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56 – CONTINUA LA SANGUINOSA BATTAGLIA
56.1. Un demonio negromante
Riprendo
il filo del racconto. La trama maliziosa, ordita fino dai primi giorni,
fu che un demonio, sotto la forma di negromante, si mise sopra la porta
della mia camera di guardia per tentare tutti quelli che nella mia
camera entravano. Si serviva costui di certo fumo, che tramandava dalla
sua bocca, che a bella posta affumicava tutti quelli che entravano.
Quel fumo oscurava i loro intelletti e li rendeva incapaci di
distinguere i giusti sensi. Tutti questi interpretavano a sinistro
senso il mio male e facevano una confusione fra loro per la varietà dei
pareri. Questa era un’arte fatta per accrescimento delle mie pene,
perché io tutto vedevo e conoscevo, donde derivava la loro confusione e
dissonanza di pareri.
La mia figlia minore non ignorava questo
fatto, mentre io gliene avevo fatto la confidenza, in maniera che,
quando qualcuno entrava, io le dicevo: «Oh, quanto è affumicato questo
tale, adesso sentirete quanti diverbi e confusioni succederanno». E di
fatto seguiva così. Tutto questo era per istigazione di quel demonio
negromante, che assiduamente si tratteneva sulla porta della mia
camera, per fare che tutti quelli che mi venivano a visitare, in luogo
di giovarmi, mi avessero maggiormente gravata, con l’interpretare a
sinistro senso il mio male, e fare per questo grande confusione, con
sommo pregiudizio della mia salute e con pericolo, ancora, della mia
vita.
Oltre di che era tanto forte l’istigazione che varie
persone, sopraffatte dalla tentazione del demonio, non ebbero
difficoltà a dire che questo mio male era tutta una mia finzione. Altre
persone, egualmente tentate, dicevano che ero pazza. Altre persone
bugiardamente dicevano cose che io mai feci, né dissi.
I miei
parenti, istigati dal tentatore, molto più degli altri tentati, non
tentavano altro che la mia rovina spirituale e temporale. Mentre,
offuscati nelle idee, cercavano di applicarmi i più forti rimedi per
potermi guarire, non si avvedevano che fabbricavano la mia rovina.
Per
istigazione del detto demonio negromante uno dei miei fratelli, per
zelo male inteso, non ebbe difficoltà di intessere tre grosse corde, a
guisa che si legano i tori e le bufale, con queste corde bestiali
pretendeva di legarmi, perché, mediante un’illustrazione interna datami
da Dio, mi volli alzare dal letto e con l’asperges e acqua santa andavo
benedicendo tutta la mia casa. Accompagnata dalle mie due figlie andavo
nel nome di Dio fugando tutti quei maligni spiriti, che avevano preso
possesso della mia casa, e così ne andavo io riprendendone il possesso.
Di tratto in tratto mi dava Dio a conoscere, come infatti seguì, quello
che dovevo fare per fugare tutti questi demoni, ed io, mediante la sua
divina grazia, adempivo puntualmente la divina ispirazione, camminando
per la casa, sempre accompagnata ora da una figlia ed ora da tutt’e
due. Queste furono testimoni oculari di tutte le mie operazioni, che
per istigazione del demonio erano non solo interpretate a sinistro
senso, ma ancora, malignate con delle false menzogne, tanto dai miei
parenti, segnatamente dal surriferito fratello, autore delle ben grosse
corde, come da una donna di servizio, che era contro di me, veramente
allucinata dal demonio.
56.2. Demoni imprigionati in una scatola
In
questo tempo che io stavo facendo questa grande opera di fugare questa
moltitudine di demoni, mediante la divina grazia, mentre Dio mi aveva
dato tutta la potestà, nel suo santissimo nome, di tutti fugarli, come
difatti seguì, presi tutte le chiavi delle porte della mia casa e in
atto di padronanza aprii e chiusi le suddette porte, ed intanto con
l’asperges in mano e con molte orazioni andavo aspergendo tutta la casa
di acqua santa; servendomi, ancora, del campanello della cappella,
suonandolo di tratto in tratto, come voce di Dio, per radunare in un
luogo solo tutti quei maligni spiriti, che erano tutti dispersi per la
mia casa.
In questo tempo, con molto fervore, chiedevo lume al
Signore, perché mi desse grazia di conoscere quello che dovevo fare.
Dicevo piena di fiducia: «Illumina, Domine, tenebras meas, mio Dio, mio
Signore, insegnatemi quello che devo fare».
Non furono vane le
mie speranze perché erano stabilite nell’onnipotenza di Dio. La mia
persona avvilì ad un tratto l’orgoglio di tutti quei maligni spiriti,
nel vedermi in piedi girare per tutta la casa, munita di acqua santa e
di campanello. Io cercavo dove si fossero radunati, mentre non sapevo
quale fosse il luogo dove Dio li aveva confinati. Ma il mio Dio, per
sua bontà, non mancò di manifestarmi il luogo dove li aveva confinati.
Con grande loro confusione e rossore, si erano tutti annientati in
piccoli semetti di erbetta, dentro di una scatola non più lunga di un
palmo e di altezza meno di mezzo palmo.
Oh grandezza di Dio,
quegli spiriti che pocanzi giravano tutta la mia casa, pieni di tanta
superbia e baldanza, eccoli per virtù di Dio tutti annientati e confusi
in una piccola scatola, senza potermi più nuocere, anzi paventavano e
tremavano alla mia voce. Oh potenza di Dio, e chi mai non si fiderà di
te? E come potremo noi dubitare del tuo divino soccorso nelle nostre
tribolazioni, se tu sei onnipotente? Sia dunque tutta tua la gloria e
l’onore di questa grande opera, che mi fece trionfare sopra tutti
questi miei spietati nemici.
Con interna illustrazione Dio mi
ordinò che presa avessi quella scatola e immantinente l’avessi data
alle fiamme. Puntualmente obbedii all’interna illustrazione. Nel nome
dell’onnipotente Dio, presi con somma intrepidezza e senza alcun timore
la suddetta scatola, andai al camino e misi sopra il fuoco la scatola;
ma siccome mi parve che non fosse sufficiente il fuoco che vi era,
presi molta carta bianca per incendiarla sollecitamente. Con coraggio
aprii la scatola e la rovesciai sopra il grande focolare, così potei in
qualche maniera avere un embrione del numero di quei maligni spiriti,
che mi avevano perseguitato. I grandi botti che fecero quei semetti
unitamente alla scatola parevano al certo archibugiate.
La mia
figliola minore, che fu presente a questo fatto, ai botti, molto si
spaventò, ma io le dicevo: «Non vi prendete pena, questa è un’opera del
Signore». Nel fare questa operazione andavo recitando dei Salmi,
segnatamente il Magnificat. Ruppi ancora tre piccole pile che erano
sopra allo stesso camino vuote, rassembrandomi come quei ministri del
santuario che sono vuoti dello spirito del Signore e si trattengono per
sola apparenza vicino ai sacri altari. Con somma mia pena lo dico che
di questi tali purtroppo ve ne sono, che non sono vestiti che di sola
apparenza. Oh che cosa lacrimevole è mai questa!
56.3. I parenti ministri del demonio
Proseguo
il racconto. La potestà delle tenebre vedendosi vinte ed oppresse da
una povera donnicciola come sono io, ognuno può immaginare quale
potesse essere la loro rabbia ed il loro sdegno contro di me. Questa
superba potestà dovette tornare all’inferno, e invece di riportare il
trionfo dovette tornare piena di vergognosa confusione, e a suo marcio
dispetto doveva confessare l’onnipotenza di Dio, che sa trionfare sopra
le sue creature e in un istante sa umiliare e confondere la diabolica
malizia.
Il vedere una vile creaturella peccatrice, come sono
io, vedermi vittoriosa della loro crudeltà, la somma facilità che Dio
mi diede, la potestà che il Signore mi compartì per tutti a me
assoggettarli e tutti fugarli e nuovamente rilegarli nel cupo abisso
dell’inferno, ognuno potrà tirare la giusta conseguenza, qual potesse
essere la loro rabbia contro di me. Non potendomi più perseguitare né
offendere di propria mano ricorsero ad un’altra malizia per fare
l’ultimo tentativo, per vedermi almeno storpia o ridurmi in un fondo di
letto. Si servirono del mezzo dei miei parenti con l’accrescimento
della forte tentazione che dava loro contro di me.
Questi
dunque, come furiosi ministri, volevano venire all’esecuzione di
legarmi crudelmente con quelle suddette corde diabolicamente intessute,
con violenza mi si fecero addosso, e la surriferita donna, più tentata
degli altri contro di me, mi si avventò alle gambe e calcandole con
tanta forza che le ossa fecero un crocchio tanto forte, che la mia
figlia credette che mi si fossero rotte tutte e due le gambe. Questo mi
apportò un grande dolore, e se non fosse stata la grazia di Dio, le
gambe sarebbero sicuramente restate rotte. Mentre io intesi infrangermi
le ossa, uno dei miei fratelli mi si fece addosso, prendendomi con
gagliardia e spietata forza per le braccia, scuotendomi con tanta
violenza che fu un vero prodigio di Dio che non me le rompesse.
Oltre
la grande scossa che ne soffrì tutta la mia macchina, con tutto questo
io sempre mi feci forte invocando l’aiuto del mio crocifisso Signore,
unendo alle sue pene le pene mie, tenendolo sempre non solo nel cuore,
ma ancora lo tenevo sempre nelle mie mani, il crocifisso mio bene, dove
trovavo in questi gravi travagli tutto il mio grande conforto, benché
più volte con disprezzo me lo facessero cadere in terra, con grave pena
del povero mio cuore. Io chiaramente distinguevo che questo era
l’ultimo sforzo di Satanasso, e che quelli erano fortemente tentati
contro di me, sicché, invece di sentire sdegno contro di loro, io ne
sentivo compassione, e compativo i maltrattamenti che mi davano, non
sentendo il minimo rancore contro di loro.
Per ribattere dunque
la loro tentazione, presi un’aria di contegno, ed intanto non lasciavo
di raccomandarmi al Signore. In questo tempo, alla presenza di tutti,
feci leggere ad una delle mie figlie la passione di Gesù Cristo, e
così, in queste gravi pene, andavo pascolando il mio povero spirito
perseguitato ed oppresso da tutta questa turba di parenti, che in
questo giorno si erano nella mia casa tutti radunati, a caso, senza
sapere l’uno degli altri. Loro credevano una casualità, ma io ben
sapevo che non era casualità, ma un’arte diabolica di averli nella mia
casa condotti, perché non potendomi più perseguitare di propria mano,
era il demonio ricorso alla tentazione per farmi rovinare nell’anima e
nel corpo.
Non sto qui a dire quanto grande fosse la confusione
che seguì fra loro, per la diversità dei sentimenti, mentre altro non
si cercava, sotto un apparente bene, che la totale mia rovina. Cosa
veramente da compatirsi e non da biasimarsi, mentre non erano loro che
mi maltrattavano, ma la forte tentazione che li subornava.
Cosa
potrò dir mai della donna di servizio che, tentata più degli altri
contro di me, faceva maggior confusione, riportando ciarle del tutto
inventate non solo nella propria mia casa, ma ancora nelle altre case.
E così più che mai si accrescevano le forti confusioni, sempre a mio
danno ordite. Non intendo per questo pregiudicare il mio prossimo,
perché conosco molto bene che tutti erano allucinati dalla forte
tentazione.
56.4. Le tre corde per legarmi
Torno un
passo indietro per raccontare un’altra circostanza che avevo
dimenticato. Prima di farmi leggere la passione di Gesù Cristo, come
pocanzi ho detto, seguì un altro fatto. Sento un’interna ispirazione,
mi alzo da sedere e vado nella camera opposta, guardo sotto di una tela
dove trovo le tre corde preparate per legarmi. Le prendo e le porto
nella mia camera e me le pongo in seno rimirando il diabolico supplizio
che mi aspettava. Questa mia operazione, questo mio ritrovato riempì di
somma confusione e di gran timore tutti i miei parenti, e dicevano fra
loro: «Chi gliel’ha mai detto che sotto quella tela c’erano le corde?»
E stavano tutti sbigottiti. La mia figlia minore, illuminata dal
Signore, in questo giorno sempre stette al mio fianco per difendermi,
sebbene più volte provarono a strapparla via con grande violenza; ma
questa si attaccava al mio braccio e diceva: «Ammazzatemi pure, ma mai
sarà che io lasci mia madre, sono contenta di morire al suo fianco».
In
questo giorno non si curò neppure di pranzare, per non lasciarmi in
preda a quei fieri manigoldi. In questo tempo non lasciavo di
raccomandarmi al Signore, il quale m’ispirò di bruciare della mollica
di pane sopra del fuoco. Mi feci dare dalla figlia uno scaldino e
bruciai la mollica di pane. Io mi avvedevo chiaramente che quel fumo
dileguava in parte la loro tentazione. In questa mollica bruciata io
andavo considerando quando il mio Dio si degnò di immolarsi umanato
sopra il patibolo della croce, consumato dal suo medesimo fuoco
d’amore. Mano a mano che quel misterioso fumo s’innalzava, fiaccava nei
miei parenti la tentazione, ed io sentivo un grande accrescimento di
fortezza con una sicura speranza di vincere e di superare la diabolica
malizia, nel nome dell’altissimo Dio, a cui mi ero tutta dedicata, e ne
aspettavo con sicurezza, dal suo onnipotente braccio, la compiuta
vittoria.
56.5. Mio fratello mi si fece addosso
In
questo tempo tenevo le corde sopra al mio seno, e ne andavo sciogliendo
la barbara orditura. Consideravo intanto la crudeltà usata verso il
benedetto mio Gesù, e i barbari patimenti da lui sofferti per mio
amore. Alle sue pene univo le mie, ed intanto, per viepiù incoraggiare
la povera mia umanità oppressa ed angustiata, mi feci alla presenza di
tutti i miei parenti leggere da una delle mie figlie la passione di
Gesù Cristo.
Questa lezione durò circa un’ora. Finita la
lezione, nella quale il mio spirito fu confortato dal Signore, e in
questo conforto presi maggior vigore per sostenere questa ultima
sconfitta, finita la lezione, terminai di sciogliere le crude corde.
Quando ad un tratto mi si fece addosso il mio fratello, autore delle
medesime e con mali termini mi levò furiosamente dalle mani le corde
che io avevo già disciolte, più per virtù di Dio che per mia industria
sciolte. Ed ebbe il coraggio, in mia presenza, di rintessere il barbaro
supplizio, e poi con cenni i più alteri e superbi mi mostrava lo sdegno
più fiero che aveva contro di me. Questo atto di poca carità usatami da
questo fratello veramente mi fu molto sensibile. Dicevo fra me stessa:
«A quelli che si giustiziano pure gli si tiene nascosto il capestro che
li deve impiccare, pur gli si usa questa carità, e a me mi si lavora il
supplizio avanti dei propri occhi. Da chi? da un fratello! Che crudeltà
è mai questa».
In questo barbaro caso ricorrevo con grande
fervore al mio Dio per il timore di sentire qualche moto di odiosa
avversione contro questo fratello, perché mi pareva di conoscere che il
fine per cui mi maltrattava fosse indiretto. Perché il demonio per
mezzo di tentazione gli faceva credere che con la mia rovina avrebbe
fatto la sua fortuna con l’impadronirsi della mia casa e delle mie due
figlie. Immaginando che una persona che mi protegge per pura
misericordia di Dio in questo caso che io non fossi più abile affatto,
gli avesse conferito un posto di molto lucro, come si può dare
tentazione più sciocca di questa? Mi pare al certo un castello in aria,
formato del tutto dalla fantasia. Ma sia come si voglia, ne lascio a
Dio il giudizio.
56.6. Il padre spirituale ordina di legarla
L’ora
era tarda, già era suonata l’Ave Maria, e questo fratello fremeva per
fare la barbara operazione di legarmi. E per consolidare questa opera,
e per giustificare se stesso appresso degli altri parenti, conoscenti,
e ben affetti alla mia famiglia, si servì del mezzo del mio confessore,
che era in quel momento venuto a visitarmi. Fece dunque a questo
ministro di Dio una forte rappresaglia contro di me con delle false
supposizioni, molte inventate e molte male interpretate ed immaginate a
suo modo. Il mio confessore, che già era carico di ciarle riportate
dalla donna di servizio, condiscese alle sue voglie col dire:
«Legatela». Altro il diavolo non volle che questa parola uscisse dalla
bocca del mio padre spirituale per intessere una matassa ben grande di
impicci e di confusione.
Il mio fratello venne nella mia camera
dopo aver avuto questo permesso, male a proposito, perché lo aveva
ottenuto per mezzo di una falsa e del tutto bugiarda rappresentanza.
Venne dunque nella mia camera esultando, diceva tutto contento e con
ironia: «Ha detto il padre spirituale che si leghi», ma io a questo
ordine male inteso non ci volli stare. Mentre conoscevo che non ero
obbligata a sottomettermi a questa determinazione del mio direttore,
perché per la falsa rappresentanza fattagli dal fratello gli aveva
ingiustamente strappato dalla bocca questo permesso. Di più fece ancora
che il mio padre spirituale di propria bocca mi ordinasse di obbedire
in tutto e per tutto ai miei parenti. Io che già avevo inteso l’ordine
irriflessivo che aveva dato di legarmi, che se si metteva in pratica
sarebbe stata la mia rovina, mentre io non ignoravo che questo voleva
il demonio, a questo oggetto si servì di questa circostanza col
prendere di sorpresa il mio direttore che sono sicura e certa che se
l’avesse ponderato mai e poi mai avrebbe dato un simile ordine. Mi si
presentò dunque il mio direttore e mi disse che obbedito avessi ai miei
parenti in tutto e per tutto.
Il buon ministro di Dio non
conosceva che l’obbedire a questi sarebbe stato lo stesso che obbedire
al diavolo, che li tentava e sollecitava a massacrarmi e farmi davvero
perdere l’uso della ragione col dissanguarmi, come si erano già
prefissi. In uno stato di tanta debolezza in cui ero già ridotta, come
non bastasse il sangue che cervelloticamente mi avevano già cavato, e
dalle tempie e dalle braccia, che se sono risorta si deve attribuire a
un puro miracolo dell’onnipotenza di Dio, mentre, per bene andarmi,
dovevo restare scema di testa per la copiosa sanguigna fattami dalle
tempie. Sia benedetto in eterno Dio che lo permise, per fare sempre più
risaltare la sua infinita misericordia e per accrescere sempre più le
mie grandi obbligazioni verso l’infinito suo amore, che è verso di me
veramente inarrabile. A mia maggior confusione devo dire, e a sua
maggior gloria, che tutta la mia vita è stata sempre un prodigio del
suo parziale amore.
Non posso fare a meno d’interrompere il filo
del racconto, senza rinvenire di tratto in tratto le infinite
misericordie del Signore, mentre il povero mio cuore è sempre
sopraffatto dall’amore e dalla gratitudine dell’infinito suo amore
verso di me, miserabile sua creatura peccatrice.