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59 – DOVE GIUNSE L’ARTE DIABOLICA


59.1. Racconto quello che volevo tacere


Con molto mio rincrescimento e grave mia pena, torno in fine dei presenti fogli, come promisi negli antecedenti, a dare ragguaglio di altri patimenti sofferti. Mi accingo dunque nuovamente ad affliggere il cuore e a tediare l’orecchio di chi legge con altro funesto racconto, per manifestare fin dove giunse l’arte diabolica per farmi arrendere alle loro diaboliche voglie e per strapparmi dal seno di Gesù Cristo, e rendermi loro seguace col darmi in preda alle passioni; ma niente fecero tutte le loro maliziose arti. Troppo forte è il vincolo con cui Dio si è degnato legare e stringere la povera anima mia al cuore suo santissimo. Non furono, per la grazia di Dio, bastanti tutte le sorti dei loro artifici. Anche i patimenti, le pene, le angustie che mi facevano provare mi stringevano viepiù al mio Dio, e sempre più mi trovavo a Dio unita e legata con catene di dolcezza e di soavità

Proseguo dunque il funesto racconto seguitomi fino dai primi giorni del mio patire, il quale fatto volevo tacere per non essere tanto molesta, e per non stancare la sofferenza di vostra paternità reverendissima col raccontare cose che non paiono credibili, ma pure il fatto è così. Scrivo avanti al mio Gesù crocifisso, al quale con molta frequenza mi raccomando e chiedo lume affinché mi dia grazia di scrivere con purità e semplicità di spirito, e devo confessare, a mia maggior confusione, che non sarei stata al certo capace di scrivere quanto ho scritto senza il suo divino aiuto e particolare illustrazione, che mi comparte nel tempo che sto scrivendo. Per obbedire a vostra paternità e per non mancare al mio dovere, racconto quello che volevo tacere a bella posta per i surriferiti motivi di non essere tanto molesta.

59.2. Il demonio incantatore


Scrivo altri tre fatti seguitimi nel surriferito tempo della grave mia battaglia, come nei passati fogli ho già detto. Mi accingo a darne il ragguaglio, alla meglio che potrò, a gloria di Dio e per obbedienza.

Mi apparve nella mia camera un demonio sotto la forma di incantatore, e nella mia medesima camera faceva il diabolico incantesimo. Io mi protesto di essere digiuna affatto di questa malizia, né so se si faccia così l’incantesimo per mai aver parlato, per mai aver veduto né letto simili cose. Si presentava dunque nella mia camera un uomo di alta statura accompagnato da altro demonio sotto la forma di ragazzo, il quale portava una saccoccia dove vi erano tutti gli ordigni per fare l’incanto. Scioglieva la detta saccoccia e somministrava di mano in mano quello che l’incantatore gli richiedeva. Gli ordigni erano un libro che si metteva a leggere con voce molto bassa, leggendo con somma fretta, segnando di tratto in tratto il libro con il suo piccolo bastone, che teneva sempre nelle mani. Una tromba artificiale che allungava e scortava a suo talento, ponendola alla sua bocca, dopo che l’aveva molto distesa parlava in quella tromba con voce molto sommessa, che io non sentivo le parole che diceva. Volgendo la tromba ai quattro angoli della mia camera, diceva altre parole, poi seguitava a parlare sempre per mezzo di quella tromba con voce molto bassa. Un fischio che di tratto in tratto lo poneva nella sua bocca, e il trillo di quel fischio era tanto acuto e forte, che stordiva e mi offendeva l’orecchio e mi dava una grande afflizione di spirito. Con il bastone faceva un segno rotondo in terra, a guisa di cerchio, nel mezzo del quale faceva mettere il suddetto ragazzo il quale faceva dei gesti, degli atti con le mani e con i piedi che io non sapevo cosa significassero.

L’incantatore tornava a prendere la detta tromba, distendendola parlava or qua or là sempre con voce bassa. L’altro strumento era una caraffa di cristallo, ma io questa non so descriverla per essere fatta di una fattura e in modo tutto ritorto. In questa caraffa, poneva della stoppa mescolata con altra roba oliosa, l’accendeva e la poneva dentro alla caraffa la quale aveva delle aperture, a guisa di sfiatatoi per i quali tramandava un densissimo fumo. Questa operazione seguiva sempre di notte.

La detta diabolica operazione dava tanto pena al mio spirito, che non ho termini di poterlo spiegare. Mi pareva di perdere il raziocinio, restavo tanto confusa e ottenebrata, con tanta pena ed afflizione, che mi trovavo quasi del tutto smarrita. Terminato l’incantesimo, costui se ne partiva senza proferir parola di sorta alcuna, fuori di quello che aveva detto nella tromba, come ho già detto.

Era tanto grande la pena che mi recava questo diabolico patimento, che al solo vedere l’incantatore, quando si presentava nella mia camera, mi levavo tutta in gelido sudore di morte dalla testa fino ai piedi. Questa era una pena che io non saprei a qual pena rassomigliarla, era proprio una pena infernale. Oltre di ciò, le funeste conseguenze che portava questo diabolico incantesimo. Mi si presentavano alla vista le cose più tragiche, afflittive, funeste e luttuose. Mi pareva di vedere le mie due figlie date in preda al libertinaggio e alla dissolutezza. Le vedevo danzare con giovani libertini, che le volevano sedurre, e tante altre funestissime rappresentanze, tutte ordite a bella posta alle gravi offese di Dio, tutte tendenti ad oltraggiarlo ed avvilire la sua santità, la sua divina sovranità, la sua onnipotenza.

Qual patimento, quali afflizioni ne provava il mio spirito non è di mente umana il poterlo comprendere. Qual pena mi recassero queste magiche, diaboliche rappresentanze, che ad altro non tendevano che ad offendere il mio amato Signore, al quale io sempre e poi sempre e perennemente facevo ricorso, invocando con molta fiducia il suo divino aiuto.

Non erano vane le mie speranze, né restava delusa la mia fiducia, ma prontamente Dio benignamente mi faceva sperimentare il divino soccorso, senza del quale mi si rendeva affatto impossibile il sostenere le diaboliche frodi contro di me in simil guisa ordite. Per mezzo di questa diabolica frode mi comparivano molti spiriti maligni, sotto la forma di religiosi, di sacerdoti, di persone di carattere insigne e tutti mi persuadevano a non farmi tanto tormentare, e che avessi piegata la fronte ai loro voleri. Mi dicevano che non apparteneva a me il sostenere la santa Chiesa cattolica, ma che spettava al capo visibile di essa, e che era cosa molto ingiusta il tanto patire per quello che a me non spettava e non mi apparteneva, e che avessi lasciato questo arduo assunto, questa difficile impresa.

59.3. Un forte rimprovero dalla divina giustizia


Il giorno 25 marzo 1821, festa dell’Annunciazione di Maria Santissima, dopo la santa Comunione, veramente ebbi a morire per il forte rimprovero che ebbi dalla divina giustizia per essermi fatta mallevatrice con l’offrirmi in unione dei meriti infiniti di Gesù Cristo qual vittima di riconciliazione, affinché la divina giustizia non avesse, col suo onnipotente braccio, vendicato giustamente con il furore della sua inesorabile giustizia i tanti oltraggi ed enormi ingratitudini e nefandità che si commettono dalla maggior parte degli uomini, che a briglia sciolta camminano la via della perdizione.

Mi vidi dunque in un momento quasi sopraffatta dai fulmini dell’irato suo sdegno, che cercava da me soddisfazione. Intimorita ed oppressa non sapevo cosa rispondere per mia discolpa, mentre, per mezzo di lume interno, chiaramente conoscevo il disprezzo e l’abuso che si fa della divina misericordia di un Dio di infinita maestà.

Questi uomini, miserabili e senza senno, altro non fanno che rendere a Dio male per bene, abusando della sua infinita misericordia. Ogni giorno più divengono baldanzosi e superbi, cercando di conculcare la santa fede e la sua divina legge con opere e dettami i più nefandi di miscredenza e di apostasia, servendosi delle stesse parole delle sacrosante Scritture e santi Evangeli per pervertire i giusti sensi, per sostenere la loro perversa malizia e massime indegne.

Sdegnato Dio da questi ed altri eccessi di iniquità, quasi pentito di avere ascoltato le mie suppliche ed il povero mio sacrificio che da indegna peccatrice avevo fatto per ordine di Dio medesimo e con il permesso del mio padre spirituale, come si è riferito nei precedenti fogli. Vedendomi dunque redarguita tanto aspramente dal mio Dio, e vedendomi balenare d’intorno i fulmini della sua irritata giustizia, non sapevo a quale partito appigliarmi. Piena di timore e di spavento, mi scusavo dicendo: «Mio Dio, luce eterna, placate il vostro giustissimo sdegno irritato giustamente contro di me, miserabile peccatrice. Ma per gli infiniti meriti del vostro santissimo figliolo e per la sua vita, passione e morte, abbiate misericordia di me, placatevi per la vostra infinita carità, prendete sopra di me qualunque soddisfazione, purché resti placata la vostra divina giustizia. Eterno mio Dio, perdonate il mio ardire, per l’assunto che mi sono incaricata di sostenere l’iniquità degli uomini, ma mi protesto che altro non cerco, altro non bramo, altro non desidero che la maggior gloria vostra. A questo solo fine mi indussi a pregarvi e farmi mallevatrice di sì forte incarico». E volgendo le mie afflitte pupille gemebonde dal dirotto pianto, con interrotti sospiri, tremante qual foglia all’urto di rapido vento, tutta inorridita dallo spavento, riconcentrata nell’abisso del mio nulla, mi volgevo verso l’umanità di Gesù Cristo, e così presi a parlare: «Amorosissimo mio Gesù, voi voleste e mi comandaste che mi offrissi al vostro divin Padre in unione dei vostri santissimi meriti. Vi prego di aiutarmi adesso, in questo doloroso conflitto: la sua giustizia è contro di me. Aiutatemi, Gesù mio, e non permettete che l’anima mia perisca».

59.4. Mi portò nell’Orto di Getsemani


A queste parole il benedetto Signore conduceva la povera anima mia nell’Orto di Getsemani. «Non temere», mi diceva il buon Gesù, «non temere, o mia diletta figlia, il giusto furore dell’eterno mio Padre, perché non è sdegnato con te. Fatti coraggio, ed impara da me a sostenere con fortezza di spirito e veracità di cuore, e con perseveranza finale, grazie al mio divino aiuto sicuramente riporterai la compiuta vittoria, e potrai godere di quella immortale corona che ti ho preparata per tutta l’interminabile eternità. Godrai il premio delle tue fatiche e di quella fedeltà che mi giurasti. Io sono il tuo premio, io sarò il tuo gaudio eterno e l’eterna tua felicità».

Le cognizioni di questo bene eterno davano alla povera anima mia coraggio ben grande ed un desiderio veemente di darsi in braccio ai più gravosi patimenti, conoscendo chiaramente che non può compararsi ogni sorta di patimento a confronto di premio così grande. In questa guisa chiedevo al mio Dio di patire per adempire in tutto e per tutto la sua santissima volontà, e lo pregavo incessantemente con umile preghiera a somministrarmi forza ed aiuto e perseveranza fino all’ultimo respiro della mia vita.

Furono veramente questi giorni per me amarissimi, per vedermi perseguitata dalla divina giustizia. Altro conforto non avevo che di ritirarmi nel mesto orto di Getsemani, ad imitazione del mio amabilissimo Gesù, soffrendo in unione di lui quei travagli e quelle ambasce di spirito, mestizia e desolazione afflittissime che lo fecero sudar sangue.

Questi gravissimi patimenti interni resero cagionevole ancora il mio corpo per molti giorni. L’infinita bontà di Dio, vedendomi ridotta all’ultimo conflitto che mi pareva di tratto in tratto di agonizzare, con interni aiuti mi confortava e consolava facendomi conoscere che il mio spirito non era oggetto di sdegno, ma di somma sua compiacenza. Mi faceva intendere che caro gli era il mio sacrificio, mentre dettato era dalla sua divina sapienza, che sa, per mezzo di tenui cose, riparare il furore della sua divina giustizia, grazie alla sua infinita misericordia.

59.5. Il Signore impedisce un piano contro la Chiesa


Il giorno 13 aprile 1821 per via di forte impulso del Signore e con la licenza del mio padre spirituale, nonostante le deboli mie forze, mi portai a visitare la Scala Santa mentre Dio mi diede chiaramente a conoscere che voleva questo sacrificio da me.

Questo viaggio mi pareva che dovesse essermi molto penoso, a cagione delle deboli mie forze, ma per mezzo della grazia del Signore fu felicissimo, facendo il viaggio senza il minimo incomodo e senza alcun pregiudizio di salute. Posta che mi fui in viaggio, Dio per sua bontà si degnò darmi una grande agilità, non solo al corpo ma ancora allo spirito, dandomi un raccoglimento interno tanto grande che non mi avvidi dell’incomodo del suddetto viaggio.

Il comando di Dio fu di unire questo viaggio in unione di quello che fece il suo santissimo figliolo nel salire il monte Calvario, e sopra quella benedetta Scala voleva che nuovamente mi fossi offerta qual vittima di riconciliazione, in vantaggio della Chiesa cattolica e per la conversione dei peccatori, unendo il mio sacrificio a quello di Gesù Cristo, Signor nostro. Si eseguì da me, miserabile peccatrice, esattamente il comando di Dio, e con tutta l’efficacia del mio povero cuore tornai nuovamente a sacrificarmi interamente e senza alcuna riserva al suo divino beneplacito, per adempire perfettamente alla sua santissima volontà.

L’eterno Dio, per sua infinita bontà, accettò il povero mio sacrificio, e per via di intelligenza mi diede a conoscere che mediante questo sacrificio, a lui molto accetto e gradito, per essere fatto con purità d’intenzione e semplicità di spirito, e alla sua maggior gloria mi fece intendere di avere ottenuto dalla sua infinita bontà e misericordia di impedire ai persecutori della nostra santa Chiesa cattolica, di eseguire un piano da loro già fatto contro di questa, per poterla crudelmente perseguitare e contaminare con le loro perverse massime.

59.6. Rivestita di luce divina


Visitata la Scala Santa, mi portai a visitare la chiesa di San Giovanni in Laterano, pregando per i presenti bisogni della santa romana Chiesa. Mi portai, poi in altra chiesa, dove mi fermai per buone due ore e mezza, ed ivi ascoltai la Messa cantata ad onore di Maria Santissima Addolorata, per essere il giorno di venerdì di passione. Nella detta chiesa si sopì il mio spirito, ed in questo tempo fui sollevata dallo Spirito del Signore, inoltrata a considerare l’infinita grandezza di Dio per mezzo di una chiarissima luce ed inaccessibile splendore. Ad un tratto vidi il mio spirito riempito di quella luce che mirabilmente lo aveva tutto penetrato, in guisa tale che era divenuto una stessa cosa con quella luce, e per potermi in qualche maniera spiegare dirò come quando una bianca nube viene dallo splendore del sole percossa, con i suoi raggi, viene quasi ad essere simile al sole, per avergli compartito i suoi splendidi raggi. In simil guisa fu il mio spirito rivestito di divina luce, ed in questa maniera fu avvicinato ed intimamente unito al suo Dio.

Quanto bene, quante grazie le compartì l’amante Signore, quanto lume le donò di propria cognizione affinché l’anima si umiliasse fino al profondo del suo nulla. Qual chiara intelligenza si degnò donarmi per innalzare il povero mio intelletto a penetrare la sua infinita grandezza. Quanto mai restò appagato il mio cuore, come rapito. Veramente mi si rende impossibile il poterlo spiegare. Dopo aver goduto di questo gran bene, fu il mio spirito condotto, per mezzo di santi Angeli, in un luogo dove vedevo una grandissima sala. Nel mezzo di questa vedevo una tavola con tre libri. La tavola era tutta adornata di emblemi o siano tutti strumenti alludenti alla setta dei convitati, i quali vedevo tutti in circolo alla tavola, scompostamente seduti. Erano questi uomini di bruttissimo aspetto e sopra la loro fronte si leggevano tutti i sette vizi capitali, le false massime e la loro audacia nel sostenerle e le macchine che ordivano per perseguitare la santa Chiesa cattolica.

59.7. Brucia quei tre libri!


Ognuno di questi aveva al suo fianco uno spirito maligno con il viso di moro e con il corpo tutto peloso a guisa di orso. Io tutto vedevo, senza essere da loro osservata. Dopo molti battimenti di mani, con molta allegria aprirono i libri anzidetti. Io non lessi cosa contenevano, ma indicato mi fu da quei messaggeri celesti che con me stavano celati in un angolo di quella gran sala, che il mio spirito con loro aveva penetrato per via di agilità, senza essere da questi osservati.

Quando questi uomini facinorosi stavano svolgendo i grandi libri, il mio spirito ebbe dal Signore un ordine di farmi avanti e liberamente avessi preso i tre libri e li avessi dati alle fiamme di un fuoco, che io vedevo ardere in un angolo di quella sala. Mi fu ancora manifestato che i tre libri contenevano cose che disonoravano Dio. A questa notizia sentivo un santo zelo di risarcire l’onore di Dio a costo della mia propria vita e a costo di ogni mio gravissimo patimento. Conobbi che questi tre libri erano maliziosamente scritti, ed erano contro i divini misteri della nostra santa fede, questo era il primo. Il secondo contro il Credo, il terzo contro il santo Evangelo. Sentivo internamente dirmi: «Se mi ami difendi il mio onore, prendi quei libri e dalli alle fiamme».

Spronato il mio spirito, senza aver alcun riguardo, vado con prontezza alla tavola, prendo i libri e incontinente li do alle fiamme; ma siccome al mio spirito Dio per sua bontà gli aveva compartito tanta chiarezza e agilità, non era che un’ombra candida ammantata di luce. Appena mi avvicinai a loro tutti restarono stupiti e pieni di smarrimento, ed immantinente quei maligni spiriti partirono dal loro fianco. Questi uomini restarono molto confusi, dandosi dei pugni in testa come in atto di disperazione, anche loro partirono. Allora quei messaggeri celesti sbaragliarono la tavola con tutti gli emblemi che vi erano sopra. Poi tornai a vedere quegli infelici sventurati, che quei maligni spiriti, che erano prima al loro fianco come custodi e suggeritori del loro cattivo operare. Erano divenuti in quell’istante barbari ministri della giustizia e del furore di Dio, ognuno dei quali era crudelmente incatenato dal suo maligno spirito con catena di ferro e grossa collana al collo. Erano barbaramente strascinati via.

A questa scena così funesta il mio spirito non lasciava di pregare per questi infelici l’altissimo Dio, affinché si fosse degnato accordargli la sua misericordia; ma la mia preghiera non fu esaudita che per soli due giovanetti che, pieni di lacrime, a me rivolti mi chiedevano aiuto.

Io mi annientai in me stessa per conoscermi insufficiente, ciò nonostante mi rivolsi al mio Dio facendogli una fervida preghiera, offrendo gli infiniti meriti di Gesù Cristo all’eterno divin Padre. Invocai ancora il potente aiuto di Maria santissima ed ottenni, per l’infinita bontà di Dio, la grazia che i due giovanetti fossero lasciati liberi e scatenati da quei maligni spiriti e tornati fossero a calcare la strada della loro eterna salute.

Io restai, lodando e benedicendo la divina giustizia e la divina misericordia, profondata nel proprio mio nulla.