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61 – L’ECCESSO DELL’AMORE DI GESÙ
61.1. Per la gloria di Dio e il bene del prossimo
Proseguo a copiare dal mio straccio foglio altri fatti accadutimi nello spirito, che pure avevo trascurato di mettere in pulito.
Il
giorno 2 giugno 1821 ebbi molto di che soffrire per lo spazio di circa
trenta giorni, mentre Dio mi si diede a vedere nuovamente molto
sdegnato per le grandi ingratitudini degli uomini. Mi diede a conoscere
le forti risoluzioni che avrebbe preso la sua divina giustizia, per
punire tante ingratitudini e scelleraggini. Qual pena recò alla povera
anima mia questa cognizione non posso esprimerlo, primo per vedere Dio
offeso, secondo per vedere tanto danno del mio prossimo.
Piangevo,
mi affliggevo, e il povero mio spirito era sopraffatto da una profonda
mestizia, che non potevo contenere. Non lasciavo di raccomandarmi
caldamente al Signore, e di nuovo offrirmi a patire per la sua gloria e
per il bene del mio prossimo. Nonostante però l’offerta che avevo fatto
di tutto cuore di patire per il bene del mio prossimo, non lasciavo di
sentire una nausea di restare in questo mondo, per non trattenermi in
mezzo a tanta iniquità e a tante gravi offese che si fanno a Dio, che
quasi senza il voto del cuore, il mio spirito era portato alla
necessità di pregare il Signore di levarmi con la morte da questa valle
di miserie, per così liberarmi da tanti pericoli di offenderlo.
Non
lasciava Dio, per sua bontà, di consolarmi, facendomi intendere che se
gli uomini avessero maliziosamente imperversato col disprezzare le sue
misericordie, mi avrebbe levato da questo mondo d’iniquità e che si
sarebbe degnato, mediante i suoi meriti, premiare le mie povere fatiche
e i poveri miei sacrifici, fatti per amor suo, con premio eterno; ma
tutto questo non era per me il compimento delle mie consolazioni;
perché, sopraffatta dalla carità verso il mio prossimo, molto più avrei
gradito di patire quanto mai dire si possa, e che Dio si compiacesse
nella sua santissima volontà di mandarmi all’inferno. Molto volentieri
ci andrei, unita sempre al suo divino amore, patirei quegli atroci
tormenti per non vedere tante anime perdute e per non vedere Dio tanto
offeso. Queste sono le mie continue preghiere, se poi piaccia al mio
Dio di lasciarmi in vita, ovvero voglia mandarmi la morte in breve
tempo, il mio spirito è tranquillo e si compiace nella sua santissima
volontà.
61.2. Prima e dopo la comunione
Il giorno 4
luglio 1821, nella santa Comunione, ero tutta annientata in me stessa
nel considerare l’infinita bontà del mio Dio, che fra pochi momenti
dovevo ricevere nel santissimo sacramento dell’Eucaristia. Volevo e non
volevo accostarmi a riceverlo: volevo accostarmi per il grande
desiderio ed amore che sentivo verso il mio Dio sacramentato, non
volevo accostarmi perché mi riconoscevo affatto indegna. Piangevo
amaramente le mie grandi ingratitudini: «Ah Gesù mio», dicevo,
«l’amore, il trasporto che sento verso di voi, sacramentato mio bene,
mi obbliga, mi necessita di ricevervi in questo sacramento d’amore,
anzi vorrei ricevervi ogni ora, ogni momento. Ah, sì, Gesù mio, vorrei
ricevervi più volte che non respiro, ma la mia indegnità, la mia
cattiva corrispondenza mi obbliga di allontanarmi da voi. Mio Dio, che
farò se mi allontano da voi per riverenza? Ah, non mi regge il cuore di
partire da questo sacro altare. Perdonate per carità il mio ardire. Voi
non sdegnate i peccatori pentiti. Eccomi dunque ai vostri santissimi
piedi, come una pentita Maddalena con le mie lacrime li laverò, ma io
non ho i capelli per asciugarli. Prenderò il povero mio cuore e come in
guisa di un pannolino asciugherò i vostri piedi santissimi, così il
povero mio cuore resterà asperso del vostro preziosissimo sangue, che
scaturisce dalle gloriose cicatrici che avete voluto conservare nel
vostro santissimo corpo glorioso. Sì, Gesù mio, in quel prezioso
balsamo astergerò il mio cuore».
Con questo umile sentimento e
con abbondanti lacrime mi accostai a riceverlo. Fatta la santa
Comunione si concentrò il mio spirito, e in questo tempo mi si diede a
vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo. Qual bellezza! Qual
splendore! Qual rapimento di spirito, non so spiegarlo. La povera anima
mia con grande rispetto e profondissima umiltà e molta venerazione si
prostrò ai suoi santissimi piedi, con profluvio di lacrime che dai miei
occhi a gran copia versavo.
«Asciuga pure i miei piedi», mi disse Gesù Cristo, «asciuga pure, mi dài piacere. Ricevo il tuo umile sentimento con mia somma compiacenza».
Ed
intanto prese il mio povero cuore nelle sue santissime mani, sotto la
forma di pannolino, e con grande compiacenza se lo stringeva al suo
amorosissimo cuore; poi lo stringeva fra le sue santissime mani; poi lo
piegava e lo volgeva ora da una parte, ora da un’altra, compiacendosi
di vederlo nelle sue mani tanto pieghevole e flessibile.
Era
dunque il pannolino nelle mani di Gesù Cristo divenuto così bello e
così risplendente che rapiva il mio sguardo, e sopraffatta da una
profonda umiltà, andavo contemplando l’infinita bontà del mio Dio, e
piena di ammirazione e di stupore, andavo ripetendo: «Mio Dio, cosa mai
trovate in me, che tanto vi piace? Io altro non sono che un cumulo di
iniquità».
61.3. Innamorata di Dio
Questa verace mia
confessione, ad altro non servì che per mia maggiore confusione. Invece
di punirmi e castigarmi, come in quel momento avrei desiderato, viepiù
l’amante Signore dimostrava la sua alta compiacenza verso il povero mio
cuore. Tornò a mostrarmi il pannolino, tutto segnato del suo prezioso
sangue, e svolgendolo e risvolgendolo ora da una parte ora dall’altra,
viepiù lo stringeva nelle sue santissime mani, e con affetto al suo
santissimo petto lo stringeva, dimostrandomi così il suo santo amore e
la sua particolare compiacenza, se lo poneva ora sopra il suo dorso,
ora sopra il suo collo, finalmente se lo pose sopra il suo
adorabilissimo e divinissimo capo, come un prezioso diadema.
Mio
Dio, e come mai io potrò ridire qual fosse la mia ammirazione, la
grande confusione che mi sprofondò nel proprio mio nulla, e piena di
lacrime, andavo ripetendo: «Oh amore, oh eccesso incomprensibile di
carità! e come mai io ti potrò riamare? Mio Dio, vi offro il vostro
medesimo amore».
In quel tempo che Dio si degnava trattenersi in
questa santa compiacenza con la povera anima mia, le andava di tratto
in tratto dicendo delle parole, le più dolci, le più espressive, ora
chiamando la povera anima mia «oggetto delle sue più alte compiacenze»,
ora col nome di «cara sua amica», ora di «diletta sua sposa», ora di
«sua bella e cara colomba» ed altre simili espressioni del santo e puro
suo amore.
Oh quanto mai la povera anima mia restò umiliata,
annientata in se stessa, e sprofondata nel cupo abisso del suo proprio
nulla; ma in questo annientamento di se stessa, quanto mai restò
innamorata di Dio e delle sue infinite perfezioni non è in vero
possibile il poterlo spiegare, non mancandogli in quei preziosi momenti
lume ben grande di rettitudine e di giustizia che le faceva conoscere
la grandezza dell’infinito amore di Dio e la sua carità, e il mio
grande demerito di ricevere le sue grazie.
61.4. Il mio cuore nelle sue mani
Il
giorno 22 luglio 1821, mi seguì nella santa Comunione lo stesso fatto
che mi seguì il giorno 4 luglio del medesimo anno 1821, vale a dire 18
giorni dopo.
Mi si fece vedere nuovamente Gesù Cristo che teneva
il mio cuore nelle sue mani santissime, e compiacendosi di vedere il
mio cuore che era tutto innamorato della sua divina bontà, lo stringeva
amorosamente nelle sue santissime mani, e con trasporto d’amore, ora lo
poneva nel suo santissimo cuore, stringendolo con trasporto d’affetto,
ora poneva il mio cuore sopra il suo santissimo dorso, compiacendosi,
quale amoroso pastore, di tenere sopra le sue santissime spalle,
l’amata sua pecorella che tante fatiche le costò per possederla.
Finalmente
poneva il mio cuore sopra il suo adorabilissimo capo; con la sua
onnipotenza formò del mio cuore un prezioso diadema, e di questo ne
cinse il suo santissimo capo.
Qual profondo di umiltà e di
annientamento recassero al povero mio spirito questi amorosi trasporti
dell’infinita bontà di Dio, io non so ridirlo, né ho termini
sufficienti di spiegarlo. Dal profondo del mio nulla, così prese a
parlare il povero mio spirito, ma senza strepito di sensibili parole,
col solo affetto del cuore diceva così: «Ah mio amorosissimo Gesù,
basta, non più! Troppo si confonde il mio povero spirito. Io manco e
non reggo a questo grande eccesso del vostro divino amore. Ah, Gesù
mio, come voi potete compiacervi tanto di possedere il mio cuore tanto
ingrato. Ah, che io non reggo all’eccesso del vostro santo amore.
Basta, non più! Che voi mi vedrete morire, per il grave dolore che io
sento di avere offeso la vostra infinita bontà. Il vostro grande amore
rimprovera la mia grande ingratitudine. Gesù mio, soccorretemi, io
manco, io muoio per il dolore di avervi offeso. Il mio cuore eccolo
avanti a voi, o mio Dio, tutto disfatto in lacrime di tenerezza e di
esuberante amore, perché con il vostro divino contatto reso lo avete
tanto flessibile e molle, che a guisa di dolcissimo liquore inonda
tutto il mio spirito, facendomi provare i salutari effetti di una vera
contrizione. Io più non reggo né posso più contenere gli effetti
prodigiosi della vostra santa grazia».
In questa maniera si
andava struggendo e quasi a disfarsi del tutto la povera anima mia nel
suo proprio nulla. Quando l’anima si era del tutto inabissata nel suo
nulla, Dio, per sua bontà, la fece dolcemente riposare nel suo
castissimo seno, dove trovai ogni bene, così stimabile, così amabile,
così inalterabile, che con tutte le immaginabili espressioni del mondo,
non si può ridire, né con qualunque bene del mondo si può al certo
paragonare, un bene così grande, tutto spirituale, tutto essenziale,
che rapisce l’anima e la rende, in quei felici momenti, come beata in
questa terra mortale. Il mio scarso talento non ha termini di potersi
altrimenti spiegare.
61.5. Sei tutta mia
Dopo aver
goduto di questo grande bene, il mio spirito si riempì di santo timore,
di potere un giorno perdere questo sommo bene. Mi rivolsi con umile
sentimento verso il mio Dio: «Ah mio Dio, sommo mio bene, e che mai
potrà assicurarmi di possedervi per sempre? Ah, che io vi posso perdere
ad ogni istante! La sola dubiezza altamente mi affligge».
Piangendo
dirottamente, compassionavo la bassa e vile mia condizione. Mosso di me
a compassione, l’amorosissimo mio Dio intimamente così mi parlò: «Rallegrati,
o mia diletta figlia che non mi perderai. Il nodo indissolubile che mi
è piaciuto di stringere con l’anima tua ti rende sicura di possedermi
in eterno. Il sacro matrimonio che a me ti congiunse, le divine nozze
che con te celebrai, il possesso del mio talamo che a me intimamente ti
unì ti rendano, questi miei distinti favori, tutta la maggior sicurezza
di possedermi. Sì, mia diletta figlia, sposa mia, amica mia, tutta mia
sei e non puoi non esser mia, perché intimamente a me ti unisti, tu sei
una stessa cosa con me per partecipazione della divina mia grazia».
A
queste espressioni così amorose, la povera anima mia, ricordevole di
tutti questi divini favori, che Dio per pura sua bontà si è degnato
compartirmi, come a suo luogo ho scritto questi favori ricevuti dal
Signore nei passati fogli.
Ricordevole, dunque, di questi favori
lo ringraziavo incessantemente ed insieme lo pregavo a degnarsi di non
abbandonarmi fino all’ultimo punto della mia vita. Lo pregavo con
lacrime abbondantissime, che dagli occhi miei a larga copia versavo,
per la gratitudine e per l’amore che sentivo verso il mio amorosissimo
Dio, lo pregavo con tutto l’affetto del cuore a coronare tutte queste
sue misericordie usatemi per pura sua bontà con la santa virtù della
perseveranza finale.
61.6. Libera un gran numero di anime purganti
Il
giorno 2 agosto 1821, giorno dell’indulgenza plenaria, detta del
perdono di Assisi, ossia della Porziuncola, mi trattenevo in orazioni,
pregando per le anime del purgatorio; sentendo di queste sante anime
molta compassione, feci, per mezzo della grazia del Signore, una
fervente preghiera.
Si degnò Dio di condurre il mio spirito a
vedere l’orrido carcere del purgatorio. Nel vedere luogo così
afflittivo, dove quelle anime vengono tormentate dalla giustizia di
Dio, per purificarle, a questa vista credetti di morire per la
compassione e di timore insieme, alla considerazione della divina
giustizia, che Dio esercita verso quelle anime, già sue predilette, per
purificarle da ogni leggera imperfezione. Si degnò la misericordia di
Dio, per sua bontà, di esaudire le povere mie preghiere col liberare un
gran numero di quelle anime del purgatorio e condurle alla bella patria
del paradiso.