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44 – SANGUINOSA BATTAGLIA CONTRO NEMICI SPIETATI


44.1. Il mio cuore pronto a patire ogni sorta di pene


Nella notte del santo Natale del 1818 dopo aver goduto, per mezzo di particolare unione, i tratti più amorosi dell’infinita carità di Dio, che sotto l’immagine di vago bambinello, unito alla santissima Madre e al suo padre putativo san Giuseppe, mi apparve. A questa vista ammirabile di questi tre personaggi la povera anima mia si riempì di santi affetti. Il rispetto la stima, la venerazione, l’amore, il timore, l’umiltà mi profondavano nel mio proprio nulla, e non ardivo rimirare il bel sole di giustizia, che in braccio alla divina Madre, volgeva verso di me i suoi sguardi amorosi, e facendomi coraggio di approssimarmi a lui, ma la povera anima si disfaceva in lacrime di dolore, per avere offeso un Dio tanto buono.

Oh quanto mai mi dispiaceva di averlo offeso! con quante lacrime detestavo i miei peccati, non so spiegarlo! Ma unito al dolore sentivo un amore tanto grande, che mi faceva piangere di gratitudine e di tenerezza, vedendomi tanto amata e tanto beneficata, mi riconoscevo immeritevole di ogni bene, ma intanto sentivo un desiderio grande di amare il mio caro Gesù, che mi offrivo a lui senza intervallo, senza riserva. Desiderosa di patire ogni qualunque gran male per amor suo.

Il santo Bambino si compiacque della mia povera offerta, che mi degnò dei suoi purissimi abbracciamenti. Oh qual contento, oh qual dolcezza provò il mio cuore, non è spiegabile. Il mio spirito fu sopraffatto da una soavità tanto grande, che perdetti ogni idea non solo sensibile, ma ancora intellettuale. Dopo aver goduto questo gran bene, il Signore, per mezzo di intelligenza, mi fece intendere che mi fossi preparata a sostenere una forte battaglia con i miei spietati nemici. Mi fece intendere che la sua santa grazia avrebbe prevenuto il mio patire, e lui sarebbe stato sempre con me, e mi avrebbe assistito con la sua infinita potenza, con la sua infinita sapienza, con la sua infinita bontà.

A questa amorosa esibizione, la povera anima mia tutta a Dio si consacrò, e piena di gratitudine, adorò i suoi divini decreti, si unì alla sua divina volontà, si preparò il povero cuore a patire ogni sorta di pene, per piacere al mio caro Gesù, e protestandomi non solo in quel momento, ma ogni giorno di tener preparato il mio cuore a patire quanto a lui piacesse, pregandolo del suo divino aiuto.

44.2. Per riparare la divina giustizia


Non andò molto a lungo ad avverarsi quanto mi aveva detto il divino fanciulletto; mentre al dì 24 gennaio 1819 fui nell’orazione sollevata a penetrare la divina immensità di Dio, dove il medesimo Dio mi diede cognizioni molto alte dell’infinito suo essere. Mi fece intendere molte cose riguardanti la sua divina giustizia, mi fece intendere essere arrivata l’ora che io dovevo molto patire, per la gloria sua, per vantaggio della santa Chiesa cattolica, per sostenere il Sommo Pontefice e la santa Chiesa, e per vantaggio dei poveri peccatori. Mi diede a conoscere grandi cose che io non so ridire, la povera anima mia restò estatica a tante e sì elevate cognizioni, che il mio corpo perdette ogni sensazione, fui sopraffatta da un riposo tutto spirituale, che mi alienò dai sensi.

In questo tempo mi apparve Gesù Cristo, e mi invitò a sostenere la fiera battaglia, mi tornò ad assicurare del suo divino aiuto, mi diede chiarissima cognizione di quanto avevo da patire per glorificare l’eterno suo divin Padre, e così placare la sua divina, inesorabile giustizia, che era sdegnata con tutto il mondo. Mi diede ad un tratto a vedere tutti i tormenti che mi erano preparati dal nemico infernale, mi diede a vedere come per sua permissione dovevo patire tutti quei gravi tormenti, senza alcun conforto.

A questa vista, sì terribile e dolorosa, si atterrì il mio povero spirito, e, pieno di spavento, restò sopraffatto dal terrore di tanti e sì terribili supplizi. Piena di spavento e di timore, pregavo il mio buon Gesù: «Mio Gesù, sposo mio, unico conforto dell’anima mia, aiutami per carità! vieni in soccorso della tua povera serva, non è possibile che io sostenga sì fiera battaglia, soccorrimi per pietà! aiutami, per carità!».

Ecco che già mi vedevo circondata da ogni sorta di patimenti, mi vedevo in mezzo ad una voragine di supplizi, di angustie, di desolazioni, di affanni, quando di nuovo mi apparve il mio Gesù, circondato di splendidissima luce, che al momento rischiarò le folte tenebre in cui mi trovavo.

«Ah Gesù, sposo diletto dell’anima mia, oh quanto mai mi consola il vostro glorioso splendore! Oh qual contento mi reca il vostro dolcissimo sembiante, puro, innocente e modesto! Oh qual gaudio di paradiso inondò il mio cuore! Le vostre gloriose cicatrici tramandano un odore soavissimo, che ricrea a povera anima, che poco prima era da tante pene oppressa. Felice mia pena! che tanto bene adesso mi fai godere. Mio Dio, mio sommo amore, quanto bene mi fai godere!».

Nella umanità santissima di Gesù Cristo ravviso l’intima unione che passa tra le tre divine persone. Oh quanto bene conosco un solo Dio in tre divine persone! Ma questa cognizione oltrepassa il povero mio intelletto, vien meno la mia intelligenza, e, piena di ammirazione, sento rapirmi lo spirito a sì alto profondo mistero. Piena di rispetto e riverenza, mi profondo nel mio nulla, e con la fronte per terra, mi unisco con tutto il paradiso, dicendo: Sancus Deus, sanctus fortis, sanctus immortalis, miserere nobis.

Dopo di avermi dato a godere bene così straordinario, più non mi ricordavo il patire che poco avanti avevo sofferto, ma tutta in gaudio era liquefatta la povera anima, di santo amore avevo ripieno il cuore.

«Figlia», mi sento dire, «figlia diletta mia, mira le grandi offese che riceve la mia immensità! Se mi ami, offriti a riparare la mia divina giustizia, levami il flagello dalla mia onnipotente mano, che pieno di furore sono sul momento di scaricare sopra questo mondo ingrato.

Figlia, io sono la tua ricompensa. Offrirti a patire volontariamente per la mia gloria, e per adempiere la mia volontà. Figlia cara mi sei, e tu puoi placare lo sdegno mio. Eccomi, io sono in tuo aiuto, io sono con te, coraggio, mia cara, coraggio; e se io sono con te, chi sarà contro di te? Chi ti potrà nuocere? chi ti potrà sovrastare? Quanto onore, quanta gloria mi darai col tuo patire! Affatìcati di potermi piacere, fidati nel mio potente aiuto, da’ principio alla forte battaglia».

44.3. Fedele a Gesù e obbediente alla Chiesa


A queste parole divine, la povera anima mia da debole che era, come già dissi, fortificata fu dalla grazia del Signore. Affidata alle sue divine parole, divenni forte qual leone, e piena di coraggio nel nome di Dio diedi principio alla sanguinosa battaglia il giorno 25 gennaio 1819 di lunedì, giorno della conversione di san Paolo, mi apparvero molti demoni in varie forme; ognuno di quelli teneva presso di sé un tormento infernale da farmi soffrire: «Se tu non acconsenti alle nostre voglie», mi dicevano, «sperimenterai sopra il tuo corpo tutti questi spietati tormenti, se tu non acconsenti alle nostre voglie».

Costoro volevano per primo farmi negare la fede di Gesù Cristo, e poi farmi fare ogni sorta di iniquità, per sovvertirmi misero in pratica tutta la loro malizia, ma buon per me che il pietosissimo mio Dio mantenne la parola che mi aveva dato per sua bontà, con tanta fedeltà e amore mi aiutò, che non termini di spiegare gli aiuti speciali che mi compartì in questa sanguinosa battaglia, posso dire che tutto l’inferno si era congiurato contro di me; quei maligni spiriti, che erano stati incaricati di strapazzarmi, di farmi provare molti supplizi infernali, avevano giurato al loro capo che avrebbero fatto ogni sforzo, avrebbero adoprato tutta la loro malizia per sovvertirmi. Ecco dunque che spettatori erano di questa grande battaglia tutti i santi del cielo, e tutti i demoni dell’inferno.

Oh, come potrò qui ridire i diversi effetti del mio povero cuore! di timore, vedendomi apparecchiati tanti supplizi, dubitando a tanto patire di arrendermi alle loro voglie, col negare la fede di Gesù Cristo, ma qual fiducia sentivo nel vedermi aiutata dal medesimo Dio, che con una fortezza invincibile avvalorava la mia fede; non più timida, ma forte qual leone, io insultavo quei maligni spiriti, e, mostrando loro la forza invincibile di quel Dio che mi proteggeva, arditamente li insultavo, e con deliberata volontà dicevo loro che mi avessero tormentata quanto volevano, che io, sperando sempre nei meriti infiniti di Gesù Cristo, credevo con ogni sicurezza di riportare la compiuta vittoria. A questa mia deliberazione di volontà, mi si fecero addosso, questi maligni spiriti, a tormentarmi tanto fieramente in vari modi, ed intanto che così barbaramente mi tormentavano, mi dicevano che se avessi negato la fede avrebbero subito cessato di tormentarmi, mi avrebbero reso beata sulla terra, dandomi ricchezze, onori grandissimi.

Da tutte queste esibizioni rispondevo arditamente: «Non voglio altro che essere fedele a quel Dio che mi ha creato e redento con il suo prezioso sangue. Voglio confessare la fede di Gesù Cristo fino all’ultimo respiro della mia vita, e voglio essere obbediente alla santa Chiesa cattolica apostolica romana».

A queste proteste, quelle furie d’inferno mi si avventavano addosso, e mi facevano provare tormenti tanto atroci, che io non posso spiegarli. Con ferri acutissimi mi tormentavano la bocca, in maniera che pativo pena tanto grande che non posso spiegarla, mi tenevano con violenza aperti gli occhi, e poi dall’alto mi versavano a gocce certo bitume bollente. Qual martirio fosse questo non è possibile poterlo spiegare, e quando mi davano questi spietati tormenti, mi dicevano: «Stolta che sei a farti tanto tormentare! Nega, nega la fede, che cesseremo subito di tormentarti e godrai ogni bene. Poche parole bastano per dichiararti, non altro devi dire: «io voglio essere anticristiana», questo basta per liberarti da tanto patire».

A queste loro parole io rispondevo, in mezzo a tanti martiri e spasimi: «Non acconsento e non acconsentirò giammai alle vostre suggestioni. Mi protesto che voglio essere fedele al mio buon Dio fino all’ultimo momento della mia vita. Cavate pure dall’inferno quanti supplizi volete, tutto sopporterò per amore di quel Dio che mi creò».

A queste proteste con più rabbia pigliavano a martirizzare il mio corpo e con tanto furore che, se tutto dovessi dire, mi mancherebbero i termini di poterlo spiegare. Ero al momento ricoperta di fuoco tanto crudele che mi pareva di morire ogni momento di spasimo, e in mezzo a questo crudele martirio, assistita dalla grazia di Dio, confessavo la fede di Gesù Cristo.

Sentivo nel patire una forza soprannaturale, che mi faceva disprezzare tutte le sorte di tormenti, solo sentivo un sommo impegno di sostenere la fede di Gesù Cristo, sentivo nel mio spirito una fiamma di carità che mi univa al santo amor di Dio, che mi dava forza di superare ogni sorta di patimenti infernali, e ogni giorno mi rendeva più forte e stabile nei santi proponimenti, che con l’aiuto di Dio andavo facendo. Mi fermo per un poco di parlare dei gravi tormenti che mi fecero provare quei crudeli spiriti maligni, che a tutto loro costo tentarono di sovvertirmi. Passo a dare il ragguaglio del mio corpo e quanto si vedeva sensibilmente.

44.4. Sopraffatta da uno svenimento mortale


Fui dunque il dì 25 gennaio 1819, giorno della conversione di san Paolo, fui sopraffatta da uno svenimento mortale, che mi privò di ogni idea sensibile, e questo fu nella medesima mattina che io mi offrii al Signore di patire per i motivi accennati: per sostenere la santa Chiesa e riparare in qualche maniera il castigo di Dio. Questo svenimento mortale mi privò di ogni sensazione, in maniera che, mi raccontano, il mio corpo, che giaceva per terra, fu preso da quattro persone, e posto sopra un letto, senza potermi spogliare. Mi dicono che questo fu alle ore 15 e mezza circa italiane, alle ore otto e mezza di Francia circa, il mio corpo dicono che non facesse nessun risentimento, ma che stette in profondo sonno fino alle ore due della notte.

In questo tempo fecero molte prove per svegliarmi, ma tutto invano. Circa le ore tre italiane mi destai da questo profondo sonno e, parlando con sentimento, richiesi con somma premura di parlare con il mio confessore; ma da quelle persone che mi assistevano non furono curati i miei desideri e la mia grande premura che facevo, perché mi avessero chiamato il mio confessore, al quale volevo comunicare tutto l’accaduto, per avere da lui, per mezzo dell’obbedienza la maniera di regolarmi in sì grave battaglia, sì pericoloso cimento. Mi venne negato di poter parlare con il mio confessore, dicendo che l’ora era tarda per incomodare un religioso, che vi sarebbe stato tempo la mattina. Questa negativa mi fu molto sensibile, perché io conoscevo che la mattina non sarei più in stato di parlare con il suddetto. Rinnovai le mie istanze, ma non furono attese, allora feci un atto di rassegnazione in Dio, e invocando il suo divino aiuto. Allora seppi che dovevo patire senza alcun conforto umano, ma che tutto l’aiuto mi sarebbe somministrato da Dio.

A questa cognizione adorai i divini decreti, e mi rassegnai pienamente alla sua santissima volontà, mi abbandonai nelle sue santissime braccia, acciò facesse di me quello che più gli piaceva. Difatti la mattina non fui più in stato di parlare né di capire cosa alcuna sensibile. Tanto crebbe a dismisura il male nel mio corpo, che fui sopraffatta da convulsioni tanto terribili, che in sei persone non mi potevano tenere. Tutto questo male era cagionato dai tormenti che soffrivo da quei maligni spiriti, parte per il gran dolore che soffrivo nei membri del corpo, parte per la vista orribile di quei maligni mostri, mi si erano confuse tanto le idee, che non riconoscevo più nessuno, neppure il mio proprio confessore, che, dalla pena di vedermi in uno stato così afflittivo, si ammalò.

In questo mio gravissimo male io non curavo il patire sensibile, che per mezzo di tanti supplizi soffrivo da quei demoni infernali; ma la mia grandissima cura era di tenere sempre fissa la mia mente in Dio, per il grande timore che avevo di acconsentire alle loro suggestioni.

Con incessanti preghiere invocavo il divino aiuto, che sperimentai sempre efficace; più mi fortificavo nella santa fede e più quei barbari demoni mi tormentavano con nuovi supplizi. Nove giorni e nove notti il mio corpo fu sempre dibattuto e malmenato da questi maligni spiriti: mi dicono che il mio corpo faceva tanta forza, che non si poteva più tenere per il gran moto convulsivo che faceva. Mi dovettero legare, perché non mi potevano più reggere.

Molti furono i rimedi che mi fecero, ma il mio corpo non era capace di rimedi umani, per altre cause ero ridotta in quello stato. Molti furono i giudizi di quelli che mi vedevano tanto patire, particolarmente dei miei parenti e amici, molti credevano che non potessi sopravvivere a tanto strapazzo, a tanto patimento; segnatamente il medico disse che più di tre giorni un corpo umano non poteva reggere, ma che mi si dovevano infiammare i polmoni per il grande strapazzo di quelle fiere convulsioni.

44.5. Non è un male naturale


I miei parenti mi presero a curare con tutto l’impegno, figurandosi un male naturale, sicché anche loro a fin di bene martirizzavano il mio corpo, per poterlo richiamare nei giusti sensi, si servivano di senapismi ai piedi, di due vescicanti alle polpe delle gambe, di una sanguigna al braccio e una alle tempie, e queste due sanguigne furono molto copiose, particolarmente quella delle tempie, ma tutto invano, perché erano molto più gravosi i tormenti che soffrivo da quei barbari mostri, che il mio corpo si rendeva affatto insensibile a tutti questi rimedi. Proseguendo nella medesima maniera a smaniare, a dibattermi con moto tanto irregolare e terribile, e nonostante vedendomi sopravvivere il medico disse: «Questo non è male naturale, non è al certo possibile che un corpo umano regga a tanto strazio, mentre tengo per certo, per l’esperienza che tengo, che un male così violento non si può sostenere da un corpo umano, ma deve sicuramente cagionargli la morte, e non può andare più a lungo che tre o quattro giorni, questa donna non può sopravvivere che per puro miracolo».

Vedendo il medico che ogni giorno più si faceva maggiore il mio male, essendo uomo di molta pietà, mi prese ad interrogare e qualche cosa conobbe; benché io non fossi presente a me stessa, ero molto accorta di non dimostrare quanto seguiva in me, ma l’accorto medico si portò dal mio confessore, che era malato, e gli disse: «Questa sua penitente si conosce che lo spirito è tutto assorto in Dio, ma il suo corpo soffre pene infernali, perché si conosce benissimo che il suo corpo è malmenato dai demoni, e non è male naturale».

A questa notizia del medico, il mio buon padre spirituale, nonostante si trovasse cagionevole, molte furono le orazioni che fece e fece fare per aiutarmi a sopportare e vincere la suddetta sanguinosa battaglia, ne fece il mio confessore inteso perfino il Santo Padre, acciò con le sue valevoli preghiere e autorevole comando mi avesse liberato dalle mani dei demoni, che tanto strapazzavano il mio afflitto corpo.