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1 - L'onnipotenza povera di Dio...

...o la sua povertà onnipotente, è la misericordia, cioè la perfezione dell'amore.

A portarlo nel mondo, questo amore misericordioso, sono coloro che si sentono piccoli, poveri, peccatori e non fanno affidamento nei propri meriti o nei propri mezzi, ma si abban­donano in maniera incondizionata alla volontà di Dio, Lui, infatti, si incontra con l'uomo nella verità della sua debolezza, non nell'orgoglio della sua autosufficienza.

Vuole che appaia evidente che tutto è dono della sua grazia, della sua misericordia. I suoi capolavori li costruisce servendo­si non tanto delle qualità umane, delle situazioni favorevoli, ma della loro povertà, o meglio, del nulla dell'uomo.

È la coscienza di questo nulla il punto di partenza per coloro che vogliono compiere grandi cose per Dio e per il prossimo. S. Paolo riflettendo su questa scelta a favore degli umili sco­pre la legge fondamentale dell'opera della salvezza. "Dio - afferma - ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti".

La sua potenza si manifesta pienamente nella debolezza. Quando un'anima si svuota completamente di sé, divenendo disponibilità totale, accoglienza incondizionata della sua volontà Dio si dona a lei totalmente e la rende ricca della sua stessa ricchezza, luminosa di quella luce che rende comprensi­bile l'intrigato mistero della vita.

I Santi prima di essere degli eroi sono dei furbi: hanno com­preso che con Dio non conviene sentirsi grandi, sicuri di sé, ma è preferibile vendere tutto per acquistare "il tesoro prezioso".

La loro santità è dono dello Spirito Santo perché l'umanità non perda il gusto del divino e viva proiettata verso l'eterno. E' bella l'immagine della piramide, diritta o rovesciata, che fa risaltare la differenza tra le opere degli uomini e quelle di Dio. Le opere degli uomini sono come delle normali piramidi, con una base più o meno grande che si va sempre più assotti­gliando fino a diventare un puntino, un nulla.

Le opere di Dio sono come piramidi rovesciate: iniziano con un puntino, con un nulla e si aprono sempre più verso l'in­finito.

Madre Speranza

Questa umile creatura di cui ci accingiamo a raccontare la storia era nata in una terra arida, da una famiglia poverissima, aveva un corpo fragile segnato da continue malattie, entrerà in un Istituto in estinzione, sarà perseguitata, calunniata, scomu­nicata; giungerà, infine in un piccolo paese dell'Umbria dove trasformerà un bosco chiamato "il roccolo", luogo per pren­dere gli uccelli con le reti, nella cittadella della misericordia di Dio.

L'impressione che si ha venendo a contatto con la sua vita e le sue opere è quella di una gara tra Dio che la ricolma di doni sempre più abbondanti e straordinari e il suo amore appassio­nato che la spinge a diventare abisso di piccolezza per acco­gliere e ridonare agli altri la ricchezza di Dio, soprattutto la sua misericordia.

"Mi dici, Gesù mio, che è tuo desiderio che io rinunci ancor di più a me stessa per possedere Te; che lotti per godere la vera pace e che muoia a me stessa per vivere la tua vita...

Io devo arrivare ad essere tutta tua come Tu sei tutto per me e di conseguenza non devo cercare nulla neppure me stessa fuori di Te: Tu infatti desideri essere per me ogni cosa".

Una risposta rivelatrice

"Sappia, "Eminencia", che io non ho pensato nulla, non ho fatto alcun progetto, non ho realizzato nessuna opera, ma è stato solo il Signore che ha pensato, progettato, realizzato tutto, per mezzo di questa misera creatura".

Fu questa la risposta, convinta e decisa, di Madre Speranza ad un eminentissimo Cardinale che, quando si inaugurò una delle tante opere sorte a Collevalenza, si era profuso in elogi, esaltando le sue sapienti intuizioni, la sua genialità e la sua concretezza organizzativa nel realizzare tante opere benefiche.

Madre Speranza, con l'aiuto del suo Padre spirituale, era giunta alla profonda convinzione che quello che lei andava progettando e realizzando nella sua vita, era opera di Dio.

Ricordano le Suore che nei momenti di maggiore attività e popolarità era solita dire nella preghiera: "Chiedimi, Gesù, quello che desideri, ma nella vecchiaia fa che trascorra almeno dieci anni in una totale inutilità e senza essere sufficiente a me stessa perché non ci siano dubbi, né in me e neppure negli altri, che l'unico autore di tutto quello che faccio sei Tu".

Nei suoi scritti troviamo varie espressioni che evidenziano la scarsa considerazione che era arrivata ad avere di se stessa, insieme alla convinzione di essere uno strumento nelle mani di Dio. Si considerava una "scopa", che si usa all'occorrenza, e poi si ripone in un angolo oscuro della casa, dimenticata da tutti.

Quando fu chiamata a costruire il Santuario dell'Amore Misericordioso si vedeva come un "flauto" che si suona per ricamare una melodia che richiama l'attenzione e attira le anime verso il Signore.

A volte pensa di essere come "l'asina di Balaan" di cui Dio si serve per benedire il suo popolo, ma che non cessa di essere un'asina.

Il Signore stesso le attribuisce il nome di "Gitana", cioè zingara, per il suo modo insistente di chiedere nella preghiera. Si considera "Pano de làgrimas", cioè "fazzoletto per asciu­gare le lacrime"... degli altri, di tutti coloro, e furono migliaia e migliaia, che confidavano a lei le loro sofferenze e paure.

Si sente anche "Portinaia", che accoglie con sollecitudine e presenta al Signore le richieste delle persone che bussano alla sua porta.

Questa autocoscienza dei suoi limiti e dei doni di cui il Signore l'aveva ricolmata, unita spesso a una vena di sottile umorismo, fa di lei una persona normale nella sua straordina­rietà.

Non ci sono né protagonismi, né fanatismi nella sua vita.

I suoi giorni passano nella paziente accettazione di vicissi­tudini spesso dolorose e nello stupore per la grandezza della missione a cui Dio la chiama.

Questo stato d'animo viene messo in evidenza dalle parole che il 2 gennaio del 1928, rivolge al suo padre spirituale: "Ho passato la notte distratta (con questa parola intende ‘in estasi’) e il Buon Gesù mi ha detto che Lui desidera servirsi di me per compiere grandi cose. Io, padre mio, gli ho risposto che con la sua grazia e il suo aiuto sono disposta a tutto ciò che lui dispone, ma che mi sento molto inutile e incapace di fare qualcosa di buono.

Mi ha risposto che questo è vero, ma che vuole servirsi del mio nulla perché così si possa meglio vedere che è Lui a fare cose tanto grandi e utili per la sua Chiesa e per le anime".

Sia fatta la tua volontà

Il suo primo e unico desiderio fu quello di fare sempre e in tutto la volontà di Dio, spinta dalla forza di un amore tenace e appassionato che la rendeva pronta ad accettare qualunque sa­crificio.

Così esprimeva questi suoi desideri: “Aiutami, Dio mio a far sempre la tua Divina Volontà”.

"Dà alla mia debole volontà la forza e la costanza di cui ha bisogno, per non volere né desiderare alcuna cosa al di fuori del compimento della tua volontà".

“Si compia, mio Dio, la tua volontà anche se essa mi fa soffri­re molto. Si compia la tua volontà anche se non la comprendo. Si compia la tua volontà anche quando io non la vedo”.

È l'amore, che sta al di sopra della ragione, che non conosce ostacoli o limiti, totalmente polarizzato in Cristo, che spiega questo suo anelito e diventa la ragione stessa del suo esistere. "L'amore - scrive - è fuoco che consuma, è vivo e, come il fuoco se non brucia, se non scotta, non è veramente fuoco. Così anche l'amore se non opera, se non soffre, se non si sacrifica non è amore. Chi possiede l'amore di Gesù non può stare quieto e tranquillo, ma è sempre disposto al sacrificio. Non si stanca, non viene meno e siccome ogni giorno scopre nella persona amata nuove bellezze, nuovi incanti, in ogni momento desidera sacrificarsi e morire per lei".

Per Madre Speranza amare significa innanzitutto identifi­carsi con Dio, essere totalmente assorbiti da lui e vivere cer­cando unicamente il suo bene e la sua gioia. Questo amore porta necessariamente con sé l'esigenza di consumare la vita nell'offerta di tutto il proprio essere in un gesto supremo di amore gratuito coinvolgendo la persona nelle sue varie compo­nenti. Man mano che l'anima cresce in questo amore aumenta il desiderio di immolarsi e di annientarsi perché in essa non ci sia altro che Dio.

"Gesù mi dice che debbo tenere continuamente presente che l'amore se non soffre e non si sacrifica non è amore".

E' solo sperimentando fino in fondo la croce che si arriva a possedere la scienza della croce. Chi ama non si dà pace fino a quando non ha ottenuto di condividere con l'amato il calice della sofferenza. Certamente la perfezione non consiste nelle sofferenze prese in se stesse, ma nella purezza, intensità e profondità del­l'amore che porta necessariamente a dimenticare se stessi e ad accettare tutto, anche il dolore.

In alcune pagine del suo Diario, Madre Speranza raggiunge i vertici della sua unione con Dio ed esprime lo stupore e l'in­contenibile gioia del suo animo nel costatare e sperimentare il fuoco inebriante di questo amore divino.

"Il Buon Gesù ha fatto con me una vera pazzia d'amore... Ha imbalsamato il mio spirito con quel balsamo soavissimo del­l'amore, chiamato da lui il balsamo del dolore, del sacrificio e dell'abnegazione; ma io posso solo chiamarlo il balsamo del­l'amore: è l'aroma delicato che fa uscire l'anima da sé per entrare nel suo amato; è quella soavità che fa sgorgare dal cuore consolanti espressioni di affetto per Lui; è quel profumo che solo Lui sa preparare e che lascia l'anima strettamente unita a Lui senza rendersi conto di ciò che avviene intorno; è quel balsamo che genera nell'anima fame e sete del suo Dio e fa sì che, come il cervo assetato, corra alla fonte dell'amore".

Ma lei sapeva bene che i grandi ideali si realizzano nei pic­coli gesti ordinari. Il suo non era un ideale vago ma una risolu­zione ferma e decisa, una serena inquietudine che l'accompa­gnava in ogni luogo e si concretizzava nella pratica eroica delle virtù cristiane.

Una personalità complessa e affascinante

Audace, coraggiosa, piena di senso pratico, con un carattere deciso, vivace e intraprendente, di chiara intelligenza, fidu­ciosa nella Provvidenza e capace di affrontare tutte le difficoltà che si presentavano; aperta, espansiva, energica, tenace, intui­tiva...

Sono questi i termini con cui la definiscono coloro che la conobbero personalmente. Dobbiamo aggiungere che posse­deva una profonda e serena conoscenza di se stessa e del mondo.

Affascinava con la profondità del suo spirito che traspariva dallo sguardo penetrante degli occhi.

Una volontà tenace, si direbbe caparbia, la portava a realiz­zare quello che il cuore, la mente e il Padre spirituale le face­vano capire che era volontà di Dio.

Nulla la ferma: né la malattia, che frequentemente e misteriosamente la visita, né l'ostilità delle persone e neppure la furiosa rabbia del "tignoso", come lei chiamava il demonio.

La grandezza di Madre Speranza non consiste tanto nella profondità e originalità delle sue idee, quanto nella fedeltà, tenace e sofferta, con cui ha realizzato, ciò che Dio le chiedeva.

Per essere pane

Madre Speranza, nata in una famiglia povera, conosceva bene il valore del pane. Sapeva quanto sudore costasse a suo padre. Era buono quel pane che profumava la mensa e nutriva il corpo, che donava volentieri ai poveri, anche se era poco.

Il pane... quello che il Sacerdote consacra e diventa Corpo di Cristo!

Ma quale travaglio perché il seme arrivi ad essere pane!

Ci vuole un po' di immaginazione per contemplare in un chicco di grano o nei campi risplendenti di messi dorate, pani profumati che sazieranno la fame degli uomini. Un chicco di grano è una piccola cosa, ma in esso c'è una potenzialità, un dinamismo sorprendente.

Il seme, però, perché possa sprigionare la potenza creatrice che porta in sé deve marcire nella terra umida, scomparire, diventare nulla. Solo allora il frutto sarà abbondante.

"Se il chicco di grano - insegna Gesù - caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". La vita di Madre Speranza è in questa prospettiva di totale e gioioso annientamento.

Ha pagato volentieri questo prezzo per diventare, sull'esem­pio di Gesù, pane per alimentare i suoi figli e i suoi fratelli.

Lo ha fatto per amore. Solo per amore. Con tutto l'amore. Per sé e per la sua Famiglia Religiosa aveva, infatti, scelto il motto: "Tutto per amore".

Queste convinzioni sono mirabilmente espresse in una delle più belle pagine del suo Diario: "Tu devi tenere ben presente - è il Signore che le parla - che io mi sono sempre servito delle cose più povere e inutili per fare quelle più grandi e magnifiche. Per ottenere un grande rac­colto di grano è necessario gettare a terra la semente, rico­prirla di terra, sottoporla all'azione dell'acqua, del sole, del freddo, della neve; infine questa semente deve imputridire e scomparire per poter fruttificare e produrre grande quantità di grano.

Tutto ciò non è ancora sufficiente perché il frutto possa servire da sostentamento all'uomo; occorre, infatti, che il grano sia triturato, macinato e trasformato in farina, che passata al setaccio viene separata dalla crusca, e quindi è pronta per essere impastata con l'acqua e ben cotta. Allora potrà servire come principale alimento per l'uomo. Così tu devi passare attraverso questa elaborazione per poter arrivare ad essere ciò che lo desidero e così possa servirmi di te come alimento per molte anime".

Il pellegrino che visita il Santuario dell'Amore Misericor­dioso di Collevalenza rimane ammirato per la bellezza, la grandiosità e l'armonia del complesso sorto per opera di Madre Speranza, ma solo penetrando nella penombra della cripta trova il segno e la ragione ultima dello straordinario svi­luppo delle sue opere.

Lì c'è la sua tomba. Il pavimento si solleva come fa il ter­reno quando un seme viene gettato in esso e germogliando, lo rimuove.

Segno di speranza e simbolo di una straordinaria fecondità, quasi immagine di un grembo materno pregnante, quella tomba ricorda ai pellegrini, che numerosi visitano il Santuario dell'Amore Misericordioso, la persona e la vita di una crea­tura, che si è andata ogni giorno più identificando con Cristo, che si è lasciata macerare per diventare pane profumato, ali­mento per nutrire gli altri di sé, sorriso che apre il cuore alla più grande speranza.