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71 – TI INVITO A MORIRE IN CROCE


71.1. Doloroso viaggio al Getsemani e al Calvario


Il dì 10 febbraio 1823, la sera del giovedì, circa le ore due di notte italiane, stavo nel mio oratorio, quando improvvisamente si concentrò il mio spirito, per attendere ad una intima chiamata del suo Signore; non sapendo cosa dovevo fare, stavo tutta raccolta e concentrata, aspettando l’ordine del mio Signore. Ecco che tutto ad un tratto sono condotta da mano invisibile all’Orto di Getsemani, e quivi sono invitata a patire, a soffrire le ambasce già sofferte dal nostro divino Redentore; ecco che fui assalita da gravissimo affanno e da pene intensissime, la desolazione, la mestizia, il timore, mi facevano agonizzare l’anima; mi trattenni in questo doloroso conflitto buone tre ore, che credevo veramente di finire la vita, per gli interni ed esterni patimenti, un gelido sudore bagnava tutto il mio corpo, uno svenimento interno mi privava di forze, la desolazione, la tristezza interna mi rendeva incapace di ogni umana sensazione; in questo stato, alla meglio che potei, mi coricai nel letto, per dare alquanto riposo alle mie afflitte membra, ma quando credevo di aver terminato il patire, e pensavo di dare qualche conforto all’afflitto mio spirito, fui nuovamente invitata a fare il viaggio afflittivissimo del monte Calvario.

L’anima mia, nonostante che si possa dire semiviva per le pene sofferte nel Getsemani, non ricusò l’invito, ma piena di coraggio, affidata al divino aiuto e agli infiniti meriti di Gesù Cristo, intraprese il doloroso viaggio.

Cosa mai patì, io non so dirlo! perché fu tanto grande e grave l’acerbità delle pene che soffersi, interne ed esterne, che restarono preoccupate le potenze dell’anima e i sentimenti del corpo; in mezzo a tante ambasce, che posso dire di essere stata immersa in un mare amarissimo di affanni e di pene, che io medesima che le soffrivo non le comprendevo, perché superavano la mia ragione, il mio intendimento, le mie forze; io debbo confessare, a mia confusione, che se non perdetti la vita in questo dolorosissimo conflitto, si deve attribuire alla particolare grazia di Dio, che si degnò sovvenire l’anima e il corpo. Io non so dire se terminato il doloroso viaggio l’anima fosse ancora crocifissa, perché l’intenso dolore del viaggio mi privò affatto di ogni altra cognizione.

Il fatto si è che, per lo strazio sofferto, interno ed esterno, mi si agitarono tutti gli umori del corpo, e mi venne una febbre tanto gagliarda e forte, che mi durò tre giorni continui, e dovetti guardare il letto, sentendomi molto male; questo fu sabato, domenica e lunedì.

71.2. Desidero diventare santa


Il martedì notte, 15 febbraio 1823, il Signore si degnò confortare il mio spirito e guarire il mio corpo con la sua divina presenza, stando tutta la notte in mia compagnia, mentalmente trattenendosi con il mio spirito in santi ragionamenti, comunicandogli particolari illustrazioni, mi fece sperimentare gli affetti più vivi del suo santo amore; oh come l’anima mia apprendeva le celesti dottrine che le insegnava il suo divino maestro! oh come si struggeva di santo e puro amore, disfacendosi in lacrime tenerissime di santi affetti, oh come si umiliava profondamente, desiderando di possedere tutte le sante virtù, per piacere al suo divino maestro! oh come desiderava di imitare i suoi esempi! oh quanto desiderava di diventare perfetta e santa, a sua maggior gloria!

Oh notte santa! oh notte benedetta, che si degnò Dio di tanto favorire l’anima mia! oh notte degna che un’altra simil notte forse per me non tornerà più, perché sono tanto scellerata, tanto peccatrice, che sono indegna di simili favori di Dio, perché non mi so approfittare delle sue divine misericordie, ma sempre ingrata qual tigre ircana ai benefici del mio Signore.

Ah, mio amorosissimo Dio, quando sarà che io termini di essere tanto ingrata con voi, che siete con me lo stesso amore, la stessa bontà? ah, mio buon Dio, io sono risoluta di corrispondervi con fedeltà, fino all’ultimo respiro della mia vita, vi supplico, con il più vivo sentimento del cuore, a concedermi la grazia della corrispondenza e della perseveranza.

La mia malattia, che compariva molto seria sul principio, in un istante cessò; perché, come già dissi, il Signore, per sua bontà, mi guarì in un istante, e così potei lasciare di guardare il letto, avendo riacquistato le primiere forze.

Non lasciò Dio, per sua bontà, di consolare la povera anima mia, che si trovava in una penosa desolazione di spirito, ma di tratto in tratto la favoriva con certe locuzioni interne, e così si faceva sentire dalla desolata anima mia, la quale esultava, in mezzo a quelle folte tenebre, al suono della sua divina voce; oh come in un momento passava dalla desolazione alla consolazione, e in un momento passava dalle tenebre alla luce, e dall’aridità passava ad una gioconda soavità; i miei occhi inorriditi ed asciutti in un momento erano arricchiti di abbondantissime lacrime, uniti ai sentimenti più eccellenti delle sode e vere virtù.

Ma tutto questo bene, o Dio, a mia confusione lo dico, non erano in me permanenti, ma solo duravano tanto quanto Dio si degnava trattenersi con me, appena Dio si ritirava la povera anima tornava nella sua amarissima desolazione, soffrendo pene non meno che mortali, che mi facevano agonizzare.

71.3. Buona a niente


In questa penosa situazione si trattenne il mio spirito per lo spazio di 24 giorni, cioè dal dì 25 febbraio 1823 fino al 19 di marzo del detto anno.

Riporto varie locuzioni interne, con le quali Dio consolava in questo tempo di desolazione il mio spirito, come mi istruiva e riprendeva nei miei difetti e mancanze.

Locuzioni interne o siano colloqui tenuti fra Gesù e l’anima nel mese di marzo 1823.

L’anima, conoscendo la sua viltà e miseria, si lamenta con il suo Dio, perché così imperfetta l’abbia condotta al monte santo, il quale è abitato da sante anime perfette, che possiedono tutto il cumulo delle sante virtù.

L’anima parla con se stessa e dice: «Come io, miserabile peccatrice, potrò salire questo santo monte, carica di miserie e peccati, se gli abitatori di questo santo luogo sono giusti e perfetti?».

Da questi umili sentimenti sopraffatta, l’anima fa un dolce ed amoroso rimprovero al suo amante Signore per averla condotta a questo santo monte, l’anima parla con Dio: «Mio Dio, il vostro infinito amore mi ha condotto in questo santo monte di altissima perfezione, gli abitatori di questo sono anime a voi carissime, come dunque volete voi che io, che sono tanto vile e peccatrice, possa abitare questo santo luogo? Io, Gesù mio, ve lo dicevo, non mi ci conducete, che ci farete una triste figura! I santi abitatori di questo luogo reclameranno alla vostra divina giustizia, e con ragione diranno: «Non vogliamo fra noi questo cane morto, che il suo puzzo ci nausea». Mio Dio, hanno ragione queste anime giuste di lamentarsi, io ve lo dicevo che il troppo amore che mi portate vi avrebbe fatto essere redarguito dai vostri servi fedeli, Gesù mio, voi mi ci avete spinta, voi mi avete obbligata di intraprendere questo cammino, io non volevo accettare l’invito, voi mi faceste intendere che il vostro amore sarebbe restato offeso e disgustato se io non obbedivo, dunque, per non disgustarvi, io prontamente obbedii ed accettai l’invito, sperando certo nella infinita bontà. Il vostro divino aiuto, e mediante la vostra santa grazia, che debbo confessare di provarne i buoni effetti, sentendo la mia volontà piena di santi desideri, disposta a patire grandi cose per potervi piacere; ma, Gesù mio, quanto mi confondo, perché mi vedo che non sono buona a niente, mi vedo senza virtù, e come dunque io potrò piacere a voi, che siete la stessa santità? Ah Gesù mio, ditemi voi cosa devo fare per potervi piacere, datemi voi tutte le sante virtù, così mi vedrete contenta, vedete in che stato di afflizione si trova il mio povero cuore per vedersi così povero, vedete quanto piango. Deh per pietà, muovetevi a compassione di me, Gesù mio, a voi mi raccomando per la vostra passione e morte, consolatemi per carità.

Gesù si degna rispondere all’anima: «Figlia, non ti affliggere, ma consolati, che ne hai giusta ragione, la mia grazia ti dà a conoscere la perfezione; vorresti praticarla, ma le forze ti mancano e per questo tanto ti angusti; figlia, confida in me, e non temere! Io non pretendo già dai miei servi quello che non possono fare, senza la mia particolare grazia, tu vorresti arrivare a tenere il tuo sguardo fisso in me, a non pensare che a me, a non parlare che di me».

L’anima risponde: «Ah, mio Signore, questo è quello che desidero, di fissare il mio sguardo in voi per mai più ritirarlo».

Gesù risponde all’anima: «Figlia, questo non è permesso alle anime viatrici, ma solo ai comprensori beati».

L’anima risponde: «Dunque fino che vivo su questa terra, io non potrò fissare il mio sguardo in voi, mio amorosissimo Dio, e se non lo posso ottenere, come dunque questo desiderio io lo sento tanto vivo in me, che per arrivare ad ottenere questa grazia, mio Dio, sarei pronta a fare qualunque sacrificio; ah Gesù mio, quanto sarei felice, ma voi mi dite che questo non è permesso alle anime viatrici, dunque questo che io vi chiedo non è giusto e forse non piace a voi. Gesù mio, ditemi come devo fare, questo desiderio è tanto forte che non posso fare a meno di non abbracciarlo con tutto il sentimento del cuore, degnatevi dunque dirmi Gesù mio cosa devo fare per piacervi e come posso rimediare a questi ingiusti miei desideri».

Gesù risponde all’anima: «Figlia, questi desideri nascono da quelle illustrazioni interne che io ti comparto, la cognizione che io ti dono del mio infinito essere ti fa conoscere il grande bene che sia di possedermi, tanto maggiore sarà la cognizione che acquisterai per mezzo della mia divina grazia, tanto più si accrescerà in te il desiderio di possedermi; figlia, non chiamare ingiusti questi santi desideri, perché sono originati dalla mia grazia, coltivali e non li disprezzare, umilmente ricevili e rendi a me le dovute grazie; sappi che questi sono favori molto speciali che non a tutte le anime io li comparto: se non puoi arrivare a tenere lo sguardo fisso in me, come io per compiacenza lo tengo fisso in te, non ti meravigliare di questo, perché io sono immenso e tu sei creatura limitata di fragil corpo rivestita; figlia, non puoi passare tanto oltre; ma, quando godrai la visione beatifica, ti sarà tolto ogni ostacolo, e allora potrai fissarmi per tutta l’eternità, desidero martirizzi il tuo cuore e il mio amore ti insegni a patire. Deh mirami, o figlia, sopra di una croce, come fui trafitto e schernito, io meco ti invito in croce a morire».

L’anima risponde: «Gesù mio, le vostre parole di vita eterna riempiono il mio cuore di dolcezza e di soavità, sebbene voi non mi parlate che di croce e di pene; ma convinta da queste infallibili verità, sento, per mezzo della vostra santa grazia, tutta la buona disposizione al patire, e adesso conosco che questa è la vera ricchezza dell’anima; sì, mio Dio, datemi da patire quanto vi piace, ma ricordatevi però che sono una povera miserabile, una povera peccatrice; Gesù mio, aiutatemi voi, per carità, deh non mi abbandonate in mezzo ai patimenti, aiutatemi con la vostra santa grazia che sono certa di tutto vincere e superare».

Gesù risponde all’anima: «Abbandona te stessa e troverai me; sta senza elezione e senza alcuna proprietà, se mi vuoi piacere, rasségnati umilmente alla mia volontà, tanto nelle piccole tribolazioni quanto nelle grandi, non eccettuo niente, ma voglio che ti spogli di ogni cosa, altrimenti come potrai esser mia ed io tuo, se tu non sarai spogliata di dentro e di fuori di ogni propria volontà? quanto più presto ciò farai, tanto più mi piacerai e molto più guadagnerai».

L’anima risponde: «Ah mio sapientissimo Signore, che celeste scuola è mai questa che voi mi insegnate, la quale mi rende tanto persuasa, che non posso fare a meno di apprendere quanto voi mi dite, e con piena volontà fare di me un totale sacrificio di tutta me stessa; sì, voglio spogliarmi, per amor vostro, di dentro e di fuori, come mi dite, per potervi davvero piacere. Ma cosa dico, stolta che sono! Gesù mio, io non lo so fare questo spoglio che voi volete da me, vi prego dunque che voi lo facciate in me come vi piace, come vi aggrada, io vi consegno la mia volontà, la mia libertà e quanto sono, per la vostra carità, che mi ha donato l’essere e l’esistenza che tuttora godo; dunque, Gesù mio, sono tutta, tutta vostra, fate di me quello che vi piace: Domine, quid de me vis facere, fiat voluntas tua».

Con queste ed altre simili parole terminò il santo colloquio.