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3 -Il fascino della vocazione

"Partii dalla casa paterna con un grande desiderio di arrivare a farmi santa".

Quando la giovane Maria Josefa, il 15 ottobre 1914, all'età di 21 anni, disse alla mamma di voler partire dalla casa paterna quel giorno stesso, alla volta di Villena, per farsi religiosa tra le Figlie del Calvario, si sentì rispondere: "Figlia, perché non aspetti?".

La signora Maria del Carmen non si trovava in buona salute e dovendo badare ad una schiera di bambini vedeva come indi­spensabile la collaborazione della figlia maggiore.

Maria Josefa aveva scelto quella data perché era la festa di S. Teresa d'Avila, la grande mistica spagnola, riformatrice del­l'Ordine Carmelitano.

L'affascinava la sua fortezza d'animo, il suo coraggio virile. Anche lei, come Teresa voleva farsi santa, grande santa, forte e coraggiosa nell'affrontare qualunque sofferenza e rischio per il suo Dio. Nonostante la pena e la malattia la signora Maria del Carmen non si oppose alla decisione della figlia. La benedisse e le chiese di pregare per lei, soprattutto dopo la sua morte.

C'era in questo accorato distacco la consapevolezza che molto difficilmente si sarebbero riviste in questo mondo. Accompagnata dal padre e dal fratello Juan, con il desiderio di andare a farsi santa, partì da Santomera alla volta di Villena, un paese distante circa cento chilometri.

Mentre il giumento percorreva le strade polverose, durante i lunghi silenzi che intercalavano le raccomandazioni del padre e i commenti del fratello, la sua mente era immersa in Dio, unico Amore della sua vita e già pregustava le lunghe ore di preghiera, i sacrifici che avrebbe potuto offrire al suo Dio, la gioia della vita comune con altre sorelle animate dagli stessi ideali.

Il Calvario... di Villena

La prima esperienza di vita religiosa Madre Speranza la fece, dunque, tra le Figlie del Calvario di Villena. Come lei stessa racconta, la sua vita in questo luogo, fu un vero e pro­prio... calvario. Non sappiamo esattamente perché, tra i tanti conventi di suore che c'erano nella zona abbia scelto proprio quello di Villena. Fu forse il Parroco D. Manuel o più probabil­mente il Vescovo di Cartagena e Murcia, D. Vicente Alonso Salgado, che consigliarono alla giovane Josefa quel monastero. Esso accoglieva l'unica comunità dell'Istituto che dopo una serie di trasferimenti a Tortosa, Alicante, Elche, Jàtiva, Murcia si era fermata a Villena nel 1900. Il Monastero era situato su una collinetta, non lontano dal paese, chiamata Calvario. La chiesetta che dava il nome al monastero risaliva al 1700: era una cappella in stile arabo con tre cupole, costruita con argilla e pietre. In essa si conservavano "Los pasos de Semana Santa", cioè i gruppi scultorei in legno o cartone che rappresentavano scene della passione di Cristo. L'Istituto era stato fondato da Esperanza Pujol, a Seo de Urgel (Lérida) nel 1863. Questa santa donna, tutta dedita alla contemplazione dei dolori di Gesù, volle fondare una Congregazione per moltiplicare il numero di coloro che avreb­bero dedicato la loro vita a consolare il cuore di Cristo per tutti i dolori subiti nella sua passione. Ma dispose che insieme alla contemplazione le suore si dedicassero anche all'educazione e alla formazione delle bambine.

È interessante questo abbinamento. A suo tempo Madre Speranza chiederà alle sue Figlie e ai suoi Figli di impegnarsi in una vita che fosse nello stesso tempo attiva e contemplativa.

La Fondatrice delle Figlie del Calvario si era consultata con D. Antonio Maria Claret, il Santo Vescovo di Trajanopolis (Cuba), il quale approvò la regola, molto austera, affermando che se fosse stata osservata con fedeltà Dio sarebbe stato de­gnamente servito, le Figlie del Calvario si sarebbero santificate e avrebbero contribuito alla santificazione di tante anime.

Nel 1900 la Fondatrice Madre Esperanza Pujol scrisse un li­bretto intitolato "Los martirios de Jesucristo". Due anni dopo mori a Villena. Sicuramente questo libro costituiva un testo base di riflessione, formazione e preghiera per tutte le suore. Anche Madre Speranza crebbe a questa scuola, meditando le sofferenze fisiche, psicologiche e spirituali di Gesù. Nasceva così in lei il desiderio di immolazione, di offrirsi vittima di espiazione e di ringraziamento per tanto amore.

Nel convento la giovane novizia trovò una decina di suore molto avanzate negli anni, alcune di salute malferma, con po­che speranze di nuove vocazioni perché la vita di sacrificio e di penitenza che praticavano spaventava le giovani aspiranti.

Ma trovò anche, e questo la sorprese molto, mancanza di carità e un certo grado di rilassatezza.

La povertà era estrema: non c'era né acqua, né luce elet­trica, né servizi igienici. Per procurarsi un po' di acqua si servi­vano di pozzi che raccoglievano quella che dal cielo mandava il Buon Dio nelle rare piogge autunnali e primaverili.

Le suore dormivano in uno scantinato sotto la chiesa.

Una volta alla settimana a turno uscivano per chiedere l'ele­mosina. Madre Speranza riscuoteva più di ogni altra le simpa­tie della gente e le offerte più generose. Le ragazze che ogni giorno venivano accolte per ricevere una formazione umana e cristiana erano una quarantina. Alcune di esse hanno lasciato interessanti testimonianze riguardo a Madre Speranza. Tutte rimanevano edificate dalla sua preghiera assorta e prolungata. Ognuna era convinta di essere la sua preferita. Ricordano il suo sincero interessamento per le loro famiglie. Era, affermano, nello stesso tempo molto materna e molto esigente. Quando nel 1921 venne trasferita a Madrid, senza sapersi spiegare come, perché la notizia era segreta, la gente di Villena si ritrovò alla stazione ferroviaria per un riconoscente e unanime saluto di addio.

Fu in questo ambiente che la giovane Josefa Alhama iniziò a muovere decisamente i primi passi nel cammino ascetico e mi­stico che l'avrebbe portata ai vertici della santità. Ma non fu facile come si era immaginata. Ben presto si rese conto che i suoi ideali non trovavano in quel luogo una risposta adeguata e andava pensando di lasciare il convento prima di emettere i voti perpetui.

"Immagini di essere una scopa"

Lasciamo ora che la stessa Madre Speranza ci racconti un provvidenziale incontro avvenuto a Villena dopo tre anni di permanenza e che sarà determinante per la sua spiritualità.

"Il Vescovo di Murcia, che conoscevo molto bene, venne a trovarmi e mi disse: ‘Madre che fa?’. ‘Eccellenza - gli risposi - io sono venuta per santificarmi, ma siccome vedo che qui non mi è possibile, non mi sembra di poter fare i Voti Perpe­tui’. ‘Perché?’ mi disse. Io gli manifestai ciò che sentivo e lui mi rispose: Madre non pensi più di essere una persona; im­magini di essere una scopa.

Arriva prima una suora ben ordinata, dalle maniere delicate: pulisce la sala, e poi la ripone con attenzione, ben messa, al suo posto. Poi giunge un'altra, inquieta, dai modi bruschi e di­sordinata. La usa e poi la getta in un angolo. La scopa non si lamenta, non protesta e, silenziosa, lascia che la usino sia per una cosa che per l'altra e che la trattino con maggiore o mino­re delicatezza.

Allo stesso modo anche tu devi pensare di essere una scopa, così non ti darà fastidio quello che una ti dice o l'altra ti fa... Anzi, sarai sempre disposta a tutto come una scopa che non si lamenta".

Le parole del Vescovo furono determinanti. Decise di rima­nere e accettò di essere trattata come una scopa, vedendo in tutto la volontà di Dio.

"Vi dico che da quel momento ho servito sempre da scopa e che ogni giorno chiedo al Signore che mi conceda un grande amore, un forte e costante desiderio di santificarmi e che, come per una scopa, così per me, sia la stessa cosa essere get­tata qui o là, che mi trattino in un modo o in un altro e prego perché io sia sempre una scopa che non serve ad altro che a pulire e raccogliere la spazzatura".

I sette anni vissuti da Madre Speranza tra le Figlie del Cal­vario sono di grande importanza per lei e per la spiritualità della Famiglia Religiosa che sarà chiamata a fondare.

Lei stessa dice che furono un vero Calvario, ma non in senso del tutto negativo, perché un Calvario non è mai inutile quando si accompagna Cristo per i sentieri della sofferenza, illuminati dalla fede e sostenuti dalla preghiera e dalla spe­ranza.

Le difficoltà incontrate nel Convento di Villena e l'impatto con una realtà tanto lontana dalle sue aspettative la introdus­sero in un cammino ascetico che gradualmente, ma decisa­mente, la portarono a rinunciare alla sua volontà per accogliere quella di Dio che si manifestava attraverso persone, circo­stanze e situazioni. Era pronta per affrontare prove ben più ardue che avrebbero temprato la sua anima e l'avrebbero pre­parata a compiere imprese che erano al di sopra delle sue capa­cità naturali.

I Primi Voti tra le Figlie del Calvario

Dopo il noviziato emise i voti il 15 agosto 1916 e prese il nome di Madre Speranza di Gesù Agonizzante. Come ricordo di questo avvenimento conserverà per tutta la vita un piccolo quadro di Gesù in preghiera nel Getsemani. È di questo periodo oscuro e luminoso della sua vita un episodio che costi­tuisce l'inizio di una serie di fatti straordinari di cui la sua vita è piena. Lei stessa racconta che un giorno mentre nella penom­bra della cappella faceva la Via Crucis, giunta alla quarta sta­zione contemplava l'incontro di Gesù con sua Madre quando sentì una voce che le sussurrava: "Anche tu vuoi lasciarmi sola?". Poiché in cappella non c'era nessuno non ci fece caso e proseguì la preghiera. Dopo non molto tempo tornò a sentire la stessa voce e udì la stessa domanda. Andò verso il luogo da dove le sembrava provenisse la voce e vide al suolo una pic­cola statua sporca di terra che rappresentava la Vergine Addo­lorata. La statua, alta una trentina di centimetri, fu collocata nella cappella del convento.

Per Madre Speranza questo episodio determinò un rinno­vato impegno di condividere con Maria lo strazio del suo dolore materno partecipando più intensamente alle sofferenze di Cristo.

Nel 1921 l'Istituto delle Figlie del Calvario, per non correre il rischio di una totale estinzione, concretizzò la decisione di aggregarsi alle Missionarie Claretiane.

Il merito fu soprattutto del Claretiano padre Juan Oteo che suggerì l'idea e del Padre Maroto, valente giurista, che aiutò le religiose a concretizzarla. Madre Speranza fu una delle incari­cate che il 2 novembre si recarono dal Vescovo D. Vicente Alonso Salgado per iniziare le trattative. Il Vescovo accettò ponendo come unica condizione che non fosse soppressa la Comunità di Villena. Il 30 luglio del 1921 la Congregazione dei Religiosi concedeva il Decreto di annessione e stabiliva che le Figlie del Calvario emettessero di nuovo la professione reli­giosa.

Estinto con questa aggregazione l'Istituto delle Figlie del Calvario di Madre Esperanza Pujol, non andò completamente dispersa la sua spiritualità. Essa venne accolta e vissuta con modalità molto simili, sia dalle "Missionarie Figlie del Calva­rio, sia dalle religiose di una Congregazione, denominata anch'essa "Figlie del Calvario", fondata in Messico, nel 1885 dalle sorelle di origine spagnola, Enrichetta ed Ernestina Lar­rainzar.

Religiosa Claretiana

Fu così che dopo un corso di esercizi spirituali Madre Speranza, insieme ad altre cinque religiose, vestì l'abito delle Claretiane e il 21 novembre emise di nuovo i suoi Voti Perpetui nelle mani della Madre Generale, Maria Luisa Loret de San Juan.

Il nome che assunse si differenziava di poco dal precedente: si chiamò Madre Esperanza de Santiago. In mancanza dell'atto di professione, andato perduto, si conserva un'immaginetta dove aveva scritto: "Ricordo della professione dei voti perpetui della Madre Ma Esperanza de Santiago emessa il giorno 21 novembre 1921 nel Convento di Maria Immacolata nel Calva­rio di Villena. Madre Ma Esperanza de Santiago".

Dopo pochi giorni Madre Speranza fu destinata alla casa di Vicàlvaro (Madrid) dove risiedeva il Governo Generale e il noviziato. Di questo periodo sappiamo solo che le fu affidato il compito di portinaia e sacrestana e che il suo stato di salute era molto precario.

Alcuni episodi che ci accingiamo a raccontare ci rivelano il grado di obbedienza e di umiltà raggiunto da Madre Speranza attraverso un costante lavoro su se stessa.

Per chi vuole avventurarsi nei sentieri della santità queste due virtù rappresentano un punto fermo, una delle prime e indispensabili conquiste. Madre Speranza per la sua eccezio­nale intelligenza, per il suo carattere forte e deciso non era naturalmente portata né ad essere obbediente, né ad essere umile. Solo con il tempo queste due virtù arrivarono a risplen­dere come gemme nella sua vita. Divenne umile attraverso le umiliazioni che accettò con spirito di fede, per amore di Gesù. Divenne obbediente accettando la volontà dei superiori, anche quando la ragione trovava mille motivi per non farlo, guar­dando Cristo obbediente al Padre fino alla morte.

"Prenda una corda e con il secchio vuoti il pozzo"

Il comando risultava un po' strano visto che il pozzo era profondo e conteneva abbondante acqua sorgiva. Era il pozzo del Convento di Vicàlvaro, dove, tra l'altro, Suor Speranza svolgeva il compito di sacrestana. Lo faceva con diligenza e amore: ogni giorno dopo la S. Messa lavava accuratamente le ampolline di metallo e le metteva sul muretto del pozzo perché prendessero sole.

Alla superiora non piaceva la cosa. "Suor Speranza - le disse un giorno - non lasci qui le ampolline. Potrebbero cadere nel pozzo". "D'accordo, Madre". Da quel giorno incominciò a metterle non sul muretto, ma in basso, dove non correvano al­cun pericolo.

Ma ad una giovane novizia, in vena di scherzi, un bel giorno venne in mente di nasconderle. Madre Speranza non trovandole corre dalla Superiora per avvertirla: "Madre non trovo più le ampolline!". E la Madre: "Saranno sicuramente cadute nel pozzo". "No! Non è possibile, le avevo messe in basso, al sicu­ro come lei mi aveva comandato". "Questo non è vero! A me non mi imbroglia. Sono cadute nel pozzo... Prenda subito una corda e con un secchio svuoti il pozzo". Ed ecco Suor Spe­ranza, con un pizzico di genialità e con una montagna di umiltà, legare non uno, ma due secchi all'estremità della corda e via di buon animo a cacciare acqua dal pozzo. Di buon animo... ma quanta ribellione sentiva dentro! Pregava: "Signore aiutami. Aiutami a trattenermi, anche se sono inno­cente, anche se l'impresa di svuotare un pozzo con un secchio è impossibile...". Alle dieci viene la Madre Superiora.

Osserva e sentenzia: "Fin quando non ha asciugato il pozzo non si muova di qui". E Suor Speranza: "Madre farò tutto il possibile, ma non so se riuscirò a svuotarlo completamente". "Deve farlo!", rispose decisamente la Superiora. Giunge l'ora di pranzo e la novizia burlona si rende conto che Suor Spe­ranza non c'è. Si ricorda che ha nascosto le ampolline e corre dalla Madre Maestra a dichiarare il suo scherzo. La Madre Superiora, senza dare a Suor Speranza la soddisfazione di rico­noscere la sua innocenza e di chiederle scusa, le dice semplice­mente: "Basta di cavare acqua e un'altra volta stia più attenta nel compiere l'obbedienza".

Terminando di raccontare questo episodio alle sue Figlie, Madre Speranza aggiunge: "Voi sapete quanto costa l'obbedienza in un caso come que­sto. Quando si vede che il comando è ragionevole obbedire non costa, ma quando è una cosa assurda.. .".

Portinaia al cioccolato

Sempre nella casa di Vicàlvaro Suor Speranza ricamò que­sto piccolo fiore.

Come era bello l'abito delle religiose Claretiane!

Sullo sfondo nero del vestito e del velo, una pettina bianca, inamidata, lucida, incorniciava il volto delle suore. Per motiva­re l'interesse che aveva perché la sua pettina fosse sempre luci­da, bianca, stirata, Suor Speranza si prendeva molta cura anche di quella della Madre Generale.

E lo faceva meravigliosamente. Era più che legittimo che una religiosa avesse cura della propria persona, del vestito, delle scarpe, della pettina... Ma la preoccupazione eccessiva per tutto questo, piaceva al Signore? Per chiarire il dubbio che cominciava a tormentarla, Suor Speranza si rivolse al Padre Spirituale. "Ci sono due cose, Padre che mi riempiono tanto la mente: le scarpe e la pettina". "Ma non c'è una suora incaricata di stirare le pettine?". "Sì, Padre, ma lo fa così male o con così poco gusto!". "Certo, proseguì il Padre, se non sono lucide le pettine sono brutte. E' naturale! Ha tutte le ragioni di questo mondo. Ne parlerò alla Superiora e poi ti dirò cosa devi fare".

"Io - racconta Madre Speranza - cominciai ad aver paura, per­ché, quando il Padre Spirituale mi dava un castigo pubblico, prima lo diceva alla Superiora. Dopo poco tempo torna e mi dice: ‘Già ho parlato con la Superiora; guarda: per un mese fa­rai tu da portinaia al Collegio però devi presentarti con la pettina ben sporca di cioccolata’. Io la sporcai un po'. Il giorno dopo andai ad aprirgli la porta e al vedermi, mi disse: ‘No, no, sporcala di più, molto di più’. Così dovetti fare la portinaia in queste condizioni per un mese intero. Mi sono scomparse tutte le voglie di perdere il tempo in una cura eccessiva della pettina".

L'ombrellone a strisce rosse e verdi

Un episodio che mette in risalto la sua obbedienza avvenne a Madrid nel Collegio di Calle Toledo.

È lei stessa a raccontarlo e se ne possiede la registrazione. Un giorno venne da Vicàlvaro, in visita, la Madre Generale e disse a Madre Speranza: "Vada con questa suora all'ospedale di S. Carlos per accompagnarla dal medico". Essendo un giorno di pioggia le diede, per ripararsi, un ombrello... rotto. Madre Speranza lo aprì e vedendo che ogni bacchetta se ne andava per conto suo non poté fare a meno di chiedere: "Madre devo andare proprio con questo ombrello?" “Se ci sono venuta io, perché non puoi usarlo anche tu” - fu la risposta della superiora. Madre Speranza non disse nulla, ma dentro di sé pensava: "Se lei è così trasandata perché debbo esserlo anch'io?". Prese l'ombrello, accompagnò la suora, ma preferì bagnarsi tutta piuttosto che aprire quell'orribile ombrello. Non voleva passare per la "tonta del circo".

Il giorno dopo raccontò il fatto al Padre Spirituale, P Anto­nio Naval, il quale le disse: 'E le pare bene?'. "No, Padre - rispose Madre Speranza - non mi pare bene, però se la supe­riora è tanto trasandata perché obbliga anche me a fare lo stesso?". E per avvalorare la sua opinione mostrò al Padre l'ombrello sconquassato. "Oh, sì, figlia - riprese il Padre - ha ragione! Adesso, però, devo uscire un momento; se non torno oggi, resti tranquilla, verrò domani". L'indomani si presentò, il buon Padre Antonio, tenendo in mano uno di quegli ombrelloni grandi, a strisce rosse e verdi, che si mettevano sui carri. Disse a Madre Speranza: "Vede, figlia, è bene che oggi tu rifaccia con questo ombrello aperto tutto il percorso che ieri hai fatto con l'ombrello chiuso". E Madre Speranza non esitò a farlo".

Mordicchiando il pane come una pazza

Il Vescovo di Pasto, in Colombia, aveva fatto pubblicare nel Bollettino diocesano un fatto sensazionale: una religiosa spa­gnola gli si era presentata in bilocazione per dargli urgenti av­visi da parte di Dio. Questa religiosa risultava essere Madre Speranza.

Dall'America venivano persone al convento chiedendo di parlare con lei. Era necessario un antidoto alla vanagloria pos­sibile in questi casi, ed ecco il geniale padre Spirituale, Anto­nio Naval, imporre a Madre Speranza di attendere in portineria gli illustri visitatori mordicchiando un tozzo di pane come fa una scema.

Ma sentiamo il racconto fatto da lei stessa con una raffinata vena di santo umorismo:

"Padre Antonio Naval mi disse: ‘Ho saputo che verrà il Governatore di Pasto e la sua signora insieme ad altra gente: hanno letto il Bollettino e vogliono conoscerti’.

‘Oh, Padre, io fuggo da Madrid: vado a Vicàlvaro o a Tremp o dove lei desidera, ma non voglio che mi incontrino quando verranno’. ‘No, figlia, no! Io desidero che ti vedano, però ti dovranno incontrare facendo una cosa che dovrò prima pensa­re’. ‘Oh, mio Dio!’. E cominciai a tremare.

Dopo qualche giorno mi dice: ‘Domani tu dovrai fare la parte della scema’. ‘Oh, Padre! per fare questa parte bisogna essere o molto intelligenti o veramente tonti, altrimenti la commedia non riesce bene e io non sono né molto tonta, né molto intelli­gente. Perciò non mi faccia fare questa parte!. "Sì, figlia, sì. Il Signore ti aiuterà". ‘E che cosa dovrò fare, Padre?’. ‘Ascol­tami, quando verranno, una suora aprirà la porta e tu ti troverai in una stanza, preparata, con un bel tozzo di pane in una mano, facendo finta che lo nascondi perché nessuno te lo tolga e nell'altra con un altro tozzo che mangerai a morsi, facendo in modo che te ne cada un po' dalla bocca’. ‘Mio Dio! Final­mente arrivò quella gente e tra essi la signorina Pilar de Arra­tia che non mi conosceva ancora, e lì contemplarono quell’Ecce Homo di Madre Speranza mentre mangiava pane solo, non avendo altro. Sentii che qualcuno diceva: ‘quello che sta facendo è un ordine del confessore’. Il risultato fu che dopo aver fatto io la parte della scema, fu il Padre confessore a ri­metterci perché tutti pensarono che io stavo obbedendo a lui, come realmente era e se ne andarono tranquilli e contenti di aver visto quella commedia.

Io cercai di fare la mia parte nel migliore dei modi, ma nessu­no credette che ero veramente scema".