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77 – CON L’AGNELLO DIVINO
77.1. Diventare santa per mezzo della comunione
Passai
tutto il mese di luglio 1824 in questo ardente desiderio, mettendo in
pratica, con ogni attenzione, tutti i mezzi opportuni per non mancare
nella giornata. Raccomandandomi di frequente al Signore, procuravo di
vigilare sopra me stessa, per non mancare né con opere, né con parole,
chiedendo umilmente grazie al Signore di esercitarmi nelle sante virtù.
Una mattina, più del solito toccata l’anima mia dalla grazia di Dio,
nel comunicarmi chiesi la grazia di diventar santa, per mezzo di questo
divino sacramento. Era tanta la santa fiducia che mi compartiva il mio
Dio, che arrivai a non poterne dubitare. Dicevo al mio santo Angelo
custode: «Pregate anche voi, o Angelo mio tutelare; anzi vi dico
ringraziate per me il mio Dio, perché questa mattina, di certo, mi fa
santa, con il suo divino contatto. Rallegratevi, Angelo mio benedetto,
perché se vi siete degnato assistermi peccatrice, avrete la gloria di
assistermi giustificata, per il sangue prezioso del mio Gesù, io
confido e spero di ottenere la santificazione dell’anima mia».
Con
queste, ed altre simili espressioni fiduciali, mi accostai a ricevere
questo cibo divino, questo pane di vita eterna, con umili sentimenti e
con abbondanza di lacrime, che versavo in larga copia. Dopo essermi
trattenuta nei più umili ringraziamenti, ricevuto che ebbi il mio Dio
sacramentato, l’anima mia si sopì in Dio, facendo uno spoglio totale di
tutta me stessa, abbandonandomi in tutto e per tutto al suo divino
beneplacito. Questo spoglio totale, ossia staccamento di tutta me
stessa, fu molto singolare, perché mi fu comunicato dal Signore per
speciale grazia. Sicché io non posso ridire di qual tempra fosse questo
spoglio, questo staccamento di tutta me stessa, per il quale l’anima
purificata, assottigliata, poté liberamente penetrare ed essere
introdotta nell’immensità di Dio, dove conobbi, con molta chiarezza,
cosa mai corre dal finito all’infinito, in una parola, cosa siamo noi e
cosa sia Dio, cosa siano i beni transitori e quali gli eterni.
77.2. Il divino Agnello mi invitava ad andare da lui
Nel
tempo che l’anima conosceva queste grandi verità, e che ne godeva un
bene sommo in Dio medesimo, per essere l’anima mia tanto racchiusa e
intimamente unita alla divina immensità di Dio, che non ho termini di
saperlo spiegare; nel tempo che godevo di questo bene inarrabile, nel
quale stavano occupate tutte e tre le potenze dell’anima mia, e si
erano in questo immenso bene smarrite, e affatto perdute, tutto ad un
tratto, cessò l’illustrazione, tornarono le potenze ad agire tutte
innamorate di Dio, in quell’istante mi trovai sopra un altissimo monte,
dove vedevo una moltitudine di santi Angeli, tutti in bell’ordine
disposti. Questa sola vista sarebbe bastata, per riempire il mio cuore
di contento, perché era tanta la loro bellezza, la loro vaghezza, la
loro maestà e purità, che in quei sovrani spiriti risplendeva la beltà
del mio Dio.
Le legioni di questi angelici spiriti, che
circondavano questo santo monte, bastavano per renderlo un vero
paradiso. Ma quanto più attonita restò la povera anima mia, quando si
vide assai più favorita dal suo Dio, restai piena di smarrimento e di
stupore, quando vidi dall’alto dei cieli un’immensa luce, nel mezzo
della quale, vedevo tutto raggiante il divino agnello, che placidamente
riposava ad occhi aperti, sopra quella luce inaccessibile. Fisso teneva
il suo sguardo sopra la povera anima mia, e mi invitava acciò mi
approssimassi a lui. Ma, oh Dio! l’anima sopraffatta da sommo timore,
non aveva il coraggio di fare ciò; ma, annientata in se stessa, si
profondava con umile rispetto e particolare reverenza, senza potermi
muovere da dove mi trovavo, ma tremavo da capo a piedi, piena di
rossore, mi confessavo indegnissima di trovarmi in luogo sì eccelso; ma
siccome a questo portento prodigioso di misericordia vi era presente la
grande imperatrice del cielo, Maria Vergine santissima, ah non resse il
materno cuore della sovrana Regina nel vedere che tanto di pena provava
la povera anima mia e che non poteva, per il grande timore, obbedire al
cortese invito del divino Signore.
77.3. La Regina Maria mi accompagnò al trono dell’Agnello
Mossasi
a compassione, la Madre di misericordia, di vedermi tanto annichilata,
e priva di coraggio, per compiacere l’agnello divino, in persona venne
l’amorosa Signora, piena di gloria e di maestà e di bellezza, a farmi
coraggio, e lei stessa si degnò accompagnarmi vicino all’augusto trono
dell’agnello divino. Quando fummo in una certa distanza, tre santi
Angeli sollecitamente portarono tre ricchi sgabelli, in uno dei quali
si adagiò la grande regina Maria santissima, nell’altro sgabello
sedette il grande precursore Giovanni Battista, riccamente vestito e
pieno di splendore, il quale, prima di adagiarsi sopra lo sgabello,
fece tre profondi inchini. Io stavo in piedi, accanto a Maria
santissima. Il suo splendore ricopriva la mia confusione. Io ero fuori
di me stessa, nel vedere cose così grandi e così meravigliose, ed
insieme così misteriose, che io non sapevo come andassero a terminare.
Nel tempo che stavo così concentrata e piena di ammirazione,
sopraffatta da santo timore, la Vergine santissima mi obbligò di
adagiarmi sopra lo sgabello, seduta che fui anche io accanto alla
divina Madre, il santo precursore sciolse la sua profetica lingua, ed
encomiò il divino agnello e la sua Vergine Madre. Indirizzò il suo
discorso alla povera anima mia, dicendomi parole di vita eterna; alle
parole di questo santo glorioso, tutta mi disciolsi in lacrime d’amore
e di compunzione. Terminato il suo discorso, ci alzammo tutti e tre in
piedi, e in questo tempo vedo che un Angelo delle prime gerarchie,
genuflesso ai piedi di Maria santissima, le presentò un ricchissimo
calice, adorno di preziosissime gemme. Era questo calice coperto con la
sua patena. La grande madre di Dio, prese il calice nelle sue
santissime mani, il messaggero celeste, con profondo rispetto e
riverenza, con un candidissimo panno levò dal calice la preziosa
patena, e la divina Signora dette all’anima mia a bere di quel prezioso
liquore. Oh balsamo! oh liquore divino di soavità ripieno! Quali
mirabili effetti in quei preziosi momenti mi facesti provare! Quale
trasmutazione facesti tu dell’anima mia! Qual fiamma di carità
accendesti nel povero mio cuore! Quale illustrazione al mio intelletto!
Qual lume alla mia mente! E chi potrà mai ridirne i prodigiosi effetti?
Io no di certo. Sicché taccio, senza passare più oltre, mentre mi pare,
che certi favori di Dio siano, per l’infinita bontà di Dio, compartiti
alle anime, senza termini, senza misura, senza limiti. E chi ardirà di
parlarne! Mi permetta, dunque, vostra paternità reverendissima, che io
ponga fine a questo mio racconto gaudioso, e mi dia licenza di narrare
come da questo gaudio passai a soffrire le pene più afflittive di
spirito, di aridità, di oscurità, di foltissime tenebre, che la povera
anima mia si ridusse in uno stato deplorabile. Sono certa che non
recherà meraviglia a vostra paternità reverendissima questo mio
racconto così luttuoso, benché al vivo e io non lo posso manifestare di
qual tempra siano queste sorte di patimenti, in cui Dio pone le anime
dopo di averle favorite; ma vostra reverenza, come perito di questa
scienza, bene intende il tutto, benché io non mi sappia, per la mia
ignoranza, spiegare. A me pare così: quanto più Dio si degna sollevare
le anime con i suoi divini favori, tanto più gli dà a patire,
sprofondandole nel cupo abisso del patire. Questo basti per dire tutto.
In
questi gravissimi patimenti passò la povera anima mia il mese di
agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre 1824; ma devo dire
però, a gloria del medesimo Dio, che in questi quattro mesi, non mancò
l’amorosissimo Signore, di tratto in tratto, favorire la povera anima
mia, e così risorgerla dalle agonie mortali in cui si trovava; ma
questi divini favori erano di poca durata, e formati tanto nell’intimo
dell’anima, che appena ne aveva la cognizione, che si dileguavano dalla
mia mente e tornavo nel mio doloroso conflitto. Qualcuno che ne ricordo
lo scriverò, avendo trascurato lo scrivere, per i gravi patimenti che
mi hanno ridotta come insensata.
77.4. L’imperatrice del cielo mi coronò con una preziosa corona
Il
dì 15 agosto 1824, festa di Maria Santissima Assunta in cielo, dopo la
santissima Comunione fu l’anima trasportata in un luogo amenissimo,
bellissimo, dove vedevo questa divina Signora, cinta da immensa luce,
corteggiata da una moltitudine di sante vergini e da stuolo immenso di
Angeli. A questa vista, non posso al certo spiegare qual gioia, qual
contento provò il mio cuore, godetti un paradiso di contento, allora sì
non sentivo più le pene mie, ma un torrente di celeste gaudio inondava
l’anima mia. La divina Signora si degnò chiamare a sé l’anima mia, ma
io, per rispetto e riverenza, stavo ritrosa nell’obbedire al cenno
della Vergine e Madre, ma due Angeli delle prime gerarchie si degnarono
di accompagnarmi all’augusto suo trono, dove mi prostrai ginocchioni
con umile rispetto e profonda riverenza, piena di confusione per
vedermi così favorita in mezzo a tante sante vergini, che la loro
bellezza e il loro splendore era incomprensibile; io non avevo coraggio
di mirarle, perché ero tutta annientata in me stessa. Intanto la divina
Signora si degnò coronare la mia testa con una preziosa corona; così
disparve la celeste visione lasciando nel mio spirito i sentimenti più
vivi di affetto e di amore verso l’Imperatrice del cielo.
Riconoscendomi indegnissima di sì alto favore, la supplicavo con
lacrime e con preghiere, acciò si degnasse concedermi la grazia di
corrispondere ai tanti divini favori, che Dio mi ha compartiti per sua
pura bontà.
77.5. Il purgatorio rimase poco meno che vuoto
Nel
mese di settembre e ottobre 1824, per avere trascurato lo scrivere, so
di avere ricevuti dei celesti favori, ma adesso che scrivo sono tanto
avvolta nelle dense tenebre, non mi ricordo, né saprei dire, cosa siano
questi celesti favori, perché dove mi volgo trovo il patire, se mi
concentro mi par di morire. Il mio diletto se ne fugge da me. Invano lo
cerco, con affanni e sospiri, l’amore si compiace nel vedermi patire,
l’anima intanto, per compiacere l’amore, ansiosa brama di viepiù patire.
Nel
mese di novembre 1824, nell’ottava dei defunti, fui favorita in tutti
gli otto giorni di particolare grazia, in vantaggio delle anime sante
del purgatorio. Dopo lunghe orazioni che facevo per suffragare le
suddette anime, si degnava farsi vedere l’agnello divino. Con tutta
piacevolezza mi domandava cosa bramavo. L’anima frettolosa rispondeva:
«Ah, mio Signore, voi lo sapete, desidero liberare le anime sante dal
purgatorio».
L’agnello divino così mi rispose piacevolmente: «Te
ne concedo la grazia; a tuo arbitrio libera quante anime vuoi dal
purgatorio». L’anima rispose: «Mio Dio, mio Signore, e come volete che
io faccia a liberarle, se sono tanto miserabile e peccatrice? Gesù mio,
venite voi con me a quel carcere, allora sono certa di liberarle!».
«Sì», rispose il divino agnello, «andiamo, voglio compiacerti!».
Allora
l’anima fu invitata dal suo Signore ad abbandonarsi sopra i sacri omeri
del misterioso agnello, e così preceduti e seguiti da stuolo immenso di
santi Angeli e da una splendidissima luce, che circondò l’agnello
immacolato Gesù, l’anima intanto riposava sopra le spalle dell’agnello
divino.
All’apparire quella splendida luce, nel tenebroso
carcere, si sentivano i gemiti e le preghiere di quelle sante anime,
che chiedevano misericordia e pietà. La povera anima mia, alle
lamentevoli voci, si sentiva scoppiare il cuore, e soffocata mi sentivo
da tenero pianto, dalla compassione mi pareva di morire.
Ognuno
può immaginare con quanto fervore pregassi il mio buon Signore,
stringendolo forte al mio cuore. Con sommo amore per quelle sante anime
chiedevo misericordia e pietà. L’amante agnello così mi disse: «Figlia
diletta mia, poni la tua mano nel forame del mio cuore, e lascia
scorrere il mio sangue a larga copia». L’anima prontamente obbedì,
ponendo con sommo rispetto e riverenza tre dita nel forame del sacro
costato di Gesù Cristo, e immantinente si vide quel divino Agnello
intriso del proprio sangue. Oh, sangue preziosissimo! io ti adoro
profondamente.
L’anima, a questo prodigioso portento di amore,
restò estatica per l’ammirazione e per il grande amore che sentiva
verso l’amorosissimo Gesù. Quel sangue divino, che scorreva in larga
copia, andò ad estinguere quelle atroci fiamme. Allora si vide la
moltitudine di quelle sante anime purganti ripiene di gioia e di
contento. Scesero allora in quel carcere i loro santi Angeli custodi, e
le condussero con sommo gaudio al cielo, in mezzo ad una risplendente
luce. La povera anima mia restò piena di contento, e fuori di se
stessa, ammirando l’infinita bontà di Dio.
In tutti gli otto
giorni dell’anniversario dei fedeli defunti mi seguì questo fatto,
sempre nei medesimi termini. L’ultimo giorno ebbi il contento di
vedere, con sommo mio stupore, quel carcere poco meno che vuoto.
Quali e quanti furono i ringraziamenti che fece l’anima al suo Dio, non ho termini di poterlo spiegare.
77.6. Verso una vita deiforme
Nel
mese di dicembre 1824, proseguì l’anima a soffrire il suo martirio
interno di abbandoni penosissimi, di desolazioni crudissime, di tenebre
densissime. Solo provavo di tratto in tratto qualche interno soccorso,
ma tanto intimo che l’anima appena lo poté distinguere.
Mentre
mi pare che Dio stia facendo nell’anima mia un’opera, la quale non
voglia manifestarla all’anima, sicché l’anima sente in sé l’opera del
Signore, ma ne vive digiuna affatto.
L’opera per se stessa è
molto dolorosa per lo spirito e per il corpo. Ciò nonostante, Dio si
degna, per sua infinita bontà, di comunicare all’anima tanta fortezza,
tanta compiacenza di adempire, di compiacere la sua santissima volontà,
che lo stesso patire mi si converte in un gaudio di dolcezza; mentre le
pene che soffro, interne ed esterne, non le cederei per tutto l’oro del
mondo.
Conosco che questa è una sciocca comparanza: dico che le
tengo tanto care, perché in queste pene trovo tutto il mio Dio. Dunque,
felici pene, benedette pene, che mi unite al mio divino Signore!
L’opera
che sta facendo Dio nella povera anima mia, se non sbaglio, mi pare che
sia di mio grande profitto. Mentre Dio mi va spogliando di tutte le
cose sensibili e intelligibili, immaginarie e ideabili, per lo ché in
tutte le mie operazioni, esterne ed interne, mi pare di vivere secondo
il divino beneplacito, non ricercando io alcun proprio utile, gusto e
onore, ma l’unico compiacimento, interesse e gloria di Dio, al quale mi
sono interamente tutta donata e consacrata, quindi mi pare che la bontà
del Signore voglia ammettere la povera anima al passaggio di una vita
deiforme.
Tutto soggetto con umile rispetto al savio consiglio
di vostra paternità reverendissima, mentre non so se questo passaggio
convenga ad un’anima tanto scellerata, tanto peccatrice come sono io.
Prego
il mio Gesù crocifisso a dar lume a vostra riverenza, acciò possa
conoscere e chiaramente distinguere se la povera anima mia vivesse mai
ingannata da un falso spirito. Il tutto rimetto al dotto suo parere,
dal quale dipende, per obbedienza dovutale, la mia quiete di spirito.