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La decima collina

La sera del 22 ottobre 1864, Don Bosco narrava ai giovani del l’Oratorio questo sogno, nel quale gli era stato rivelato con quanta facilità gli innocenti superino gli ostacoli che rendono agli altri assai più ardua la via della salvezza.
Gli parve di trovarsi in una grandissima valle piena di migliaia di giovani, molti dei quali riconobbe come allievi del suo Oratorio. Una ripa altissima chiudeva da un lato quella valle.
— Vedi quella ripa? — gli disse la Guida —. Ebbene bisogna che tu e i tuoi giovani ne guadagniate la cima.
A un cenno di Don Bosco, tutti quei giovani si slanciarono per arrampicarsi su per la ripa. I sacerdoti della casa li aiutavano: chi rialzava quelli che cadevano, chi portava sulle spalle gli spossati e i deboli. Don Rua (il futuro Beato) lavorava più di tutti: prende va i giovani a due a due e li lanciava addirittura per aria sulla ripa; ed essi si rialzavano prontamente e si mettevano a scorrazzare al legramente qua e là. Don Cagliero (il futuro Cardinale) e Don Fran cesia correvano su e giù per le file gridando:
— Coraggio! Avanti, avanti, coraggio!
In breve quelle schiere giovanili raggiunsero la cima della ripa e videro elevarsi davanti a sé dieci colline, una dopo l’altra.
— Tu — disse la Guida a Don Bosco —, devi valicare con i tuoi giovani queste dieci colline.
— Ma come resisteranno i più piccoli e delicati a un viaggio così lungo?
— Chi non può camminare, sarà portato — rispose la Guida. Ecco infatti comparire un magnifico carro splendente di oro e di pietre preziose. Era triangolare e aveva le ruote che si movevano per tutti i versi. Dai tre angoli partivano tre aste che si congiungevano sopra il carro, formando come un pinnacolo, sul qua le s’innalzava un meraviglioso stendardo, su cui era scritto a ca ratteri cubitali: INNOCENZA. Il carro si avanzò e venne a collocarsi in mezzo ai giovani. Dato il comando, vi salirono sopra cinquecento fanciulli. Qui Don Bosco commenta con tristezza: «Cinquecento appena, in mezzo a tante migliaia di giovani, erano ancora innocenti! ».
Collocati questi sul carro, ecco apparire sei giovani biancove stiti, già morti nell’Oratorio, i quali inalberavano un altro bellissimo stendardo con la scritta: PENITENZA. Essi si misero alla testa di tutte quelle falangi di giovani che, a un segnale, si mossero verso le dieci colline, mentre i fanciulli che erano sul carro cantavano con inesprimibile dolcezza: Laudate, pueri, Dominum (Lodate, fanciulli, il Signore).
Don Bosco continua: «Io camminavo inebriato da quella musica di paradiso, quando mi ricordai di voltarmi indietro per vedere se tutti i giovani mi avessero seguito. Oh, doloroso spettacolo! Molti erano rimasti nella valle e molti erano tornati indietro. Io, agitato da indicibile dolore, decisi di rifare il cammino già fatto per tentare di persuadere quei giovani sconsigliati a seguirmi. Ma ciò mi venne assolutamente vietato.
— Peggio per loro — disse la Guida —. Essi furono chiamati come tutti gli altri. La strada l’hanno veduta e ciò basta.
Pregai, scongiurai: tutto fu inutile. E dovetti proseguire il cammino.
Non si era ancora lenito questo dolore, che sopravvenne un altro caso. Molti ragazzi di quelli che erano sul carro erano caduti per terra. Di cinquecento rimanevano sotto il vessillo dell’Innocenza solo 150.
Il mio cuore scoppiava: gemevo e sentivo il mio gemito risonare per la stanza: volevo dissipare l’incubo di quel fantasma, ma non potevo. Intanto la musica del carro continuava così dolce che a poco a poco sopì il mio cocente dolore.
Sette colline erano già valicate e quando quelle schiere giunsero sull’ottava, entrarono in una meravigliosa regione, dove si arrestarono per prendere un po’ di riposo. C’erano abitazioni di una bellezza e ricchezza superiori ad ogni immaginazione, con piante fruttifere, sulle quali si vedevano insieme fiori e frutti, maturi e acerbi: era un incanto. I giovani godevano nell’ammirare e assaporare quelle frutta. Ma qui ebbi un’altra sorpresa. A un tratto i giovani erano diventati vecchi: senza denti, con i capelli bianchi, con il volto solcato da rughe; zoppicanti e curvi, marciavano a stento, appoggiati al bastone. Io mi meravigliavo di questa trasformazione, ma la Guida mi fece notare che le dieci colline rappresentavano anche ciascuna un decennio di vita.
— È quella musica divina — disse — che ti ha fatto parere corto il cammino e breve il tempo. Guarda la tua fisionomia e ti per suaderai che dico il vero.
E mi venne presentato uno specchio, mi specchiai e vidi che il mio aspetto era diventato quello di un uomo attempato, col volto rugoso e i denti rari e guasti.
La comitiva frattanto si rimise in cammino. Lontano, lontano, in fondo, sulla decima collina spuntava una luce che andava crescendo, come se venisse da una splendida apertura (la porta del paradiso?). Riprese allora il soavissimo canto, così attraente che soltanto in paradiso si può gustare l’uguale. Fu tale la commozione e la gioia che mi inondò l’anima nel sentirlo che mi svegliai, e mi trovai nella mia stanza». Don Bosco concluse dicendo che era pronto a dire confidenzialmente a certi giovani che cosa facevano in questo sogno: se erano tra quelli rimasti nella valle o se erano caduti dal carro.

Don Bosco stesso ha interpretato il sogno così: la valle è il mondo; la ripa gli ostacoli per staccarsi da esso; le dieci colline i dieci comandamenti di Dio; il carro la grazia di Dio; le squadre dei giovani a piedi sono quelli che hanno perduto l’innocenza, ma si sono pentiti dei loro falli.