LA SOFFERENZA SUO PANE QUOTIDIANO
L'esistenza di Luigina, come abbiamo potuto constatare, non fu mai
facile e tranquilla. Prima per gli studi, poi per la morte della mamma
ed infine per il lavoro, la sua vita fu un susseguirsi di cambiamenti e
di spostamenti che le procurarono sempre sofferenze. Se a tutto questo
uniamo la sua fragile costituzione fisica e le molte «strane malattie,
seguite da improvvise e spesso miracolose guarigioni, vediamo che il
«granellino di senape in un solco di Roma» percorse una strada ricca di
lacrime e di solitudini. Fare la volontà del Signore e abbandonarsi
senza riserve a Lui significa portare oltre alla propria, anche le
croci altrui. E salire poco a poco l'irta e aspra via che conduce al
Calvario.
Anche per il lavoro si trovò a cambiare varie situazioni e non per
causa sua. Fu sempre molto apprezzata dai suoi datori di lavoro ed
anche quando fu incriminata d'essersi impossessata di soldi, e poi
risultata innocente, fu richiamata per essere riassunta nell'impiego.
Luigina però non accettò. Non perché avesse del risentimento. Non era
capace, infatti, di provare del rancore verso coloro che le avevano
fatto del male; ma perché senti dentro di sé che avrebbe avuto un altro
campo di apostolato. Infatti ben presto fu assunta come impiegata alle
Poste e fu trasferita in varie sedi, ma sempre a Roma.
Per seguire un filo cronologico diremo che Luigina, da quanto afferma
il fratello Pietro, dal 1936 al 1940 fu impiegata all'Istituto di
Statistica. Iniziata la guerra lasciò Roma per fondare un'opera di
carità presso il Santuario della Madonna della Civiltà ad Itri, insieme
ad una zia. Qui per due anni assistette bambini bisognosi e donne
anziane. Dopo, malgrado gli sforzi e i duri impegni che Luigina dovette
affrontare, per mancanza di fondi, abbandonò l'opera.
Rientrata a Roma, pur essendo stata richiamata caldamente all'Istituto
di Statistica, declinò l'invito e si dette all'apostolato fino alla
fine della guerra, vivendo di servizio e carità. Si impiegò poi presso
un grande negozio del centro e vi rimase parecchi anni fino alla
denuncia del furto. Chiarita, dopo mesi, questa amara storia trovò
impiego alle Poste.
Passati alcuni anni la troviamo segretaria del professore Enrico Medi,
all'Istituto di Geofisica. Questo sarà il suo ultimo lavoro anche
perché le varie «malattie» si susseguirono con una certa frequenza.
Peggiorando la salute passerà anche lunghi periodi in casa senza poter
uscire. Visse nel suo appartamento in Via Urbino 51 al quinto piano,
con la sua bella Cappellina e Gesù Sacramentato. Ogni giorno aveva un
sacerdote che vi celebrava la Santa Messa e così Luigina poteva passare
molto tempo ai piedi di Gesù.
Fu lo stesso Papa Pacelli che le diede la facoltà di avere una Cappella
in casa con il Santissimo Sacramento ed il permesso di potervi
celebrare l'Eucarestia.
La cappellina era piccola ma molto bella e raccolta. Luigina la teneva
come un prezioso gioiello. Sopra l'altare vi era un piccolo tabernacolo
e, al di sopra, su una mensolina dorata, una bella Madonna Assunta
vestita di seta. Una di quelle tipiche madonnine «fine settecento
napoletano» con un bel viso dolce ed ispirato. Le tovaglie d'altare,
sempre in lino candido, erano guarnite di ricami pregiati: ricami
eseguiti dalle
monache di clausura o da Luigina stessa. E poi i fiori. Luigina aveva
una vera passione per i fiori. I più belli, e sempre freschi, erano per
Gesù e per la Mamma. Il dono più bello che le si potesse fare era
portarle dei fiori per la Cappellina.
Con quanto amore Gina curava il suo «angolo di Cielo»! Oltre ai
Sacerdoti che andavano a trovarla e vi celebravano la Messa erano
ammessi anche i laici. E tutti, indistintamente, si sentivano
spiritualmente sereni e in pace quando vi si intrattenevano a pregare.
E quando le persone andavano da lei per consigli o per aprirle i loro
cuori, la prima cosa che Luigina faceva era di invitarle in Cappellina
ad adorare il Signore ed a pregare perché scendesse la Sua Luce.
Da quando ebbe la Cappella, la Madonna le appariva sempre lì. Se le
mura potessero raccontare «le cose di Cielo» che hanno ascoltato e le
meraviglie a cui hanno assistito ora sapremmo tante cose che Luigina,
con il suo santo pudore, non ha mai rivelato!
Furono molte le persone che si inginocchiarono ai piedi di quell'altare
a depositare i loro fardelli di miserie e di sofferenze.
Luigina, a qualche persona veramente amica, confidò che ben poche però
venivano lì a chiedere grazie spirituali ed a pregare per la Chiesa e
l'umanità tutta!
Sempre paziente ed umile Luigina accoglieva tutti con il suo dolce
sorriso. Ascoltava, confortava e spronava, illuminando le coscienze, sì
che i visitatori se ne andavano sollevati e ricchi di nuove speranze.
Ma non mancarono tra questi coloro che dopo aver avuto veri favori e
tante luci, diventarono suoi denigratori.
Il demonio non tralasciò alcuna occasione per colpirla in ogni maniera.
E molte volte si servì proprio delle persone che Luigina aveva più
gratificate, più illuminate e guidate spiritualmente. Alcune di queste,
dopo la scomparsa di Luigina, confessarono di averla fatta molto
soffrire con le loro mormorazioni, infedeltà e cattiverie.
Ella sapeva tutto di tutti ed anche in antecedenza. Ma doveva ubbidire
alla Divina Volontà la quale voleva che lei, pur conoscendo la verità,
si comportasse come se nulla sapesse. Quale martirio per lei che
possedeva un forte carattere ed amava la sincerità!
Disse a tale proposito ad un'amica che, quando venivano questi «casi»,
era come se avesse «morso e briglia» che stringevano con forza il suo
carattere, il quale avrebbe voluto mettere a nudo le meschinerie ed i
tradimenti.
Citiamo un fatto che la stessa Luigina raccontò ad una religiosa amica
sua e che ancora una volta ci mostra la sua pazienza e la sua bontà,
non priva anche di un certo umorismo.
Un giorno Luigina mi disse: «Sai che alcuni mi considerano una
«medium»? Il fatto è che io «sento» quello che i veri medium dicono, ma
essi non sentono me».
E accennò a due o tre medium che risiedevano allora a Roma. Poi mi
narrò un fatto accaduto non molto tempo prima. Una signora era andata a
visitarla con un proposito diabolico. Avendo la signora notato un
tavolino a tre gambe, messo in un angolo della stanza, chiese a Luigina
delle carte per fare insieme una seduta spiritica. Essa con calma si
alzò, prese da un armadietto un pacchetto di immagini della Madonna e,
volgendosi alla signora, le disse con risolutezza: «Ecco le mie carte!
Ed ora vada via da questa casa». E così dicendo, l'accompagnò alla
porta.
Immediatamente però pregava e perdonava i suoi nemici. Non le era
possibile non amare e compatire coloro che la facevano piangere e
sanguinare il cuore. La carità autentica che la contraddistinse ci
spinge a tacere a proposito alcuni casi clamorosi che hanno riguardato
persone famose, reputate eccezionali dalla massa, e che godono tuttora
di una vasta popolarità.
Quindi amava sempre: buoni, meno buoni ed anche i cattivi e in
malafede. La sua reazione consisteva nel chiudersi in riserbato
silenzio e di offrire tutto a Gesù ed alla Mamma. A volte, sorridendo,
si paragonò ad una tartaruga che, colpita o attaccata dall'esterno, si
racchiude in se stessa.
Il grande dono del silenzio! O meglio la grande preziosissima virtù di
saper tacere e dimenticare!
Perciò il suo animo generoso non subì flessioni e la sua porta fu
sempre aperta a tutti. Ebbe tra l'altro un vero dono dell'ospitalità. E
sia con le persone di un certo prestigio, culturale, politico
religioso, sia con la gente, povera e semplice, Luigina fu sempre la
stessa. Una meravigliosa padrona di casa. Tanto è vero che tutti se ne
partivano da lei a malincuore. Sapeva inoltre parlare di tutto ed ogni
argomento l'interessava, avendo al riguardo sempre qualcosa di
originale da esporre.
Seppe ascoltare! Ma seppe anche dare il suo giudizio e la soluzione più
esatta con autorevolezza. Sono molti a testimoniare che nei più
disparati argomenti ebbe delle vedute ampie, perspicaci e lungimiranti.
Sensibile ed amante del bello e dell'ordine aveva una eleganza insita,
tutta personale, ed anche se vestiva senza ricercatezze, era sempre
molto ordinata: in casa e fuori. Per ordine della Mamma non doveva
lasciar trapelare nulla della sua vita intima e mistica. Si doveva
comportare come una persona comune e, quindi nel limite del possibile,
seguire il tono di vita degli altri.
La sua si sarebbe detta, a prima vista, una vita normale di una
signorina non più giovane e di estrazione sociale borghese.
E fu così che rimase «la piccola violetta nascosta ma sempre profumata»
dalle migliori virtù. Raramente, e solo con pochi intimi, sollevò, di
tanto in tanto, un poco il velo che copriva il suo rapporto con il
Cielo.
Quando soffriva la Passione, specie il venerdì, avendo chiesto al
Signore che «tutto» fosse un segreto tra loro, non lasciò trapelare la
minima manifestazione singolare. Appariva molto sofferente, come se
agonizzasse e stava tutta abbandonata, quasi assente, a letto. Subiva
in special modo la flagellazione, l'incoronazione di spine e il peso
schiacciante della Croce sulla spalla.
E solo raramente le due o tre persone che potevano assisterla in questi
frangenti videro i segni esteriori, ai polsi e al piede sinistro, della
crocifissione. Una volta, di venerdì, su un piccolo cuscino dove
Luigina appoggiò la testa dolorante, restarono ben visibili delle
macchie di sangue, a mo' di semicerchio.
I tormenti spaventosi della Passione si intensificarono poco tempo dopo
la morte del suo grande padre spirituale Padre Pio da Pietrelcina,
avvenuta il 23 Settembre 1968. Ma se il ruolo di vittima che l'unì ai
patimenti di Cristo martoriato fu ben nascosto e protetto alla vista
dei poveri mortali, non così fu per i fenomeni dei profumi. In vari
momenti dalle sue mani usciva un meraviglioso profumo e anche la casa
ne era impregnata, soprattutto dopo che la Mamma era venuta a visitarla.
Abbiamo visto precedentemente quanto Luigina amasse i tre fratelli
Pietro, Giorgio e Tonino e la sorella Benita. Ma lo stesso amore lo
ebbe per tutte le creature ed anche per quelli che più la fecero
soffrire.
Purtroppo fra queste non possiamo non annoverare il papà suo, il quale
diede molti dispiaceri alla mamma Filomena e particolarmente a lei, che
era la primogenita. Passati molti anni il papà, che abitava tutto solo
a Gaeta, pur sentendosi ormai vecchio e sofferente, ricusò sempre di
venire a Roma in casa di uno dei figli o di Luigina. Ai loro ripetuti
inviti rispondeva che doveva espiare davanti a Dio i troppi sbagli che
purtroppo aveva commessi.
Luigina però, sempre vigile, anche se lontana, sul suo papà, appena
ebbe sentore che non poteva più rimanere da solo, per le forze che
cominciavano a mancargli, provvide a farlo curare in una clinica romana
e poi, visto che rimaneva fermo nel suo proposito di non abitare presso
uno dei figli, lo sistemò, sempre a Roma, in un istituto dell'Opera di
Don Orione. E qui, quest'uomo che per buona parte della vita era stato
un debole ed un egoista, si prodigò, finché visse, ad aiutare i suoi
compagni più anziani di lui e quelli più sofferenti.
Quando il papà spirò, Luigina era a letto da parecchi giorni molto
sofferente. La notizia le fu portata da due sacerdoti amici. Appena
però entrarono nella sua camera, disse loro: «Lo so che papà non è più.
Questa mattina, appena spirato lo vidi qui, sulla porta e, salutandomi,
mi ringraziò delle preghiere che avevo fatto per lui».
A proposito delle malattie Luigina fu un vero enigma. Si ammalava, le
cure erano inefficaci e poi, un certo giorno si riprendeva e si
rimetteva in piedi: la malattia era scomparsa.
Una testimonianza, a tale proposito, che possiamo definire eccezionale
ed esatta, è quella stilata dal suo medico curante il Dottor Marco
Grassi. Vale perciò la pena, per i lettori, di riportarla
integralmente. «La mia conoscenza con Luigina ebbe inizio dodici anni
prima della sua morte. Fu il caso a farmela conoscere.
Avevo avuto notizia dell'esistenza di una «particolare» persona che si
era offerta vittima al Signore per mezzo di Maria e che viveva una vita
ordinaria e straordinaria nello stesso tempo. Non fu, però, la mia
curiosità a cercarla. Fu lei stessa che mi rintracciò per mezzo di una
comune amica.
In quel tempo ella soffriva di un grosso ascesso alla regione glutea
che s'irradiava in alto, verso il torace posteriore e aveva le
dimensioni di un mezzo grosso melone. Il medico che la curava in quei
giorni aveva consigliato un ricovero per l'incisione dell'ascesso, ma
sembra che nei colloqui di Luigina con la SS. Vergine fosse invece
consigliato di non spostare l'ammalata e di farla curare privatamente
in casa. Il medico curante si oppose a ciò e quindi l'abbandonò.
Essendole stato fatto il mio nome, Luigina mi invitò a farle visita. In
quella circostanza mi domandò di prenderla in cura.
Non nego che sin dall'inizio ella mi fece un'ottima impressione e che
io sentii un particolare trasporto verso questa speciale anima. Per
questo accettai il difficile compito con entusiasmo, non privo d'altra
parte di un certo timore. Da quel momento i miei incontri con lei
furono frequentissimi.
Nei primi tempi proprio a causa dell'ascesso, la vedevo
quotidianamente. In quei dolorosi momenti trovai in lei una grande
disponibilità alla sofferenza e fu proprio in questo primo periodo che
incominciai a conoscerla bene. La mia prestazione giornaliera
consisteva non nell'incisione dell'ascesso, bensì in un siringamento
dello stesso, mediante grossi aghi. Se anche fosse stata fatta una
leggera anestesia locale, il trattamento sarebbe riuscito ugualmente
assai doloroso. Ma Luigina, certa che la Madonna guidasse la mia mano,
si sottoponeva a queste sofferenze senza lamentarsi. Anzi offrendole
per qualche scopo ben preciso.
Una volta che le avevo raccomandato un'anima impenitente, che era in
fin di vita, la sentii perorare a viva voce la causa di questa dicendo:
«Gesù, voglio quella anima! Voglio quell'anima!»
Quell'anima la ebbe. Infatti la mia paziente morì con tutti i conforti
religiosi. E non fu quello l'unico caso. Tante altre volte le mie
raccomandazioni ottennero l'effetto desiderato.
Tornando all'ascesso, dopo il siringamento, venivano iniettati in loco
degli antibiotici appropriati ed anche in questa non facile fase
Luigina continuava ad essere veramente paziente. Ella, vedendomi alle
volte perplesso, mi spronava ad andare avanti dicendomi che la Mamma
Maria era contenta del lavoro compiuto e che avrebbe pensato Lei stessa
a terminare brillantemente la cosa. E fu così. Difatti, dopo circa
quindici giorni di siringamenti, rimanendo un piccolo residuo
dell'ascesso, questo sparì in pochi giorni, spontaneamente.
«Soffrire ed offrire» era la sua massima ed ogni giorno potei osservare
che in lei la sofferenza era sempre presente: fisica, morale o
puramente mistica.
Fra le sofferenze fisiche possiamo enumerare i facili episodi di
insufficienza cardiocircolatoria che subentravano alla fine di cefalee
gravative che duravano 48 ore di seguito, con relativo vomito. Luigina,
come avrebbe fatto qualsiasi persona, prendeva una compressa
analgesica, un Veramon, per esempio, ma se non sortiva effetto
positivo, non se ne curava e tirava avanti implorando, alle volte fra
effettivi lamenti l'aiuto o la grazia che si era prefissa di chiedere
con quella particolare sofferenza. Altri momenti in cui soffriva
ordinariamente erano quelli delle subocclusioni intestinali che si
complicavano con una sintomatologia drammatica, assai dolorosa. A
riguardo, i comuni rimedi della medicina si presentavano pressoché
inutili e la paziente non volle mai ricorrere al ricovero ospedaliero
sostenendo che la Mamma Maria avrebbe risolto la cosa presto. E così in
effetti accadeva.
Fra le sofferenze invece puramente straordinarie e mistiche una era
quella di sentire sul dorso la piaga di Gesù provocata dal palo
trasversale che i crociferi portavano fino al luogo del supplizio. Per
Luigina questo era un vero Calvario ed, insieme alla Coronazione di
spine, era sofferenza grande da sopportare.
In quei momenti sembrava un altro Gesù. Nei suoi occhi, fra i tormenti,
c'era sempre quella luce serena che faceva trasparire lo stato d'animo
con il quale Gesù stesso avrà certamente affrontato i patimenti per i
nostri peccati.
Questi episodi, frequenti in particolari circostanze dell'anno, erano
per noi, testimoni, di grande edificazione e di maggior comprensione
della Passione del Signore. E si usciva dalla casa di Luigina
rinvigoriti al pensiero del grande amore con cui siamo amati da Dio.
Su altre sofferenze mistiche, come l'agonia del Getsemani, ricordo solo
che Luigina, madida di sudore diceva: «Non abbiate timore, se avete
peccato, Gesù ha sofferto anche per quello! »
Una cosa però veramente particolare che Luigina mi confidava e chiamava
«stillicidio del cuore» consisteva nelle molte sofferenze che le
arrecava ricevere tante persone al giorno: non tutte simpatiche, alcune
addirittura ipocrite ed altre perfino nemiche. Questo era ciò che più
la tormentava e l'offerta che ne faceva era la più ampia possibile: per
le anime in genere, per i sacerdoti, per i religiosi e le religiose,
per il Santo Padre, per la conversione della Russia e dei paesi
satelliti.
Dalle molte conversazioni che ho avuto con lei posso assicurare che ho
molto imparato e che vorrei che fosse ancora vivente per poter
conversare con lei delle cose del Cielo come delle cose di quaggiù.
Il ricordo che non dimenticherò mai nella mia vita è quello dell'ultima
sua malattia, che durò esattamente quindici giorni e che la portò
all'incontro finale con Gesù.
Il giorno prima che si ammalasse, durante la quotidiana visita medica,
mi mostrò delle lettere. Erano lettere di quella bellissima anima di
Maria Bordoni, morta nel Gennaio dello stesso anno. Da esse potei
comprendere la grande amicizia che le univa come sorelle. Si parlava
della Mamma Maria, come di una comune visione, della vita vissuta con
Gesù Eucarestia e del bene del prossimo. Fu un'ora incantevole e credo
che Luigina mi abbia appositamente voluto lasciare questa grande gioia
in ricordo.
Il giorno dopo le cose erano completamente cambiate. Luigina era come
in preda ad una grave malattia. Il volto pallido e affilato, dolori
senza tregua all'addome, che appariva estremamente enfiato, e facili
deliqui. Pensammo ad una delle solite subocclusioni intestinali. Si
pensava anche a qualche offerta che ella avesse fatto al Signore e che
il male, come solitamente avveniva, sarebbe passato di colpo. Invece la
situazione si fece più lunga e sempre più drammatica. Mettemmo in atto
i comuni rimedi medici di altre volte, ma senza nessun risultato. A
questo punto chiesi a Luigina se volesse essere ricoverata per
accertamenti, ma, come sempre del resto, rifiutò decisamente, né volle
consulti ad eccezione del Dr. A. Vieri. Questi venne, ma conoscendo
bene la paziente, pensò anche lui subito che si trattasse di un'offerta
al Signore e che ben presto tutto si sarebbe risolto nel solito modo.
L'assistenza ormai si rendeva necessaria giorno e notte e ricordo
ancora, con grande piacere, come ci fu, tra parenti e amici, una vera
gara ad assisterla, anche con grande sacrificio.
La mia presenza veniva invocata più volte al giorno, specie quando le
venivano i collassi. Per me era un'esperienza tutta nuova nei riguardi
di questa paziente. Si presentavano infatti, ormai chiaramente, i
sintomi di una neoplasia gastrica con metastasi intestinali che si
complicò subito con peritonite. Ma pur essendo un episodio nuovo e del
tutto diverso, noi tutti speravamo, sempre, in un intervento divino
che, come altre volte, risolvesse tutto.
Luigina immersa nelle sue sofferenze parlava poco e quando le chiedevo: «Quando finirà?» ella con un filo di voce mi
rispondeva: «Io aspetto, io aspetto».
Confesso, però, di non aver mai pensato si trattasse della fine, fino a
che una mattina fui chiamato verso le cinque. Quando arrivai sembrava
che Luigina non soffrisse più: era distesa sul suo letto, con i
profondi occhi pieni di serenità. Accanto, l'assistevano due signore.
Le chiesi di nuovo: «Quando finirà questa sofferenza?» e lei questa
volta mi rispose, quasi con trasporto, sorridente, «lo aspetto, io
aspetto!»
C'era quasi un'atmosfera celestiale, eravamo alla fine. Le praticai una
iniezione di Micoren, poiché le sue pressioni erano sempre allo stato
di collasso. Poi la salutai lungamente, assicurandole che sarei passato
nel primo pomeriggio.
Questo è il mio ultimo ricordo di lei vivente. Nel primo pomeriggio,
chiamato d'urgenza, arrivai che era appena spirata. Era
nell'atteggiamento celestiale in cui l'avevo vista nel primo mattino,
con il viso rivolto verso la Cappellina, dove il suo Amore Mistico
dimorava e da dove l'aveva accolta nella Sua Luce».