UNA PICCOLA-GRANDE DONNA
«Devo subito dire che per Gina, così si faceva chiamare dalle amiche,
sono stata sempre una forte spina nel cuore, a causa della mia malferma
salute. E quella spina divenne più pungente quando, diventando per due
volte madre, le condizioni di salute andarono peggiorando. Luigina è
stata sempre la mia illuminata consigliera. Premurosa e gentile come
una mamma, cercava di prevenire i miei mali con indicazioni appropriate
di medici di cui lei stessa ne conosceva la fama. Non di rado avvenne
che lei stessa si fosse addossata le mie sofferenze. Devo esserle
costata molto!
Avevo persino vergogna di telefonarle quando stavo poco bene. Ero
combattuta pensando che fosse una vigliaccheria da parte mia chiamarla
a sopportare i miei mali. Una o due volte mi capitò di trovarmi tanto
male nella notte da sentirmi prossima a morire. Allora la chiamai, con
piena fiducia, perché intercedesse presso la nostra Mamma Celeste. Ed
ogni cosa tornò a normalizzarsi nel giro di pochi giorni.
Il mio primo incontro con Luigina ebbe luogo nell'autunno del 1953.
Seppi di lei per lettera, da una mia amica che abitava a Lugano, in
Svizzera, la quale l'aveva incontrata a Roma. Mi scriveva di aver avuto
con lei uno scambio di idee e di averla trovata veramente eccezionale.
Mi diede il recapito telefonico e mi invitò a chiamarla al fine di aver
un incontro con lei. Da parte mia non mi lasciai influenzare
dall'entusiasmo della mia amica, in quanto conoscevo il suo animo e
sapevo con quanta «sete» andasse in cerca dello «straordinario».
Telefonai al numero telefonico indicato ma non ottenni risposta
immediata. Lasciai il mio numero per essere chiamata da Luigina.
Intanto in cuor mio mi raccomandai alla Madonna di non permettere che
la conoscessi se fosse stata per me causa di perdita di tempo. Luigina,
invece, mi telefonò e alla prima telefonata si verificò un «qualcosa»,
come se esistesse già fra noi un legame di amicizia. Venne il giorno
dell'incontro, a casa mia, e ci si abbracciò affettuosamente appena
viste. Il colloquio fu un crescendo di gioia, mista a lacrime per tutto
ciò che Luigina andava via via raccontando. Ma cosa disse di così
sorprendente, non ricordo nemmeno una parola! Ci lasciammo come amiche
di lunga data ed andai ad accompagnarla all'autobus che avrebbe dovuto
ricondurla a casa. Dopo quel primo incontro l'amicizia andò sempre più
approfondendosi, così da conoscere, entrambe, la nostra vita passata.
Luigina mi raccontò che era stata felice nella sua prima fanciullezza,
cioè prima della morte della mamma che segnò l'inizio, nella sua vita,
di un lungo calvario. Era la maggiore di cinque figli, tuttora viventi:
Pietro, Giorgio, Benita e Tonino. Amava teneramente i suoi fratelli e
anche il papà, ed era pronta a giustificarli quando il loro
comportamento la faceva soffrire. La morte della madre fu un vero
trauma al punto che desiderò morire pure lei. Il babbo di Luigina era
mobiliere di notevole fama se si pensa che i mobili che uscivano dalla
sua bottega venivano esposti alle Mostre di Parigi e di Genova. Il
babbo però risentì anche lui fortemente della mancanza della moglie e,
dopo la sua morte, deve aver avuto un certo sbandamento, sentendosi
incapace di prendere da solo le redini di quella famiglia numerosa.
Forse avrebbe voluto risposarsi, e questo suo progetto deve averlo
allontanato non poco dalla famiglia, cioè da quei figlioli che
adoravano la memoria della loro mamma.
La mamma era amata e rispettata anche dalle famiglie di Itri e
dintorni. Aveva esercitato la professione di ostetrica alla scuola di
Pestalozzi ed era molto brava. Era stata una donna di santi principi
educativi ed una mamma intelligente e profondamente cristiana. La
famiglia, quando la mamma era in vita, abitava in una bella palazzina
di venticinque camere con un piccolo giardino adiacente. Dopo la morte
della mamma, la famiglia cominciò ad avvertire un certo disagio anche
economico.
Diventati grandi i fratelli cercarono un lavoro. Giorgio andò nel
Friuli, Pietro e Tonino a Roma, Benita in America del Nord, a New York.
Luigina dopo vari lavoretti, trovò un buon impiego in un grande negozio
al centro di Roma come cassiera e vi restò per qualche anno. Venne poi
licenziata perché accusata di furto continuato.
Fu la sua grande prova! Era innocente e non poteva provarlo perché
avevano imitato la sua firma facendo dei prelevamenti di cassa,
lasciando a lei ogni responsabilità di tale uscita di denaro. Il
colpevole doveva essere una persona impiegata nella stessa azienda ed a
contatto di lavoro con Luigina.
Dopo questa accusa si trovò perciò senza lavoro e senza casa. Le
cognate a Roma non furono molto sensibili a questa sua sventura e si
trovò proprio sola e abbandonata dai suoi cari.
Fu allora che ebbi la fortuna di averla ospite in casa mia per due mesi
e poco più. Allora abitavo in Via dello Statuto, nell'appartamento che
era stato della mia famiglia. Mi trovavo sola ad abitare in cinque
camere. A Luigina potei offrire così la camera centrale, fra la sala da
pranzo e un'altra camera da letto. Fu proprio in quel periodo che
toccai con mano «l'invisibile». Luigina mi trasportò pian piano in un
mondo di cui avevo molto sentito parlare, però non avevo una piena
convinzione che esistesse. Cioè, per meglio dire, non avevo avuto mai
occasione di venirne a contatto. Quanta gioia scendeva nel mio cuore a
sentire ciò che Luigina diceva, quanta sicurezza e conforto venivano a
me da quelle visite della Madonna Celeste!
Nella camera che abitava mi indicò il luogo dove avvenivano i colloqui.
Era accanto alla finestra, dove un piccolo tavolo faceva da scrittoio.
Non avrei dubitato mai di ciò che mi diceva Luigina perché non avevo
mai riscontrato in lei la più piccola menzogna. Non ho mai saputo il
contenuto di quei colloqui. Non avrei neppure provato a chiederlo. Però
conoscevo le risposte di cose che mi riguardavano. E poi sentivo un
piacevole profumo che restava in quella camera da letto, a volte più di
un giorno, e quello che sprigionavano le sue mani e tutta la sua
persona.
Una volta ella mi disse, a motivo di quel profumo: «Sai, alcuni credono
che io me lo versi addosso e mi chiedono di quale marca sia. Altri
pensano che io usi un sapone delicato che lascia alle mani quel
gradevole profumo!». A tale proposito un giorno e per smentire le voci
di cui sopra, mentre lavava i piatti in cucina, naturalmente senza
guanti perché a quei tempi non esistevano ancora e nemmeno i detersivi
leggermente profumati che si usano oggi, sollevò le mani da quell'acqua
grassa e lievemente colorata di sugo e ancora sgocciolanti me le fece
annusare. Io notai che, specialmente sull'estremità delle dita, quel
profumo, misto di gelsomino, vaniglia, incenso, confetto, era
gradevolissimo ma indelebile! ... Quello stesso che sentii nella
Cappellina della sua abitazione mentre, lei era adagiata sul letto di
morte nella camera, ed io recitavo, in silenzio, il S. Rosario.
I ricordi di quel soggiorno in casa mia in via dello Statuto, sono
molti. Cercherò di ricordare i più significativi.
Una sera, verso le ore diciannove, Luigina mi disse di avere un po' di
mal di capo e scusandosi volle ritirarsi nella sua camera. Mi
raccomandò di cenare senza aspettarla e di non preoccuparmi perché era
soltanto un mal di testa. Si sdraiò sul letto, lasciando la porta della
sua camera così com'era: completamente aperta. La luce nella sua camera
era spenta mentre quella della camera da pranzo era accesa ed
illuminava completamente il letto sul quale si era adagiata interamente
vestita. Per lasciarla riposare meglio spensi la luce della sala da
pranzo e mi recai in cucina a preparare la cena. Trascorsa poco più di
una mezz'ora andai verso la camera di Luigina per vedere se avesse
bisogno di qualcosa. Accesi la luce della sala da pranzo che illuminava
il suo letto, e la vidi supina con gli occhi chiusi, immobile, come se
non respirasse. Allora pensai: il mal di testa sarà completamente
scomparso, altrimenti non potrebbe dormire. Trascorsa un'altra mezz'ora
circa, tornai di nuovo a vederla. Allora si svegliò e mi chiese da
quanto tempo dormisse, come se avesse perduto la nozione del tempo. Si
levò dal letto e consumammo insieme la cena, certamente più tardi del
solito ma senza più pensare al suo piccolo malessere. In seguito
Luigina mi parlò della Russia, mi disse che alcune persone erano
prigioniere nei sotterranei; che dei Sacerdoti celebravano la Messa con
un pezzo di pane e uva appassita. «Quante sofferenze in quelle anime!»,
mi disse. «Ci sono intere famiglie che pregano nei sotterranei. Non
possono farlo apertamente altrimenti sarebbero perseguitati. Vanno in
quei rifugi durante la notte». Quando Luigina mi parlò della Russia, le
domandai se l'avesse visitata. Cioè pensavo se ci fosse stata in
bilocazione. Lei mi rispose di sì, senza dare alcuna importanza alla
cosa.
Gina voleva che io capissi bene che «i doni» che il Signore fa' ad
un'anima non sono indice di santità, appartengono a Lui. Invece la
sofferenza offerta è nostra e così ogni buona azione che facciamo al
prossimo, per amor Suo.
Quando si avvicinava il primo sabato del mese, o meglio, si avvicinava
la notte dell'incontro con la Mamma Celeste, avevo timore di chiedere
«qualcosa». Mi sembrava una mancanza di riguardo verso la nostra Mamma,
Regina dell'universo. Mi sembrava di abusare del privilegio che lei
venisse dalla Sua Prediletta, in casa mia. Malgrado ciò riuscii a
conoscere molte cose che riguardavano la mia vita futura, tra cui la
mia vocazione al matrimonio. Luigina, poi, sapeva ogni cosa di me senza
che le avessi rivelato la mia vita passata. Mi disse che il mio cuore
era stato «molto «duro» e che il Signore me lo aveva trasformato... Che
la Mamma mi voleva più umile. Ciò mi fu rivelato sensibilmente quando
pregai Luigina di far benedire la mia statuina dell'Immacolata
Concezione, in un primo sabato del mese. Avvenne che mentre gli altri
oggetti messi sul tavolo di Luigina, allo stesso scopo, emanavano
completamente il profumo, la mia statuina profumava soltanto al piede.
Chiesi perciò la spiegazione a Luigina, la quale mi confermò che la
Mamma voleva da me una vera umiltà.
Luigina mi descrisse, dietro mia richiesta, l'abbigliamento della Mamma
soddisfacendo la mia curiosità fin nei particolari. Mi parlò del
diverso colore tra il mantello e l'abito e diede un significato
particolare al colore; la spilla con gemme che fermava il mantello al
di sotto del collo; la bordura dorata e ricamata del mantello; il
fruscio della seta... In una di quelle occasioni pregai Luigina di
baciare per me il mantello della Mamma. La mattina seguente incontrai
Luigina in cucina, mi sentivo quasi in soggezione di averla messa in
imbarazzo con la mia richiesta. Invece ella, tutta sorridente si
avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte, dicendomi che me lo mandava
la Mamma. La gioia, per quell'avvenimento, inondò completamente il mio
cuore.
Poiché andavo all'impiego ogni mattina accadeva spesso che Luigina
rimanesse sola in casa fino al mio ritorno, alle 14,30. Mi attendeva
per pranzare insieme facendomi trovare la casa in ordine e la spesa
fatta.
Luigina faceva allora qualche commissione di «sopralluogo» per
accertare l'indigenza di alcune famiglie che godevano dell'assistenza
dell'Opera Pontificia, allora affidata a Mons. Bandelli. Luigina per
tale attività non riceveva alcun compenso, soltanto, e non sempre, il
rimborso dei soldi spesi per il tram. A volte perciò accadeva che non
avesse nemmeno gli spiccioli per il tram e doveva andare a piedi...
Riuscii, chissà come, a sapere ciò e allora pregai Luigina di prendere
quanto le occorresse dalla tasca del mio soprabito nell'armadio, che
fungeva da cassa. Luigina però non vi andò ad attingere denaro che
raramente ed al mio ritorno dall'ufficio mi faceva trovare la lista
delle spese, specificando ogni acquisto effettuato al mercato per mio
conto.
Era prodiga di consigli. Ma li dava quando era sicura di ciò che
diceva, altrimenti consigliava di pregare insieme affinché potesse
conoscere la cosa che mi stava a cuore. Qualche volta la risposta
arrivava con molto ritardo però si rivelava di una grande precisione.
Quando le chiedevo qualcosa per parenti o persone amiche, scriveva la
risposta ma voleva rimanere in incognito. Ad una mia collega di ufficio
le scrisse di «raddrizzare» la sua vita che la Mamma la avrebbe aiutata
molto. E così fu.
Ad una mia nipote afflitta perché abbandonata dal fidanzato, quasi alla
vigilia delle nozze, disse che la Mamma l'avrebbe aiutata, di aver
fiducia, che avrebbe incontrato un uomo migliore e con lui avrebbe
formato un'ottima famiglia. Infatti ora ha tre figliuoli ed il marito
le vuole molto bene.
A mio avviso conosceva tutto di tutti, cioè la vita intima di ogni
persona che avvicinava. Esprimeva talvolta il suo pensiero su
determinate persone e ciò era fatto sempre a fin di bene. Spesso
esaltava le virtù di persone di comune conoscenza. Una volta mi riferì
di un medico che conoscevo, il quale stava così a lungo in preghiera
davanti al SS. Sacramento da avere le ginocchia incallite.
Luigina aveva bisogno di amicizia e gradiva conversare di cose di Dio e
della Mamma Maria, ma lo faceva sempre con tatto e senza morbosità
bigotta.
A volte era molto combattuta a causa delle incomprensioni e cattiverie
che riceveva anche da persone da lei beneficate. Queste prove
spirituali la facevano molto soffrire e cercava sempre di studiare se
ne fosse o meno lei la causa.
A me chiedeva: «Ma tu cosa pensi di me? Ti sembro una persona normale?»
«Altro che persona normale!» le rispondevo. Mai ho pensato di lei che
fosse una persona anormale, squilibrata. Era carica di buon senso e di
prudenza per cui prima di dire qualcosa doveva esserne ben certa e ciò
le derivava dalla preghiera. Non pensava molto alla efficacia della sua
invocazione quanto alla preghiera dell'interessata, ove fosse
possibile. Ciò la metteva in stato di piena umiltà e dava fiducia alle
persone alle quali prometteva di pregare.
Luigina ha sempre raccomandato a tutti la recita del Rosario ed anche
ai giovani, che non pregano a lungo, suggeriva loro di dire almeno
dieci Ave Maria, meditando un mistero, in maniera da formare una corona
intera in cinque giorni.
Luigina sentiva fortemente la riconoscenza verso chi le avesse fatto un
po' di bene. Avvenne così che, col passare degli anni, il benefattore
diveniva per lei il beneficato. Anch'io ricevetti in larga misura da
lei!
Era trascorso poco tempo dall'arrivo di Luigina in casa mia, forse poco
meno di un mese, quando mi chiese se potesse portare in casa una
giovane di sua conoscenza, che era figlia spirituale di Padre Pio.
Luigina, affinché l'accettassi in casa, mise in luce le migliori
qualità di questa giovane. Ed in verità era una figliuola sulla via
della perfezione, anche se ancora giovane e bisognosa di guida. Dopo
qualche giorno trovò lavoro e andò via e, dal canto mio lo confesso, ne
fui felice.
Qualche cosa però venne a turbare il mio pieno accordo con Luigina ed
intanto in cuor mio si affacciarono pensieri poco lusinghieri, anche
nei suoi riguardi. Pensai che Luigina non avrebbe dovuto invitare la
giovane in casa mia dal momento che anche ella era già ospite. Luigina
capì questo mio stato d'animo e mi parlò con la sua franchezza
abituale. «Guarda», mi disse, «che se vuoi vado via anch'io. Sono qui
per te!» Allora capii che la sua presenza in casa mia era un dono della
Madonna! La supplicai perché rimanesse. Poi non ci fu più motivo di
malintesi.
Luigina ebbe molta, moltissima pazienza con me. Diffidai molte volte di
quello che voleva offrirmi come consiglio. Non insistette mai però
sulle cose che diceva per il mio bene. Fu sempre così spontanea che,
forse, proprio per questo, a volte dubitai dei suoi consigli.
Ma, purtroppo, fu sempre a causa della mia nullità e superbia che
ricadevo nell'errore.
Una volta mi fece chiaramente capire che per darmi un consiglio in
merito ad un problema dovevamo pregare insieme. Altre volte,
esplicitamente, confessò che non sapeva dirmi nulla senza pregare.
Quando però si trattava di una risposta avuta dalla «Mamma Maria» non
c'erano dubbi: era come diceva e con decisione. Le risposte furono a
volte suggerite per iscritto, concise, ma colpivano l'argomento in
pieno, come una freccia quando va dritta al centro del bersaglio.
Luigina era così precisa nei suoi ricordi che anche a distanza di anni
sapeva dire il giorno e il mese degli avvenimenti che riguardano la mia
vita.
Rimase con me, nella casa in via dello Statuto, per poco più di due
mesi.
Ella sapeva che la sua partenza dalla mia casa mi avrebbe procurato un
forte dolore ed allora mi preparò pian piano a questo doloroso distacco.
Fu accolta in casa della Sig.ra Anna Martorano, in via Urbino 51. E in
quel palazzo rimase, dopo aver cambiato due appartamenti sempre nella
stessa scala, fino alla sua morte. A me, per consolarmi, disse che
quella sarebbe stata la sua ultima dimora, cioè che sarebbe rimasta in
quella casa fino alla sua morte. E così fu!
Era giunto il momento in cui non le sarebbe più mancato nulla. La
Provvidenza avrebbe pensato largamente a lei. Così è stato. Ma quante
pene...! E quanta fede c'è voluta per Luigina in quella predizione,
ogni volta che dovette cambiare appartamento e fare sempre nuovi lavori
di adattamento e per la sistemazione della Cappellina.
Anche al quinto piano, dove abitò fino alla morte, ebbe notevoli prove.
Rimase in quell'appartamento malgrado il freddo per i lavori di
restauro e la vendita di quasi tutti gli appartamenti dello stabile.
Ecco che cosa è stata «fede» per Luigina! Ella sapeva che nemmeno il
terremoto l'avrebbe spostata di lì. Parola dall'Alto, non può cambiare!
Luigina mi fece delle rivelazioni molto importanti sul rinnovamento
della Chiesa dopo il Concilio, e disse che ne sarebbe uscita
rinvigorita, malgrado le molte difficoltà che avrebbe dovuto superare.
Mi confidò anche molti avvenimenti che si sarebbero verificati nella
politica italiana.
Andavo ancora in ufficio ed avevo molta difficoltà con le colleghe e
soffrivo di essere messa in disparte e di vedere qualche ingiustizia.
Una volta Luigina mi disse: «Tu però la spia non la devi fare». Era
proprio vero: avevo riferito una cosa vera, ma che avrei dovuto tacere!
Nel 1954 Luigina conobbe, tramite me, le Benedettine di Clausura. Le
monache avevano molto sofferto durante la guerra e si sostentavano
facendo piccoli lavoretti con le loro mani: un po' di ricamo, un po' di
maglia, ecc. Poi ricevevano offerte per gli «Agnus Dei» sui quali
venivano dipinti, in miniatura, dei fiorellini e il nome di Gesù.
Luigina stimava molto queste monache ed una volta mi disse che «Gesù
andava in quel Monastero per riposarsi», poiché quelle suore erano come
colombe intorno a Lui. Parlandone con me poi, le chiamava «le
colombelle di Gesù».
Luigina era andata via da me da non molto tempo ed abitava come ho
detto in Via Urbino 51, ma non aveva lavoro e perciò mancava di mezzi
di sostentamento. Nel frattempo conobbe una suora del Bambin Gesù,
superiora vicino a Roma, la quale, insieme ad un Sacerdote, Don
Gabriele Antonazzi, stimava Luigina, ammirandone la sua ricca vita
spirituale. Questa suora che proveniva da famiglia benestante mise a
disposizione di Luigina una certa somma. Credo sul mezzo milione di
lire.
Luigina non accettò la somma per sé, ma invitò Suor Margherita,
d'accordo con il sacerdote, ad acquistare una macchina Necchi per il
lavoro a maglia, da offrire alle monache di Clausura. Esse infatti,
accettando lavori di maglieria, avrebbero potuto far fronte alle spese
giornaliere della Comunità. E così avvenne.
Negli anni seguenti Gina commissionava alle monache dei lavoretti in
pittura, scatole portafazzoletti, tovaglie d'altare, copri pisside ed
Agnus Dei, pagando, per quei lavori, somme di una certa consistenza, e
mai inferiori alle cinquanta mila lire.
Quanta gioia provava Luigina quando riceveva i lavori specie quelli che
conferivano maggior decoro a Gesù Eucaristico! Era lei stessa che
suggeriva il soggetto per le tovaglie d'altare, che dovevano essere in
armonia con le varie feste ricorrenti nel calendario liturgico. Il
gusto innato per il bello e il raffinato Gina lo trasfondeva
particolarmente in tutto ciò che era sacro: come l'altare, gli arredi
ed i fiori. Gli amici di Luigina ricordano quanto cara le fosse la sua
Cappellina adorna sempre di magnifiche composizioni floreali. Anche i
presepi, allestiti ogni anno in maniera diversa, procuravano una grande
gioia a coloro che li vedevano. La composizione artistica, sempre
nuova, non distraeva il visitatore dal grande mistero della Natività
divina.
Dopo avermi confidate le rivelazioni celesti, alle quali credevo e
credo tuttora, si faceva piccola piccola dicendo che il merito non era
suo e che bisognava ben distinguere nella vita spirituale i «doni
gratuiti» dai meriti acquistati con la nostra sofferenza, con la
rinuncia, con la carità... Ella ebbe inoltre il grande dono di dire la
parola giusta al momento esatto e non si mise mai in cattedra. Solo una
grande carità, che la bruciava dentro, muoveva le sue labbra, non per
ammonire ma per curare il peccatore. Tutta la conversazione era
improntata da lei con grande carità per cui l'interlocutore si trovava
a suo agio. Luigina non si scandalizzò mai di nulla. Era facile
parlarle, come si suol dire, col cuore in mano perché conosceva i
problemi più intimi che travagliavano l'anima, prima di sentirne
parlare.
Era molto mortificata quando doveva per ragioni di tempo interrompere
una conversazione amichevole. I Sacerdoti avevano il posto dei
«prediletti. Non potevano aspettare. Perciò nel congedare i secolari si
scusava dicendo: «Tornate presto che parleremo più a lungo.
Un'altra cosa particolare che capitava era quella di stare con Luigina
senza accorgersi che il tempo passava. Si stava così bene accanto a lei
che ci si dimenticava di ogni amarezza della vita presente e si tornava
a casa col cuore gonfio di gioia ed una forte carica di gioia ed una
forte carica di fede.
Un giorno Luigina disse che la Mamma Maria, vedendo le diverse immagini
nelle quali era ritratta diceva: «Da ogni figura, anche dalla meno
bella, trasfondo il mio Amore sui miei figli.»