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67 – DUE MESI A MARINO


67.1. Un sudore mortale


Proseguo a narrare quanto seguì nel mio spirito il mese di ottobre e novembre del 1822. Fui obbligata di partire da Roma e andare al paese di Marino, per motivo di una malattia sofferta da una delle mie due figlie, il medico mi ordinò che l’avessi portata fuori di Roma, che la mutazione dell’aria l’avrebbe ristabilita in salute. A questo oggetto portai in Marino il giorno 17 di settembre, da dove scrivo questi fogli.

La villeggiatura di quarantasei giorni non alterò il mio metodo di vita, tanto nel vitto quanto nell’orare, come ancora nella solitudine, mentre la chiesa e la casa era tutto il mio diporto; chiusa nella mia camera, me la passavo il più delle volte nell’amata mia solitudine orando, e quando il dovere mi portava di andare a far visite, ovvero riceverle, questo lo facevo a grande stento e con somma mia pena e fatica, per le continue interne chiamate che faceva Dio all’anima mia, non potendo corrispondere agli interni sentimenti che mi comunicava il mio amante Signore, il mio spirito pativa grande pena, ed intanto sudava sudor di morte per la violenza che faceva allo spirito del Signore, per il timore che non si avvedessero quanto seguiva in me.

Ciò nonostante il più delle volte restavo alla presenza degli altri come sbalordita, senza intendere cosa si dicesse; l’interna violenza che io facevo per non far distinguere cosa passava nell’intimo dell’anima mia, questo mi costava veramente grande pena; sicché la villeggiatura in parte, è stata per me un martirio lento, dico in parte, perché per grazia di Dio godevo molta libertà nella casa dove fui alloggiata con le mie due figlie.

67.2. Mi ferì il cuore poi me lo rapì


Riprendo il filo del racconto. Dio, per sua infinita bontà, proseguiva con interne illustrazioni a farmi contemplare la passione e morte del suo divino figliolo, e il frutto che ne riportava l’anima mia era un eccessivo dolore dei propri peccati, piangevo amaramente la mia cattiva corrispondenza ai tanti benefici ricevuti, una chiara cognizione della propria mia viltà, che mi faceva umiliare fino al profondo del mio nulla.

Questi interni lumi mi facevano ardentemente bramare il santo amore di Dio, per così corrispondere con fedeltà; ma, conoscendo che da me niente posso, pregai il Signore, con molte lacrime e ferventi preghiere, acciò si degnasse inviarmi un dardo della sua divina carità, simile a quello che mi donò in principio della mia conversione. Così gli dicevo umilmente: «Mio buon Dio, replicate il colpo alla durezza del mio cuore, non basta un sol colpo di amore. Sì, mio Dio, replicate il colpo con maggior forza e vigore; sono venti anni che mi colpiste il cuore con dardo prodigioso del vostro santo amore; mio Dio, un altro colpo ci vuole all’indurito mio cuore, acciò tutto s’infiammi del vostro santo amore!».

Con queste ed altre simili espressioni, che mi venivano suggerite dal vivo desiderio di corrispondere, fedele al mio Dio, mi stemperavo di amore in lacrime di gratitudine, sperando, dalla sua infinita bontà, di ottenere la grazia. Pregavo ancora Maria santissima ad essere mia mediatrice.

Non furono vane le mie speranze, né andarono a vuoto le povere mie preghiere. La grande Madre di Dio si degnò esaudirmi, e mi ottenne il dardo di amore tanto da me desiderato.

Il giorno che correva la festa del Santissimo Rosario, il dì 8 ottobre 1822 mi ero preparata nei giorni antecedenti a questa festa con ritiro, orazioni, lacrime e altre piccole mortificazioni.

La mattina della festa, nella santa Comunione, mi apparve Maria santissima e mi recò la felice nuova, che in quella mattina stessi preparata che avrei ottenuto la grazia; qual fosse il mio contento a questa felice nuova, ognuno lo può immaginare, quanto grandi fossero ancora i miei umili ringraziamenti, verso questa divina Madre, non posso esprimerlo.

Si raccolse viepiù il mio spirito, e circa due o tre ore dopo questa divina ambasciata, fu il mio spirito come da mano invisibile trasportato in un altissimo luogo di luce ripieno, vedo dall’alto dei cieli scendere Gesù Cristo, corteggiato da una moltitudine di angeli. Il divino Signore con volto piacevole e maestoso, tutto raggiante di luce, alla povera anima mia rivolto, pieno di piacevolezza ed amore, l’anima intanto sorpresa da sì bella vista, fu sopraffatta da santo timore, si sprofondò nell’abisso del suo nulla alla presenza del suo divino Signore, e piena di confusione e di rossore, per vedermi in mezzo a tanta magnificenza, non poteva contenere lo splendore che tramandava il mio divino Signore, mi balzava in petto il cuore per il contento, ma il rispetto, la venerazione, la stima intimorivano il mio cuore.

Ecco che ad un tratto cento e mille affetti insieme assalgono il mio cuore, e in deliquio di amore cadde distesa l’anima mia ai piedi santissimi del suo divino Signore.

Quando caduta mi vide, distesa ai piedi suoi, con dolce strale di amore prima ferì il mio cuore e poi me lo rapì.

Io tutta di amore mi accesi, in mezzo a mille affanni, per il desio di amore. Allora unita mi vidi al nobile suo splendore, l’anima piena di luce unita al suo divino amore, più non si distingueva, neppur si conosceva l’anima dal suo Dio, ma una stessa luce pareva insieme a lui. Di nobili e santi affetti sentivo ripieno il cuore. L’amore, l’amore, l’amore, Dio mi faceva amar! Lo amavo? sì lo amavo, in maniera così perfetta, che, annientata in me stessa, rendevo onore e gloria al mio amante Signore.

Di più non posso dire, mi mancano i termini di potermi spiegare, parla più il silenzio, che ogni eloquente espressione, mentre non si può comprendere da noi l’amore grande che Dio porta a noi miseri mortali.

Questo favore tenne assorto il mio spirito per molti giorni.

67.3. Risoluta di morire crocifissa


Il dì 14 ottobre 1822, dopo la santa Comunione fu il mio spirito favorito dal Signore, con altra grazia, si concentrò il mio spirito tutto ad un tratto in se stesso, umiliandosi profondamente; in questo tempo, per mezzo di interna illustrazione, fu chiamato da Dio a contemplare i divini misteri della nostra redenzione. Ecco una grande luce che sollevò il mio spirito, e con dolce attrazione a sé lo attrasse, e con sé lo condusse in una grande altezza, voglio dire altezza di penetrazione e di intelligenza, benché a me pare in questi casi di trovarmi di persona in luoghi altissimi, non più ricordando il mondo sensibile.

Attratto dunque il mio spirito da questa divina luce, dolcemente mi conduceva, e viepiù mi inoltrava nel suo maggior splendore, e sempre più si accresceva nell’anima l’intelligenza e la cognizione, quando ad un tratto vidi in mezzo allo splendore il mio bene crocifisso. Ebbra di santo amore, l’anima verso il suo amato bene si slanciò e così le parlò:

«Amato mio, soccorrimi, deh, non mi abbandonare, ti prego, Gesù mio, di unirmi alla tua divina umanità, io risoluta sono di morire crocifissa con te, Gesù mio, umilmente ti abbraccio al mio cuore, fortemente ti stringo per non separami giammai da te, mi riconosco indegna di simile favore, ma il nobile tuo cuore son certa che non mi sdegnerà, cosa sono per dire».

Il crocifisso Signore, con trasporto di amore, così mi parlò: «Aperi mihi cor tuum, soror mea, amica mea, columba mea, immaculata mea, veni». E con dolce attrazione, tirò a sé il mio spirito, e così stretta ed unita al lato del crocifisso Signore, l’anima mia si ritrovò, dal sacro suo costato dolcissimo liquore nell’anima tramandò; oh nobile bevanda di soavità ripiena, sì nobile, sì cara, cosa al certo più rara di questa non si dà. Questa riempì il mio cuore di sublime amore e di profondissima umiltà che io non so spiegare. In dolci e santi affetti passò l’anima mia nella divina compagnia del crocifisso suo bene. La divina luce viepiù si faceva maggiore, che il mio Redentore io non lo vidi più. Immersa in quell’inaccessibile luce, io mi ritrovai allora ripiena di vittoria e di sante virtù, di umile sentimento, sopraffatto fu il mio cuore dal dolore e dall’amore, credevo di morire. Altro non posso dire, mi mancano i termini per potermi di più spiegare. Questa comunicazione mi tenne per più giorni assorta in Dio.

67.4. Non ho mai visto cosa più bella


Digressione. Prima dell’anzidetto fatto per vari giorni antecedenti a questo favore, il mio spirito era nella santa orazione chiamato in una solitudine a contemplare di proposito la passione e morte del nostro Signore Gesù Cristo, di maniera che l’anima mia la vedevo in questo solitario luogo sotto la sembianza di vaga e leggiadra giovanetta, come un’ombra tutta risplendente e bella, questa teneva nelle sue mani l’immagine del suo bene crocifisso, teneva il suo sguardo fisso in quello, e con matura riflessione andava ponderando le di lui pene.

Tutta si struggeva di amore in lacrime, stringeva nelle sue mani e al cuore il crocifisso suo bene, compassionava intimamente i suoi dolori, si offriva ad imitare i suoi esempi, facendo molte proteste ed altri atti di virtù, che mi suggeriva la devozione e l’amore.

Passai in questo rapimento di spirito sette giorni, vale a dire dal giorno 14 ottobre 1822 fino al giorno 21 del medesimo mese; nel qual giorno 21 fu il mio spirito nuovamente favorito dal Signore con grazia specialissima, la qual grazia mi sembra molto difficile il poterla in scritto manifestare. Vivo quieta però, per averla di già comunicata a voce a vostra paternità reverendissima, giacché Dio permise che, quando mi seguì questo fatto, vostra paternità si trovasse di persona in Marino, e così io ebbi la consolazione, per mia quiete, di narrargli nello stesso giorno il fatto che mi era accaduto nello spirito nel tempo della santa orazione.

Vostra paternità reverendissima mi fece coraggio e per mia quiete mi assicurò essere questo un favore molto particolare, che mi aveva compartito Dio per sua infinita bontà. Ricordo ancora che mi comandò che avessi scritto il suddetto favore, da Dio ricevuto; ed io le risposi che mi si rendeva impossibile il poterlo scrivere, perché mi mancava la maniera di poterlo esprimere. Ciò nonostante, per non mancare alla santa obbedienza, mi accingo a scrivere, invocando lo Spirito del Signore, acciò mi dia la grazia di poterlo fare a maggior sua gloria. Mio Dio trino ad uno, datemi grazia di manifestare le vostre incomprensibili misericordie, illuminate il mio intelletto, acciò possa ridire quanto sono grandi le vostre grazie, i vostri favori, che vi degnate compartire alla povera anima mia peccatrice, e peccatrice ben grande, per avervi mancato di fedeltà e per la mia cattiva corrispondenza.

Mio Dio, mi umilio avanti a voi e confesso di essere quella che sono, peccatrice ben grande, nonostante i vostri divini favori, ah sì, mio amorosissimo Dio, vi prego di convertirmi una volta da dovero e farmi per mezzo della vostra divina grazia corrispondere con fedeltà, fino all’ultimo respiro della mia morte.

La sola sostanza del fatto scrivo, perché non mi riesce di poter spiegare. Il giorno 11 ottobre 1822. Dio, per sua infinita bontà, sollevò il mio spirito e lo condusse nei suoi divini tabernacoli, cosa più bella non vidi mai, né giammai provai dolcezza uguale. Questa è un’unione tanto perfetta, che non ci sono termini sufficienti di poterlo spiegare, valga il silenzio dove le mie forze non possono arrivare. Io più di tanto non posso, non so manifestare, valga quel poco che ho detto, per obbedire a vostra paternità.

67.5. Un solo cuore


Passo a narrare un altro fatto seguitomi. Il dì primo novembre 1822, festa di tutti i Santi, il mio spirito fu sollevato da Dio con un ratto divino, mi trovai ad un tratto con lo spirito in una grande altezza; mi vidi tutta circondata di luce, il mio spirito lo vedevo sotto forma di leggiadra donzella, ma quasi un’ombra questa appariva, tanto leggiadra e bella, che non posso descriverlo.

La vedevo tutto fervore, che altro non faceva che adorare profondamente il suo Creatore, il suo Redentore, il suo Dio, che riconosceva per mezzo di quella luce inaccessibile. Umilmente lo adorava, l’ossequiava e ardentemente lo amava e con trasporto di amore apprezzativo, a lui tutta si donava, compiacendosi nella sua divina volontà; sentivo nel mio cuore un aborrimento totale a tutti i beni transitori della terra, un odio santo di me stessa, e un desiderio grande di patire per amore di Dio.

Spiegava, intanto, la fortunata donzella i santi suoi desideri al suo Signore, il quale, con piena gratitudine li riceveva, e sovrabbondando l’anima di maggiori illustrazioni, se la stringeva al suo castissimo e amorosissimo cuore. Andavano intanto crescendo a dismisura i santi affetti ad entrambi i cuori, ma quanto dissimili l’uno dall’altro! Oh cuore divino, quanto grandi fossero le tue fiamme, io non posso al certo esprimerlo. Ah sì, questo divino fuoco fece ardere, fece bruciare il povero mio cuore di santa carità e più non si distingueva per la partecipazione, per la perfetta unione di questo sacro fuoco; il mio cuore ardeva in mezzo a quella fiamma viva, di santa carità, in guisa tale che di due cuori un sol cuore si formò, in questo tempo restò la mia volontà unita tanto perfettamente alla divina volontà che l’anima mia perdette ogni suo volere.

Ridotta l’anima in questo stato di perfezione, per mezzo della grazia di Dio, venne a possedere le sante virtù morali e teologali; Dio, per sua bontà, si compiacque di adornarla con i sette suoi doni, e allora questa donzella comparve a dismisura assai più bella di prima, Dio con trasporto di amore, allora, per poterla meglio vagheggiare, la fece salire sopra un trono; ma non so se trono questo possa chiamarsi, ma mi spiegherò alla meglio, invocando il divino aiuto, acciò dia lume alla mia mente, per poter dire cose che io non vidi giammai, e non so come denominarle, né a che paragonarle, né come ridirle. Mentre mi manca la maniera di potermi esprimere, mi mancano le figure dimostrative per potermi spiegare.