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16 - I pilastri della sua vita spirituale

Dio chiama ogni uomo a vivere la propria vita nella fede, nella speranza e nella carità.

Con l'esercizio di queste virtù, dette teologali perché nascono dalla partecipazione alla vita stessa di Dio, il cristiano realizza pienamente se stesso.

Esse sono talmente importanti che possono considerarsi come i pilastri fondamentali su cui poggia l'edificio della san­tità.

Perché una persona possa essere dichiarata Beata, poi Santa, è infatti necessario che le abbia praticate in maniera eroica.

Nove teologi, dopo aver esaminato attentamente la cosid­detta "Positio", cioè la vita di Madre Speranza e le testimo­nianze di varie persone che l'hanno conosciuta, hanno concor­demente affermato che queste virtù e le altre annesse, sono state praticate in maniera eroica ed esemplare dalla Serva di Dio.

Oltre alle virtù teologali Madre Speranza ha vissuto in pienezza la sua consacrazione al Signore mediante i Voti di Obbe­dienza, Povertà e Castità.

Fermeremo brevemente la nostra attenzione su questi aspetti della sua vita e, dovendo scegliere tra le molte altre virtù da lei praticate, parleremo anche della virtù della fortezza che fu chiamata ad esercitare in maniera veramente eroica, tenuto conto delle innumerevoli difficoltà che costellarono la sua lunga vita.

La centralità dell'Eucaristia e la devozione alla Vergine, Madre di Cristo, sono anch'essi pilastri che hanno sostenuto il meraviglioso edificio della santità di Madre Speranza.

Una fede viva

Nel suo Testamento Spirituale Madre Speranza riconosce di aver ricevuto da Dio il dono di una fede viva, di una speranza ferma e di una carità ardente: eredità preziosa che desidera tra­smettere ai suoi figli e alle sue figlie.

La Fede è il fondamento della vita cristiana.

Madre Speranza fa sua questa definizione: "La fede è una virtù teologale infusa da Dio che ci inclina ad assecondare fermamente, fidandoci di Dio che è verace, tutte le cose che Lui ci ha rivelato".

Questa adesione è possibile perché Dio, donandosi a un'a­nima, crea in essa la capacità di rispondere, riscaldando il cuore e infiammando la volontà.

La fede di Madre Speranza pur raggiungendo i gradi più sublimi della contemplazione è una fede concreta, semplice, che si manifesta nelle vicende della vita quotidiana.

Al centro e come fondamento della sua fede c'è l' esperienza dell'amore misericordioso di Dio. In Lui vede soprat­tutto il Padre misericordioso a cui affidarsi in maniera incondi­zionata.

Un Padre sempre vicino che vive in noi, che ci ama personalmente e senza misura. Non è un giudice severo; cono­sce e comprende la nostra fragilità; non è un Dio lontano, insensibile, freddo, ma si fa misericordia infinita per aiutare, perdonare e far felici i suoi figli.

La sua fede diventa per questo abbandono fiducioso e filiale, diventa umiltà e obbedienza gioiosa alla volontà di Dio, anche nelle situazioni umanamente più dolorose.

Dio faceva parte della sua vita in maniera concreta; non era tanto una fede nozionale, ma esistenziale. In essa viveva e da essa traeva la luce per illuminare ogni sua azione.

Totalmente immersa nel mistero della Passione di Cristo, la sua è una fede eroica, capace di accettare ciò che umanamente può apparire assurdo o crocifiggente.

"Dammi, Gesù mio, una fede viva per accettare con gioia tutto ciò che tu permetterai e aiutami perché obbedisca con gioia a tutti gli ordini che il Santo Ufficio riterrà opportuno darmi, senza guardare mai se è giusto o no".

Accetta e vive i Misteri della fede, li fa oggetto delle sue riflessioni e della sua preghiera.

Nel suo Testamento espone i punti fondamentali del suo credo.

Afferma di credere: "Nell'Eterno Padre, nel suo divin Figlio, nello Spirito Santo, nel santo Vangelo, nella santa Euca­ristia, nel trionfo della Risurrezione e della gloria del Buon Gesù e in tutto quanto insegna la nostra Santa Madre Chiesa, cattolica, apostolica, romana".

Anche la sua fede, come quella di tutti gli uomini, fu conti­nuamente messa alla prova ed ebbe le sue tentazioni e i suoi dubbi. Riguardo alle tentazioni che dovette sostenere contro la fede, Mons. Lucio Marinozzi riferisce quello che la stessa Ma­dre gli confidò. "Nel primo periodo della vita claustrale fu im­provvisamente colta da dubbi contro la fede: tenebre fittissime; era nella persuasione che tutto è vano, che non si dà sopravvi­venza dell'anima, che non c'è paradiso, che Cristo non è affatto Dio ma solo un uomo generoso che ha visto crollare tutti i suoi ideali con la morte. Questa suggestione era più forte di lei e la dominava tutta... La prova durò vari mesi; non le venne però l'idea di abbandonare il convento e ritornare nel mondo; continuò la sua vita di claustrale osservantissima".

Una carità ardente

Madre Speranza dà della carità questa bella e articolata definizione: "La vera carità è una virtù divina, è un fiore celeste che nasce nel terreno della Chiesa e sopra il tronco soprannaturale della fede, sostenuta dal piedistallo fermo della speranza. La fede, la speranza e la carità sono rami dello stesso tronco, alimentati dalla stessa linfa divina che è la grazia dello Spirito Santo".

Che la vita di Madre Speranza sia stata contrassegnata da un amore intenso appassionato e concreto verso Dio e verso il prossimo risulta con evidenza da quanto abbiamo scritto fin qui ripercorrendo alcuni momenti della sua vita e tuffandoci nel mare mistico dei suoi scritti. Amare era il suo primo e unico desiderio, era lo scopo e il fine della sua vita.

"Non desidero altro, Gesù mio, che servirti, piacerti, ed essere tutta tua e manifestare con le opere che sono tua serva. Dammi, Gesù mio, molto amore e chiedimi ciò che Vuoi.

Per alimentare questo amore prega intensamente, passa ogni giorno e ogni notte lunghe ore davanti al Tabernacolo. Fa dell'Eucaristia il centro della sua vita.

Come la sposa del Cantico dei Cantici cerca con ansia il suo Amato, si rallegra della sua presenza, soffre quando si nascon­de. Trova che in Gesù tutto è degno di amore e si stupisce che si riduca a mendicare amore dagli uomini.

Era solita dire che l'amore che non soffre non è vero amore: per questo desiderava la sofferenza, non in sé, ma come mezzo che l'avrebbe resa sempre più pura e gradita a Dio.

Uno degli aspetti più sorprendenti di Madre Speranza è stata la capacità con cui ha saputo coniugare l'amore verso Dio e l'amore verso il prossimo incarnandoli nelle differenti realtà del tempo e dei luoghi in cui è vissuta.

L'amore verso il prossimo scaturiva dal fuoco ardente del suo amore a Dio e dall'esperienza con cui si sentiva amata da Lui. Purificato dalla sofferenza, il suo amore divenne sempre più puro e disinteressato. L'esercizio della sua carità non aveva confini: si estendeva a tutti privilegiando i più bisognosi mate­rialmente, moralmente e spiritualmente.

La sua carità verso il prossimo si esprimerà inizialmente con l'apertura di collegi per bambini poveri a cui dare pane e istruzione. Era questa l'urgenza del momento e del luogo.

Sarà una carità materna, attenta, premurosa e intelligente. Stabilirà che i bambini mangino degli stessi alimenti delle suore perché si sentano come in famiglia. Passerà lunghe ore in cucina preparando personalmente i piatti, attenta alle partico­lari esigenze di ognuno.

La sua carità verso i poveri era discreta e si estendeva ad ogni genere di necessità. In essi vedeva il Signore e li trattava come avrebbe trattato Lui. Suor Inès Riesco ha lasciato questa bella testimonianza a tale riguardo: "La Serva di Dio era estremamente caritatevole con i poveri. Bisognava stare attente perché tante volte rimaneva senza biancheria per averla donata a qualche persona bisognosa. Tutte le ragazze che avevamo in casa erano povere. In più la Madre andava nelle case vicine a portare soccorsi di ogni genere alle famiglie più povere".

Fu, quella di Madre Speranza, una carità eroica, capace di perdonare chi la faceva soffrire e l'accusava ingiustamente. Vari episodi ci confermano questo spirito misericordioso che l'animava.

Esemplare è un episodio accaduto quando ancora si trovava nella Congregazione delle suore Claretiane, nel collegio di Calle del Pinar. Erano state accolte due ragazze maggiorenni che nonostante le delicatezze usate nei loro confronti inizia­rono ad accusare Madre Speranza di essersi appropriata di alcuni pezzi di stoffa di loro proprietà. L'accusavano di essere una ladra e di trattare la gente senza pietà né rispetto. Arriva­rono al punto di minacciare che avrebbero fatto pubblicare un articolo in un giornale se non avesse pagato loro un indennizzo di mille pesetas. Convenute di fronte al capo della polizia e ad un giornalista loro parente iniziarono a rivolgerle i soliti improperi, chiamandola "ladra". Madre Speranza senza scom­porsi disse alla più esagitata, che era convalescente: "Eccomi, sono io, ma lascia che ti curi finché non ti sarai rimessa del tutto". E l'abbracciò con tenerezza. Le due ragazze si arresero di fronte a tanta bontà, si pentirono delle loro false accuse, chiesero perdono e rimasero ancora alcuni mesi in collegio, piene di riconoscenza e di affetto verso Madre Speranza.

La sua ‘vendetta’ verso chi la faceva soffrire era sempre il perdono sincero e la preghiera.

Una speranza ferma

La profondità della fede di Madre Speranza in Dio, Padre misericordioso, fiorisce in una speranza ferma, operosa, eroica. Coloro che la conobbero sono concordi nel dire che il suo fu un nome profetico. Visse nella speranza e donò a tutti spe­ranza.

Il nome che l'obbedienza provvidenzialmente le riserbò, si tradusse in un programma di vita.

Credeva fermamente nella fedeltà di Dio alle sue promesse per cui proiettava in Lui tutte le sue attese e tutti i suoi desideri. Come un orizzonte di luce aperto dalla misericordia di Dio, questa virtù illuminava tutta la sua vita e motivava la sua in­crollabile fiducia e la sua generosa dedizione ai fratelli.

Non era un sentimento vago e consolatorio e neppure un ottimismo superficiale, ma la conseguenza della sua conce­zione di Dio, visto non come giudice ma come padre che sa solo perdonare, comprendere e compatire i suoi figli e li vuole rendere felici. La sua speranza era un abbandono sorretto dalla certezza che quello che Dio promette lo compie, aprendo all'uomo orizzonti sconfinati.

Padre Mario Tosi racconta che un giorno incontrandola le chiese scherzosamente. "Ma lei, Madre, che conforta tanta gente e infonde a tutti coraggio, non ha avuto mai momenti di sconforto, di scoraggiamento, di abbattimento?". Lei lo guardò con quei suoi occhi che trafiggevano e disse: "Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, direi a Lui: "Io non ne posso più, me ne vado".

Consapevole che solo da Dio le poteva venire la forza per sperare contro ogni speranza supplicava il Signore di conce­derle un aumento di questa virtù: "Fa, Gesù mio, che aumenti in me la speranza e che essa sia per me una virtù teologale che mi faccia desiderare solo Te come unico Bene Supremo. Fa che la mia speranza sia sempre il mio Dio e il desiderio di possederlo eternamente attraverso la visione e un amore senza misura".

Questa virtù fu continuamente messa alla prova dalle sue consorelle e da molti rappresentanti della Chiesa. Mai, però, perse la fiducia. Le delusioni che riceveva con frequenza dagli uomini le vedeva come una scuola per imparare a confidare pienamente solo in Dio. La speranza del cielo e la sicurezza dell'aiuto divino non rendevano Madre Speranza passiva e ras­segnata, ma moltiplicavano le sue energie e la sua operosità.

Ciò che mette in movimento ogni desiderio e ogni aspira­zione dell'uomo è la speranza nel futuro, credere che il pre­sente è troppo poco e aprirsi a una attesa senza confini, vedendo questa vita come preludio di un'altra.

Può essere considerato un inno alla speranza quanto scrisse nel suo Diario il 22 settembre 1941, mentre si trovava a Roma, senza poter comunicare con le sue figlie di Spagna, dove era in corso una manovra di alcuni Vescovi per fare pressione presso il Vaticano allo scopo di distruggere la sua opera: "Soffro molto, Gesù mio, vedendomi isolata dalle mie amate figlie, privata della consolazione di poterle guidare, consiglia­re, correggere e istruire. Con il cuore trafitto dal dolore, ma nello stesso tempo traboccante di giubilo a causa di queste prove e sofferenze che Tu ti degni inviarmi, esclamerò con molta frequenza: “Gesù mio, in Te ho posto tutti i miei tesori e tutta la mia speranza”.

"Era una donna che solo ad avvicinarla - ha testimoniato il Cardinale Eduardo Pironio - trasmetteva coraggio e speran­za... Mi ha lasciato questo senso di preghiera contemplativa e di coraggio, fondato sull'Amore Misericordioso. Penso che su questo sia basato il mistero del suo stesso nome: Madre Spe­ranza".

"I suoi sorrisi - afferma il Dott. Ariodante Fornesi - erano pieni di speranza; avevo trovato finalmente l'appoggio che cer­cavo da tanto tempo".

I voti religiosi: un dono d'amore

Alcuni di coloro che vivono una intensa vita di fede, spe­ranza e carità sono chiamati dallo Spirito Santo ad accogliere e praticare pubblicamente i consigli evangelici della povertà, dell'obbedienza e della castità.

È la vocazione alla vita religiosa che si realizza mediante l'emissione pubblica dei voti.

Questo impegno diventa una testimonianza della forza e della perenne attualità delle Beatitudini.

Madre Speranza accolse con gioia e visse in pienezza que­sto dono che la rese sempre più conforme a Cristo, libera e capace di accogliere misericordiosamente i fratelli.

Con il voto di povertà scelse di seguire l'esempio di Cristo, nato, vissuto e morto nella più assoluta povertà.

Quella di Madre Speranza fu innanzitutto una povertà affet­tiva: distaccò il suo cuore dall'attaccamento ai beni materiali, a se stessa, agli altri, ad ogni sicurezza umana, abbandonandosi, come un bambino, nelle mani del Padre celeste. Ma fu anche una povertà effettiva: si spogliò realmente non solo di ogni cosa superflua, ma anche del necessario.

Nella sua camera non c'era altro che un letto, una sedia, un tavolino e un comodino. Era convinta e convinceva gli altri che per soddisfare le vere necessità basta ben poco. Metteva in guardia dal rischio di crearsi delle esigenze inutili e superflue.

Per le Comunità della sua Congregazione esigeva che si usasse solo il necessario e tutto fosse in comune. Più volte chiese al Signore che avesse distrutto la sua Congregazione piuttosto che vederla nel lusso, nel superfluo, nelle eccessive comodità.

Veramente esemplare fu la sua laboriosità e il suo agire disinteressato a favore dei più bisognosi, sempre attenta alle necessità più urgenti del momento. Educava al lavoro serio, anche manuale: tutti, a iniziare dai superiori, quando ce n'era bisogno, erano pronti a seguirla per scaricare cassette, pentole, per raccogliere il fieno nei campi, e il grano dopo la mietitura.

Diceva alle sue Figlie che ognuna doveva lavorare almeno quanto una mamma di cinque figli.

È nella povertà che Dio manifesta la sua presenza e opera le sue meraviglie. Scegliendo di farsi povera con i poveri, fu in grado con le sue tempestive e originali iniziative di soccorrere innumerevoli persone bisognose di conforto, di cibo, di istru­zione, di cure. Mai si approfittò del denaro che alcuni benefattori mettevano a sua disposizione, come avvenne soprattutto con la signorina Pilar. Accoglieva con gratitudine, per la rea­lizzazione delle sue opere a favore dei poveri, quello che la Provvidenza le mandava, dopo aver lavorato, sofferto, pregato.

Visse in modo esemplare l'obbedienza, come il dono più prezioso da fare a Dio. Con esso infatti l'uomo dona a Lui ciò che ha di più caro: la sua volontà e la sua libertà.

L'obbedienza di Madre Speranza fu attiva, responsabile, umile, spesso eroica. Desiderava ardentemente conformarsi a Cristo la cui vita si riassume nell'obbedienza filiale al Padre, fino alla morte in croce. Fin dai primi anni della sua vita - afferma la sorella Maria del Carmen - si dimostrò una bambina obbediente e rispettosa nei confronti dei suoi genitori, del Par­roco e delle sue sorelle che le facevano da maestre.

Fu obbediente alla Chiesa, ai Superiori, al Padre Spirituale, convinta che Dio si serve di queste mediazioni umane per far conoscere la sua volontà.

Veramente eroica fu la sua obbedienza alla Chiesa: accettò, nel 1941, con umiltà e prontezza la decisione del Santo Uffizio di toglierla dal Governo della sua Congregazione.

Quando venne nominato Visitatore Apostolico il Padre Eduardo Gómez, pur sapendo che le era contrario, non si la­mentò, ma accettò serenamente la decisione e raccomandò alle sue figlie di essere aperte e sincere con lui.

Uno stupendo esempio di obbedienza lo diede quando nel Capitolo del 1946, pur essendo stata scelta all'unanimità come Superiora Generale, le fu chiesto dai Superiori ecclesiastici di mettersi in disparte e al suo posto fu messa Madre Antonia An­dreazza. Fu lei la prima a fare nei suoi confronti un gesto di sottomissione e di ossequio, inginocchiandosi e baciandole la mano, incoraggiandola e promettendole il suo aiuto. Sono molte le testimonianze che mettono in risalto questa sua virtù. P. Alfredo Di Penta rimase edificato e ammirato della sua obbedienza. Questa la sua testimonianza al riguardo: "Ebbe sempre il massimo rispetto dell'Autorità Ecclesiastica; obbe­diva ai loro ordini anche se in contrasto con quelli del Signore. Mi diceva: “La volontà di Dio passa attraverso i Superiori”.

Il Cardinale Ugo Poletti ha testimoniato: "Io sapevo delle prove che aveva dovuto subire da parte di esaminatori del Santo Uffizio ma, mai uscì dalle sue labbra un cenno di la­mento, sempre ha dimostrato assoluto amore filiale per la Santa Chiesa e per tutti i rappresentanti ufficiali della Chiesa".

Con il voto di castità intese rispondere all'amore di Dio con la totalità del suo amore. In un suo scritto fa dire al Signore queste parole provocatorie: "Non vuoi essere tutta mia come lo sono tutto per te?". E risponde con lo slancio del suo amore: "Tu sei tutto per me, io sono tutta per Te".

Questo rapporto sponsale con Cristo spiega la fecondità della sua maternità spirituale. La castità, infatti, quale dono insigne della grazia rende il cuore dell'uomo libero per amare più ardentemente Dio e i fratelli. Più che una rinuncia è un'a­pertura sconfinata all'amore gratuito, una possibilità di amare teneramente e senza alcuna dipendenza affettiva o possessiva Dio e i fratelli.

Madre Speranza la considerava un dono ma anche una conquista che si consegue solo mediante il riconoscimento della propria natura ferita dal peccato, la preghiera, la vigilanza sui sensi e una lotta continua contro le inclinazioni negative.

Guardava le cose con stupore e semplicità. Rimaneva affascinata dagli spettacoli della natura, dai colori dei campi, dall'immensità del cielo. Esclamava, riferendosi a Dio: "Che pittore! Se il rovescio del cielo è così bello, come sarà quello dove abita il mio dolce sposo?".

Riportiamo a questo proposito una bella testimonianza di P Elio Bastiani: "Ho sempre ammirato nella Madre un equilibrio, una saggezza ed una esperienza non comune nel trattare questo tema della castità e in tutti i suoi comportamenti relazionati con questo voto. Di fronte a paure ed esagerazioni, dovute ai tempi e ad una certa educazione in voga negli ambienti reli­giosi, lei sdrammatizzava presentando le cose in modo sem­plice, naturale e familiare, mettendo in rilievo le motivazioni di rispetto fra le persone, prese ognuna come creatura di Dio, uomo o donna che fossero e destinate a collaborare secondo la vocazione propria di ognuno".

La fortezza

Tra le molte virtù connesse a quelle teologali che Madre Speranza esercitò in maniera edificante potremmo elencarne molte: la sua genuina umiltà, la saggia prudenza, la tempe­ranza, la giustizia.

Ci limitiamo a considerare soltanto la sua fortezza, perché riteniamo che sia stata questa una delle virtù che dovette mag­giormente praticare, considerata la sua travagliata esistenza.

È proprio dei santi saper armonizzare gli aspetti apparente­mente più contrastanti della personalità nella propria vita.

Chi conobbe Madre Speranza ebbe modo di apprezzare la delicatezza della sua squisita maternità, ma nello stesso tempo si rendeva conto della sua fortezza e determinazione.

Era voluta andare in convento il giorno della festa di Santa Teresa d'Avila perché ammirava la sua virilità e desiderava imitarla.

La sua fortezza non era una dote naturale, ma un dono soprannaturale di Dio, accolto e coltivato assiduamente; c'era in lei, infatti, una fragilità umana notevole: si spaventava quando infuriava un temporale, sentiva ribrezzo verso gli insetti e alcuni animali, trepidava quando un'autorità la invi­tava per un colloquio, immaginandosi spesso molto più di ciò che poi risultava reale.

Si riteneva "una creatura inutile e incapace di fare qualcosa di buono".

Imparò a reprimere volontariamente il timore e a perseve­rare, con coraggio e pazienza, nelle avversità.

Non si lasciava piegare o abbattere perché trovava nel rap­porto vivo e fiducioso con Gesù la forza necessaria per perse­verare nel bene. Riteneva la fortezza una virtù difficile, ma necessaria per santificarsi. Sapeva bene che l'uomo facilmente si stanca e viene meno ai suoi impegni. Seguire le mode, scen­dere a compromessi, scegliere ciò che più risulta facile e grati­ficante è forse lo spettacolo più deprimente nella nostra società del "tutto-subito-senza sforzo".

Andare contro corrente, reagire al male, pagando di persona è veramente una grazia di Dio. Alle sue figlie scriveva: "Non dimenticate che per portare a termine l'impresa della vostra santificazione è necessario essere forti, non scorag­giarsi e pensare che se è Gesù a ordinarlo non dobbiamo desi­stere dalla lotta, al contrario, siamo chiamate a moltiplicare le nostre energie per vincere tutte le difficoltà e sofferenze che Egli riterrà opportuno mandarci".

Sapeva decisamente opporsi a qualsiasi categoria di persone quando aveva la sicurezza che era Dio a chiederle una determi­nata cosa. Dimostrò la sua fermezza nei momenti critici, so­prattutto quando si trattò di fondare le Ancelle e poi i Figli del­l'Amore Misericordioso.

P Elio Bastiani afferma: "Nelle difficoltà lei soffriva molto ma non si meravigliava, anzi se lo aspettava; non si lamentava, solo cercava di abbracciare queste difficoltà e portare la croce con amore, con Lui e per Lui. Era convinta che le opere di Dio devono essere sottoposte a delle prove, specie quando si tratta di opere a beneficio spirituale e anche materiale degli altri.

Coloro che le ostacolavano erano considerati strumenti, spesso inconsci, di questa legge di vita e di autenticità". L'ingegner Benedetti ha testimoniato: "Credo che la virtù fondamentale di Madre Speranza sia stata la fermezza, il non vacillare come rupe, nel dono di sé e nella fedeltà".

L'Eucaristia

Madre Speranza era convinta che "L' Eucaristia è il dono più prezioso che Dio ha potuto fare all'uomo".

Era per lei "il tesoro dei tesori". Sapeva che essa è la fonte e il culmine della vita cristiana e che con essa l'uomo diventa ta­bernacolo di Dio. Questo amore ardente all'Eucaristia l'ac­compagnerà in ogni momento della vita.

Tutto cominciò, come abbiamo raccontato, all'età di otto anni, quando, spinta da un desiderio incontenibile, fece per la prima volta la S. Comunione. Da quel giorno, assicura lei stessa, ebbe la grazia di esperimentare sempre la presenza sacramentale di Gesù nel suo cuore. Voleva che questa convinzione, in lei così radicata, venisse inculcata specialmente ai bambini fin dai più teneri anni.

Era convinta che, invitato a rimanere, Gesù restava nel cuore di una persona con le sacre specie.

Affermava che tutto il mondo è un immenso e meraviglioso tabernacolo, ma il cuore dell'uomo è un tabernacolo dove lui si compiace di abitare ancora più volentieri.

Madre Speranza partecipava alla S. Messa con trasporto, tutta immersa nel mistero di un Dio che offre per gli uomini la sua vita. Spesso, trovandosi davanti ad un tabernacolo si "distraeva", usciva cioè da se stessa, assorta completamente in Dio e fuori da ogni percezione sensibile. Era solita dire che due cose nella vita non si possono recuperare: il tempo perduto e una Comunione non fatta. Invitava a ricevere "con fede, amore e sollecitudine" il Corpo di Gesù, in cui si trova nella sua pienezza la fonte soprannaturale della vita.

Credeva nel valore infinito della Messa: faceva celebrare con molta frequenza Messe gregoriane per i defunti. Il suo amore all'Eucaristia era contagioso. Diceva alle sue figlie: "Dove potremo gustare più delizie che ai piedi dell'altare? Dove potremo onorare il nostro Dio con più ardore e dolcezza che nella Comunione?".

P. Gino Capponi, suo confessore, ricorda un simpatico epi­sodio che avvenne un Venerdì Santo quando ancora si trova­vano nella casa parrocchiale di Collevalenza.

In chiesa, la Madre, non aveva trovato il tabernacolo e tutta preoccupata gli aveva chiesto: "Dove l'avete messo?". Scher­zosamente il Padre le rispose in maniera evasiva. In seguito alle sue insistenze la portò nella saletta dove su un tavolo si trovava il tabernacolo. Si inginocchiò e la sua preghiera divenne così intensa che andò in estasi. Parlava con Gesù della sua morte, dell'Eucaristia, dei sacerdoti, dei suoi figli e delle sue figlie.

Chiamato per assistere una persona ammalata il Padre si as­sentò per un quarto d'ora. Quando tornò la Madre era ancora in estasi e il tabernacolo era spalancato. Padre Alfonso e alcune suore che erano presenti, riferirono che la Madre nella sua pre­ghiera si era rivolta al Signore chiedendo di poterlo vedere così come si trovava nelle anguste pareti del tabernacolo. E la porti­cina si era improvvisamente aperta. Quando la Madre tornò in sé e vide il tabernacolo aperto lo fece notare ai presenti.

P. Gino in maniera rispettosa ma provocatoria le disse che era giusto che l'avesse chiuso chi l'aveva aperto. "Io non sono stata - rispose Madre Speranza - comunque, se nessuno vuole chiuderlo, che si accendano perlomeno due candele".

Infine P Gino si decise a chiuderlo.

La sua devozione alla Madonna

La devozione filiale, tenera e gioiosa di Madre Speranza verso la Madonna è bene espressa in queste sue considera­zioni: "Fra tutte le beatitudini che sulla terra è concesso di gustare ed assaporare come anticipo del cielo, la più grande è vivere uniti a Maria; questa grazia, figlie mie, è immensa e ci prepara alla suprema felicità che consiste nel vivere in Gesù; il mezzo più efficace, infatti, per purificare e rafforzare la nostra unione con l'Amore Misericordioso è Maria".

Aveva trascorso i primi anni della sua vita all'ombra della chiesetta del Siscar dedicata alla Vergine degli Angeli.

Nella chiesa parrocchiale di Santomera si venerava la statua della patrona, la Madonna del Rosario, che aveva una confra­ternita molto attiva in quei tempi e alla quale è probabile che appartenesse anche lei. Dopo il "furto" della sua prima comu­nione si era rifugiata nella cappella della Vergine, quasi a tro­vare protezione sotto il suo sguardo.

Fin dai tempi della sua collaborazione con Padre Arintero, insieme alla devozione all'Amore Misericordioso, si era dedi­cata a diffondere anche quella alla Madonna con il titolo di Mediatrice. La forte accentuazione cristologia del suo messag­gio nulla toglie alla sua devozione mariana, la inquadra, anzi, nei margini di una autenticità che non indulge al vuoto senti­mentalismo, pur rimanendo calda e affettuosa.

Sappiamo che Madre Speranza leggeva con assiduità e collaborava alla rivista "La Vita Soprannaturale" dove veni­vano pubblicati gli scritti di Madre M. Teresa Desandais.

Con frequenza si parlava in essi di Maria Mediatrice e si ripeteva l'espressione "Ecce Ancilla Domini".

Madre Speranza userà spesso questa bella espressione, soprattutto in momenti particolarmente critici della sua vita, quando Dio le chiedeva un totale, fiducioso abbandono alla sua volontà. Ispirandosi a queste parole della Vergine darà alla Congregazione femminile il nome di "Ancelle dell'Amore Misericordioso".

I titoli con cui Madre Speranza chiama preferibilmente la Madonna sono quelli di: "Madre", "La Santissima Madre", "Mediatrice", "Madre di misericordia".

La missione di Maria nei nostri confronti è descritta da Madre Speranza con espressioni delicate e concrete: "Gesù sapeva molto bene che, per andare avanti nel cam­mino del dolore e del sacrificio, avevamo bisogno dell'affetto di una Madre. Infatti, quando si ha una madre si può dire che non ci sono pene insopportabili, perché il loro peso non si sca­rica più solamente sulle nostre spalle: lei è al nostro fianco per prendere su di sé le cose più pesanti. E Gesù che conosce le necessità del cuore umano ci ha fatto dono della sua Madre, dopo che Lui stesso aveva sperimentato dall'alto della croce l'eroismo di questa buona Madre, la sua fedeltà, il suo amore e la sua confortante compagnia".

In occasione del XXV Anniversario della fondazione delle suore indicava con queste parole ai suoi figli e alle sue figlie, Maria Mediatrice, come modello di vita religiosa:

"Il modello che dobbiamo seguire nella vita religiosa deve essere, dopo il Buon Gesù, la nostra amatissima Madre, Maria Mediatrice: Lei è una creatura come noi, ma con una profonda umiltà, non desiderò altro che essere sempre la serva del Si­gnore, come dimostrò nello stesso momento che fu proclamata Madre di Dio, nel suo “Magnificat anima mea Dominum”...

Maria Mediatrice è il modello più facile da imitare: Essa, infatti, si santificò nella vita comune, sempre nascosta, tanto nella gloria come nella tristezza, nell'esaltazione come nella più dolorosa umiliazione".

Molto toccante e rivelatrice del suo rapporto con la Vergine Santissima è la pagina del Diario, scritta il 13 gennaio 1954, con la quale fa presente al suo Padre spirituale i suoi sentimenti e il suo grande dolore poiché pensa di aver molestato in qual­che modo Gesù, visto che da alcuni giorni non si fa più vedere.

"La Madre (di Gesù) mi ha consolato dicendo che suo Figlio dimorerà sempre nel mio cuore e non mi lascerà neppure un momento... Come è buona la Nostra Madre, Padre mio!

Se lei avesse visto con che amore mi ha trattato nonostante abbia offeso il suo amato Figlio! Essa, dimenticando il dolore per le offese che si arrecano a suo Figlio, ci sta sempre accanto e come Mediatrice e Madre cerca sempre di rappacificare, ri­conciliare e unire il suo Figlio e le anime.

E credo che il Buon Gesù non è capace di lasciare inascol­tate le suppliche di sua Madre"

Amava recitare e far recitare il Rosario.

Quando non lavorava aveva quasi sempre in mano la corona.

Scrive P Valentino Macca: "Ricca della sapienza dei poveri del Signore si era attaccata a quest'umile preghiera fin dall'in­fanzia. Nelle ore di dolore e di preoccupazione, come nelle persecuzioni, il ricorso continuo al rosario era sicurezza di gra­zia e certezza di aiuto da parte di Colei che amava invocare madre, mediatrice universale, arca dell'Alleanza, Regina di amore e madre di misericordia".