORE A UN BEL
GIGLIO
Dodici giorni dopo il decesso della beata Priora Geltrude, di santa
memoria, morì pure una delle sue care figlie. Questa seconda
separazione aggiunse dolore a dolore, perchè era una monaca amabile,
cara a Dio e agli uomini, sia per l'incantevole purezza, che per la
soavità del carattere e per la grazia dei suoi rapporti con tutti.
Dopo la sua morte, Geltrude, ricordando le delizie che si provavano
vivendo con essa, disse melanconicamente a Gesù: « Ohimè, amantissimo
Signore! perchè ce l'hai portata via così repentinamente? ». Egli
rispose: « Mentre si
celebravano i funerali della mia diletta Geltrude, vostra Abbadessa,
provai gaudio immenso per la divozione della Comunità nella quale
discesi per pascermi fra i gigli. Questo fiore piacque a me più degli
altri: tesi la mano per coglierlo, la strinsi per undici giorni fra le
mie dita prima di svellerlo. Le sofferenze della malattia ne accrebbero
vaghezza e profumo allora lo colsi e adesso forma la mia gioia in cielo
». E il Salvatore aggiunse: « Quando
al ricordo del fascino che questa consorella esercitava intorno a sè,
ne provate rimpianto, pur tuttavia l'abbandonate serenamente al
beneplacito della mia Volontà, allora aspiro anche meglio il profumo di
questo giglio, e la mia bontà ve ne ricompenserà al centuplo
».
All'Elevazione dell'Ostia, mentre Geltrude, con affezione di sorella,
offriva per la defunta tutta la fedeltà del Cuore di Gesù, ella la vide
inalzata a una dignità più grande, come se fosse stata trasferita in
uno stato più sublime, rivestita di abiti più luminosi, e circondata
di, Angeli più elevati. Geltrude ebbe la stessa visione ogni volta che
fece la medesima offerta per l'anima di E. La Santa volle poi sapere
dal Signore come mai quella vergine saggia, avesse dimostrato durante
l'agonia, con gesti e con parole, un grande terrore della morte. Gesù
rispose; « L'ho
permesso, per una grazia della mia infinita tenerezza. Infatti, qualche
giorno prima, già malata, essa mi aveva pregato, per tuo tramite, di
riceverla, subito dopo la sua morte in cielo, e sulla tua parola
confidava di ottenere tale privilegio. Volli premiare la sua fiducia.
Ma in tempo di giovinezza è facile commettere qualche leggera
negligenza, come per esempio, compiacersi in cose inutili ecc. Le
sofferenze della malattia dovevano purificarla da queste macchie: così,
prima di chiamarla alla gloria del cielo, volli che i suoi dolori la
rendessero meritevole dell'immediato ingresso in Paradiso, e permisi
che fosse spaventata alla vista dei demonio. Tale angoscia le servì di
purgatorio, mentre le sofferenze patite erano un prezioso titolo per
meritare la ricompensa dei cieli ». Geltrude Insistette:
« E Tu, mio Gesù, speranza dei disperati, dov'eri mai, mentre essa
sopportava quegli spaventevoli terrori?». Rispose il Signore: « Io mi
ero nascosto alla sua sinistra: ma appena l'ebbi purificata, mi
presentai a lei e la condussi meco nel gaudio eterno dei cieli ».
CAPITOLO III. - SI PARLA DELL'ANIMA DI UNA GIOVINETTA DEVOTA
ALLA SS. VERGINE
Poco tempo dopo morì una giovinetta che, fin dall'infanzia, era stata
divotissima della Madonna. Avendo terminato la sua breve carriera,
venne chiamata all'eterna ricompensa. Munita di tutti i sacramenti
della Chiesa, ella stava per entrare in agonia, quando con le mani
tremanti prese il Crocifisso, salutò le S. Piaghe con espressioni
tenere, le ringraziò, le adorò, le coperse di baci così ardenti, che
tutte le consorelle ne provarono straordinaria compunzione.
In seguito ella chiese, con brevi preghiere, al Signore, alla Vergine
Maria, agli Angeli, ai Santi di ottenerle il perdono dei peccati, di
supplire a quanto le mancava, di proteggerla nell'ora della morte;
infine, riposando un istante come se fosse stata stanca, s'addormentò
con confidenza nel Signore.
La Comunità si mise tosto in preghiera per il sollievo di quell'anima e
Gesù apparve a Geltrude: Egli teneva fra le braccia l'anima della
defunta, la carezzava amabilmente e le diceva: «Mi riconosci, figlia
mia?». Geltrude, vedendo ciò, pregò il Signore di ricompensare
quell'anima soprattutto per l'umiltà che l'aveva spinta a servire lei e
le altre consorelle, perchè le credeva più care a Dio e desiderava
partecipare ai loro meriti. Allora Gesù presentò alla defunta il suo
Cuore divino, dicendole: «Bevi,
figlia mia, in questo vaso traboccante quanto tu desideravi ricevere
per i miei eletti quando eri in terra ».
All'indomani, durante la S. Messa, quell'anima apparve come seduta in
grembo al Salvatore e la Regina del cielo venne vicino a lei,
presentandole i suoi gioielli ed i suoi meriti. Quando la Comunità
recitò per essa il Salterio, aggiungendo un'Ave Maria dopo ogni salmo,
la Madre di Gesù moltiplicò i doni suoi a quell'anima, come ricompensa
della sua speciale divozione.
Geltrude chiese poi al Signore di quali fragilità aveva dovuto
purificare la defunta prima della morte.
Egli rispose: « Ella si
compiaceva nel suo proprio giudizio: l'ha purificata permettendo che
morisse prima che la comunità terminasse le preghiere, che si dicevano
per lei. Infatti, quand'ella comprese che ciò avveniva, temette di
subirne detrimento e tale angoscia la purificò da ogni imperfezione.
Geltrude aggiunse: « Ma Signore, quest'anima non si era forse
purificata sufficientemente con la contrizione che ebbe in punto di
morte, quando ti ha pregato di mondarla da tutte le colpe? ». E Gesù: «
Quella contrizione
generale non era sufficiente, bisognava che subentrasse una sofferenza
per cancellare l'attacco al suo proprio giudizio, per cui non si
piegava subito docilmente a coloro che la dirigevano ». E
aggiunse: « Ella dovette essere purificata anche da un'altra macchia,
contratta per la noia ch'ella provava a confessarsi; la mia bontà però
le ha perdonato questa imperfezione, in vista di coloro che avevano
cura di lei, e che sono i miei ed i suoi amici. Per la pena che ha
provato, confessandosi in punto di morte, le ho rimesso ogni negligenza
su questo punto ».
Durante la S. Messa, mentre si cantavano all'Offertorio queste parole:
« Hostias ac preces », il Signore parve levare la mano destra. Allora
un magnifico bagliore rischiarò tutto il cielo, e investì quell'anima
che riposava in grembo a Cristo. Tutti i cori dei Santi si
avvicinarono, ordine per ordine, deposero i loro meriti in seno a Gesù,
per supplire a quelli che la defunta non aveva acquistati.
Geltrude comprese allora che i Santi agivano in tal modo, perchè
quell'anima aveva avuto l'abitudine di supplicarli affinché
applicassero ai defunti i loro meriti, quale espiazione dei loro
difetti. Quantunque poi tutti gli abitanti del cielo le mostrassero
segni speciali di tenerezza, pure le vergini lo facevano in modo più
ardente, essendo essa una del loro numero.
Un'altra volta Geltrude pregò ancora per l'anima di quella giovane
Religiosa: le sue parole furono brevi, ma possenti. Esse apparvero
scolpite sul petto del Signore, quasi come finestrelle che facevano
vedere l'interno del Cuore di Gesù, Figlio di Dio. Ella intese Gesù
dire a quell'anima: « Guarda
in ogni parte del cielo: vedi se qualche Santo possiede un bene che
tudesideri e attingi quel bene nel mio Cuore, attraverso a queste
aperture ».
Geltrude comprese che lo stesso favore si rinnovava a ogni preghiera
offerta per quell'anima.
All'Elevazione dell'Ostia, il Figlio di Dio parve presentare: a quella
giovane Religiosa il suo sacratissimo Corpo sotto l'aspetto di un
agnello immacolato. Mentre essa lo baciava con tenerezza, fu come
trasfigurata, ricevendo una nuova gioia nella conoscenza della
Divinità. Geltrude chiese allora alla defunta di pregare per le anime
che le erano affidate. Rispose: « Prego per esse, ma non posso volere
se non quello che vuole il mio amatissimo Signore». Riprese la Santa: «
E' dunque allora inutile appoggiarsi alla tua preghiera? ». « No, essa
sarà loro di vantaggio, perchè il Signore, che conosce i loro desideri,
ci eccita a pregare secondo le loro intenzioni ». « Puoi tu intercedere
specialmente per le tue più intime amiche che nulla hanno ancora
chiesto? ». « Il Signore stesso, nel suo amore, fa loro un gran bene
per causa nostra ». « Prega almeno specialmente per il Sacerdote che
ora si comunica per te ». « Egli avrà doppio vantaggio per tale atto:
come il Signore da lui riceve per dare a me grarzie preziose, così, a
mia volta, rimando tali beni verso il Sacerdote, unendovi grazie
personali; il suo profitto spirituale si accresce come l'oro appare più
bello quando vi sono incastonate varie gemme».
Geltrude chiese: « Dalle tue parole mi pare di poter concludere che è
più vantaggioso celebrare delle Messe per i defunti, piuttosto che per
altre intenzioni». La giovane Religiosa rispose: « In vista della
carità con la quale si aiutano, le anime purganti, la S. Messa produce
maggiori frutti che se fosse celebrata soltanto per dovere sacerdotale.
Ma se un moto intimo del cuore getta íl sacerdote in Dio, e lo fa
celebrare sotto tale impulso, allora il S. Sacrificio è ancora più
fruttuoso ».
Geltrude aggiunse: « Dove hai tu appreso tante cose, mentre avevi in
terra un'intelligenza così limitata? ». Ella replicò: « Ho appreso ogni
cosa da Colui di cui S. Agostino disse: « avere visto Dio una sola
volta, significa avere tutto appreso ».
Un altro giorno Geltrude vide la defunta raggiante di gloria, adorna di
abiti scarlatti: ne chiese la ragiono al Signore, il quale rispose: «
Come gliene avevo fatto promessa, per tuo tramite, così l'ho rivestita
della mia Passione; perchè nonostante la grande debolezza della sua
salute, non si è mai astenuta dai lavori comuni imposti dalla Regola e
quantunque si spendesse al di là delle sue forze, pure non lasciò
sfuggire nè un lamento, nè una impazienza». Il Signore aggiunse: « Le ho poi dato parecchi nobili
principi della mia corte, affinchè le rendano onori particolari per
compensare gli spasimi sopportati durante la malattia. Un braccio le
cagionò particolari sofferenze, perciò ella mi tiene abbracciato nella
gloria con tale beatitudine che vorrebbe avere sofferto cento volte di
più ».
Siccome Geltrude bramava sapere se la Congregazione riceveva qualche
soccorso dalle anime beate che aveva dato al cielo, la defunta rispose:
« Esse vi procurano aiuti immensi, perchè il Signore moltiplica i suoi
benefici a vostro riguardo, per ciascuna delle vostre consorelle salite
all'eterna gloria ».
Durante una S. Messa che non era cantata per i defunti, Geltrude,
pregando ancora per la stessa Religiosa, la vide nella gloria e chiese
quale frutto ritraeva da quel Santo Sacrificio. Rispose ella: « Non
attinge una regina nelle ricchezze del suo re e Signore? Ora che sono
unita al mio Re, dolcissimo Sposo, ho parte a tutti i suoi beni e mi
assido alla sua tavola come regina a quella del suo sovrano. Per tutte
queste grazie siano lode e gloria in tutti i secoli al Signore, Re dei
Re ».
CAPITOLO IV. - FELICE MORTE DI S. MATILDE, CANTRICE DEL
MONASTERO
Quando Matilde devotissima maestra di coro, ricca di buone opere e
tutta piena di Dio fu mortalmente inferma, volle, circa un mese prima
del suo trapasso, seguire secondo una sua pia abitudine, l'esercizio
della morte, composto da Geltrude. Una domenica, dopo essersi
comunicata, ella consegnò la sua ultima ora alla divina misericordia.
Geltrude pregò per lei e vide in spirito, che il Signore aveva attratto
per sua divina virtù, l'anima di Matilde e l'aveva poi rimandata al suo
corpo per prolungare ancora un po' la sua santa vita. Geltrude chiese a
Gesù: « Perché vuoi, amato Signore, ch'ella rimanga ancora in terra? ».
Egli rispose: « Perchè
voglio completare ciò che la mia divina Provvidenza ha stabilito di
operare in essa. A tal fine ella mi servirà in tre maniere: mi offrirà
cioè il riposo dell'umiltà, il banchetto della pazienza e il sollievo
di diverse virtù. Per esempio in tutto quello che vedrà e sentirà del
prossimo, ne farà motivo dil umiltà, ponendosi al di sotto di tutte,
facendomi così gustare un riposo delizioso nel suo cuore e nell'anima
sua. Ella inoltre si mostrerà serena nelle sofferenze e tribulazioni,
le accoglierà con amore, sostenendo volentieri ogni pena: mi preparerà
così un banchetto sontuosamente servito. Infine nella generosa pratica
di altre virtù, Matilde mi offrirà un riposo che sarà la delizia della
mia Divinità ».
Un'altra volta; dovendosi Matilde comunicare, Geltrude chiese al
Signore che cosa avesse in essa operato. Egli rispose: « Mi riposo fra i suoi dolci
amplessi, come su di un letto nuziale ». Geltrude comprese
che la camera nuziale ove l'anima riposava in Dio e Dio nell'anima, era
la disposizione costante che la portava, fra pene e dolori continui, a
confidare nella bontà di Dio, a credere che la divina misericordia
dirigeva tutto per suo bene, a ringraziare il Signore e ad abbandonarsi
con fiducia nella sua paterna Provvidenza.
Siccome Matilde peggiorava rapidamente e verso sera soffriva assai di
cuore, veniva compassionata dalle consorelle che s'avvicinavano,
vedendola fra tanti dolori. Ma ella le consolò dicendo: « Non piangete
e non attristatevi a mio riguardo, mie dilette, perchè compatisco
talmente alla vostra desolazione che, se fosse la Volontà del nostro
dolce Sposo, vorrei vivere sempre nonostante questi dolori, per potere
continuare a consolarvi in tutto ».
Altra volta insistettero presso la malata, perchè prendesse una
medicina che si credeva dovesse farle bene. Ella cedette nonostante la
sua estrema ripugnanza, ma appena sorbito il farmaco, i suoi dolori.
crebbero. Geltrude bramò sapere all'indomani come Gesù avrebbe
ricompensato l'amabile accondiscendenza della malata. Il Salvatore
rispose: « Col dolore che quella medicina le ha prodotto, ho composto
un rimedio salutare per tutti i peccatori del mondo, per le anime del
purgatorio ».
Nella domenica Si iniquitates, la penultima dopo Pentecoste, Matilde si
comunicò per l'ultima volta. Geltrude pregava per lei, quando il
Signore le ispirò di avvertirla, affinchè si preparasse a ricevere
l'Estrema Unzione. L'incarica pure di dirle, da parte sua, che, dopo
aver ricevuto quel Sacramento salutare, Lui stesso, custode
diligentissimo di coloro che ama, l'avrebbe raccolta nel suo Cuore, per
preservarla dalla minima macchia, proprio come un pittore vigila il
quadro che ha terminato, mettendolo a riparo dalla polvere.
Geltrude avvisò la malata: ma siccome Matilde era sempre stata
sottomessa ai suoi Superiori, così si rimise alla loro guida anche per
l'Estrema Unzione, non volendo anticiparla di sua volontà,
abbandonandosi completamente alla divina Provvidenza, che aiuta coloro
che in essa pongono la loro fiducia.
I Superiori, da parte loro, avevano una grande venerazione per la
malata, ed erano sicuri che Dio l'avrebbe avvisata di domandare lei
stessa i Sacramenti, a tempo opportuno, Così vedendo che nulla diceva,
attesero. Ma il Signore, per mostrare la verità della parola evangelica
« Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno »
(Matt. XXIV, 35), confermò quanto aveva detto alla sua Sposa prima del
Mattutino della seconda feria, Matilde si sentì così male da essere
ridotta agli estremi. Allora si chiamò in fretta il Sacerdote ed ella
ricevette l'Estrema Unzione, se non quel giorno stesso, almeno prima
dell'alba del giorno seguente.
Mentre Geltrude pregava per essa, durante l'unzione degli occhi,
comprese che il Signore circondava l'agonizzante con tutta la tenerezza
del suo divin Cuore: Egli dirigeva verso di lei i raggi del suo
infinito splendore per comunicarle, in quella luce, tutti i meriti
acquistati dai suoi santissimi occhi.
Da quel momento gli occhi della malata parvero stillare, sotto l'azione
efficace della bontà divina, uni olio d'incomparabile dolcezza.
Geltrude comprese che il Signore, per i meriti di Matilde, accorderebbe
il soccorso delle sue consolazioni a tutti coloro che la pregherebbero
e capì che Matilde aveva ottenuto quel favore, perché la carità l'aveva
sempre animata a mostrarsi tenera e amabile verso tutti, durante la
vita.
Quando il Sacerdote le fece le altre unzioni sui diversi sensi, il
Signore le comunicò le opere perfette delle sue sacratissime membra.
All'unzione delle labbra, quell'amante geloso delle anime, in uno
slancio di tenerezza, depose su di esse un bacio più dolce del miele,
comunicandole così tutto il frutto delle parole della sua sacra bocca.
Durante la recita delle Litanie alle parole: Omnes Sancti Seraphim et
Cherubim, orate pro ea, Geltrude vide la falange di quegli spiriti
celesti, aprire le loro file, con gioia rispettosa, per preparare un
posto d'onore a quell'eletta di Dio. Conveniva ch'ella fosse posta nei
ranghi superiori degli spiriti più vicini alla divina Maestà, perché
con la sua verginale santità aveva condotta in terra vita angelica.
Oltrepassando il coro degli Angeli aveva attinto coi Cherubini, alla
sorgente dell'infinita Sapienza, i torrenti dell'intelligenza
spirituale; coi Serafini ardenti ella aveva stretto fra le braccia
della carità Colui che è fuoco consumatore: ignis consumens est (Deut
IV, 24).
Man mano che nelle litanie s'invocava il nome dei Santi, ciascuno di
essi si alzava con riverente gaudio e deponeva i suoi meriti, sotto
forma di doni preziosi, nel seno del Signore, perchè li offrisse alla
sua diletta, accrescendo così la sua gloria e beatitudine.
Dopo le sante unzioni il Signore la prese amorosamente fra le braccia
custodendola per ben due giorni, con le labbra applicate alla ferita
del divin Cuore, in modo ch'ella sembrava aspirarvi il soffio vitale;
rimandandolo poi in quella sacra apertura.
S'avvicinava l'ora gioconda dei trapasso, l'ora nella quale il
Salvatore avrebbe dato alla sua eletta il dolcissimo sonno dell'eterno
riposo, dopo i dolori delle terrene fatiche. Era la terza feria,
vigilia di S. Elisabetta, prima di Nona, quando Matilde entrò in
agonia. La Comunità accorse devotamente per accompagnare, con le solite
preghiere, la partenza di quell'anima tanto amata nei Cristo.
Geltrude, più fervente delle altre, vide l'anima della malata sotto
forma di una bella giovinetta che stava ritta davanti al Signore,
esalando nella ferita del divin Cuore, il soffio ché ivi aveva
aspirato. L'adorabile Cuore parve allora non poter più contenere il
torrente della sua bontà e della sua dolcezza: ogni volta che aspirava
il soffio dell'agonizzante, Egli faceva piovere, con slancio d'amore,
abbondante rugiada di grazie su tutta la Chiesa e specialmente sulle
persone presenti.
Geltrude ebbe l'intelligenza di questa visione. In quel momento la
Santa agonizzante, per grazia di Dio, allargava il desiderio di bene al
mondo intero e a tutti i defunti. Gesù accordava grazie universali.
Durante l'antifona Salve Regina, alle parole Eja ergo advocata nostra,
l'eletta da Dio, sul puntò di spirare, si rivolse con amore alla
Vergine Maria e le raccomandò le consorelle che stava por lasciare,
pregandola di circondarle, per amor suo, di speciali tenerezze. Ella le
ricordò che durante tutta la vita era stata, fra le sorelle,
un'avvocata benevola, premurosa, previdente e pregò la Madre di
misericordia di difendere le loro cause intercedendo presso il suo
Figlio per la comunità.
La Vergine accolse questa preghiera e, posando le sue mani benedette su
quelle della morente, mostrò di accettare in eredità il Monastero che
le veniva confidato. Mentre si recitava la breve preghiera: Ave Jesu
Christe, alle parole via dulcis, Gesù, tenero Sposo di Matilde, appianò
e addolcì la via con un'effusione della sua Divinità, per attrarre a sè
la sua diletta con maggior tenerezza e minore sforzo.
Durante il giorno dell'agonia ella non disse che queste parole: Jesu
borse, Jesu borse! mostrando in tale modo che Colui, il cui nome
ritornava così spesso sulle sue labbra, fra gli amari dolori della
morte, abitava veramente nelle profondità della sua anima. Le
consorelle a una a una raccomandarono alle sue preghiere i bisogni
particolari. Ella non poteva parlare, ma diceva tuttavia sommessamente:
« volontieri! » oppure « sì! » per mostrare con quale tenerezza
trasmetteva al Signore tutte quelle suppliche.
Geltrude comprese altresì che, da tutte le membra sofferenti della
malata, esalava un vapore che penetrava l'anima sua purificandola
mirabilmente da ogni macchia, santificandola e rendendola atta a
gustare subito l'eterna beatitudine.
Geltrude, che ebbe la conoscenza di tali cose, si propose in un primo
tempo, di tenersele celate in cuore per non tradire il segreto delle
sue rivelazioni; ma poi vide chiaramente che quel progetto era
contrario al volerei di Dio « cujus gloria est revelare sermonem - che
è glorificato quando si rivela la sua parola » e che disse: « Quod in
aure auditis, praedicate super tecta - Quello che avete udito,
predicatelo sui tetti » (Matt. X, 27).
Durante i Vespri di S. Elisabetta si credette che Matilde stesse per
spirare. La Comunità lasciò il coro in fretta per recitare al letto
dell'agonizzante le preghiere di rito. Ma Geltrude, per quanto si
sforzasse di applicare i suoi sensi interiori, nulla poteva percepire
di quanto riguardava la morente. Allora, riconoscendo la sua colpa,
promise al Signore di far conoscere, per la sua gloria e il bene del
prossimo, tutto quanto si fosse degnato rivelarle.
Dopo Compieta la malata parve, per la terza volta, spirare. Geltrude,
rapita in estasi, vide quell'anima sotto l'aspetto di una graziosa
giovinetta, adorna di ricchi monili, che designavano le sue lunghe
sofferenze. Ella si precipitò con slancio fra le braccia di Gesù Cristo
e parve attingere dalle sue Piaghe, delizie speciali, come ape la quale
raccolga dai fiori miele squisito.
Mentre si recitava il Responsorio « Ave Sponsa Virginum Regina, Rosa
sine spina - Salve, Sposa, Regina delle vergini, rosa senza spine», la
gloriosa Vergine si avanzò e dispose ancor meglio l'anima di Matilde a
godere le delizie di una beatitudine immediata. Allora in virtù dei
meriti di sua Madre, in virtù soprattutto della dignità che le ha
meritato il titolo di Madre Vergine, il Signore Gesù, prese una
collana, riccamente adorna di gemme preziose e la pose al collo della
morente. Volle conferirle il privilegio di essere chiamata ella pure
vergine madre, come la Regina del cielo, perchè aveva generato il
Cristo nelle anime con uno zelo ardente d'amore.
Nella notte della festa di S. Elisabetta, appena iniziato il Mattutino,
lo stato di Matilde si aggravò a tal punto che si credette imminente la
morte: la Comunità lasciò il coro ed accorse secondo l'uso al capezzale
dell'inferma.
Apparve allora Gesù, come uno Sposo raggiante d'onore, di gloria,
adorno di tutto lo splendore della Divinità. Egli si rivolse alla
morente con bontà: « Presto, mia diletta, ti esalterò allo sguardo
delle persone a te più vicine, cioè alla presenza di questa Comunità
che prediligo ».
Poi in un modo ineffabile ed incomprensibile, salutò quella beata
anima, attraverso le ferite del suo sacratissimo Corpo, in guisa che
ciascuna aveva quattro modi dolcissimi e pieni di grazia per chiamare
l'anima che stava per lasefare la terra. Era un suono melodioso, un
sapore pieno di virtù, un'abbondante rugiada, una luce ineffabile. Il
suono melodioso che superava tutte le armonie simboleggiava le parole
che la Sposa di Cristo aveva detto durante la vita, sotto l'influenza
del divino amore, o spinta dalla brama di procurare la salvezza del
prossimo: esse erano fruttificate al centuplo, e attraverso alle
sacmtissime Piaghe di Gesù, ritornavano a lei per arricchirla. Il
meraviglioso vapore significava i desideri ch'ella aveva avuto di
lodare Dio, glorificandolo con la salvezza del mondo intero. Anche
questi desideri ricevevano ricompensa dalle dolci ferite del Salvatore
Gesù. L'abbondante rugiada esprimeva l'ardente amore ch'ella aveva
sempre avuto per Dio e per il prossimo in vista di Dio, amore che le
comunicava delizie ineffabili attraverso le Piaghe, adorabili di Gesù.
Infine la luce brillante era il simbolo dei diversi dolori di anima e
di corpo, che aveva sopportato in vita: tali sofferenze, nobilitate in
modo stupendo per l'unione alla Passione di Cristo, santificavano
l'anima sua, trasfigurandolai in un divino splendore.
La morente riposava in mezzo a queste celesti consolazioni, e invece di
sciogliersi dai legami terreni aspirava a beni superiori, preparati dal
suo Diletto. Su tutte le persone presenti il Signore riversava
l'abbondante rugiada della sua divina benedizione, dicendo: « La mia bontà si compiace di
mostrare ai membri di questa Comunità che mi è così cara, la
trasfigurazione che compio nella mia Sposa. Questa grazia le varrà in
cielo, davanti a tutti i Santi, l'onore di cui godono i miei apostoli
prediletti Pietro, Giacomo, Giovanni, scelti come testimoni della mia
trasfigurazione sul Tabor ».
Geltrude chiese allora: « Quale vantaggio procura questa benedizione e
l'effusione delle tue grazie a delle anime che non vedendo tali cose,
non ne gustano il sapore?». Rispose Gesù: « Quando un uomo riceve dal suo
signore il dono di un ricco frutteto, non può conoscere il gusto dei
frutti che produrrà: aspetta la stagione della maturanza. Così quando
io diffondo la mia grazia su di un'anima, essa ne gusta la dolcezza
soltanto se, con la pratica generosa della virtù, spezza la scorza
delle voluttà terrestri e si nutre con la mandorla delle consolazioni
interiori ». Il Signore benedisse in seguito la Comunità
che ritornò in coro per terminare il Mattutino.
Mentre si cantava il XII responsorio: « O Lmpas » l'anima di Matilde
apparve ritta, davanti alla Trinità suprema, in atto di pregarla con
fervore per la Chiesa. Dio Padre la salutò con le stesse parole,
cantando anche la dolce melodia: « Ti
saluto, o mia eletta perchè, per gli esempi della tua santa vita, puoi
essere chiamata « la lampada della Chiesa dalla quale scorrono ruscelli
di olio: Lampas Ecclestae, rivos fúndens olet »; cioè i rivoli
benedetti delle tue preghiere che si diffondono su tutta la Chiesa
».
Il Figlio di Dio disse a sua volta: « Rallegrati, o mia sposa: tu sei
chiamata, a buon diritto « medicina gratiae - rimedio della grazia »,
perchè con le tue suppliche molti riceveranno grazie più abbondanti. In
seguito lo Spirito Santo cantò: « Salve, o mia immacolata, tu sarai
chiamata, con giustizia « nutrimentum fidei - alimento della fede »
perché la virtù della fede sarà rinvigorita e temprata nei cuori di
coloro che crederanno piamente a quanto si opera in te, non
corporalmente, ma spiritualmente.
Dio Padre allora le fece parte della sua onnipotenza, affinchè
l'offrisse come una protezione assicurata - (tutelam) - a tutti coloro
che temendo - (paventibus) - della fragilità della loro natura, non
hanno ancora un'assoluta confidenza nella bontà divina. Lo Spirito
Santo le conferì il dono di riscaldare le anime tiepide - (calorem
minus fervidis) - col fervore della sua carità. Infine il Figlio di Dio
le concesse in unione con la sua santissima Passione e morte, di
guarire - (medelam) - tutti i languenti nel peccato - (languidis).
Allora la moltitudine degli Angeli e dei Santi, si mise a esaltarla
davanti al Signore, dicendo: « Tu Dei saturitas, oliva fructifera,
cujus lucet purttas et resplendent opera - In te Dio si sazia, oliva
feconda, la cui purezza brilla e le opere risplendono ». A quelle
parole: « cujus lucet puritas » i Santi onorarono il dolce riposo che
il Signore si era degnato prendere in quell'anima: alle parole et
resplendent opera, esaltarono la purezza d'intenione che aveva avuto in
ogni atto. Infine tutti i Santi intonarono ad alta voce l'antifona:
Deus palam omnibus revelans justitiam, salutarem gentibus per hanc
infudit gratiam - Dio, che ha rivelato la sua giustizia a tutti, ha
diffuso, per mezzo di quest'anima, la sua grazia sulle nazioni ».
Durante il prefazio della S. Messa in canto, Gesù, lo Sposo raggiante
di gioventù e di bellezza, apparve come rivestito di una nuova gloria e
si pose in modo che il suo Volto adorabile era in linea retta davanti a
quello della Morente, tanto da poterne attrarre il respiro. Egli fissò
i suoi divini occhi in quelli della sua Sposa per illuminarla,
santificandola con maggiore abbondanza onde prepararla all'eterna
beatitudine.
L'ora desideratissima si avvicinava, nella quale la sposa di Cristo,
perfettamente adorna secondo il gusto del Diletto, doveva entrare nella
camera nuziale. Allora il Dio di maestà, inondato Lui stesso di
delizie, l'investi con la luce della sua Divinità e intonò questo dolce
invito: « Vieni, o benedetta dal Padre mio, ricevi il regno che ti è
stato preparato. Levati, af frettatt, amica mia». Le ricordò anche il
preziosissimo dono del suo Cuore (I) che le era stato accordato alcuni
anni prima, come pegno del suo amore, pronunciando le stesse parole, e
le consolazioni che da quel giorno le aveva sempre prodigate.
Salutandola teneramente, le chiese: « Ov'è il mio pegno? ». A queste
parole ella aperse il suo cuore con le mani e lo pose davanti al suo
diletto Signore. Egli applicò il suo adorabile Cuore a quello della sua
Sposa, l'assorbì in se stesso per la virtù della sua divinità e l'unì
felicemente alla sua gloria.
Possa ella nella sua felicità immensa, ricordarsi delle anime care e
ottenerci la grazia del divino amore!
Mentre si faceva la raccomandazione dell'anima, secondo l'uso, il
Signore apparve assiso nella maestà della celeste gloria, accarezzando
teneramente l'anima che riposava sul suo seno.
Quando si recitò: c Subvenite, Sancti Dei: occurrite, Angeli Domini,
suscipientes animam ejus - Soccorretela, Santi di Dio: Angeli di Dio,
venitele incontro. Ricevete la sua anima », gli Angeli, vedendola
accolta con tanto onore dal Signore, vennero a incontrarla, piegando il
ginocchio come vassalli che ricevono un feudo dalle mani del sovrano;
essi constatarono che i meriti che avevano offerto alla diletta Sposa
di Cristo al momento dell'Estrema Unzione, erano raddoppiati e
nobilitati. I Santi fecero ciascuno come gli Angeli, quando nelle
Litanie venne invocato in particolare il loro nome.
Geltrude si senti ispirata a chiedere a Matilde di pregare per la
conversione delle persone ch'ella aveva particolarmente amato. Ella
rispose: « Vedo in piena luce di verità come l'affetto che ebbi per le
anime in terra, paragonato all'amore che loroi porta il divin Cuore, è
come una goccia di rugiada di frontq all'oceano. Capisco pure le mire
di Dia permettendo che abbiano certi difetti; è per farle crescere in
umiltà, o per dare loro il merito di una lotta perseverante. Non posso
dunque, neppure per un attimo, volere altra cosa di quello che il mio
Signore ha ordinato nella sua sapienza, così mi prodigo in continui
ringraziamenti per i decreti ammirabili della divina Bontà ».
Il giorno dopo alla prima S. Messa che era Requiem aeternam, l'eletta
di Dio parve porre delle cannule d'oro che andavano dal Cuore di Gesù
verso tutti coloro che avevano per essa una divozione particolare. Così
quelle cannule, dovevano attingere nel Cuore divino, tutto quello che
desideravano. A ciascuna di esse si adattava un filo d'oro coi quale
attraevano quanto bramavano, dicendo queste parole o altre consimili: «
Per l'amore che ti ha spinto, o Gesù, a colmare di beni la tua eletta
Matilde, o altro eletto, come tutte le anime privilegiate che non hanno
messo ostacolo alle tue grazie, per l'amore altresì che ti ha portato a
diffondere i tuoi beni in terra e in cielo, esaudiscimi, o Gesù, in
nome di Matilde e dei tuoi Santi ». Tali parole, dette con fiducia,
piegheranno facilmente la divina clemenza a esaudire qualsiasi
preghiera.
All'Elevazione della sacratissima Ostia, Matilde parve desiderare di
essere offerta al Padre con l'Ostia Santa per la sua gloria e la
salvezza del mondo. Perciò il Figlio di Dio, che non lascia
insoddisfatto nessun desiderio dei suoi eletti, l'attrasse a sè e la
presentò al Padre con l'Ostia Santa: indi procurò di diffondere i
salutari effetti del Sacrificio, raddoppiato in un certo senso da
quell'unione, irradiando nuovi tesori in cielo, in terra, nel
purgatorio.
Un'altra volta Geltrude vide nuovamente la beata Matilde nella gloria,
e le chiese che cosa aveva guadagnato per la recita che le sue amiche
avevano fatto a suo onore dell'antifona: « Ex quo omnia, per quem
omnia, in quo omnia, ipsi gloria in saecula - Tutto da Lui, tutto per
mezzo di Lui, tutto è in Lui: a Lui sia gloria in eterno » ripetuta
tante volte quanti giorni essa era vissuta in terra, come delle SS.
Messe in onore della SS; Trinità che avevano fatto celebrare in numero
uguale agli anni della sua vita. Tali preghiere e SS. Messe avevano per
scopo di rendere a Dio gloria e ringraziamenti per i benefici accordati
a quell'anima. Rispose Matilde: « Il Signore mi ha ornata di magnifici
fiori in numero corrispondente alle volte ch'esse hanno recitato
l'antifona: « Ex quo omnia; per tali fiori, a me attraggo, dal
dolcissimo Cuore di Gesù, un sapore che vivifica. Per le SS. Messe Egli
mi dà, in ricambio delle lodi che gl'indirizzo, un certo aroma che
ricrea, in modo delizioso ed ammirabile, tutti i sensi dell'anima mia».
In altra occasione Geltrude, baciando le Piaghe del Signore, recitò
cinque Pater e li offerse a Dio, per supplire alle preghiere che la sua
estrema debolezza le aveva impedito di recitare per Matilde,, durante
la malattia e dopo la sua morte. Parvero allora uscire dalle Piaghe del
Signore cinque fiori di meravigliosa freschezza chè stillavano, in
virtù di quelle sacre ferite, un balsamo profumato di perfetta purezza
e vigore stupendo. Geltrude salutò teneramente Matilde, dicendo: « O
eletta Sposa di Cristo, gradisci benevolmente questi fiori, che sono
germogliati dalla sovrabbondanza della divina bontà, ricevili come un
primo acconto del debito che non posso ancora pienamente sodisfare;
adornati di essi per accrescere i tuoi meriti e prega lo Sposo divino
per me che sono così miserabile ».
Matilde rispose: « Quello che mi procura maggiori delizie si è di
ammirare questi fiori, nobilitati dal contatto delle dolci Piaghe del
Salvatore, perchè quando le toccherò col mio desiderio per spremerne il
profumo, subito, in virtù di queste benedette ferite,, stilleranno in
abbondanza un salutare liquore che recherà il perdono si peccatori e la
consolazione ai giusti ».
CAPITOLO V. - SI PARLA DELL'ANIMA DELLE SORELLE M. ED E.
Due giovanette di nobile nascita, ma ancora più nobili per elevatezza
di cuore, sorelle non solo di sangue, ma anche di anima e di virtù,
dopo d'aver trascorso l'infanzia nell'innocenza e nella pratica della
religione, furono chiamate alle nozze eterne dallo Sposo immortale,
mentre erano ancora nel fervore del noviziato.
La prima morì nella festa dell'Assunzione di Maria SS., proprio nel
giorno delle sue mistiche nozze; l'altra la seguì un mese dopo. Il loro
ultimo combattimento fu gloriosissimo: parole e atti respiravano acceso
fervore, divozione ammirabile e volontà eccellente; tanto dell'una come
dell'altra si possono narrare grandi cose.
La prima così felicemente spirata il giorno dell'Assunta, apparve a
Geltrude: Era davanti al trono di gloria del Signore Gesù, circondata
di luce e adorna di vari ornamenti. Ella però stava davanti a Lui come
una Sposa timida, tentando di chinare il viso e non osando nè aprire,
nè alzare gli occhi, davanti alla gloria di una maestà così grande.
Geltrude, spinta da zelo, disse al Signore: « O Dio di bontà, lasci tu
cotesta tua piccola Sposa davanti a Te, quasì in contegno di straniera
e non la chiami ai dolci tuoi amplessi? ». Tali parole parvero
commuovere la tenerezza del Signore, il quale tese le mani verso
quell'anima in atto di abbracciarla. Ma essa, con una specie di
rispettosa delicatezza, tentava di sfuggire al divino amplesso.
Geltrude, grandemente sorpresa, chiese all'anima: « Perchè mai sfuggi
all'abbraccio di uno Sposo così amabile? ». Ella rispose: « Alcune
macchie di cui non mi sono ancora purificata, me ne rendono indegna, ma
se anche mi fosse dato procedere liberamente verso il mio Dio, la
giustizia me lo impedirebbe, perchè sono ancora incapace di unirmi al
mio glorioso Signore ».
Geltrude riprese: « Come mai ciò può essere giacché ti vedo già
glorificata ed ammessa alla presenza del Signore? » L'anima rispose: «
Quantunque ogni creatura sia presente a Dio, pure ciascun'anima può a
Lui maggiormente avvicinarsi per mezzo della carità. Ma la beatitudine
piena che consiste nella visione e nel possesso della Divinità, nessuno
può gustarla se non è perfettamente purificato, e in tale stato non può
entrare nel gaudio del suo Signore ».
Un mese dopo, quando la sorella della defunta entrò in agonia, Geltrude
pregò molto per essa. Qualche istante dopo la sua morte la vide in un
luogo di luce, adorna di abiti rossi, quasi Sposa che fosse sul punto
di essere presentata ai suo Signore. Gesù apparve a lei vicino, in
aspetto di giovane pieno di vigore e di bellezza: con le sue cinque
Piaghe rallegrava i cinque sensi dell'anima, facendole gustare le
delizie delle sue consolazioni e divine carezze.
Geltrude chiese al Signore: « O Dio di ogni consolazione, poichè sei
vicino a quest'anima e le prodighi tante gioie, come mai la tristezza
del suo volto tradisce una sofferenza interna? » Gesù rispose: « Mostrandomi a lei le faccio
gustare le delizie della mia Umanità, ciò che non può consolarla, ma
soltanto ricompensarla dell'amore che ebbe, negli ultimi istanti, per
le sofferenze della mia Passione. Quando si sarà perfettamente
purificata delle negligenze della sua vita passata, allora potrà
rallegrarsi appieno nella mia Divinità ».
Geltrude insistette: « Come mai le negligenze della sua vita passata
non furono riparate a sufficienza con la divozione da lei dimostrata
nelle ultime ore, poichè è scritto che, l'uomo sarà giudicato tale
quale si troverà all'estremo momento? ». Rispose il Salvatore: « Quando l'uomo giunge in fin di
vita, le forze l'abbandonano e non può agire che con la volontà. Se la
mia gratuita carità gli dona buon volere e santi desideri, ne ritrae
vantaggio grande, ma non tale da cancellare tutte le passate
negligenze, come se avesse usato sempre della volontà per migliorare la
vita, quando era ancora nella pienezza della salute e dello forze
». Geltrude riprese: « Dolcissimo Gesù, non potresti nella tenera tua
misericordia, cancellare tutte le negligenze di questa anima, a cui hai
dato, fin dall'infanzia, un cuore affettuoso, ricco di bontà per tutti?
». Il Salvatore spiegò: « Ricompenserò
senz'altro la sua tenerezza di cuore e generosa volontà di bene: ma la
mia giustizia esige che le minime negligenze siano cancellate ».
In seguito accarezzò teneramente la sua Sposa ed aggiunse: « La mia
diletta acconsente volentieri alle esigenze della divina giustizia:
quando sarà completamente pura, la gloria della mia Divinità sarà ben
sufficiente per consolarla! ». L'anima acconsentì a tali parole, e
mentre il Signore pareva ritirarsi nelle profondità del cielo, ella
rimase sola allo stesso posto, sforzandosi di elevarsi verso l'alto.
Espiava con tale solitudine alcune leggerezze infantili che talvolta le
avevano fatto gustare troppo la compagnia delle creature. Gli sforzi
poi che faceva per inalzarsi, la purificavano di essersi abbandonata
alla pigrizia in certi malesseri corporali.
Un'altra volta Geltrude pregò per lei durante la S. Messa e
all'Elevazione disse: « Padre Santo, ti offro l'Ostia divina per
quell'anìma, in nome di tutti coloro che sono in cielo, in terra e in
purgatorio ». La defunta le apparve allora un po' più elevata verso il
cielo e un grande numero di persone erano davanti a lei in ginocchio,
sostenendo l'Ostia con le due mani. L'anima, in virtù di tale offerta,
veniva attratta verso la gloria, e gustava gioie ineffabili. Ella
disse: « Ora esperimento la verità di quelle parole: nessun bene fatto
dall'uomo mancherà di ricompensa, nessun male sfuggirà il castigo, o
prima, o dopo la morte. Infatti per avere ardentemente amato la S.
Comunione, trovo grande sollievo nell'offerta del S. Sacramento
dell'altare che viene fatta a mio vantaggio. Per essere stata buona con
tutti, ritraggo consolazione grande da tutte le preghiere che vengono
indirizzate a Dio in mio favore. Ciascuna poi di queste disposizioni mi
varrà ancora un'altra ricompensa eterna in cielo ».
Quest'anima si elevava così a poco a poco verso il Paradiso, come
portata dalle preghiere della Chiesa. Ella sapeva che al momento fisso,
il Signore le sarebbe venuto incontro, nella moltitudine delle sue
misericordie, per darle la corona regale e condurla alle gioie eterne.
CAPITOLO VI. - L'ANIMA DI S. APPARE ASSISA IN SENO A DIO
Mentre si dava l'Estrema Unzione alla Madre S. la maggiore, Geltrude
recitò per essa 5 Pater, e alla fine, indirizzando la preghiera alla
Piaga del costato di Cristo, domandò al Signore di lavare l'anima della
morente nell'acqua di quella benedetta sorgente e di adornarle di virtù
per i meriti del suo preziosissimo Sangue.
L'anima allora le apparve come una giovinetta coronata di aureola: il
Signore la circondava col braccio sinistro e compiva in essa quanto
Geltrude aveva chiesto. La Santa però comprese che quella sua
consorella doveva vivere ancora, ed espiare con la malattia una colpa
commessa contro l'obbedienza, avendo ella comunicato a un'altra inferma
più di quanto le era stato permesso.
Infatti ciò avvenne perchè visse ancora cinque mesi, provando talora
atroci sofferenze. Tutte poterono constatare che lei espiava così la
sua colpa. Però nel giorno di cui parliamo ella mostrò una gioia
grandissima, essendo venuto il Signore a visitarla con la sua grazia.
Ella tentò parecchie volte di esprimere il dono fattole da Dio, ma le
forze le vennero meno e non potè spiegarsi. Geltrude che ne aveva avuto
la conoscenza per rivelazione, era là presente; la malata la chiamò per
nome, tese con uno sforzo ambo le mani verso di lei esclamando: « Oh
ditelo voi per me, giacchè sapete tutto! ». Geltrude con piacevolezza,
cominciò a narrare quanto la malata desìderava. Alcune consorelle
presenti cercarono, sotto forma di congettura, di fare qualche
aggiunta, ma la morente negava quei detti con energia, affermando
invece che Dio le aveva rimesso le colpe, adornandola di virtù.
Dopo cinque mesi, alla vigilia della sua morte, Geltrude vide il
Signore assiso, occupato a preparare nel suo seno un soggiorno comodo e
gradito per la malata, mostrando grande premura di renderlo dolce e di
perfetta nitidezza. La morente pareva essere a sinistra del Salvatore,
coricata in letto (come lo era in realtà), ma circondata da una specie
di nebbia. Geltrude, favorita da questa visione, chiese « Oh, Signore,
un riposo così glorioso non pare adatto per un'anima avvolta da una
simile nebbia ». Egli rispose: « Voglio lasciarla là un po' di tempo
fino a quando possa presentarsi a me, perfettamente pura.».
La malata passò dunque quel giorno e la notte seguente in agonia.
All'indomani Geltrude vide il Signore inchinarsi con bontà verso la
morente, che da parte sua, pareva sollevarsi per avvicinarsi a Lui.
La Santa chiese: « Caro Gesù, vieni Tu verso quest'anima desolata come
tenerissimo Padre? ». Egli affermò con un lieto cenno di capo. Un
momento dopo, quando fu spirata, Geltrude vide ancora l'anima della
defunta sotto l'aspetto di una giovane adorna di abiti bianchi e rosa,
che volava al posto assegnatole. Il Signore stese il braccio sinistro
per riceverla, ed ella parve appoggiarvi la testa in atto di estrema
debolezza. A un tratto quel riposo non la soddisfece più, e
appoggiandosi al braccio destro del Signore, volle baciare le benedette
labbra di Colui che amava. Ma non potendo arrivare fin là, tentò, con
un moto rapido, di baciare il sacro petto di Cristo, sul quale si
lasciò cadere come estenuata. Quel riposo continuò fino a quando, nella
raccomandazione dell'anima, si recitarono le parole: « Tibi supplicatio
commendet Ecclesiae . Che la supplica della Chiesa ecc. ». Allora ella
attinse a grandi sorsi dal seno di Cristo, ove sono nascosti tutti i
tesori della beatitudine, un soavissimo ristoro che la rianimò
dolcemente ridandole nuove forze.
CAPITOLO VII. - LIETO TRAPASSO DI M. DI SANTA MEMORIA
Quando S. M. di santa memoria giunse ai suoi ultimi istanti, Geltrude
pregava con la Comunità e diceva fra l'altro a Gesù: « Perchè,
amatissimo Signore, non esaudisci le preghiere che inalziamo per essa?
». Egli rispose: « Il
suo spirito spazia in tali altezze da non poter essere consolato in
modo umano ». Geltrude Insistette: « In virtù di quale
giudizio? ». E il Signore: «Ho
messo il mio segreto in essa, come ebbi già, il mio segreto con essa
». La Santa persistette nel voler sapere come quell'anima si sarebbe
sciolta dal corpo. Gesù le disse: « La
mia divina virtù l'assorbirà, come il sole cocente una goccia di
rugiada.» Geltrude volle anche sapere perchè Gesù la
lasciava in preda al delirio. Il Salvatore rispose: « Per mostrare che
la mia azione agisce più nell'intimo dell'anima che alla superficie ».
E Geltrude: « La tua grazia, o Gesù, potrebbe raggiungere lo stesso
effetto illuminando i cuori ». Egli spiegò: «Come mai questa grazia agirebbe
su coloro che non scendono mai nella profondità della loro anima, ove è
mia abitudine infondere la grazia? ». Geltrude pregò poi
il suo Sposo divino di concedere a Suor Matilde il dono dei miracoli,
almeno dopo la morte, per la gloria di Dio, e per confermare le sue
rivelazioni, confondendo così gli increduli. Allora il Signore, tenendo
il libro delle rivelazioni di Matilde con due dita, disse: « Forse che non mi è dato riportare
vittoria anche senza armi? » E aggiunse: « Quando l'ho creduto. necessario,
ho sottomesso i popoli e i regni con grandi prodigi, Coloro che hanno
esperimentato l'effusione della mia grazia, possono oggi facilmente
prestare fede prudente alle rivelazioni. Non posso però soffrire i
perversi che contraddicono questi scritti; del resto trionferò di essi
come degli altri ».
Geltrude capì allora come il Signore veda con dolce riconoscenza le
anime fedeli credere senza difficoltà all'abbondante effusione della
grazia che riversa sugli eletti, non secondo il loro merito, ma secondo
l'infinita bontà del suo Cuore.
Mentre veniva conferita l'Estrema Unzione alla morente, Geltrude vide
Gesù toccare con la mano il cuore di Matilde, dicendo: « Quando questa
mia felicissima Sposa sarà sciolta dal corpo e immersa nell'oceano
donde è uscita, diffonderò le onde abbondanti della mia beatitudine su
coloro che la affezione ha condotto intorno al suo letto ».
In seguito, prolungandosi l'agonia, Geltrude con altre suore
perseverava in preghiera vicino a Matilde. Ella conobbe che il Signore
arricchiva le persone presenti con tre benefìci: il primo era il
compimento dei loro giusti desideri, il secondo un aiuto speciale che
riceverebbero per correggere i loro difetti (queste due grazie dovevano
essere più facilmente ottenute in quel luogo, per i meriti di Matilde).
Il terzo beneficio fu l'ampia benedizione che il Signore diede a tutti
stendendo la mano.
Geltrude meditava quelle cose con profonda gratitudine, quando alcuni
momenti dopo, vide il Signore delle virtù, il Re di gloria, più
avvenente degli Angeli e dei Santi, stare seduto a capo del letto e
ricevere nel suo sacratissimo Cuore, dal lato destro, il respiro che,
quasi brillante arco d'oro, sfuggiva dalle labbra dell'agonizzante.
Dopo d'avere goduto a lungo di quella deliziosa visione, mentre si
ricominciarono i salmi: « Deus, Deus meus respice in me » (Sal. XXI) e
precisamente alla fine del salmo: « Ad Te levavi animam meam » (Sal.
XXIV) il Signore si chinò sull'agonizzante e, con infinita tenerezza,
l'abbracciò due volte, quale amatissima Sposa.
Durante la recita dell'antifona « Ut te simus intuentes - Affine che
noi possiamo vederti », la gran Madre di Dio, l'illustre Vergine di
stirpe regale, apparve ammantata di porpora: si inchinò teneramente
sulla Sposa del suo Figlio e, prendendole la testa con le due mani, la
dispose in modo che il suo respiro potesse giungere direttamente al
Cuore divino.
Mentre si recitava la breve invocazione: « Ave, Jesu Christe, Verbum
Patris - Salve, o Cristo, Verbo del Padre », il Signore apparve
trasfigurato in una meravigliosa chiarezza, col volto raggiante come il
sole nel più splendido meriggio. A tale vista Geltrude ebbe un
trasporto di ammirazione, ma rientrando ben presto in se stessa, vide
la rosa brillante del cielo, la Vergine Maria che, gioiosa di mirare il
Figlio suo unito a quella nuova amabile Sposa, lo stringeva fra le
braccia, baciandolo con tenerezza.
Geltrude comprese allora che l'unione eterna era consumata per Suor
Matilde. La sua bell'anima, assetata di Dio, era stata introdotta nella
cella traboccante di felicità paradisiaca, ove si trovava per sempre
immersa nell'abisso infinito della vera beatitudine.
CAPITOLO VIII. - SI NARRA DELL'ANIMA DI M. B. CHE VENNE
SOCCORSA DAI SANTI
Durante l'agonia di M. B., di santa memoria, Geltrude si raccolse in se
stessa e si sforzò, con la grazia di Dio, di scoprire quanto avveniva
intorno all'ammalata. Dopo un tempo abbastanza lungo, ella potè vedere
soltanto che quell'anima incontrava un certo ostacolo per aver provato
qualche volta, troppa sodisfazione nelle cose esteriori, come per
esempio; di avere un letto adorno di drappi d'oro e di graziosi
arabeschi.
Nello stesso giorno venne celebrata per lei la S. Messa. All'Elevazione
Geltrude offerse l'Ostia Santa per l'anima della defunta e comprese,
senza però nulla vedere, che l'anima era presente. Volle cercarla e
chiese al Signore: « Dov'è ella mai, mio caro Gesù? ». Egli rispose: «
Ella viene a me raggiante di candore ». Comprese che le preghiere
offerte dalle anime caritatevoli per la defunta, prima della sua morte
le erano state così vantaggiose da permetterle l'immediato ingresso in
cielo. Infatti alcune persone avevano avuto la carità grande di
prendere su di loro i peccati della morente per espiarli, e per la
grazia di Dio, le avevano fatto dono dei loro meriti.
Al momento della sepoltura Geltrude pregò ancora per lei durante la S.
Messa. La vide a destra del Signore seduta a un banchetto le cui
vivande erand le preghiere ed i sacrifici offerti secondo le sue
intenzioni.
All'Elevazione, il Signore le presentò quell'Ostia sotto la forma di
una coppa da bere. Appena ella ne ebbe gustato, fu penetrata fino
all'intimo dalla soavità divina. Allora, a mani giunte, con profonda
tenerezza, pregò per tutti coloro che in questa vita l'avevano
contrariata con pensieri, parole, atti, poichè già gustava il merito
acquistato in quelle difficoltà. Avendo Geltrude chiesto, con
meraviglia, perchè mai non pregasse per i suoi amici, rispose: « Le
preghiere pera i miei amici sono tanto più efficaci, in quanto le
indirizzo, con maggior amore al Cuore del mio Diletto ».
Un altro giorno, Geltrude ricordò di essersi spogliata di tutti i suoi
meriti in favore della defunta. Disse con tristezza a Gesù: « Spero che
la tua tenera misericordia getterà più spesso uno sguardo di
compassione sulla mia angoscia e sulla mia nudità ». Rispose il
Signore: « Che posso
fare per chi si è spogliato, a titolo di carità, se non rivestirlo dei
miei stessi abiti e assisterlo, lavorando con esso, a ricuperare al più
presto quanto ha elargito in spirito di carità? ».
E Geltrude: « E' inutile, caro Gesù, che Tu meco lavori: io ti giungerò
senz'altra spoglia di tutto, perchè ho rinunciato ai meriti futuri come
ai passati ». « In
verità - riprese il Signore - una mamma lascia che i figlioli più
grandicelli si vestano da soli, ma il bimbo appena nato lo tiene
stretto fra le sue braccia e lo riscalda col suoi stessi abiti
». E aggiunse: « Seduta come sei alla riva dell'oceano, ti par forse di
essere men ricca di coloro che si fermano alla sorgente dei ruscelli?
». Il senso è chiaro. Colui che ritiene egoisticamente il bene fatto, è
seduto alla sorgente dei ruscelli, ma chi si spoglia di tutto, in
spirito d'umiltà e di carità, possiede Dio stesso, abisso di ogni
beatitudine.
CAPITOLO IX. - SI PARLA DELLE ANIME DI G. E DI S. CHE IL
SIGNORE COLMO' DELLE SUE GRAZIE
Secondo la S. Scrittura, ciascuno sarà punito nel modo con cui ha
peccato e ciascuno sarà ricompensato secondo avrà ben agito e ben
sofferto. A profitto del lettore, aggiungiamo quanto segue.
Nel Monastero vi furono due malate contemporaneamente. Una così
evidentemente affetta da etisia, che venne circondata, com'era
conveniente, da ogni sollecitudine.
L'altra, avendo una malattia non ben definita e meno grave, non fu
curata con la stessa premura.
Ma, essendo assai spesso falso il giudizio umano, avvenne che
quest'ultima; della quale si sperava la guarigione, morì un mese prima
dell'altra. Al termine dei suoi giorni, ella si era santificata, in
pazienza grande e acceso fervore, ma non era ancora perfettamente pura;
perciò l'infinita tenerezza del nostro amorosissimo Signore, che non
può soffrire ombra di macchia in una Sposa, volle purificarla della
poca premura che aveva avuto nel ricevere il Sacramento della
Confessione.
Infatti non sentendosi colpevole di peccato grave, ella aveva
trascurato di farsi assolvere dal Sacerdote, per togliere dall'anima
quella polvere di venialità, che è inerente alla fragile natura umana.
Talvolta aveva perfino simulato di dormire, quando arrivava il
Sacerdote, per non ricevere tale Sacramento.
Ecco come il fedelissimo Amico delle anime la purificò; nel momento in
cui stava per entrare con gioia nella camera nuziale dell'eternità.
Appena ella ebbe chiesto ansiosamente il confessore perdette l'uso
della parola. Lo spavento che provò al pensiero di dovere, dopo morta,
espiare le colpe che non poteva confessare, bastò a purificare la sua
anima. Allora tutta bella e immacolata, quell'anima diletta da Dio, si
svincolò dalla prigione del corpo per entrare, raggiante di gloria
incomparabile, nel palazzo celeste. Tale entrata in cielo diede luogo a
molte rivelazioni: noi ne citeremo soltanto una per l'edificazione del
lettore.
Quando quell'anima arrivò davanti al trono di gloria, il Signore volle,
con privilegio particolare, disporla Lui stesso a ricevere ciascuna
ricompensa, che voleva accordarle; si mostrò simile a una tenera madre
che colma di carezze il bimbo malato, per fargli accettare la medicina
che deve guarirlo. Il Signore agiva in tal modo per ricompensare la
pena che aveva provato talora vedendo che, mentre si usava ogni
delicatezza alla consorella malata, non si aveva punto riguardo per lei.
Gesù chiese allora a quell'anima beata: « Dimmi, figlia mia, che vuoi che
faccia per la tua compagna? Quale consolazione brami che le prodighi?
Sulla terra ella poteva scegliere il cibo che più gradiva e tu, che ne
avresti desiderato un altro, ti adattavi alla sua scelta. Adesso lascio
a te la scelta della consolazione e dei benefici che intendo accordarle
a Ella rispose: « O mio dolcissimo Gesù, dalle tutto
quello chi accordi a me stessa, perchè non so immaginare niente di
migliore». E il Signore l'assicurò, con bontà, che l'avrebbe
accontentata.
Un mese dopo morì l'altra consorella che apparve in una luce
meravigliosa di bellezza, all'indomani della sua morte. Quello
splendore le conveniva perchè, durante tutta la vita, era stata ricca
d'innocente semplicità, sempre intesa alla fervente osservanza della S.
Regola.
Le restava però ancora una macchia perchè, come dicemmo, durante la
malattia si era compiaciuta in qualche superfluità e dei piccoli doni,
gentilezze e conforti che le Suore le avevano prodigato.
Ecco come venne purificata. Sembrava stare alla porta del cielo,
rivolta verso il Re di gloria, che a lei si manifestava nella sua
incomparabile avvenenza, dolce ed amabile al di là di ogni umana
espressione.
Egli attirava l'anima che pareva venir meno per il desiderio di
incontrare Lui; ma non poteva giungervi, perchè ritenuta alla soglia da
chiodi che trattenevano a terra i suoi abiti, simbolo delle mancanze
leggere che aveva commesse durante la malattia.
Geltrude, favorita da questa visione, commossa di pietà, pregò per la
defunta, e la divina clemenza la liberò da quegli ostacoli.
Geltrude chiese al Signore: « La cara defunta ha fra di noi molte
persone amiche; come mai furono le sole mie preghiere che l'hanno
liberata? Chissà quanti avranno pregato per lei, fidenti nella tua
misericordia ». Rispose il Salvatore: « Ho accolto tutte le suppliche
che mi si rivolsero per la mia diletta Sposa; nella mia infinita bontà
ho risposto oltre le speranze di chi mi pregava. Però, non avendo
svelato l'ostacolo che mostrai a te, nessuno mi ha pregato di toglierlo
».
E Geltrude: « Tu hai affermato, mio amorosissimo Gesù, che avresti dato
a quest'anima lo stesso bene che hai concesso alla consorella che l'ha
preceduta; come ciò può avvenire? La prima ti ha servito più a lungo
nella religione, ella esercitò maggiori virtù, infine è a te salita
senza ostacolo alcuno, in una pienezza maggiore di gloria ». « La mia giustizia non muta
» affermò il Signore. « Ciascuno riceve il premio dovuto al suo lavoro,
nè capiterà giammai che colui che ha meritato meno, riceva di più di
chi ha maggiormente faticato; però può darsi che certe circostanze
aumentino il pregio degli atti, per esempio un'intenzione più retta,
una lotta più intensa, una carità più ardente. La mia bontà poi
aggiunge sempre qualche cosa alla ricompensa dovuta a ciascuno. Talora
anche le preghiere dei fedeli, o altre circostanze meritorie, fanno,
sentire la loro influenza. Secondo queste regole ho uguagliato le due
defunte, pur rimunerandole secondo i loro meriti».
Per renderci sempre più convinti che bisogna veramente temere qualsiasi
attacco alle cose della terra, quell'anima beata pareva ancora
trattenuta da qualche ostacolo. Sembrava infatti a Geltrude che ella si
tenesse davanti al trono di Dio con lo stesso desiderio di andare a
Lui, proprio come quando era fissata alla porta dai chiodi: avrebbe
voluto precipitarsi fra le braccia del suo Diletto e godere gli
amplessi di quello Sposo più bello di tutti i figlioli degli uomini
«che gli angeli desiderano contemplare: in quem desiderant Angeli
prospicere » (I Pet. 1, 12), ma vi era ai suoi piedi un ostacolo che
non riusciva a sormontare.
Poco dopo esso venne tolto, eppure l'anima non poteva ancora gustare
una gloria completa! Il Signore teneva in mano una corona di ricchezza
meravigliosa, e la defunta non avrebbe avuto delizia piena, se non dopo
di averla ricevuta.
Geltrude chiese: « Come va, o Gesù mio, che nel tuo stesso regno,
un'anima può essere torturata da una simile attesa? ». « Non è
torturata - rispose - ella attende la sua perfetta glorificazione come
una giovinetta la vigilia di una festa, che vede con gioia nelle mani
della mamma gli ornamenti con cui si adornerà il giorno seguente ».
Quell'anima in seguito gettò uno sguardo su Geltrude che aveva pregato
per lei e la ringraziò con grande tenerezza. Geltrude disse: « Tu mi
avevi sempre amata; però nell'ultima malattia non hai preso volentieri
gli avvisi che ti davo ». « E' vero - rispose l'anima - e le tue
preghiere mi sono state più utili, perchè le hai fatte unicamente per
la carità e l'amore di Dio ».
CAPITOLO X. - SI PARLA DI S. CHE MORI' TUTTA FERVENTE DI
DIVINO ARDORE
In seguito morì un'altra giovane monaca. Dall'infanzia fino all'ora
della morte, le sue azioni generose dimostravano il disprezzo che aveva
del mondo e delle sue seduzioni.
Nel giorno della morte, mentre stava per entrare in agonia, ella salutò
teneramente le persone presenti, promettendo ricordo di preghiera
quando fosse comparsa davanti a Dio, oceano infinito d'ogni bene.
L'avvicinarsi della morte accrebbe le sue sofferenze; ed ella disse al
Signore con tutto lo slancio del cuore: « Caro Gesù, tu conosci tutti i
miei segreti e sai che avrei voluto servirti fedelmente fino alla
decrepitezza; siccome però tu mi chiami all'eternità, tutta la mia
brama di vivere si muta in desiderio di vederti; tale sete di mirarti è
così intensa, che cambia per me in dolcezza tutte le amarezze della
morte. Se però tu, volessi sarei pronta a sopportare questi dolori fino
al giorno del giudizio, quand'anche fossimo al principio del mondo. So
peraltro che nelle tua infinita bontà mi chiamerai oggi stesso
all'eterno riposo; tuttavia ti prego di differire tale gioia fino al
momento in cui i dolori avranno sodisfatto le colpe delle anime del
purgatorio che tu desideri maggiormente di liberare. Tu sai, o Signore,
che io conto per nulla me stessa e che non ho di mira che la tua gloria
».
Dopo queste e simili parole che non scriviamo per brevità, l'infermiera
la pregò di permetterle di stenderle le gambe già contratte per la
vicina morte. Rispose: « Voglio io stessa offrire questo sacrificio al
mio Signore crocifisso ». E tosto con un'energica mossa stese le gambe,
dicendo: « Mi unisco a quell'ardente amore che ti fece gettare un gran
grido, o mio Gesù, quando hai reso lo spirito al Padre; a questo stesso
fine ti offro tutti i movimenti dei miei piedi ». Anzi con divozione
grande, abbandonò a Dio tutte le parti del corpo: occhi, mani,
orecchie, bocca, cuore.
Chiese poi che le si leggesse la Passione di Gesù e indicò con la sua
mano le parole: « Sublevatis oculis (Jesus) in coelum, perchè pensava
che se si fosse cominciato a leggere da principio: Ante diem festum,
non avrebbero fatto a tempo a terminare. Infatti quando si giunse a
quel punto « Et inclinato capite tradidit spiritum », ella chiese il
Crocifisso, considerando con tenerezza ciascuna delle Piaghe; le salutò
con ringraziamenti e loro confidò la sua anima con parole così dolci e
ricche di divina sapienza, che tutte ne furono rapite ed ammirate.
Ma in breve ricadde sfinita e qualche minuto dopo s'addormentò
beatamente in Dio.
S. Geltrude vide che il Signore l'accolse con un tenero amplesso,
dandole una corona splendida e affatto speciale per avere avuto il
virile coraggio di calpestare il mondo per seguirlo fedelmente.
S'intesero i gioiosi cori angelici che la scortavano al cielo: « Chi è
costei che sale dal deserto - cantavano essi - colma di delizie e
appoggiata al Diletto? » (Cant. VIII. 5).
Quando giunse al trono di gloria, Gesù, Sposo delle vergini, la pose
davanti a sè e le disse teneramente « Tu sei la mia gloria! ». Poi si
alzò e la fece sedere sul trono celeste. Il giorno seguente, che era
quello della sepoltura, Geltrude, pregando nuovamente per essa; la vide
in una gloria e in una gioia sconosciuta ai poveri mortali. Chiese
quale ricompensa aveva ottenuto per tale e tal'altra virtù che l'aveva
vista praticare in vita; ed ebbe, per i meriti della defunta, una
partecipazione spirituale alla sua celeste gioia.
La defunta le chiese: « Cosa
brami ancora di sapere riguardo alla mia eterna ricompensa? L'arca
celeste ove abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità, il
dolcissimo Cuore di Gesù, nostro Sposo, mi è del tutto aperta, tranne
un angolo segreto, dove non ho meritato di penetrare. Quello che colà
si trova è riservato alle anime che sulla terra hanno amato totalmente
Dio, da farne conoscere con zelo i beni che avevano ricevuti, perchè
fosse maggiormente glorificato. Io non ebbi questa carità, ma ho goduto
da sola, in segreto col mio Diletto, i beni di cui mi favoriva, così
non posso penetrare in quel tesoro nascosto! ».
Geltrude chiese allora: « Quando
i tuoi e i miei amici m'interrogheranno su quanto io so dei tuoi
meriti, cosa devo rispondere, poichè la parola male sa tradurre simili
dolcezze? ». Ella rispose: « Se tu avessi aspirato ii
profumo di mille fiori, che cosa potresti dire se non che hai goduto e
grandemente goduto delle fragranze di ciascuno? Così, dopo d'aver avuto
una debole idea della mia gloria in cielo, tu non potrai dire altro che
questo, che per ciascuno dei miei pensieri, parole, opere, il
dolcissimo e fedelissimo Amico delle anime mi ha accordato una
magnifica ricompensa, infinitamente superiore ai miei meriti».
CAPITOLO XI. - DELL'ANIMA DEL FRATELLO S. CONVERSO, CHE DOPO
LA MORTE FU PREMIATO PER LA SUA BONTA'
Durante l'agonia del fratello Seg, Geltrude, occupata in altro,
dimenticò di pregare per lui. Quando gliene annunciarono la morte,
ricordò con rimpianto che egli aveva ampiamente meritato le preghiere
della Comunità, perchè, nel suo ufficio, si era dimostrato più fedele e
premuroso degli altri conversi. Perciò incominciò a supplicare il
Signore perchè, secondo la moltitudine delle sue misericordie, degnasse
ricompensare quell'anima per i buoni servigi resi al convento.
Le rispose Gesù: « A
motivo delle preghiere delle tue consorelle, ho già premiato in tre
maniere la fedeltà di questo fratello. La sua bontà naturale gli
procurava tanta gioia quando poteva far piacere a qualcuno; adesso
tutte quelle gioie si sono riunite nell'anima sua e gode di tutte
insieme. Possiede anche tutta la felicità dei cuori ai quali ha
prodigato i suoi benefici, cioè la felicità del povero al quale dava
l'elemosina, del bimbo a cui faceva un regaluccio, del malato che
sollevava e rallegrava con un frutto, o con un dolce. Infatti ha il
gaudio immenso di sapere che le sue azioni mi erano care; se ci fosse
qualche cosa ancora per rendere completa la sua beatitudine, sarei
pronto ad accordargliela tosto ».
CAPITOLO XII. - SI PARLA DELL'ANIMA DEL FRATELLO H CHE FU
RICOMPENSATA PER LA SUA FEDELTA'
Geltrude pregando un giorno per un certo converso appena morto, chiese
al Signore dove si trovava. Rispose: « Eccolo! Per le ferventi
suppliche di suffragio per lui rivolte; fu chiamato per prendere parte
al nostro banchetto ». E il Salvatore apparve come un padre di
famiglia, seduto a una tavola dove erano offerte le preghiere e i
sacrifici fatti per quell'anima.
Il fratello defunto, assiso a quel banchetto, aveva però un sembiante
malinconico ed abbattuto, perchè non era ancora abbastanza puro per
essere ammesso alla contemplazione del divin Volto. In certi momenti
pareva rasserenarsi, essendo riconfortato dalla fragranza che sfuggivai
dalle oblazioni poste sulla tavola dal Padre di famiglia.
Geltrude comprese la penosa privazione di quell'anima che riceveva sola
il profumo delle oblazioni provenienti dalla tavola del banchetto,
invece che dalle mani di Dio, il quale le riversa invece sulle anime
beate in pienezza di gaudio. Tuttavia Gesù, spinto dalla sua bontà e
dalle preghiere di parecchi intercessori, poneva su quella tavola
qualche cosa dei suoi propri beni, per allietare il defunto.
La dolcissima Vergine, assisa nella gloria vicino al Figlio suo, vi
deponeva anch'essa la sua porzione, e il defunto ne era assai
consolato, avendo avuta per la Madonna un divozione speciale. I Santi,
ch'egli amava di più portavano pur essi un'offerta proporzionata alle
preghiere che quell'anima loro aveva rivolta, e ai sacrifici grandi o
piccoli, che aveva compiuto in loro onore.
Per tali oblazioni e soprattutto per il fervore delle preghiere fatte
per essa, l'anima del defunto si faceva di ora in ora più serena, essa
levava gli occhi in alto, verso la beatifica luce della Divinità; luce
che basta mirare una sola volta per dimenticare ogni dolore e
immergersi nell'oceano dei beni eterni.
.. Geltrude si rivolse poi al defunto, chiedendo: « Per quale colpa
soffrite di più in questo momento? ». Rispose l'anima « Per l'attacco
alla mia propria volontà, e alle idee personali. perchè anche facendo
il bene, preferivo seguire il mio giudizio, piuttosto che il parere
altrui. Per tale colpa l'anima mia soffre ora una pena così grande che
tutti i dolori della terra riuniti insieme le sarebbero assai
inferiori». Geltrude insistette « Come potremo sollevarvi? ». « Se
alcuno, sapendo quanto io soffro per tale colpa, si sforzasse di
evitarla, ne proverei grande sollievo ». « Intanto che cosa vi consola
di più? ». « La fedeltà, perchè è la virtù che ho meglio praticato in
terra, e anche le preghiere che i miei amici rivolgono a Dio: tanto
l'una come le altre mi procurano a ogni istante il sollievo che reca
all'anima una buona notizia. Ogni nota cantata per me, durante la S.
Messa, mi è dolce refezione. In più la divina clemenza volle, per i
meriti dei miei intercessori, che tutto ciò che fanno con l'intenzione
di glorificare Dio, come lavorare e perfino mangiare e dormire, serva a
mio suffragio, perché, quando ero in vita, li ho serviti in tutti i
loro bisogni con amore e fedeltà».
La Santa chiese: « Noi abbiamo pregato Dio di donarvi tutto il bene
ch'Egli ha operato in noi. - Ne avete avuto vantaggio? - ». E l'anima:
« Moltissimo, perché i vostri meriti suppliscono a ciò che mi manca ».
Geltrude aggiunse « Voi avete chiesto sollecitamente i suffragi dovuti
ai defunti. Ne soffrireste se alcuno, per malattia, ritardasse a
compierli fino a quando è guarito? ». Rispose il defunto: « Tutto
quello che si differisce per un senso di discrezione mi reca un profumo
di tale soavità che mi rallegra dell'attesa, purchè non sia prolungata
per negligenza, o per pigrizia ».
Geltrude chiese un'altra delucidazione: « Durante la vostra ultima
malattia, noi invece di aiutarvi a prepararvi alla morte, abbiamo
pregato e insistito per avere la vostra guarigione: avete dovuto forse
subire qualche pena per questa cosa? ». L'anima riprese: « Nulla ho
sofferto per tale motivo: anzi l'immensa tenerezza del nostro Dio le
cui bontà si estendono a tutte le sue opere, (sal. CXLIV 9) vedendovi
usare tanta carità con me, quantunque foste guidate da sentimenti
umani, mi ha trattato con maggior misericordia ». E la Santa: « Le
lagrime sparse, per semplice affetto, alla vostra morte, vi servono a
qualche cosa? ». Il defunto rispose: « Non più di quello che vale la
compassione che proverebbe una persona vedendo i suoi amici piangere
per lei. Quando però potrò godere la felicità eterna, gusterò per le
vostre lagrime, il piacere che prova un giovane quando riceve le
recitazioni dei suoi amici. Tali gioie le ho meritate perchè,
servendovi con fedeltà, nutrita dalla vostra affezione, avevo l'intento
di piacere a Dio solo ».
In seguito, mentre Geltrude pregava ancora per quell'anima, giunta che
fu nell'orazione domenicale, a quel punto « Perdonate i nostri debiti,
come noi perdoniamo ai nostri debitori » ella lo vide manifestare
un'espressione di grande angoscia. Meravigliata ne chiese la cagione, e
ne ebbe questa risposta: « Quando ero nel secolo ho molto peccato, non
perdonando facilmente a coloro che mi avevano offeso; mostravo loro a
lungo un volto severo, così subisco vergogna intollerabile e grande
angoscia, quando ascolto quelle parole del Pater ». Avendogli Geltrude
chiesto quanto tempo durerebbe quel tormento, ebbe questa risposta: «
Fino a quando la mia colpa sarà cancellata dall'ardente carità che vi
spinge a pregare per me; allora, sentendo quelle parole, proverò
un'immensa gratitudine verso la misericordia dì Dio che mi avrà
perdonato».
Mentre un giorno si offriva il S. Sacrificio per quell'anima, essa
apparve a Geltrude gioiosa e raggiante. La Santa chiese al Signore: «
Ha essa sofferto abbastanza per cancellare tutte le sue colpe?». Egli
rispose: « Ha già offerto
più di quanto si potrebbe supporre se si vedesse uscire dal fuoco
dell'inferno e salire al cielo; ma non è ancora abbastanza pura per
godere della mia presenza. La sua consolazione e il sollievo vanno però
sempre aumentando, a misura che si prega per lui ». Aggiunse il
Salvatore: «Le vostre suppliche non possono raggiungerlo rapidamente,
perchè si è mostrato spesso duro e inflessibile, rifiutando di
sottomettere la sua volontà a quella del prossimo, quando questa non
era conforme alla sua».
CAPITOLO XIII. -SI PARLA DELL'ANIMA DEL FRATELLO GIOVANNI
RICOMPENSATO PER I SUOI LAVORI ASSIDUI
Benchè sia giusto che le anime, all'uscire dal corpo, abbiano ad
espiare le colpe commesse in vita, per ricevere poi la ricompensa delle
loro opere buone, pure la misericordia di Dio rivelò, in occasione
della morte del fratello Giovanni, a S. Geltrude l'eccesso della sua
divina bontà.
Appena spirato quel fratello, che con grandi fatiche, aveva per lunghi
anni servito il Monastero, Geltrude vide tutte le sue opere buone
simboleggiate in una scala.
L'anima uscita dal corpo; doveva purificarsi ancora di alcune
negligenze, salendo gradino per gradino, quella scala. Le sue pene
diminuivano man mano che - saliva. Siccome pera è difficile evitare
ogni negligenza, quando abbondano le preoccupazioni, ed essendo sempre
vero che ogni minima trascuratezza deve essere espiata, così
quell'anima, non del tutto limpida, dopo di aver salito qualche
gradino, cominciò a tremare come se lo scalino, scosso dal peso, stesse
per rompersi.
Geltrude comprese che il piolo vacillante rappresentava una certa
imperfezione negli atti, e si accorse che quello spavento aveva
purificata l'anima: Quando un membro della Comunità rivolgeva a Dio una
preghiera pere quell'anima, era come se le avesse teso la mano per
salire più in alto. La Santa apprese ancora che il Signore, nella sua
bontà, aveva conferito al Monastero un privilegio; tutti coloro che
avrebbero lavorato al bene della Comunità., sarebbero stati grandemente
consolati nel loro trapasso, anche se avessero dovuto soffrire le pene
del Purgatorio - Quel privilegio sarebbe durato irrevocabilmente, fino
a quando il. convento fosse stato fedelmente osservante della S. Regola.
CAPITOLO XIV. - SI PARLA DEL FRATELLO CHE THE' CHE FU TANTO
RICONOSCENTE PER I BENEFICI RICEVUTI
Geltrude era obbligata a letto per malattia, quando le venne
partecipata la notizia della morte del fratello Thé, fedele servitore
del Monastero da parecchi anni. Subito si rivolse al Signore, pregando
con fervore per lui.
Vide allora l'anima di quel fratello tutta nera, macchiata e spasimante
per cocenti rimorsi. Profondamente commossa da tali sofferenze, volle
sollevare il defunto, recitando cinque Pater, in onore delle Piaghe di
Gesù; che baciò con amore. Dopo il quinto Pater, ella baciò la Piaga
del sacratissimo Costato di Gesù e vide un certo vapore sfuggire dal
Sangue e dall'acqua sgorganti dalla benedetta ferita. Comprese che
l'anima per la quale pregava, aveva provato un grande sollievo
interiore a contatto di quell'emanazione vivificante, ma le fu noto che
essa soffriva ancora assai per certe ferite esterne, quantunque le
virtù di quel Sangue e di quell'acqua l'avessero trasportata in un
giardino, dove le varie piante, rappresentavano le opere che aveva
compiuto nel secolo.
Il Signore, per le preghiere di Geltrude e di tutta la Comunità, parve
dare alla vegetazione di quel giardino una tale virtù, che tutte le
piante servirono come erbe mediciriali per far frizioni e chiudere le
ferite di quell'anima, La Santa comprese ch'esse sarebbero, col tempo,
guarite del tutto, e che più la Comunità avrebbe pregato con fervore, e
più pronta sarebbe stata la guarigione. Comprese pure che, quando si
offriva per il defunto un'azione imperfetta, egli invece di essere
sollevato, soffriva di più. Dopo i funerali si cantò, secondo
l'abitudine, la bella antifona composta dal B. Notker: « Media vita in
morte sumus: quem quaerimus, nisi te, Domine? qui pro peccatis nostris
fuste trasceris. In te speraverunt patres nostri, speraverunt et
liberasti eos, Sancte Deus ! Ad te clamaverunt patres nostri,
clamaverunt et non sunt confusi. Sancte fortisl Ne despicias nos in
tempore senectutts cum defecerit virtus nostra ne derelinquas nos.
Sancte et misericors Salvator, amarae morti ne tradas nos ». «
Quantunque in vita, siamo morti per il peccato: a chi ci rivolgeremo
noi, per soccorso, se non a Te, così giustamente irritato per le nostre
colpe? In te sperarono i nostri padri e non furono confusi. O tu che
sei la stessa santità! Non distogliere da noi i tuoi occhi nei nostri
ultimi giorni e non abbandonarci nell'estrema battaglia. O Santo e
misericordioso Redentore, non perrreettere che moriamo senza speranza! »
Alle parole Sancte Deus, Sancte fortis, Sancte et misericors, la
Comunità si prostrò fino a terra; il defunto parve allora levare occhi
e mani al cielo con riconoscenza, poi inginocchiarsi, con la Comunità,
per cantare le lodi di Dio che l'aveva chiamato a quel Monastero, ove
la ricompensa del suo lavoro, aveva ottenuto un sì grande sollievo, per
i meriti e le preghiere di coloro che aveva fedelmente servito. Se
fosse vissuto in altro ambiente si sarebbe certo guadagnato il pane
materiale, ma non il profitto spirituale che ora otteneva dalle
ferventi suppliche della Comunità.
CAPITOLO XV. - SI PARLA DELL'ANIMA DEL FRATELLO F. CHE EBBE
VANTAGGIO GRANDE DA UNA FERVENTE PREGHIERA
Geltrude pregava un giorno per il fratello converso F. morto da poco e
vide la sua anima sotto l'aspetto di un rospo ripugnante, bruciato
interiormente in modo orribile e tormentato per i suoi peccati da varie
pene.
Sembrava che avesse un gran male sotto il braccio, e, per aggiungere
tormento a tormento, un peso enorme l'obbligava a star curvo fino a
terra, senza poter rialzarsi. Geltrude comprese che appariva sotto
forma di un rospo spaventoso, perchè durante la sua vita religiosa
aveva trascurato di inalzare la mente alle cose divine; capì anche che
il dolore che lo tormentava sotto il braccio era dovuto al fatto che
aveva lavorato oltre il permesso del Superiore, per acquistare beni
temporali e per avere talora nascosto il suo guadagno. Il peso. che lo
schiacciava doveva espiare la sua disobbedienza.
Geltrude, avendo recitato i salmi prescritti per quell'anima, chiese al
Signore se ne avesse avuto vantaggio: « Certo - rispose Gesù - le anime
purganti vengono sollevate da tali suffragi, però preghiere anche
brevi, ma dette con fervore, sono ancora di maggior profitto per esse ».
Un paragone farà comprendere tali parole. Se l'acqua scorre su mani
infangate, a lungo andare si puliranno. Però se si soffregano
energicamente, anche con poca acqua vengono lavate meglio. Così una
preghiera corta, ma fervente, vale di più di una lunga, recitata con
tiepidezza.
CAPITOLO XVI. - SI PARLA DI UN'ANIMA CHE VENNE SOLLEVATA PER
I SUFFRAGI DELLA CHIESA E DALLE PREGHIERE DI GELTRUDE
Geltrude era presente quando venne comunicato a una consorella il
trapasso di un parente. La monaca ne provò tale angoscia, che Geltrude
ne fu commossa fino al più profondo del cuore. Pregò subito con fervore
per l'anima di quel parente, e comprese perchè mai il Signore avesse
permesso che tale annuncio fosse dato in sua presenza.
Nella sua grande mestizia disse al Signore: « Caro Gesù, avresti pur
potuto ispirarmi di pregare per quell'anima senza darmi una tale
emozione» ». Egli rispose: «
Mi compiaccio singolarmente quando l'uomo a me rivolge le sue emozioni
naturali insieme allo slancio della buona volontà; allora la sua
offerta è completa».
Dopo d'aver a lungo pregato per il defunto, la sua anima le apparve
sotto forma di un rospo nero come il carbone, che si torceva per lo
strazio dei tormenti. Nessuno esteriormente lo faceva patire: ma
quell'anima era torturata interiormente in ciascuno dei membri che le
erano serviti a commettere i peccati.
Geltrude suffragando quell'anima, non tralasciava però di prodigare al
suo Diletto, l'espressione di un'immensa tenerezza. Fra l'altro disse:
« O caro Signore, non vorresti per amor mio, sollevare quella povera
anima? ». Egli amabilmente rispose: « Per amor tuo avrò pietà, non solo
di quest'anima, ma di un milione di altre ancora». E
aggiunse: « In qual modo
vuoi tu ch'io faccia splendere su di lei la mia misericordia? Vuoi che
le rimetta ogni colpa e che la liberi dai suoi tormenti?
». Rispose Geltrude: « Una misericordia così ampia forse non s'addice
alle sovrane esigenze della tua giustizia ». « Essa conviene benissimo
anche alla mia giustizia - affermò Gesù - purchè tu sappia chiedermelo
con grande confidenza, tanto più che, conoscendo l'avvenire come Dio,
ho ispirato a quest'anima durante la sua agonia, certe brame ardenti
che dovevano prepararla a questo favore ».
Geltrude concluse: « O salvezza dell'anima mia, eseguisci quanto la tua
misericordia ha preparato! Per grazia tua attendo con fiducia gli
effetti della tua bontà ». Appena dette tali parole, l'anima del
defunto si levò e parve riprendere la forma umana: l'orribile nerezza
era scomparsa, la pelle era bianca, quantunque ancora un po' macchiata,
ed ella ringraziò come se fosse stata sollevata da ogni pena.
Geltrude però capì che quella pelle macchiata doveva diventare candida
come la neve, per godere la visione divina: tale purificazione si
sarebbe compiuta a colpi di martello, che l'avrebbero sbarazzata dalla
ruggine. Ma siccome era stata a lungo nel peccato, le tornava difficile
imbiancarsi, come una tela che bisognerebbe esporre per un anno intero
ai raggi del sole. Geltrude si meravigliava di vederla gioiosa fra
tanti tormenti, soprattutto quando le fu rivelato che un'anima carica
di peccati così enormi, non può essere aiutata dai suffragi della S.
Chiesa, perchè bisogna che la misericordia di Dio le accordi una prima
purificazione, che la renda atta a fruire dei suffragi che scendono
continuamente sulle anime purganti, come rugiada salutare, balsamo
prezioso, bevanda rinfrescante.
La Santa ringraziò il Signore e chiese: « Abbi la bontà di dirmi,
amorosissimo Gesù, con quali sacrifici e quali preghiere si può
ottenere che un'anima sia liberata, dal peso dei peccati, che pongono
ostacolo alle preghiere della Chiesa. Vedo quest'anima così felice
d'aver deposto tale fardello, come se fosse passata dal fondo
dell'inferno alla gloria del cielo; bramerei ora che usufruisse dei
suffragi della Chiesa, per vederla giungere alla beatitudine senza
fine». Rispose il Signore: « Nessuna
preghiera, nessun atto possono procurare tale soccorso a un'anima:
soltanto la forza dell'amore che qualche istante fa infiammava il tuo
cuore, ha potuto ottenere questo favore, ma siccome nessuna creatura
possiede tale amore se Io stesso non gliene faccio dono, così questo
soccorso non può essere accordato ad un'anima dopo la morte, se la
medesima non ha cooperato in vita ad ottenere grazia sì speciale. Sappi
però che si può, alla lunga, sollevare le anime così provate, con
preghiere e assidui suffragi. I fedeli libereranno un'anima più o meno
presto a seconda che pregheranno con più, o meno fervore, e anche a
seconda dei meriti che ciascuno avrà acquistato durante le vita
».
L'anima di cui parliamo fu alquanto sollevata dalle preghiere di
Geltrude: stese allora le mani a Dio, domandandoGli di gradire
l'offerta di tale beneficio, in nome dell'amore che l'aveva fatto
discendere dal cielo in terra, per subire, la morte, e chiese che
ricompensasse con lo stesso amore, tutti coloro che l'avevano
suffragato. Il Signore, per mostrare che esaudiva quella preghiera,
ricevette la dramma che quell'anima Gli presentava e la mise nei tesori
della medesima, perchè potesse darla in ricompensa a coloro che avevano
pregato per essa.
CAPITOLO XVII. - LIBERAZIONE DI ALCUNI PARENTI DELLA COMUNITA'
Nella domenica in cui si faceva memoria dei parenti defunti della
comunità, Geltrude, dopo di avere ricevuto la S. Comunione, offerse al
Signore l'Ostia Santa, in suffragio di quelle anime. Ben presto ne vide
una moltitudine salire da luoghi bassi e tenebrosi: esse erano numerose
come le scintille che sfuggono dal fuoco. Alcune sembravano stelle,
altre avevano forma diversa.
Geltrude chiese se, in quella folla, ci fossero soltanto i parenti
delle monache. Rispose Gesù: « Io sono il vostro parente più prossimo,
sono padre, fratello, sposo: tutti i miei amici sono dunque vostri
congiunti; non voglio quindi che li dimentichiate; quando pregate per i
vostri consanguinei; appunto per questo, essi si trovano fra loro». Da
quel punto ella decise di pregare piuttosto per gli amici del Signore
che per i suoi parenti.
Il giorno dopo alla Messa, fatta l'oblazione dell'Ostia, Geltrude
intese queste parole di Gesù: « Abbiamo consumato il banchetto con
coloro che erano presenti: mandiamo ora delle porzioni agli assenti».
Un altro anno, mentre si sonavano le Vigilie, ella vide un agnello
candido come la neve, uguale alle immagini dell'Agnello pasquale, che
lasciava gocciolare dal suo Cuore, in un calice d'oro, un getto di
sangue vermiglio; Egli diceva: « Sarò
propizio alle anime per le quali ho preparato questo banchetto
».
CAPITOLO XVIII.- DELL'EFFETTO DEL GRANDE SALTERIO
Mentre la Comunità recitava il salterio, che è soccorso potente alle
anime purganti, Geltrude che pregava fervorosamente perchè doveva
comunicarsi; chiese al Salvatore per quale motivo il salterio era così
vantaggioso alle anime dei purgatorio e gradito a Dio. Le sembrava che
tutti quei versetti e orazioni annesse, dovessero generare noia più che
divozione.
Rispose Gesù: « L'ardente
amore che ho per la salvezza delle anime, fa sì che io dia tanta
efficacia a questa preghiera. Sono come un re che tiene chiusi in
prigione alcuni suoi amici, ai quali darebbe volentieri la libertà, se
la giustizia lo permettesse; avendo in cuore tale eccelsa brama, si
capisce come accetterebbe volentieri il riscatto offertogli dall'ultimo
dei suoi soldati. Così io gradisco assai quanto mi è offerto per la
liberazione di anime che ho riscattate col mio sangue, per saldare i
loro debiti e condurli alle gioie a loro preparate da tutta l'eternità.
Geltrude insistette: « Ti torna dunque gradito l'impegno
che s'impongono coloro che recitano il salterio? ». Egli rispose: « Certamente. Ogni volta che
un'anima è liberata da tale preghiera, si acquista un merito come se
avessero liberato Me dalla prigione. A tempo debito, ricompenserò i
miei liberatori, secondo l'abbondanza delle mie ricchezze ».
La Santa chiese ancora: « Vorresti dirmi, caro Signore, quante anime
accordi a ciascuna persona che recita l'ufficio? » e Gesù: « Tante
quante ne merita il loro amore » Poi continuò: «La mia infinita bontà
mi porta a liberare un numero grande di anime; per ciascun versetto di
questi salmi libererò tre anime ». Allora Geltrude che, per la sua
estrema debolezza non aveva potuto recitare il salterio, eccitata
dall'effusione della divina bontà, si sentì in dovere di recitarlo col
più grande fervore. Quand'ebbe terminato un versetto, domandò, al
Signore quante anime la sua infinita misericordia avrebbe liberato.
Egli rispose: « Sono così soggiogato dalle preghiere di un'anima
amante, che sono pronto a liberare ad ogni movimento della sua lingua,
durante il salterio, una moltitudine sterminata di anime ».
Lode eterna ne sia a Te, dolcissimo Gesù!
CAPITOLO XIX. - SI NARRA DI UN'ANIMA SOCCORSA PER LA RECITA
DEL SALTERIO
Un'altra volta che Geltrude pregava per i defunti, scorse l'anìma di un
cavaliere, morto circa quattordici anni prima, sotto la forma di una
bestia mostruosa, dal cui corpo si rizzavano tante corna quanti peli
hanno ordinariamente gli animali. Quella bestia sembrava sospesa sulla
gola dell'inferno, sostenuta solo dalla parte sinistra da un pezzo di
legno. L'inferno le vomitava contro vortici di fumo, cioè ogni sorta di
sofferenze e di pene che le cagionavano tormenti indicibili; essa non
riceveva alcun sollievo dai suffragi della Santa Chiesa.
Geltrude, stupita per la strana forma di quella bestia, comprese alla
luce di Dio, che, durante la vita, quell'uomo si era mostrato ambizioso
e pieno di orgoglio. Perciò i suoi peccati avevano prodotto delle corna
talmente dure che gli impedivano di ricevere alcun refrigerio, finchè
fosse rimasto sotto quella pelle di bestia.
Il piolo che lo sosteneva, impedendogli di cadere nell'inferno,
designava qualche raro atto di buona volontà, che aveva avuto durante
la vita; era la sola cosa che, con l'aiuto della divina misericordia,
gli aveva impedito di piombare nel baratro infernale.
Geltrude, per divina bontà, sentì una grande compassione di
quell'anima, e offerse a Dio in suo suffragio, la recita del Salterio.
Subito la pelle di bestia scomparve e l'anima apparve sotto la forma di
bambinello, ma tutto coperto di macchie. Geltrude insistette nella
supplica, e quell'anima venne trasportata in una casa ove molte altre
anime erano già riunite. Là ella mostrò tanta gioia come se, sfuggita
al fuoco dell'inferno, fosse stata ammessa in paradiso. Allora aveva
capito che i suffragi di S. Chiesa potevano beneficarla, privilegio di
cui era stata priva dal momento della morte fino quando Geltrude
l'aveva liberata da quella pelle di bestia, conducendola in quel luogo.
Le anime che ivi si trovavano la ricevettero con bontà e le fecero
posto fra loro.
Geltrude, con uno slancio del cuore, chiese a Gesù di ricompensare
l'amabilità di quelle anime verso l'infelice cavaliere. Il Signore,
commosso, la esaudì e le trasferì tutte in un luogo di refrigerio e di
delizie.
Geltrude interrogò nuovamente lo Sposo divino: « Quale frutto, o amato
Gesù, ritrarrà il nostro Monastero dalla recita del Salterio? ». Egli,
rispose: - « Il frutto di cui la S. Scrittura dice: « Oratia tua in
sinum tuum convertetur - La tua preghiera ritornerà nel tuo seno »
(Sal. XXXIV, 13). Di più la mia divina tenerezza, per ricompensare la
carità che vi spinge a soccorrere i miei fedeli per farmi piacere,
aggiungetà questo vantaggio: in tutti i luoghi del mondo, ove si
reciterà d'ora in avanti il Salterio, ciascuna di voi riceverà tante
grazie, come se fosse recitato solo per lei ».
Un'altra, volta ella disse al Signore: « O Padre delle misericordie, se
alcuno, mosso dal tuo amore, volesse glorificarti, recitando il
Salterio in suffragio dei defunti, ma, non potesse poi ottenere il
numero voluto di elemosine e di Messe, casa potrebbe offrirti per farti
piacere? ». Rispose Gesù: « Per
supplire al numero delle Messe dovrà ricevere altrettante volte il
Sacramento del mio Corpo, e al posto di ogni elemosina dica un Pater
con la Colletta: «Deus, cui proprium est etc., per la conversione dei
peccatori, aggiungendo ogni volta un atto di carità».
Geltrude aggiunse ancora, in tutta confidenza: « Vorrei pur sapere, o
dolce mio Signore, se tu accorderai il sollievo e la liberazione alle
anime purganti anche quando invece del Salterio, si recitasse qualche
breve preghiera ». Egli rispose: « Gradirò queste preghiere come ii
Salterio, però con alcune condizioni. A ciascun versetto del Salterio
si dica questa preghiera: « Io ti saluto, Gesù Cristo, splendore del
Padre»; domandando prima perdono dei peccati con la preghiera « In
unione di quella lode supreme ecc. ». In unione poi all'amore che per
la salvezza del mondo mi ha fatto prendere umana carne, si diranno le
parole della suddetta, preghiera, che parla della mia vita mortale. In
seguito bisogna porsi in ginocchio, unendosi all'amore che mi ha
condotto a lasciarmi giudicare e condannare a morte, Io, che sono il
Creatore dell'universo, per la salvezza dì tutti, e si reciterà la
parte che riguarda la mia Passione; In piedi si diranno le parole che
salutano la mia Risurrezione e Ascensione, lodandomi in unione alla
confidenza che mi ha fatto vincere la morte, risuscitare a salire al
cielo, per porre la natura umana a destra del Padre. Poi, supplicando
ancora il perdono, si reciterà l'antifona Salvator mundi, in unione
alla gratitudine dei Santi i quali confessano che la mia Incarnazione,
Passione, Risurrezione sono le cause della loro beatitudine. Come ti
dissi bisognerà comunicarsi tante volte quante sono le Messe che il
Salterio esige. Per supplire alle elemosine si dirà un Pater con la
preghiera Deus cui proprium est, aggiungendo un'opera di carità. Ti
ripeto che tali preghiere valgono, al mio sguardo l'intero Salterio».
SPIEGAZIONE DEL GRANDE SALTERIO E DELLE SETTE MESSE GREGORIANE
Il lettore sentendo nominarsi il Salterio potrebbe domandare, cos'è e
come si recita. Ecco il modo di recitarlo secondo le direttive di S.
Geltrude.
Iniziando, dopo d'aver chiesto perdono dei peccati, dite: « In unione a
quella lode suprema con la quale la gloriosissima Trinità loda se
stessa, lode che scorre poi sulla tua benedetta Umanità, dolcissimo
Salvatore, e di là sulla tua gloriosissima Madre, sugli Angeli, sui
Santi, per ritornare poi nell'oceano della tua Divinità, ti offro
questo Salterio per tuo onore e gloria. Ti adoro, ti saluto, ti
ringrazio in nome dell'universo intero per l'amore con cui ti sei
degnato farti uomo, nascere e soffrire per noi durante trentatrè anni,
patendo fame, sete, fatiche, strazi, oltraggi e restare poi infine, per
sempre, nel SS. Sacramento. Ti supplico di unire, ai meriti della tua
santissima vita la recita di questo ufficio che ti offro per...
(nominare le persone vive o morte per le quali intendiamo pregare). Ti
domando il supplire coi tuoi divini tesori a quanto esse hanno
trascurato nella lode, nel ringraziamento e nell'amore che ti sono
dovuti, cosa pure nella preghiera e nella pratica della carità, o di
altre virtù, infine alle imperfezioni e alle omissioni delle loro
opere».
Secondariamente dopo d'avere rinnovato la contrizione dei peccati,
bisogna porsi in ginocchio e dire: « Ti adoro, ti saluto, ti benedico,
ti ringrazio, dolcissimo Gesù, per quell'amore col quale ti sei degnato
di essere preso, legato, trascinato, calpestato, colpito, sputacchiato,
flagellato, coronato chi spine, immolato coi supplizio più atroce e
trafitto da una lancia. In unione di tale amore ti offro le mie indegne
preghiere, scongiurandoti, per i meriti della tua santa Passione e
morte, di cancellare completamente le colpe commesse in pensieri,
parole e azioni dalle anime per le quali ti prego. Ti domando anche di
offrire a Dio Padre tutte le pene e dolori del tuo Corpo affranto, e
dell'anima tua abbeverata di amarezza, tutti i meriti che tu hai
acquistato sia per l'uno come per l'altra, e tutto presentare al sommo
Iddio per la remissione della pena che la tua giustizia deve fare
subire a quelle anime».
Terzo, stando in piedi direte direttamente: «Ti adoro, ti saluto, ti
benedico, ti ringrazio, dolcissimo Signore Gesù Cristo, per l'amore e
la confidenza con cui, avendo vinto la morte, hai glorificato il tuo
Corpo con la Risurrezione, ponendolo alla destra del Padre. Ti
scongiuro di rendere partecipe della tua vittoria e della tua gloria le
anime per le quali prego».
Quarto, implora perdono dicendo: « Salvatore del mondo, salvaci tutti,
Santa Madre di Dio, Maria sempre Vergine, prega per noi. Noi ti
supplichiamo affinchè le preghiere dei santi Apostoli, Martiri,
Confessori e delle Sante Vergini ci liberino dal male, e ci accordino
di gustare tutti i beni, ora e per sempre. Ti adoro, ti saluto, ti
benedico, ti ringrazio, dolcissimo Gesù, per tutti i benefici che hai
accordati alla tua gloriosa Madre e a tutti gli eletti, in unione di
quella riconoscenza con la quale i Santi si rallegrano di avere
raggiunto la beatitudine eterna per mezzo della tua Incarnazione,
Passione, Redenzione. Ti scongiuro di supplire a quanto manca a queste
anime coi meriti della beata Vergine e dei Santi ».
Quinto, recita divotamente e con ordine i centocinquanta salmi,
aggiungendo dopo ciascun versetto del salterio questa preghierina: « Io
ti saluto, Gesù Cristo, splendore del Padre, principe della pace, porta
del cielo; pane vivente, figlio della Vergine, tabernacolo della
Divinità ». Alla fine di ciascun salmo dite in ginocchio Requiem
aeternam etc. Poi ascolterete piamente o farete celebrare
centocinquanta, o cinquanta, o almeno trenta S. Messe. Se non potete
farle celebrare vi comunicherete lo stesso numero di volte. Poi farete
centocinquanta elemosine oppure vi supplirete con lo stesso numero di
Pater seguiti dalla preghiera: « Deus cui proprium est etc. - Dio di
cui è proprio etc. (preghiera che segue le Litanie dei Santi), per la
conversione dei peccatori, e compirete centocinquanta atti di carità.
Per atti di carità s'intende il bene fatto al prossimo per amore di
Dio: elemosine, buoni consigli, delicati servigi, ferventi preghiere.
Questo è il grande Salterio la cui efficacia venne esposta più sopra
(cap. XVIII e XIX).
Ci pare che non sia fuor di proposito parlare qui delle sette Messe
che, secondo un'antica tradizione, vennero rivelate al Papa S.
Gregorio. Esse hanno una grande efficacia per liberare le anime
purganti, perchè si appoggiano ai meriti di Gesù Cristo, che saldano i
loro debiti.
In ogni S. Messa bisogna accendere, se possibile, sette candele in
onore della Passione e, durante sette giorni, recitare quindici Pater
od Ave Maria, fare sette elemosine e recitare un Notturno dell'Ufficio
dei defunti.
La prima Messa è: Domine, ne longe, con la recita della Passione, come
nella domenica delle Palme. Bisogna pregare il Signore perché si degni,
Lui che si è volontariamente abbandonato nelle mani dei peccatori,
liberare l'anima dalla prigionia ch'ella subisce per le sue colpe,
La Seconda Messa è: Nos autem gloriaci con la recita della Passione,
come nella terza feria dopo le Palme. Si prega Gesù affinchè, per
l'ingiusta condanna a morte, liberi l'anima dalla giusta condanna
meritata per le sue colpe.
La terza Messa: In nomine Domini, col canto della Passione, come nella
quarta feria dopo le Palme. Bisogna chiedere al Signore, per la sua
Crocifissione e dolorosa sospensione allo strumento del suo supplizio,
di liberare l'anima dalle pene a cui si è ella stessa condannata.
La quarta Messa è: Non autem gloriaci, con la Passione Egressus Jesus,
come al Venerdì Santo. Si domanda al Signore, per la sua amarissima
morte e per la trafittura del suo Costato, di guarire l'anima dalle
ferite del peccato, e delle pene che ne sono la conseguenza.
La quinta Messa è: Requiem aeternam. Si domanda al Signore che, per la
sepoltura che ha voluto subire, Lui, il Creatore del cielo e della
terra, ritragga l'anima dall'abisso dove l'hanno fatta cadere i suoi
peccati.
La sesta Messa è: Resurrexi, afflnchè il Signore per la gloria della
sua gioiosa risurrezione, degni purificare l'anima da ogni macchia di
peccato e renderla partecipe della sua gloria.
La settima Messa infine è: Gaudeamos, come nel giorno dell'Assunzione.
Si prega il Signore e si domanda alla Madre delle misericordie, per i
suoi meriti e le sue preghiere, in nome delle gioie che ricevette nel
giorno del suo trionfo, che l'anima, sciolta da ogni legame, voli allo
Sposo celeste. Se compirete queste opere per altre persone in occasione
della loro morte, la vostra preghiera vi sarà ridonata con doppio
merito. Se poi la praticate per voi, mentre siete in vita, sarà molto
meglio che attenderle da altri, dopo morte. Il Signore, che è fedele e
cerca l'occasione di farci del bene, custodirà Lui stesso quelle
preghiere e ve le restituirà a tempo debito « per le viscere della
misericordia del nostro Dio, con le quali è venuto a visitarci
dall'alto questo sole levante» (Luc. I, 78).
CAPITOLO XX . - COME SI ACCRESCE IL MERITO OFFERTO
Geltrude un giorno offerse a Dio, per l'anima di un defunto, tutto il
bene che la bontà del Signore aveva compiuto in lei e per lei. Vide
allora questo bene presentato davanti al trono della divina Maestà,
sotto la forma di un magnifico dono che sembrava rallegrare Dio ed i
sudi Santi.
Il Signore ricevette volontieri quel dono e parve felice di
distribuirlo a coloro che erano nel bisogno, e che nulla avevano da
loro stessi meritato. Geltrude vide poi che il Signore aggiungeva,
nella sua infinita liberalità, qualche cosa alle sue opere buone,
affine di restituirgliele poi aumentate, per il decoro della sua eterna
ricompensa. Comprese allora che, lungi dal perdere qualche cosa, l'uomo
guadagna assai a soccorrere gli altri, con senso di generosa carità.
CAPITOLO XXI. - MERITO DELLA BUONA VOLONTA'
Un giorno si celebrava la S. Messa per l'anima di una povera donna che
doveva essere tosto sepolta. Geltrude, mossa a compassione, recitò in
suo suffragio cinque Pater in onore delle Piaghe del Signore. Allora,
ispirata dal cielo, offerse caritativamente per quella poveretta tutto
il bene che la divina bontà aveva operato in lei, e per suo mezzo. Vide
allora quell'anima posta, con onore, sul trono che il Signore le aveva
preparato nei cieli. Tale seggio venne trasportato ad altezze sublimi
che sorpassano i posti inferiori, quanto i Serafini sono posti al di
sopra dell'ultimo coro degli Angeli.
Geltrude chiese a Gesù come mai quell'anima avesse potuto ottenere una
gloria così grande, dopo le preghiere e l'offerta fatta a suo
vantaggio. Egli rispose: « Ella
lei ha meritato in tre modi: 1) perchè ha sempre conservato la volontà
e il desiderio di servirmi nello stato religioso; 2) perchè ebbe
dilezione per gli uomini giusti e per i Religiosi; 3) perchè li ha
onorati e ha fatto loro del bene per mio amore. Tu puoi concludere,
mirando la gloria immensa di quest'anima, come mi piaccia trovare
queste tre disposizioni nel cuore degli uomini».
CAPITOLO XXII. - PUNIZIONE Al DISOBBEDIENTI E AI MORMORATORI
Una persona venne a morire, dopo di avere fedelmente pregato durante la
vita per le anime purganti. Siccome però, a causa della fragilità
umana, non era sempre stata perfetta nell'obbedienza, preferendo talora
i rigori del digiuno e delle veglie e simili austerità, alla docilità
dovuta ai superiori, apparve adorna di diversi ornamenti, sotto i quali
però si celavano delle pietre di peso così grande, che ci volevano
parecchia persone perchè potessero trascinarla verso Dio. Stupita
Geltrude seppe, per divina ispirazione, che quelle che conducevano
quest'anima erano le anime del purgatorio liberate con le preghiere di
quella defunta; gli ornamenti erano le preghiere che aveva recitate per
esse; ma le pietre erano le disobbedienze commesse.
Le disse allora Gesù: «
Queste anime, spinte dalla riconoscenza, non mi permettono di farla
passare da un purgatorio ordinario, per mostrarla poi in tutto lo
splendore della sua bellezza; pure è necessario ch'ella abbia da
espiare le disobbedienze e i tenaci attacchi al suo giudizio».
Geltrude obbiettò: « Ma non ha ella, dolce mio Signore, riconosciuto i
suoi falli prima del trapasso, pentendosene dall'intimo del cuore? Ora
sta scritto: Se l'uomo riconosce i suoi falli, viene da Dio perdonato!
». Egli rispose: « Sì, e
s'ella non avesse riconosciuto i suoi torti, ilpeso delle pietre
sarebbe stato così schiacciante che forse non avrebbe mai potuto
giungere fino a me».
Geltrude si accorse allora che l'anima pareva nascondere sotto i suoi
ornamenti una caldaia bollente, destinata a fondere le pietre e a
scioglierle completamente. Le preghiere da lei fatte per le anime
purganti ed i suffragi dei fedeli dovevano, come buoni servitori,
aiutarla in quella operazione. Il Signore le fece poi vedere il cammino
per dove quelle anime dovevano passare per giungere al Paradiso, sotto
l'aspetto di un'asse stretta e ripida, piena di scabrosità e di
difficile scalata. Coloro che volevano salire dovevano aiutarsi con le
mani e tener fermo l'asse da entrambe le estremità; ciò significa che
bisogna aiutare le anime con le nostre buone opere. Coloro che avevano
meritato l'aiuto degli Angeli in quell'ascesa, ne avevano vantaggio
grande, perchè ai lati dell'asse vi erano due orribili ceffi; erano
demoni che impedivano alle anime di salire. I Religiosi ch'erano stati
obbedienti, trovavano lungo quell'asse una ringhiera, alla quale
potevano affrancarsi per non cadere; ma se Superiori negligenti non
avevano fatto percorrere ai loro sudditi la via dell'obbedienza,
l'appoggio pareva mancare e le cadute erano a temere. Le anime docili
all'obbedienza camminavano con sicurezza, appoggiandosi alla ringhiera,
mentre gli Angeli scostavano gli ostacoli dal loro cammino.
Un'altra defunta apparve a Geltrude con lei orecchie coperte da una
specie di cartilagine, ch'ella toglieva a gran fatica con le unghie;
espiava le colpe commesse, ascoltando parole di mormorazione e di
maldicenza. Di più aveva la bocca foderata interiormente da una pelle
compatta, che le impediva di gustare le dolcezze divine; ciò perché
aveva parecchie volte parlato male del prossimo.
Il Signore le disse che, se l'anima della defunta soffriva tali pene
per colpe commesse con semplicità e delle quali si era amaramente
pentita tante volte, coloro che hanno l'abitudine di commettere quei
peccati, subiscono un castigo assai più grave. Non solamente la loro
bocca è foderata da una grossa pelle, ma questa pelle è munita di punte
che, salendo dalla lingua al palato e discendendo dal palato alla
lingua, le feriscono dolorosamente facendo gocciolare, in modo
disgustoso, una materia nauseante. Non possono perciò essere ammessi
alla divina presenza, perché appaiono odiosi agli abitanti del cielo.
Geltrude allora disse gemendo al Signore: « Ahimè, dolcissimo Gesù, Tu
mi rivelavi, tempo fa, i meriti delle anime; adesso mi mostri
maggiormente le sofferenze dei loro purgatorio! » Egli rispose: « Ciò
avviene perchè allora le anime erano più facilmente attratte dalle
ricompense; ora invece, a fatica, e ben poche sono spaventate alla
vista dei più duri castighi.
CAPITOLO XXIII. - DESIDERIO DELLA MORTE CHE IL SIGNORE
ECCITAVA IN GELTRUDE
Nella festa di S. Martino, mentre si cantava il Responsorio: « Beatus
Marttnus, obitum suum longe ante praescivit. - Il Beato Martino conobbe
l'ora della sua morte, molto tempo prima», Geltrude, presa d'ardente
brama, disse al Signore: «Quando dunque, o mio diletto Gesù, mi darai
la stessa lieta nuova? » Egli rispose: « Presto ti ritirerò da questa
vita! » Tale affermazione accrebbe i suoi desideri: da quel punto ella
sospirò di morire per essere con Cristo, quantunque prima non avesse
mai avuto tale desiderio.
Il mercoledì dopo Pasqua, mentre aveva ancora in bocca la Sacra Ostia,
sentì queste divine parole: « Veni, electa mea, et ponam in te thorum
meum - Vieni, mia diletta, porrò in te il mio trono ». Geltrude, a quel
detto, comprese che, presto, si sarebbero verificate le parole che
aveva intese nella festa di S. Martino: « Presto ti ritirerò da questa
vita ».
Il Signore aggiunse: « Nel
tempo che ti rimane da passare in terra, non vivere più per te, ma
sforzati di procurare la mia gloria, seguendo le divine ispirazioni e
l'ardore dei tuoi desideri». La sua morte però venne
differita. Ci è permesso di credere che il Salvatore non volle
toglierla dai mondo, senza che prima avesse acquistato il merito del
desiderio e della preparazione alla quale era stata invitata con le
parole suesposte.
E' scritto infatti che i meriti s'accrescono in proporzione dei
desideri.
Una certa domenica, mentre provava un desiderio veemente di morire,
Gesù le disse: « Se io
dovessi compire alla tua ultima ora, tutto quello che tu hai coltivato
in cuore dall'infanzia fino a questo momento, sarebbe poca cosa in
confronto della grazia che la mia gratuita bontà ti ha destinato, senza
che tu l'abbia desiderata ». Poi aggiunse: « Scegli ora quello che vuoi:
morire, oppure rendere sempre più bella la tua anima con una lunga
malattia, quantunque sappia che tu temi molto la polvere delle
negligenze che accompagnano le infermità prolungate ».
Geltrude inchinandosi davanti alla divina accondiscendenza, rispose: «
O mio caro Signore, si compia in tutto la tua santa Volontà! ». E Gesù:
« E' giusto che tu mi lasci questa scelta, ma se per amor mio, consenti
a rimanere ancora quaggiù, Io dimorerò in te e ti riscalderò sul mio
seno come la colomba nel nido, fino a quando ti condurrò meco nelle
luminose regioni dell'eterna primavera ».
Dopo tali parole il suo desiderio della morte si placò: tutte le volte
che rientrava nel suo interno, sentiva una voce interiore ripeterle
quel versetto: « Columba mea in foraminibus petrae - La mia colomba è
nel cavo della roccia. (Cant. dei,cant. 14).
Più tardi il suo desiderio ritornò a divampare, ed ella pregò il
Signore di prenderla con sè. Ma Gesù le disse: « Può una vera Sposa
avere una sì ardente brama di giungere in un luogo ove sa che il suo
Sposo non potrà più abbellirla con nuovi ornamenti, ed ella stessa non
potrà più offrire un dono al suo Diletto?». Infatti l'anima, dopo
morte, non può nè crescere in meriti, nè lavorare per Dio.
CAPITOLO XXIV. - PREPARAZIONE PER L'ETERNA DIPARTITA
Geltrude un giorno doveva comunicarsi, ma si sentiva così sfinita, che
chiese al Signore se quell'estrema debolezza l'avrebbe tolta da questa
misera vita. Il Signore le rispose: «Quando
una giovinetta vede i messaggeri del suo fidanzato moltiplicare le
visite e stringere i contratti che precedono le nozze, si sente animata
ad intensificare i suoi preparativi. Cosi tu sotto i colpi del male,
nulla devi trascurare per ben apparecchiarti alla morte ».
Ella chiese: « Come farò a capire che è giunta l'ora tanto desiderata,
nella quale mi toglierai dalla prigione del corpo? ». E Gesù: « Due Angeli, Principi illustri
della Corte celeste suoneranno con le loro trombe d'oro e giungerà al
tuo orecchio il dolce canto: "Ecce Sponsus venit, esite obviam ei -
Ecco lo Sposo che viene, andategli incontro" (Matt. XXV, 6).
E Geltrude: « Quale carro mi condurrà quando seguirò quella via regale
che a Te mi conduce, o mio unico Diletto? ». Rispose Egli: « Sarà il dardo possente del
desiderio divino che, sfuggendo dalle profondità del mio amore, si
dirigerà verso di te, per portarti fino a me!.». Ella
insistette: « Su quale seggio potrò riposare? ». E Gesù: « La confidenza piena e intera che
ti farà tutto sperare dalla mia bontà, sarà il seggio per il tuo
viaggio estremo ». La Santa riprese: « Quali saranno le
redini? ». « Le redini
saranno l'amore ferventissimo che ti fa desiderare i miei abbracci
». Ella ancora: « Siccome non so come devo disporre il resto del mio
equipaggio, non mi è neppure dato di conoscere quello che devo chiedere
per compiere un viaggio così desiderato! ». Gesù rispose: « Tu puoi spingere ben lungi le tue
ricerche: t'assicuro però che avrai la gioia di vederle oltrepassate,
perché lo spirito umano è incapace d'immaginare tutti i beni che
preparo si miei eletti; tale impotenza forma la mia delizia».
CAPITOLO XXV. - LA FRECCIA D'AMORE
Un certo frate, predicando un giorno nella cappellina delle Monache,
disse queste parole: « L'amore è una freccia d'oro e l'uomo è padrone,
in un certo senso, di tutto quello che colpisce con tale freccia. E'
dunque vera pazzia attaccarsi alle cose della terra e trascurare quelle
del cielo ». Queste parole infiammarono Geltrude di tali ardori da
farle esclamare: « O mio unico Diletto, perchè non posso avere questa
freccia? Te la lancerei tosto per colpirti, e impadronirmi per sempre
di Te! ». Ella vide in quello stesso istante il Signore che si
preparava a scoccare su di lei una freccia d'oro. « Tu vorresti - disse
Egli - trafiggermi se avessi una freccia d'oro. Io la posseggo e ti
ferirò in tal modo che tu non guarirai mai più! ». Tale freccia pareva
aver tre punte: una davanti, una in mezzo, una all'estremità, per
indicare il triplice effetto d'amore, che la sua ferita opera in
un'anima.
La punta anteriore della freccia che trafigge l'anima, la rende per
così dire, languente e le fa perdere il gusto delle cose passeggere, al
punto che non vi trova più alcun piacere e consolazione. La seconda
trafigge l'anima, facendo di essa una specie di malata febbrile, che
chiede con impazienza rimedia ai suoi dolori: quest'anima infatti
brucia di un desiderio sì ardente di unirsi a Dio, che le diventa assai
penoso vivere e respirare senza di Lui. La punta posteriore trafigge
l'anima e la trasporta verso beni così inestimabili, che non si può
dire altro se non che tale anima è come separata dal corpo, e beve a
lunghi sorsi al torrente inebriante della Divinità.
Dopo questa rivelazione Geltrude, guidata da un pensiero umano, bramava
di morire nella cappella, come se il luogo ove si trova il corpo, possa
contribuire ad accrescere i meriti dell'anima. Ella poneva tale domanda
fra le sue solite preghiere. Ma un giorno Gesù le disse: « Quando l'anima tua uscirà da
questo mondo ti porrò all'ombra della mia protezione paterna, come una
mamma stringe al suo seno e copre dei suoi abiti il suo amato bimbo,
quando attraversa un mare burrascoso. Pagato che tu avrai il debito
alla morte, ti prenderò con me per farti gustare delizie ineffabili
nella pianura verdeggiante del cielo, così come una mamma, la quale non
solo vuol salvare il bimbo suo dai pericoli della traversata, ma
condurlo in porto». Allora Geltrude ringraziò Dio e
rinunciò al suo desiderio puerile per abbandonarsi interamente alla
divina Provvidenza.
CAPITOLO XXVI. - CON QUALE FEDELTA' DIO CUSTODISCE LE
PREPARAZIONI DI UN'ANIMA ALLA MORTE
Un giorno, nella preghiera, Geltrude implorò la misericordia di Dio per
l'ora della morte. Ricevette questa risposta: «Come potrei non perfezionare in
te, quello che ho così bene incominciato? ». Ella riprese:
« Caro Gesù, se Tu mi avessi tolta dal mondo quando, tempo fa, mi avevi
promesso che presto sarei venuta a Te, credo che, con la tua Grazia, mi
avresti trovato meglio disposta; con tutti questi ritardi, mi sento
diventata negligente e tiepida! ». Rispose l'amabile Redentore: « Nelle sagge disposizioni della
mia Provvidenza tutte le cose hanno il loro tempo; credilo, tutto
quello che hai fatto per prepararti a ben morire è, per mia bontà,
gelosamente custodito e nulla vi aggiungerai senza che io aumenti tale
tesoro».
Geltrude comprese, da queste parole, che il Signore agisce come si fa
nel mondo. Quando un ricco si prepara a celebrare le nozze, ha cura in
tempo della messe, di raccogliere grano per la imminente festa e
propaga ovunque la nuova di tale solennità; così fa al tempo della
vendemmia, per la provvista del vino; tutto è custodito nei granai e
nelle cantine, fino al giorno delle nozze: anche se non si parla della
festa, pure le riserve sono accuratamente custodite, per venire
generosamente distribuite a tempo debito. Così il buon Dio ispira
talvolta ai suoi eletti di prepararsi alla morte, benchè essa sia
ancora assai lontana.
CAPITOLO XXVII. - APPARECCHIO ALLA MORTE
Geltrude aveva composto un'istruzione assai utile per insegnarci come
pensare devotamente alla morte, almeno una volta all'anno, e prepararci
con fervore a quell'ora così incerta.
Il primo giorno di tale esercizio era consacrato all'ultima malattia,
il secondo alla Confesstone, il terzo all'Estrema Unzione, il quarto
alla Comunione, il quinto alla morte. Ella s'impegnò a praticare quanto
insegnava agli altri, e la domenica che precedeva i cinque giorni del
suo apparecchio, implorò l'assistenza divina nella S. Comunione.
Recitò, in quell'unione che fa dell'anima amante un solo spirito con
Dio, il salmo Quemadmodum (Sal. XLI) con l'inno Jesu nostra redemptio
(inno della festa dell'Ascensione, nella sua forma antica, conservato
nei breviari monastici).
Le disse il Signore: « Vieni a stenderti su di me come il profeta
Eliseo si è steso sul fanciullo che voleva risuscitare ». Elia chiese:
« Come farò? ». Egli rispose: « Applica
le tue mani sulle mie mani, cioè confidami tutte le tue opere. Applica
i tuoi occhi al miei occhi, tutte le tue membra alle mie sacratissime
membra, cioè unisci alle mie sante membra tutte le membra del tuo corpo
coi loro atti, di modo, che, in avvenire, non agiscano che per la mia
gloria, per mia lode e per mio amore ».
Ella obbedì e vide ben tosto uscire dal Cuore di Gesù, come una cintura
d'oro che legava la sua animi al Signore, col vincolo di un
indissolubile amore.
Al momento della S. Comunione, ricordandosi ella che si sarebbe
confessata volentieri. alla vigilia se l'avesse potuto, perchè bramava
il perdono di ogni colpa e negligenza, invocò il Signore il quale fece
uscire da ciascuna delle sue membra dei piccoli arpioni d'oro per
afferrare e racchiudere quell'anima benedetta, con la forza della sua
incomparabile Divinità, così come s'incastona nell'oro una gemma
preziosa.
All'indomani, siccome la sua debolezza cresceva, Geltrude recitò due
volte il salmo Quemadmodum, e l'inno Jesu nostra redemptio, in memoria
dell'unione della Divinità e dell'Umanità, realizzata in Cristo per la
salvezza del mondo. Le parve allora che gli arpioni d'oro, che uscivano
dalle membra di Gesù per imprigionare l'anima sua, fossero raddoppiati.
Al terzo giorno recitò tre volte lo stesso salmo per onorare l'unione
di Cristo con la Trinità sempre adorabile, unione che prepara la nostra
glorificazione; gli arpioni d'oro parvero triplicati. Infine alla
quarta feria, mentre celebrava l'esercizio da lei composto sull'ultima
malattia, con fervida divozione, le parve che la sua anima fosse
immersa nel Cristo, come una perla incastonata nell'oro. Quell'oro
aveva dei rosoni, in forma di foglie di vite, che si curvavano ai
margini della perla, per darle più vivo risalto. Geltrude comprese che
la Passione di Gesù Cristo, in unione della quale aveva offerto al
Signore la sua ultima malattia, rendeva l'anima sua gradita allo
sguardo della SS. Trinità. Nella quinta feria, essendosi messa alla
presenza di Dio, si ricordò i suoi peccati e li espresse sotto forma di
confessione, nell'amarezza del cuore; man mano che li ricordava, la
bontà divina li cancellava, ed essi comparivano come gemme brillanti,
che adornavano i rosoni d'oro di cui abbiamo parlato.
Nella VI feria, mentre faceva l'esercizio dell'Estrema Unzione, il
Signore Gesù parve assisterla con tenerezza grande: dalla profondità
del suo divín Cuore, faceva stillare un liquore che doveva purificare,
con la sua unzione, occhi, orecchie, bocca e le altre membra. Per
accrescerne lo splendore, Gesù le diede, come ornamento, i meriti delle
sue sacratissime membra e le disse: « Confidami il tuo ornamento
nuziale; come madre fedele lo custodirò fino al momento opportuno, e
non permetterò che tu ne offuschi lo splendore, con una sola negligenza».
Ella seguì devotamente tale consiglio, il Signore chiuse nel suo Cuore
sacratissimo quell'ornamento, come in un sicuro forziere.
Il sabato seguente, essendosi ella apparecchiata molto accuratamente
all'ultima S. Comunione, quattro gloriosi Principi della milizia
angelica le apparvero durante la S. Messa, all'Elevazione dell'Ostia,
davanti al trono della divina Maestà, disponendosi uno a destra, e uno
a sinistra, fiancheggiandolo, e circondandolo colle braccia; gli altri
due condussero Geltrude davanti a Gesù, che l'accolse con tenerezza, la
fece riposare sul suo Cuore, poi la coperse Lui stesso col vivificante
sacramento dell'altare, (che teneva fra mano sotto forma di velo), e se
l'unì in una felicità ineffabile.
Alla domenica, la Santa pensò al giorno nel quale renderebbe l'ultimo
respiro, e siccome recitava le preghiere annesse all'esercizio della
buona morte, il dolce Salvatore si degnò apparirle con la solita bontà.
Con la sua mano venerabile benedisse ciascuna delle sue membra, che
dovevano un giorno morire al mondo e ch'ella gli offriva perchè
vivessero, d'allora in poi, unicamente per la sua gloria e il suo
amore. Ricevendo. tale benedizione ciascun membro si trovò segnato con
una croce d'oro, così fortemente impressa che sembrava attraversarlo da
parte a parte. Quelle croci erano d'oro per significare che tutti gli
atti e i movimenti di Geltrude dovevano essere nobilitati dalla virtù
della divina unione: avevano forma di croce perché tutte le macchie che
la fragilità umana le avrebbe fatto contrarre ancora, dovevano essere
cancellate subito in virtù della Passione di Cristo.
All'Elevazione dell'Ostia, mentre offriva a Dio il suo cuore che stava
ormai per lasciare il mondo, domandò al Signore, per la sua santa
Umanità, di rendere pura e liberi da ogni colpa l'anima sua e per la
sua altissima Divinità di ornarla con tutte le virtù. Infine lo pregò
per l'amore che aveva unito la Divinità suprema, alla sua santissima
Umanità, di disporla a ricevere i suoi favori.
Tosto Gesù parve aprire con le due mani il Cuore suo divino, e
applicarlo con ineffabile amore a quello di Geltrude, che si trovava
aperto nello stesso modo davanti a Lui. La fiamma dell'amore divino,
sprigionandosi dalla fornace ardente del Cuore di Gesù, infiammò
talmente quello della Santa, che parve liquefarsi e scorrere nel Cuore
di Dio. Allora, da quei due Cuori, così felicemente uniti uno
all'altro, s'inalzò un albero di meravigliosa bellezza. Il tronco, era
formato da due fusti: uno d'oro, l'altro d'argentó, che si
attorcigliavano mirabilmente come i tralci dì una vite, slanciandosi a
grande altezza. Le foglie di quell'albero brillavano e parevano
illuminate dai raggi del sole: il loro splendore glorificava la
meravigliosa, sempre tranquilla Trinità, procurando delizie ineffabili
a tutta la Corte celeste. Disse Gesù: « Questo albero è spuntato per
l'unione della tua con la mia Volontà! ». Il fusto d'oro
Rappresentava la Divinità, quello d'argento, l'anima unita al Signore.
Mentre Geltrude pregava per le anime che le si erano raccomandate,
quell'albero produceva frutti speciali, che la fiamma dei divino amore
colorava in vermiglio. Quei frutti s'inchinavano spontaneamente verso
coloro per i quali Geltrude pregava, in modo ch'essi potevano coglierli
con divozione e ritrarne grande vantaggio per l'eterna salvezza.
Geltrude, sentendosi poi affranta per la debolezza, si distese sul
letto, dicendo: « Signore, ti offro per la tua gloria il riposo che
prendo, e ti prego di gradirlo come se fosse accordato alle membra
della tua santissima Umanità ». Rispose Gesù: « La virtù della mia Divinità
cancelli le colpe che la fragilità umana ti farà commettere in avvenire».
La Santa chiese poi al Signore se l'avesse chiamata a sè per la
malattia che la faceva allora soffrire. Egli rispose: « Questa malattia ti porrà in
luogo a me più vicino. Un fidanzato, che ha la sua diletta lontana,
arde d'amore per essa: allora per avvicinarla a sè, le manda una
numerosa scorta di cavalieri coi loro servi che portano doni stupendi,
e la rallegrano al suono dei tamburi, delle cetre, facendole corteggio
con apparati lussuosi fino al suo arrivo in un castello vicino al
palazzo. Là, il fidanzato va a trovarla lui stesso, accompagnato dal
suo seguito di valletti, signori, baroni e, con tenero amore, le dona
l'anello di fedeltà, come pegno della sua promessa. Ben presto le dà
l'arrivederci, giacchè ella rimarrà in quel castello fino al giorno
delle nozze nel quale la condurrà alfine, con un magnifico corteggio
d'onore, alla dimora reale. E io, poichè sono il tuo Dio e ti amo con
amore forte e geloso, sono con te, e in te realmente soffro tutti i
dolori del tuo corpo e del tuo cuore: i miei Santi mi accompagnano su
questo cammino regale, e partecipano alla tua grande felicità. I liuti,
i tamburi, i doni che ti offrono in tale viaggio, non sono altro che le
sofferenze e gli incomodi della malattia: strumenti di musica
armoniosa, essi mi risuonano continuamente all'orecchio, mi piegano a
sensi di pietà ed eccitano l'amore del mio divìn Cuore a colmarti di
benefici, per attirarti e unirti sempre più a me. Quando avrai meritato
il posto che ho prefisso per Te, e le tue forze, ormai sfinite, ti
faranno capire che la morte è vicina, allora, davanti a tutti i Santi,
ti darò il bacio soavissimo e l'anello dello sposalizio cioè il
sacramento dell'Estrema Unzione. Esso sarà un bacio perchè in te
diffonderò veramente l'unzione, con la dolcezza del mio soffio divino;
tale unzione penetrerà in modo così intimo l'anima tua, che nessun
pulviscolo di colpa, o di negligenza che potrebbe distogliere da te il
mio sguardo non potrà più sfiorarti. Più tu affretterai il momento
dell'Estrema Unzione e più la tua felicità sarà grande. In tale stato
tu sarai a me così vicina, che quando mi disporrò a condurti nel mio
eterno regno, ne sarai interiormente avvertita, a motivo appunto di
tale prossimità, e tutto il tuo essere trasalirà di allegrezza
nell'attesa della mia venuta. Io verrò raggiante di gioia, e
prendendoti nelle mie braccia, ti farò attraversare il torrente della
morte temporale, per condurti, immergerti e assorbirti nell'oceano
della mia Divinità, ove, diventata uno stesso spirito con me, regnerai
nei secoli dei secoli. Sarà appunto allora che, in ricambio delle dolci
armonie che le tue sofferenze mi avevano fatto gustare durante la
malattia, la musica celeste risuonerà al tuo orecchio. Tu dividerai le
delizie che la mia Umanità gode ora, in compenso dei dolori sofferti in
terra per la salvezza degli uomini».
E Gesù aggiunse: «
L'anima che desidera essere confortata in punto di morte con tali
grazie, deve aver cura di rivestirsi ogni giorno di abiti magnifici,
cioè d'imitare le opere della mia santissima vita; deve salire sul
carro del corpo, e lasciarsi guidare in tutto dalla grazia; sforzarsi
di soggiogare la natura e porre nelle mie mani le redini del corsiero,
cioè affidarmi la direttiva della volontà, credendo, con fiducia che la
mia bontà saprà condurla paternamente al vero bene. Non mancherà
d'offrire per la mia gloria tutti i suoi dolori, e io in ricambio,
l'ingemmerò di perle preziose e di vari ornamenti. Se, per l'umana
fragilità, riprenderà talora le redini che m'aveva affidate, per
seguire la sua volontà, cercherà di cancellare con la penitenza tale
colpa, rimettendo di nuovo la sua volontà fra le mie mani. Allora sarà
ricevuta dalla destra della mia misericordia, che la guiderà con onore
al regno dell'etema luce».
La domenica seguente, mentre Geltrude celebrava la gioiosa festa del
suo prossimo transito, che l'avrebbe ammessa alla presenza della SS.
Trinità, si mise a contemplare, in una specie di estasi, i meriti e i
gaudi di ciascun ordine degli Angeli e dei Santi, trovando ineffabili
delizie nel considerare i beni di cui sono colmati, ringraziando a nome
loro dall'intimo del cuore. Ella lodò pure il Signore, per l'onore,
grazia e gloria di cui ha arricchito la Vergine Maria; nè mancò di
supplicare la stessa Madre celeste perchè si degnasse, per amore di
Gesù, supplire alla sua indigenza, offrendo per essa al Signore tutte
le virtù della sua anima verginale, che erano state a Lui più gradite.
Allora la Regina del cielo, spinta da questa supplica, offerse a Gesù
la sua castità verginale, quasi manto di splendente candore; la sua
dolce umiltà sotto forma di una tunica verde; il suo fedelissimo amore,
sotto quello di un paludamente purpureo.
Il Salvatore rivestì Geltrude di quelle virtù, e tutti i Santi, rapiti
di vederla così meravigliosamente adorna, si alzarono chiedendo a Dio
di diffondere su di lei tutte le grazie che loro stessi avrebbero
ricevuto, se si fossero convenientemente preparati.
Gesù alla nobile preghiera degli eletti, pose sul petto della sua Sposa
una magnifica collana, adorna di preziosissime gemme: ciascuna di esse
pareva assorbire le grazie che gli eletti non avevano potuto ricevere
per difetto di preparazione. Non bisogna però concludere che una sola
persona possa essere arricchita dei favori che le altre hanno
trascurato, ma solo capire come la riconoscenza prepari un'anima a
ricevere, in una certa misura, le grazie di cui altre non hanno voluto
approfittare.
CAPITOLO XXVIII. - CONSOLAZIONE DATA A GELTRUDE DAL SIGNORE E
DAI SANTI
Una volta Geltrude, mentre con raccoglimento pensava alla morte, disse
al Signore: « Oh, come sono felici e ben difesi coloro che meritano di
essere consolati, nel loro transito, dai Santi! E' una gioia alla quale
però non posso aspirare perchè non ho reso omaggi speciali a nessun
Santa. Credo persino di non avere neppur desiderato d'ottenere la loro
assistenza in morte, ma soltanto la tua, o Gesù, unica delizia
dell'anima mia e santificatore di tutti gli eletti! » Rispose Gesù: « Tu non sarai priva
dell'assistenza in morte dei Santi, per avermi preferito, com'è giusto
a essi; anzi si faranno una gioia di soccorrerti e di circondarti di
mille tenerezze. All'ora della morte, quando gli uomini sentono la più
grande angoscia, essi ti colmeranno di consolazioni. Quando quell'ora
benedetta sarà scoccata, Io stesso mi presenterò si tuoi sguardi, pieno
di grazia, d'incanto, di delizie, col fascino della mia Divinità e
della mia Umanità ».
Chiese allora Geltrude: « Quando mai, o fedelissimo Amico, mi condurrai
dalla prigione dell'esilio al riposo della beatitudine? ». Egli
rispose: « Quale sposa
regale vorrebbe ascoltare presto le acclamazioni e i voti del popolo
suo, lamentandosi che lo sposo ritarda, quando il suo diletto sa,
durante questo indugio, colmarla delle carezze e dei baci del suo amore?
». « Ma Gesù - insistette Geltrude - quali delizie puoi trovare in me,
che sono il rifiuto delle creature e come osi paragonarle ai segni di
reciproco affetta fra sposo e sposa? ». Rispose il Salvatore: « Queste delizie le provo dandomi a
te nel S. Sacramento dell'altare, in quell'unione che non esisterà più,
dopo la terrena vita: essa ha per me un incanto infinito, di cui le
dimostrazioni dell'affetto umano, non possono dare la minima idea. Gli
amori umani passano col tempo, ma la dolcezza di questa unione, con la
quale mi dò a te nell'Eucarestia, non può attenuarsi giammai. Al
contrario, più si rinnova, più prende di vigore e di efficacia
».
CAPITOLO XXIX. - FEDELI PROMESSE DI DIO E PRIVILEGI
Il Signore, come già si è detto, l'animava in vari modi a desiderare la
morte. Poco tempo dopo ella fu colpita da una malattia di fegato, che
venne dichiarata dai medici inguaribile. Geltrude ne ringraziò, con
immenso giubilo, il Signore e gli disse: « O mio Gesù, benchè per me la
felicità suprema sarebbe di abbandonare la prigione del corpo per
unirmi a Te, pure, te lo dichiaro apertamente, se il voler tuo fosse
contrario alle mie brame, vorrei restare quaggiù fino al giorno del
giudizio, e vivervi per la tua gloria, in un'estrema miseria».
Le rispose il Salvatore: «
La tua buona volontà ha davanti al mio sguardo lo stesso effetto, come
se fosse stata eseguita a perfezione ». Dicendo quelle
parole il Signore parve sentire tali delizie, e ciascuno dei sensi
della sua Umanità deificata lasciò scorrere un nettare prezioso nel
quale i Santi attingevano gloria, gioia, felicità. Le disse Gesù: « Nel giorno in cui ti attrarrò a
me, le montagne, cioè i Santi, stilleranno questa dolcezza, perché, per
aumentare la tua beatitudine, i cieli spanderanno miele su tutta la
terra. E le colline, cioè gli abitanti terreni, lasceranno scorrere
latte e miele, dopo d'aver ricevuto, per i tuoi meriti, le consolazioni
della grazia ».
Geltrude accolse con commossa riconoscenza una risposta così amabile.
Per accrescere la sua gratitudine ella medìtò tutte le promesse del
genere che lo Sposo divino le aveva fatto o direttamente, o per mezzo
di altri, poi ringraziò Dio con acceso fervore.
La divina bontà le aveva promesso, nella sua illimitata ampiezza, che
l'amore avrebbe consumato veramente tutte le sue forze. Difatti nessuna
morte doveva rapirla, se non la nobile potenza dell'amore, che prevalse
contro il Figlio di Dio, separando l'anima sua preziosa dal suo
santissimo Corpo.
In seguito, per una deliberazione della SS. Trinità sempre adorabile,
lo Spirito Santo aveva ricevuto la missione di compiere felicemente in
Geltrude, in virtù delle sue divine operazioni, tutta ciò che doveva
realizzarsi in essa, durante la malattia e all'ora della morte. Doveva
cioè agire con lo stesso amore col quale aveva operato ineffabilmente
l'Incarnazione, nel seno della Vergine.
L'amore si sarebbe fatto inoltre servitore dell'eletta di Dio, e tutte
coloro che l'avrebbero curata nell'ultima malattia, sarebbero state
largamente ricompensate dalla divina liberalità, perché l'amore divino
verrebbe, a sua volta, a servirle nelle stesse circostanze.
Sul punto di spirare Dio avrebbe accordato a Geltrude tutte quelle
grazie che a una creatura è dato ricevere in quell'ora suprema. Una
grande moltitudine di peccatori farebbe vera penitenza, per un effetto
della gratuita bontà di Dio, e coloro che avrebbero dovuto un giorno
pervenire alla grazia, sarebbero stati allora preparati, in una certa
misura. Di più molte anime purganti sarebbero liberate, e per
accrescere la gloria e i meriti di Geltrude, entrerebbero con essa nel
regno celeste, come famiglia della sposa.
La Verità divina, le aveva fatto ancora altre promesse chiunque
pregherebbe per lei, avrebbe sentito personalmente l'effetto della sua
supplica. Lodando poi e ringraziando Dio dei doni a lei fatti, si
sarebbero ottenuti i medesimi favori, se non subito, almeno a tempo
opportuno. E se dopo tali lodi e ringraziamenti, si fosse domandata una
grazia in nome dell'amore col quale Dio l'aveva scelta da tutta
l'eternità, l'aveva dolcemente attirata a sè, se l'era intimamente
unita, aveva gustato in essa le più pure delizie, per consumarla infine
felicemente nel divino amore, si sarebbe stati infallibilmente
esauditi, purché si domandassero cose vantaggiose per la salvezza
eterna.
Infine il Signore aveva giurato, nella verità della sua Passione e
sotto il sigillo della sua preziosissima morte, di ricompensare
chiunque pregherebbe caritatevolmente per lei negli ultimi istanti, o
dopo la sua morte, per ottenere tutte le protezioni e i soccorsi che si
possono desiderare per se stessi in quella circostanza, con
l'intenzione di raccomandare al Signore, insieme a Geltrude, anche
coloro per i quali Dio desidera di essere pregato.
E' bene, prima d'incominciare la preghiera, offrirla al Signore in
unione dell'amore che l'ha fatto discendere dai cielo in terra, per
compiere l'opera della Redenzione. Dopo le preghiera bisogna rinnovare
quest'offerta, in unione all'amore col quale il Signore sofferse
crudele morte che presentò al Padre con tutto il frutto della sua santa
Umanità nel giorno dell'Ascensione. In tal modo si riceverà all'ora
della morte tutto quello che sarà stato fatto nel mondo per l'eletta
del Signore, e si godrà come se si fosse soli a domandare questi
favori, con grande divozione.
I. Come il Signore promise a Geltrude di esaudirci.
Noi saremo giudicati secondo lo stato dell'ultimo momento! La cosa più
importante per noi, è di pregare Dio per fare una buona morte. Siamo
però cosi oppressi dal peso dei nostri peccati, che ci torna difficile
essere esauditi; pertanto, se vogliamo giungere felicemente in porto,
dobbiamo supplicare il Signore di accordarci, per i meriti di Geltrude,
una morte più santa di quella che avremmo potuto ottenere con le nostre
sole forze.
Infatti il Salvatore ha giurato, per i dolori della sua Passione e
della sua morte innocente, che colui il quale si rivolgerà alla Sua
Sposa diletta, mentre ella è ancora in vita, alla sua morte, o nello
scorrere dei secoli, sarà esaudito oltre i suoi stessi desideri.
II. Preghiera per ottenere una buona morte, simile a quella
di Geltrude.
O Gesù, amantissimo Signore, ti saluto, ti lodo in mio nome e in quello
di tutte le creature, perchè hai abbandonato la compagnia degli Angeli
per venire a incarnarti in questa valle di lagrime, in un eccesso
d'amore per l'uomo che Tu avevi creato. Accordami, o dolce Signore,
come alla tua Sposa Geltrude un felice transito dalle miserie della
vita, alle gioie dell'eternità; la tua gratuita bontà estenda poi
questa somma grazia, a tutti coloro che prediligi con amore speciale.
Ti prego, per la tua Santa Circoncisione, di lavare tutti i miei
peccati nel Sangue vermiglio che scorse dal tuo delicatissimo Corpo; Ti
supplico per la santa tua vita e opere perfettissime, di perdonare le
mie negligenze e tutto quanto ho fatto, opponendomi alla tua santa
Volontà. Adornami con l'abbondanza delle tue virtù, liberami, per la
straziante tua agonia nell'orto, da tutte le angosce. Ti prego, per il
giudizio falso e iniquo di Pilato, di giudicarmi secondo la tua
infinita misericordia, e non secondo la mia fragilità. Ti supplico per
la flagellazione e la coronazione di spine di perdonarmi il mio
orgoglio e la mia presunzione. Ti prego per il peso opprimente della
Croce e per tutte le tue sofferenze, di rendermi partecipe dei tesori
della tua Passione, per supplire alle mie trascuratezze nell'osservanza
della S. Regola. La tua santa morte mi ottenga tramonto sereno e
cristiano; fa che, dopo una sincera Confessione, possa ricevere il
Sacramento dell'Estrema Unzione. Il santissimo tuo Corpo sia l'ultimo
mio cibo, e il viatico per passare da questa vita al cielo. Purificami
nel tuo prezioso Sangue, da tutti i miei peccati e l'anima mia mi
sfugga dalle labbra, così pura, chiara, incontaminata come uscì dalle
mani di Dio. Te ne scongiuro, per la tua morte, cancella in me ogni
macchia e togli tutto quanto ha potuto dispiacerti. Gli abitanti del
cielo e della terra, a Te si uniscano, o caro Gesù, per pagare al Padre
celeste il debito della sofferenza e della penitenza che io non avessi
ancora saldato.
Guardami con bontà, e tutti gli Angeli, i Santi, gli eletti mi mirino
pietosamente nell'ora del trapasso.
Proteggimi da ogni avversità, perché sia subito introdotta nell'eterna
gloria. Ricordati, o Padre celeste, che il tuo Figlio unico ti ha
offerto, nel giorno dell'Ascensione, sofferenze, virtù, meriti in
misura sovrabbondante, non solo per pagare i debiti della mia anima, ma
di tutto il mondo e di mille mondi. Abbi dunque pietà di me e dammi la
tua ricchezza in cambio della mia povertà. Se avessi ancora, qualche
debito, dì al tuo Figlio di pagarlo, perchè possiede tutto
abbondantemente e dà volentieri ogni cosa, giacchè per noi ha sofferto
ed è morto.
III. Chi ringrazia Dio per i cinque motivi seguenti, otterrà
quello che Gesù ha promesso con giuramento di dare a Geltrude.
O felicissima Sposa di Gesù Cristo, S. Geltrude, io ringrazio con tutto
il cuore il tuo divino Sposo per i beni di cui ti ha colmata.
Grazie, o Gesù, che l'hai eternamente predestinata a' tuoi favori!
Grazie, o Gesù, di averla attirata amorosamente a Te! Grazie, o Gesù,
d'aver unito il tuo Cuore ai suo cuore!
Grazie, o Gesù, d'esserti preparato nel suo cuore una gradita dimora!
Grazie, o Gesù, d'aver consumato l'opera della sua santificazione e
d'averla degnamente coronata in cielo!
O eletta Sposa di Gesù, S. Geltrude, mi rallegro con Te per tanti doni
e ti prego d'accordarmi, in virtù della tua promessa, le grazie che più
mi stanno a cuore e la gioia immensa di raggiungerti in cielo con tutti
i miei cari.
CAPITOLO XXX. - DOLCE RIPOSO
Più tardi il Signore apparve a Geltrude come Colui la cui bellezza
sorpassa infinitamente la bellezza dei figli degli uomini. Pareva
accoglierla con tenerezza fra le sue braccia e prepararle un nido di
riposo sul lato destro presso il suo divin Cuore, sorgente di ogni
beatitudine. Vi poneva, quasi letto di riposo, i crudeli dolori del suo
santissimo Corpo, sofferti sulla Croce per la salvezza del mondo e
l'anima doveva trovarvi la sua eterna salvezza. Poneva sotto il capo, a
modo di guanciale, lo strazio provato sulla Croce a causa
dell'inutilità della sua Passione, per un gran numero di anime. I
candidissimi lenzuoli erano l'estrema desolazione a cui fu ridotto
quando Egli, l'Amico più fedele, si vide abbandonato da tutti gli
amici, arrestato crudelmente come un ladro, legato senza pietà,
condotto a morte ed insultato, beffeggiato, oltraggiato dai suoi
nemici. Il Signore la coperse infine di tutti i frutti della sua morte
preziosa, perchè fosse santificata, secondo il disegno della divina
bontà.
Mentre Geltrude riposava dolcemente sul lato destro dei Figlio di Dio,
rivolta verso il suo amantissimo Cuore, ella vide quel Cuore divino,
sorgente di ogni bene, distendersi davanti a lei come un giardino
celeste, ove sbocciava il grazioso sorriso di tutte le spirituali
bellezze. L'alito che sfuggiva dalle labbra della santa Umanità di Gesù
vi faceva germinare un'erba verdeggiante, mentre i pensieri del suo
santissimo Cuore, sotto la forma di rose, di gigli, di violette e
d'altri fiori magnifici, vi diffondevano delicati profumi.
Le virtù del Signore parevano una vigna feconda, la vigna d'Engaddi i
cui frutti sono squisitamente dolci. Ora gli alberi delle virtù divine
e le vigne delle amabili parole, stendevano intorno all'anima di
Geltrude i rami per colmarla di delizie. Gesù nutriva quell'anima cara
coi frutti di quegli alberi e la dissetava coi vino della vite. Tre
ruscelli di limpidissima acqua sembravano zampillare dal centro del
divin Cuore, ma lungo il loro corso meraviglioso, mescolavano le loro
acque. Le disse il Signore: « All'ora della morte berrai di quest'acqua
e l'anima tua vi attingerà una perfezione così compiuta che non ti sarà
più possibile vivere nella prigione del corpo; intanto contempla questi
ruscelli con delizia, per accrescere i tuoi meriti eterni».
Avendo Geltrude chiesto al Padre di mirarla attraverso l'innocentissima
Umanità di Gesù, che fu pura, illibata, adorna di virtù per l'unione
con l'eccellentissima Divinità, meritò di sentire gli effetti di tale
preghiera. Ella chiese ancora: « Dammi, o Padre amantissimo, la dolce
benedizione della tua tenerezza ». E il Signore, stendendo la Mano
onnipotente, tracciò su di lei il segno della Croce. Tale benedizione,
colma di grazie, parve formare al di sopra del suo letto una tenda
dorata, ove erano sospesi tamburelli, lire, cetre ed altri strumenti di
musica, tutti in finissimo oro essi simboleggiavano i frutti
inestimabili della Passione santissima di Gesù e procuravano a quella
eletta godimenti nuovi, variati, ineffabili.
Mentr'ella riposava fra tante delizie, non era più una malata
trattenuta sul letto del dolore, ma una Sposa diletta che gustava le
gioie delle nozze, o meglio, un'anima assetata di Dio che, dopo d'aver
ricevuto la fecondità di Lia, beveva avidamente la dolcezza degli
amplessi, così a lungo desiderati da Rachele. Dolcemente accarezzata
dal soffio della divina misericordia, ella ricordava la lunga sterilità
degli sforzi passati; quel ricordo non solo era senza amarezza, ma
giocondo per f beni di cui il Signore la colmava. L'abbondanza dei
pingui pascoli, ove Gesù l'aveva posta, le permetteva di riparare le
passate negligenze e d'aumentare la perfezione, il pegno, la bellezza
delle sue opere.
Perciò ella riunì alcune preghierine, altre ne compose più ferventi
ancora, e volle dirle ordinatamente in nome delle membra del suo corpo,
per riparare le negligenze ch'ella credeva d'aver avuto nella recita
delle Ore canoniche, nell'Ufficio della Beata Vergine e dei defunti.
Volle pure riparare l'imperfezione delle sue virtù, perchè le parve di
non aver praticato abbastanza l'amore di Dio e del prossimo, l'umiltà,
l'obbedienza, la castità, la concordia, la riconoscenza, l'unione alle
gioie e alle pene del prossimo. Credeva pure di dover riparare per le
opere di pietà nelle quali le sembrava di essere stata trascurata e
specialmente nella lode divina, nello spirito di riconoscenza, nella
correzione. della vita e nella meditazione; ella estendeva la, sua
intenzione riparatrice alla Chiesa universale.
Geltrude non s'accontentava di recitare, per tali scopi una preghiera
sodisfatoria, ma vi aggiunse duecentoventicinque brevi aspirazioni, in
nome di tutte le membra del suo corpo, e un Pater con un'Ave dopo
ciascuna di esse. Tutte quelle preghiere erano così soavi che, non
solo, portavano i cuori a divozione, ma attraevano col loro incanto il
Cuore di Dio, Re e Sposo di eterne delizie.
In seguito Geltrude si sforzò di pagare tutti i debiti, secondo le
promesse che Gesù, Verità infallibile le aveva fatto. La sua confidenza
era invincibile, pure ella non dimenticava mai la sua miseria e, con le
suddette preghiere, s'applicava a rendersi meno indegna dei favori
ch'ella sperava fermamente di ricevere dalla liberalità di Dio.
Infine Geltrude rilesse, punto per punto la S. Regola, accompagnando
ciascuna parola da suppliche ferventi e da profondi sospiri, che
supplivano alle sue negligenze, e nobilitavano tutti i suoi atti.
Dopo quei ferventi esercizi, ella concentrò le sue forze fisiche e
morali a cose più elevate; ridisse migliaia di volte i versetti che
meglio esprimevano l'ardente fervore delle sue brame, per attrarre fino
nelle profondità dell'anima Colui che la faceva languire d'amore.
Inalzò poi la sua intenzione per quanto le fu possibile, unendosi
all'amore e alla gratitudine che le Persone della SS. Trinità si
tributano fra loro, facendosi con ciò l'interprete dell'intera
creazione.
In seguito ella ridisse ancora, con confidenza, questo versetto che le
ritornava continuamente alla memoria: « Desiderate millies! ». E
aggiungeva: « Veni jestinans propere - Vieni affrettati! ». « Sitivit
anima mea (Sal. XLI). La mia anima è assetata ». « Tuus pi aevalens
amor - Il tuo amore prevale » con la preghiera: « O Padre amantissimo
ti offro la santa vita ecc. (Vedi Libro II, cap. XXIII: ma là comincia
con queste parole: « Tutta penetrata ancora da quel ricordo ecc.).
Questa preghiera le era stata ispirata da Dio stesso e gli effetti
meravigliosi della medesima, dovevano applicarsi anche a tutti coloro
che l'avessero recitata con fede e divozione. Geltrude praticò questo
esercizio durante tutta la malattia, senza che l'estremo esaurimento
delle forze glielo impedissero. Ogni giorno, fedelmente, offriva
riparazioni per i peccati commessi con le membra, del suo corpo, a meno
che l'amore non la portasse ad atti più sublimi.
Nell'abbondanza delle delizie, di cui il suo spirito così spesso si
nutriva, ella si effondeva in preghiere ed esortazioni così dolci, con
le persone che la visitavano, che tutti facevano a gara di servirla,
onde gustare i suoi amabili colloqui. Pu appunto questo motivo che
indusse molti a pregare Dio perchè prolungasse un'esistenza così
preziosa; è fuori di dubbio che Dio, il quale ascolta sempre le
preghiere degli umili, le abbia, conservato la vita per accrescere i
suoi meriti e per favorire la carità delle Monache.
Ecco i passi dell'inno più sopra citato Desiderate millies
Mi Jesu, quando venies? Me laetum quando facies? De Te- quando me
saties? Veni, Veni, Rex optime, Pater immensa¢ gloria¢: Efulge clare
laettus: Jam expectamus saepius. Ut mala nostra superes Ut mala nostra
supereos Partendo et voti compotes Nos tuo vultu saties.
E tu, mille volte desiderato, O mio Gesù, quando vieni? Quando mi farai
felice? Quando potrò in Te saziarmi? Vieni, Vieni o Re dei re, Padre
della gloria infinita: Portami la gioia e la luce Che attendo da tanto
tempo. Il tenero tuo amore ti spinga a trionfare della nostra malizia:
Perdonaci, esaudisci i nostri voti, e saziaci nella vista del tuo Volto.
CAPITOLO XXXI. - SODDISFAZIONI OFFERTE ALLA MADONNA
Geltrude si sforzava abitualmente, come già accennammo, di riparare,
con preghiere speciali, le negligenze commesse nel culto verso la gran
Madre di Dio. Con questo spirito ella chiese un giorno a Gesù di
offrire Lui stesso alla celeste Regina, le sue ammende onorevoli.
Subito il Re di gloria si levò e offerse il suo divin Cuore alla
Vergine Maria, dicendole: « Ecco, o Madre amantissima, il mio Cuore
colmo di beatitudine; in esso ti presento quell'amore divino col quale,
da tutta l'eternità, ti ho creata, santificata, scelta per Madre, con
tenerezza speciale, a preferenza di ogni altra creatura, Ti offro
inoltre quel dolce affetto che ti ho mostrato in terra quando, piccolo
bimbo, mi riscaldavi e mi nutrivi sul tuo materno seno. Ricevi l'amore
filiale che ti ho dimostrato durante il corso di tutta la vita,
mantenendomi sempre a te sottomesso, quantunque fossi il Sovrano del
cielo. Tale amore te lo dimostrai soprattutto nell'ora della morte,
quando, nell'oblio dei miei atroci spasimi, compatii all'immenso tuo
dolore e ti diedi, in vece mia, un altro figlio, perchè, prendesse cura
di te. Gradisci pure il sentimento d'ineffabile amore, col quale, nel
giorno della tua gioconda Assunzione, ti elevai al di sopra di tutti i
cori degli Angeli e dei Santi, stabilendoti Regina del cielo e della
terra. Ti offro tutti questi favori rinnovati e raddoppiati, in
riparazione delle negligenze che quest'anima, a me diletta, commise al
tuo servizio, affinchè nell'ora del suo trapasso tu le vada incontro e
la riceva fra le tue braccia come mia fedele Sposa». La Vergine
amorosissima ricevette con gioia quell'offerta, e si disse pronta a
fare quanto da lei si richiedeva. Perciò aggiunse: « O Figlio mio diletto, accordami
questa grazia quando andrò incontro nell'ora estrema, a questa tua
degna Sposa: fa sì che tutte le grazie di cui mi hai ricolmata,
diffondano su di essa una soavità divina più fragrante del balsamo,
comunicandole le delizie della beatitudine eterna ».
Geltrude, rapita alla considerazione della divina bontà, disse al
Signore: «O Dio infinitamente buono, poichè la tua tenerezza ha
nobilitato i deboli sforzi del mio amore, quanto sono dolente di non
averti offerto, con la stessa divozione, il supplemento destinato a
coprire le mie trascuratezze nella recita dell'Ufficio e nella pratica
del culto a Te dovuto!».
Le rispose amabilmente il dolce Gesù: « Non inquietarti, mia diletta;
ho accettato tutte le tue opere in unione all'amore che ti ha dato la
grazia di compierle, quando, da tutta l'eternità, esse erano già
nobilitate e dolcemente preparate nel mio divin Cuore. Vi ho aggiunto
la divozione e il fervore che i cuori degli uomini hanno sentito, sotto
la mia dolce influenza; avendole così perfettamente santificate, le ho
offerte a Dio Padre, come riparazione ed olocausto graditissimo.
Pienamente soddisfatto, Egli si è chinato su te, con divina, paterna
tenerezza».
CAPITOLO XXXII. - COME LE VENNE ANNUNCIATA L'ORA DELLA MORTE
In questo periodo di preparazione al grande trapasso, S. Geltrude aveva
preso l'abitudine di ritirarsi ogni venerdì da qualsiasi occupazione
esteriore, allegando che aveva bisogno di riposo per non essere
disturbata da nessuno. Allora rivolgeva le sue potenze a Dio solo con
acceso fervore, e compiva per se medesima tutto quanto si usa fare con
le persone che sono in agonia, oltrepassando con infuocato ardore e
sante meditazioni, i limiti degli usuali preparamenti alla morte.
Geltrude praticava da tempo questo esercizio, con grande divozione,
quando un venerdì, dopo di essersi raccolta, si trovò in dolce riposo
di spirito, durante il quale il Signore infinitamente buono, che
aggiunge spesso grazia a grazia, le mostrò in una specie di estasi, le
felici circostanze che avrebbero accompagnato la sua morte.
Le sembrava di riposare, durante l'agonia, sul seno dei Signore,
appoggiata al suo sacratissimo Cuore, come una giovinetta bellissima ed
ammirabilmente adorna. Una moltitudine infinita di Angeli e di Santi
giunsero giubilanti, portando ciascuno un incensiere che conteneva le
preghiere della Chiesa universale, elevandone il profumo all'onore
dello Sposo divino e a vantaggio di Geltrude. Mentre questa invocava la
Madonna con l'antifona: « Salve Maria, ut te simus similiter - Salve,
Maria, facci simili a Te», il Signore chiamò la sua dolce Madre perchè
si preparasse a venire a consolare la sua eletta. La Regina delle
vergini, sfolgorante di nuova bellezza, s'inchinò e con le sue
delicatissima Mani, sostenne teneramente il capo della malata. L'Angelo
Custode era anch'egli presente: pareva uno dei principi più eminenti
della Corte celeste e si rallegrava della felicità dell'anima che le
era stata affidata, S. Michele Arcangelo, essendo stato invocato da
Geltrude, si presentò a lei con una moltitudine di Angeli: Egli offerse
i suoi servigi e si preparò a difenderla dalle insidie dei demoni che
si trovavano là in un angolo della camera, sotto forma di rospi e di
serpenti. Erano però in uno stato di assoluta impotenza, tanto che non
potevano neppure alzare la testa, o fare il minimo sforzo contro
l'anima di Geltrude, senza ricadere tosto, vinti e sconcertati dalla
gloria di una sì alta maestà; la malata, a tale vista, provò grande
consolazione. Allora il fervente amore che bruciava il cuore di
Geltrude parve effondersi dalle sue labbra, sotto il simbolo di una
colonna di fuoco, che salì fino al trono della divina Maestà; Le virtù
di quella colonna ardente era tale, che la malata non ebbe più bisogno
del soccorso angelico, perchè i demoni, terrorizzati e confusi dalla
forza: della divozione che esalava dalle sue labbra, fuggivano
disperatamente, cercando di nascondersi.
Avendo poi Geltrude invocato tutti i Santi, come, la Chiesa usa fare
coi moribondi, essi vennero con riverenza grande ad offrirle i loro
servigi. I Patriarchi portavano rami verdeggianti, carichi dei frutti
delle loro buone opere e li deponevano intorno alla malata. I Profeti
presentavano, sotto forma di specchi d'oro, il dono delle rivelazioni
divine che avevano ricevuto; essi li sospendevano si rami di cui
abbiamo più sopra parlato, davanti a Geltrude, che ne gustava
ineffabili delizie. In seguito venne Giovanni, apostolo, ed
evangelista, il discepolo prediletto che Gesù aveva circondato di
tenerezza speciale, al quale come pegno d'amore, aveva affidato la
Madre sua; Egli mise con tenerezza due anelli d'oro all'anulare di
Geltrude. Lo seguirono gli Apostoli che passarono nelle altre dita
della malata un cerchietto d'oro, simbolo della fedeltà con cui avevano
servito il Signore quando erano in terra.
Dopo di essi í santi Martiri ornarono l'anima di Geltrude di palme
d'oro, sulle quali brillavano le sofferenze che avevano patito in
terra, per amore di Dio. I santi Confessori le portarono fiori d'oro
bellissimi, per significare la volontà perfetta che avevano avuto di
servire Dio, secondo la loro possibilità. Le sante Vergini offrirono
magnifiche rose, munite di piccoli arpioni d'oro per rappresentare il
privilegio della verginità che avvicina e unisce a Dio, col vincolo
dolcissimo di un'intima familiarità.
Gesù, Re e Sposo della verginità senza macchia, aveva sulle vesti fiori
identici, in numero uguale a quello delle sante Vergini, che avevano
partecipato a Geltrude i loro meriti. Quando poi le Vergini in virtù
del privilegio della loro innocenza, s'avvicinarono allo Sposo divino,
gli arpioni d'oro rappresentanti le virtù particolari di ciascuna di
esse, si adattarono perfettamente al fiori che adornavano gli abiti del
Signore; da tale avvicinamento le Vergini ritrassero una dolcezza
speciale, emanante dalla divinità.
Appena Geltrude fu adorna dei fiori delle Vergini, Gesù si chinò su di
lei, ed ella stette a Lui unita con fermagli d'oro che le fecero
comprendere le soavi accondiscendenze della Bontà divina. Ella compreso
allora quanto sia efficace la protezione delle Vergini e come sia
grande il favore che possono procurarci quando si degnano interessarsi
benevolmente delle anime.
Le sante Vedove e tutti gli altri Santi le offrirono il frutto delle
loro buone opere; sotto la forma di cassettine d'oro. In questi regali
dei Santi, l'anima contemplava con gioia tutto il bene con cui ciascuno
aveva meritato di piacere a Dio e tale bene si rifletteva in essa,
dandole immensa gioia.
I santi Innocenti, nonostante i pochi meriti che sembra
abbiano avuto personalmente, non vollero privarla del loro favore; per
dare gloria a Dio, che li aveva riscattati col suo Sangue e loro dato
il cielo per gratuita bontà, rivestirono Geltrude con lo spendore
purissimo della loro innocenza, splendore ammirabilmente accresciuto,
per l'unione all'innocenza ineffabile di Gesù Cristo.
Infine il Figlio dell'Altissimo, il Re di gloria, s'inchinò con
tenerezza infinita per abbracciare la Sposa che riposava deliziosamente
sul suo Cuore. Come il sole nel suo pieno calore assorbe e volatizza la
gocciolina di rugiada, così il Figlio di Dio con la sua virtù divina,
attrasse quell'anima fortunata, adorna di tutto il bene che i Santi le
avevano offerto. Il ferro immerso nei fuoco si arroventa e pare
trasformarsi in fuoco, così il Signore, investendola. e penetrandola
interamente, la rese simile a Lui.
CAPITOLO XXXIII. - RACCOMANDAZIONE DI QUESTO LIBRO
Quando questo libro fu terminato Gesù apparve a Geltrude. Teneva il
libro stretto al Cuore e disse: «Stringo il mio libro al seno, perchè
tutte le parole che contiene siano penetrate, fino al midollo dalla
dolcezza della Divinità, come un boccone di pane fresco è penetrato
dall'idromele. Chi leggerà questo libro con divozione, ne ritrarrà
frutti di eterna salvezza »:
Geltrude chiese allora al Signore la grazia di preservare quell'opera a
suo onore e gloria da qualsiasi errore. Gesù, stendendo la mano,
tracciò sul libro il segno della Croce e disse: « Come nella S. Messa opero la
transustanziazione del pane e del vino nel mio Corpo e Sangue per la
salvezza degli uomini, così santifico, in questo momento, con la mia
celeste benedizione, tutto quello che è scritto in questo volume,
perché tutti coloro che lo leggono vi trovino la salvezza
». E aggiunse: « La
persona che ha scritto il mio libro ha fatto opera a me così gradita,
come se mi avesse circondato di tanti flaconi di profumo quante sono le
lettere ivi tracciate. Tre cose mi piacciono specialmente nel libro. Vi
gusto la dolcezza inesprimibile del divino amore, sorgente unica di
tutto quanto contiene; vi respiro il gradito profumo che diffonde la
buona volontà della persona che l'ha scritto, infine mi rallegro di
vedervi riflessi, quasi ad ogni pagina, gli effetti della mia infinita
bontà. Come il mio amore ti ha ispirato quanto vi è scritto, così lo
stesso amore le ha impresse nella memoria di colei alla quale tu le hai
raccontate. Ella le ha raccolte, disposte, scritte secondo i miei
desideri. Voglio che il mio libro abbia per copertina la mia santissima
vita e per ornamento i gioielli rosseggianti delle mie cinque Piaghe.
La mia bontà divina lo suggellerà coi sette sigilli dei doni dello
Spirito Santo, in modo che nessuno possa giammai strapparlo dalle mie
mani ».
CAPITOLO XXXIV. - COME IL SIGNORE ACCETTO' L'OFFERTA DI
QUESTO LIBRO
La Monaca che aveva redatto questo libro pensò di offrirlo a Dio in
lode eterna e nascondendolo in una manica a insaputa di tutti, andò a
comunicarsi per poi presentarlo a Gesù. Mentre stava inginocchiata alla
balaustra, divotamente china, Geltrude vide il Signore lanciarsi verso
di lei nell'impeto di un amore infinito, circondarla col braccio e
dirle con effusione: « Io
penetrerò con la dolcezza del mio divino amore e renderò feconde tutte
le parole del libro che mi è offerto, perchè è stato scritto, in
verità, sotto l'influsso del mio spirito. Chiunque, con umile cuore,
verrà a me e vorrà leggere queste pagine con desiderio del mio amore,
lo prenderò a me vicino e segnerò a dito i passaggi che gli torneranno
utili. Inoltre m'inchinerò su lui con bontà grande, e come l'alito di
colui che ha gustato cibi profumati si diffonde su coloro che
l'avvicinano, tosi il soffio della mia Divinità, opererà nell'anima sua
effetti salutari. Ma colui che, spinto da vana curiosità, vorrà
scrutare o falsare il senso del libro, lo tratterò come un insolente
che oserebbe chinarsi per leggere al di sopra delle mie spalle: non
sopporterò nè il suo peso fastidioso, nè la sua presenza, ma lo
confonderò con la mia forza divina ».
CAPITOLO XXXV. - OFFERTA DEL LIBRO
O Cristo Gesù, Luce che sei la sorgente delle luci eterne, ti offro in
questo libro, il nettare prezioso della tua bontà infinita, che la
dolcezza efficace della tua imperscrutabile Divinità ha fatto scaturire
dalle profonde sorgenti del tuo Cuore, ricco d'amore, perché inaffi,
fecondi, beatifichi, attiri e unisca inseparabilmente a Te il cuore e
l'anima della tua eletta.
Te l'offro con l'amore dell'universo intero, unendomi a quella suprema
carità per la quale, o Figlio del Padre eterno, hai fatto risalire, con
una perfetta riconoscenza verso la sorgente della sua origine, i flutti
della Divinità che si erano diffusi nella tua Umanità deificata. Ti
prego col desiderio e l'affetto di tutte le creature d'attrarre a Te
questo libro con l'amore del tuo soavissimo Spirito. Ricevi da esso il
tributo di quella lode eterna, immensa, immutabile di cui la tua
imperscrutabile Sapienza sa sola le armonie che esistono, con la
Onnipotenza suprema di Dio Padre, e con l'ineffabile Benevolenza dello
Spirito Paracleto.
Te l'offro come adeguato ringraziamento per tutta la felicità che tu
hai data, dai e darai, in avvenire a coloro che leggeranno queste
pagine e che, secondo la tua promessa, vi attingeranno consolazione,
ispirazione, istruzione, e anche a coloro che vi raccoglierebbero tutti
questi beni, se la tua bontà, o mio Dio, vedesse in essi qualche
disposizione a riceverli.
Te l'offro come una degna sodisfazione per tutte le colpe che la
meschinità della mia intelligenza, il mio scarso zelo, la mia
inesperienza mi hanno fatto commettere in quest'esposizione così
imperfetta dei tesori nascosti che mi hai affidati, perchè li rivelassi
per il bene del prossimo.
Te l'offro, in espiazione degli oltraggi e dei disprezzi che, per
fragilità umana, o per istigazione diabolica si riverseranno (la tua
Misericordia ce ne preservi), sulla tua bontà infinita, che si mostra
così chiaramente in queste pagine, facendosi gustare con tanta dolcezza.
Te l'offro per ottenere tutte le grazie che l'amore e la gratitudine
del tuo Cuore divino, intendono accordare a coloro che desiderosi del
tuo amore, leggeranno questo libro con umile divozione e tenera
riconoscenza, sforzandosi di praticare gli insegnamenti che racchiude,
in ossequio a quel Dio, da cui emanano tutti i beni.
Vedendo che la tua bontà infinita, o Dio del mio cuore, si è degnata
scegliermi per far conoscere grazie così sublimi, pur essendo un vile
atomo, o meglio la spazzatura del mondo, e considerando pure che, nella
mia miseria, nulla posso darti in compenso, ti offro il tuo dolcissimo
Cuore, dono infinitamente preziosa, con tutta la ricchezza che
racchiude, la divina gratitudine e la suprema perfezione che l'informa.
CAPITOLO XXXVI. - CONCLUSIONE DEL LIBRO
Questo libro è stato scritto a lode e gloria di Dio, che vuol salvare
tutti gli uomini. Per abbreviarlo abbiamo omesso un gran numero di
particolarità. Tuttavia è stato composto con soccorsi così evidenti e
miracolosi della divina misericordia, che basterebbero da soli a far
capire il frutto che ne aspetta per le anime Colui che ci previene e ci
colma dei doni migliori.
La corrente delle divine effusioni non si è esaurita dirigendosi verso
Geltrude, ma distribuendo la grazia che ci conveniva, ha condotto la
sua eletta, sotto forma di diverse immagini che le furono presentate,
come su di una scala d'oro, fino alle misteriose sorgenti della divina
Sapienza; sorgenti eccellentissime, purissime ove Ella ha attinto luci
che nessuna immagine sensibile potrebbe trasmettere alle intelligenze,
che nulla hanno provato di somigliante.
Che la bontà infinita di Dio faccia fruttificare, a salvezza delle
anime, le grazie che questo libro racchiude. Possano esse produrne
frutti al centuplo, e meritare d'essere scritte nel libro della vita.
Infine possano i principianti, troppo deboli per navigare nell'oceano
del divino amore, servirsi di queste pagine come di veicoli che li
aiuti a camminare verso Dio.
La vista delle grazie accordate ad altre anime le conduca, come per
mano alla lettura, alla meditazione, alla contemplazione, affinchè
comincino a gustare quanto è dolce il Signore, com'è felice l'uomo che
spera in Lui e getta nel suo Cuore ogni pena, preoccupazione, o
difficoltà.
Si degni, nella sua bontà accordarci questa grazia Colui che, essendo
Dio, vive e regna nella Trinità perfetta nei secoli dei secoli. Amen.