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Confetture per i Salesiani

Nella seconda metà di agosto del 1877, Don Bosco, nel dare i ricordi ai Salesiani che avevano fatto a Lanzo Torinese gli Esercizi Spirituali, raccontò questo sogno.
«Mi sembrava di passare per i viali di Porta Susa. Davanti alla caserma dei militari vidi una Donna che aveva l’aspetto di una venditrice di castagne arrostite, perché faceva girare una specie di cilindro, dentro il quale pareva facesse cuocere delle castagne. Mi avvicinai e le domandai che cosa facesse cuocere in quello strano arnese. Ed essa:
— Vado facendo confetture per i Salesiani.
— Come? — dissi —. Confetture per i Salesiani?!
— Sì — rispose.
Aperse il cilindro e me le mostrò. Potei così vedere confetture di vario colore: bianche, rosse, nere. Sopra di esse vidi una specie di zucchero ingommato, come gocce di rugiada caduta di fresco e qua e là sparsa di gocce rosse.
Io allora interrogai la Donna:
— Si possono mangiare questi confetti?
— Sì — disse; e me ne porse.
— E che vuoi dire che alcune di queste confetture sono rosse, altre bianche e altre nere?
— Le bianche — rispose — costano poca fatica, ma si possono facilmente macchiare; le rosse costano il sangue, le nere costano la vita. Chi gusta di queste non conosce fatiche, non conosce la morte.
— E quello zucchero ingommato che cosa significa?
— E simbolo della dolcezza del Santo che avete preso a imitare.
Quella specie di rugiada significa che si dovrà sudare, e sudare molto per conservare questa dolcezza, e che talvolta si dovrà spar gere persino il sangue per non perderla.
Io, tutto meravigliato, volevo continuare a far domande, ma essa non mi rispose più; e io continuai il mio cammino pensando alle cose udite. Ed ecco che, fatti appena pochi passi, incontro Don Picco con altri nostri preti, tutti meravigliati, tutti mortificati.
— Che cosa è accaduto? — domandai loro.
— Se sapesse!... — rispose Don Picco —; ha veduto quella donna che faceva confetture?
— Sì. E con ciò?
— Ebbene, mi ha detto che le raccomandassi di fare in modo che i suoi figliuoli lavorino, lavorino. Essa diceva: troveranno molte spine, ma troveranno anche molte rose.
— Ma... e non si lavora? — dissi io.
— Si lavora, ma si lavori! — rispose Don Picco.
Detto ciò, scomparve con tutti gli altri; e io, più meravigliato di prima, continuai nel sogno la mia strada verso l’Oratorio e, quivi giunto, mi svegliai».
Don Bosco concluse: « Quello che vorrei che si tenesse bene a mente è ciò che disse quella Donna, ossia che pratichiamo la mansuetudine del nostro San Francesco e che lavoriamo molto e sempre... Facciamoci coraggio, ofigliuoli, incontreremo molte spine, ma ricordatevi che ci saranno anche molte rose. Non abbattiamoci d’animo nei pericoli e nelle difficoltà; preghiamo con fiducia eDio ci darà l’aiuto promesso a chi lavora per la sua causa. Unia moci tutti insieme efacciamo quello che dice la Scrittura dei primi cristiani: cor unum et anima una (un cuor solo e un ‘anima sola)».
Il prof. Don Matteo Picco, alla cui scuola Don Bosco mandava i suoi primi giovani, tra i quali San Domenico Savio. Quando seppe della morte del santo allievo, ne tessé un accorato elogio, nel quale disse tra l’altro: «Parmi ancora di vederlo quando, con quel la modestia che era tutta sua propria, entrava nella scuola, prendeva il suo posto e in tutto il tempo dell’ingresso, lungi dal vano cicaleccio consueto nei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si tratteneva in qualche utile lettura; e quindi, cominciata la scuola, con quale applicazione io vedevo quel suo angelico volto pendere dalle mie parole!» (S.G. Bosco, San Domenico Savio, SEI, 1963, pag. 201).