[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

35 – QUAL CONFUSIONE MANIFESTARE LE VOSTRE MISERICORDIE!


35.1. Perduta nell’Essere divino


Il dì 14 gennaio 1816, nella santa Comunione, tornò Dio, per sua infinita bontà, a favorire la povera anima mia con una comunicazione molto particolare, ma poco e niente so manifestare per essere cose del tutto intellettuali, appartenenti alla cognizione, servendosi Dio di certe particolari interne intelligenze, per così dimostrarmi l’infinito amore che mi porta; ma io non so in nessun modo spiegare, per essere grazie molto particolari, che il mio scarso talento non può neppure del tutto comprendere. Nel tempo stesso che ricevette da Dio la suddetta comunicazione più penetrava l’intelletto, e più conosceva che le restava da penetrare. Nella penetrazione fu l’anima inabissata nell’immensità di Dio, e così mi perdetti nell’essere suo divino. Questa comunicazione mi tenne molte ore alienata dai sensi, e per due giorni assorta in Dio, in una maniera molto particolare, servendomi dell’uso dei sensi per abito, senza conoscere cosa mi facevo.

Passati i due giorni, quando il mio spirito tornò nei sensi, Dio gli compartì un lume molto particolare di propria cognizione, come in appresso dirò.

Il dì 17 il mio spirito fu sopraffatto da particolare cognizione di se stesso. Oh come si umiliava lo spirito! La contrizione, il dolore eccessivo di aver offeso Dio mi faceva veramente agonizzare. Per tre giorni continui mi dette Dio questo lume di propria cognizione, che dal dolore mi pareva si stemperasse nel petto il cuore.

35.2. Mi fece vedere la mia preziosa morte


Il dì 18 gennaio 1816 nell’orazione subito levata mi trattenevo in questi bassi sentimenti, conoscendomi meritevole di mille inferni. Quando fui sopraffatta da interna quiete, il mio spirito si mise in stato di moribonda, e fra il timore e la speranza si andava preparando al gran rendimento di conto, che doveva fare a Dio.

M’immaginavo di vederlo contro di me tutto sdegnato, qual giudice severo, pieno di affanno avevo il cuore, e tra lacrime e sospiri mi raccomandavo alla Madre della misericordia, confidando nei meriti del buon Gesù; ma ciò nonostante non lasciavo di paventare, parendomi di vedere di già spalancato l’inferno per ricevermi. Che terrore! che spavento! che pena provò il mio cuore non so spiegarlo. Nel tempo che ero immersa in questa gravissima pena, il pietoso Dio sollevò il mio spirito, e si degnò darmi a vedere la mia preziosa morte.

Mio Dio! qual confusione è per me il manifestare le vostre misericordie sia pur tutto vostro l’onore e la gloria, mentre confesso con tutta la sincerità del mio cuore, avanti a voi, Crocifisso mio bene, di non meritare altro che l’inferno, per la mia empietà e scelleratezza.

Proseguo dunque, a gloria di Dio. Mi pareva spirare nelle braccia di Gesù e di Maria, godendo nel mio cuore un paradiso di contento.

35.3. Un esilio penosissimo


Il dì 20 gennaio 1816 così la povera Giovanna Felice: dal 20 gennaio fino al primo di febbraio 1816, Dio mi fece provare una pena di spirito quanto mai grande ed afflittiva, ma io non so spiegare. Era questa pena come un esilio penosissimo; mi vedevo allontanata da Dio, era l’anima sopraffatta dalla propria cognizione, e annientata e avvilita, umiliata fino al profondo abisso del proprio nulla, odiosa mi rendevo a me stessa per la mia cattiveria; mi pareva che la terra mi si aprisse sotto i piedi per ingoiarmi, dubitavo ogni momento che l’aria mi negasse il poter respirare, mi pareva che i demoni mi precipitassero ogni momento nell’inferno.

Che pena! che afflizione! che desolazione! che aridità di spirito! Ma la pena si faceva maggiore per la particolare intelligenza che Dio si degnava darle delle sue divine perfezioni.

A queste cognizioni l’anima sentiva un amore grandissimo verso Dio, che mi necessitava ad amarlo, ma la propria cognizione non mi permetteva che lo spirito liberamente potesse slanciarsi verso l’amorosissimo Dio; perché se ne riconosceva indegna. Avrebbe voluto per mezzo di ogni qualunque pena purificarsi, per così potersi a lui avvicinare; questa pena mi ridusse quasi ad agonizzare, il dolore di avere offeso Dio lacerava il mio cuore, e tramandar mi fece dagli occhi un profluvio di lacrime. Ogni giorno si faceva maggiore la pena mia, andava crescendo a dismisura, proseguendo in questo penoso stato dal giorno 20 gennaio 1816 fino al primo di febbraio, come si è detto di sopra, così si andava purificando la povera anima mia, macerandosi nel pianto e nell’afflizione, contenta di patire per amore, mentre non avrei cambiato il mio patire con tutto il bene del mondo.

35.4. Una grazia che chiedevo da molti anni


Il dì 2 febbraio 1816, nell’assistere alla Messa cantata, il Signore mi fece provare una dolcezza di spirito quanto mai grande; mi apparve la divina Madre, e mi degnò darmi per un sol momento il suo divin figliolo, questo momento bastò per farmi provare un paradiso di contento. Il divino Signore si degnò concedermi una grazia, che sono molti anni che la chiedevo, sempre me la faceva sperare, mai però mi aveva dato sicurezza; ma questa volta ne impegnò la sua parola; mi promise di salvare un’anima da me molto raccomandata, per lo spazio di molti anni. Di qual consolazione mi fu l’ottenere la grazia suddetta non posso esprimerlo, si degnò manifestarmi ancora il perché si degnava farmi la grazia, per intercessione della sua divina Madre, e per il rispetto che il suddetto porta alla pudicizia della sua consorte, contentandosi di vivere a sé, senza molestarla, a fronte dello stimolo proprio, per non turbare la suddetta sua consorte, che tutta si è data alla vita devota. Questo atto virtuoso di questo giovane è tanto gradito a Dio, che nonostante che il suddetto viva con una certa libertà di coscienza, ciò nonostante il Signore mi ha promesso di salvarlo, ne ha impegnata la sua parola, come si è detto di sopra.

35.5. La Madre collocò il suo Figliolo nel mio cuore


Il dì 3 febbraio 1816, così Giovanna Felice nella santa Comunione: mi apparve la divina Madre con il suo santissimo Figliolo in braccio, tutta premura cercava di nasconderlo nel mio cuore; ma la povera anima mia restò altamente ammirata, e piena di confusione mi rivolsi a lei versando dagli occhi abbondanti lacrime: «Ah, Madre mia», le dissi, «che più non mi conoscete? Dove volete nascondere il vostro divin Figliolo? Io sono quella ingratissima peccatrice che l’ho tanto gravemente offeso! Cara Madre, nascondetelo nel cuore di quelle anime che lo amano davvero, e non vedete che io non altro faccio che offenderlo e disgustarlo?».

E intanto, conoscendo viepiù il mio demerito, si umiliava ogni momento più il povero mio cuore; intanto con gli occhi pieni di lacrime, miro Gesù, miro Maria, e vedo il divin fanciulletto tutto ferito, che grondava vivo sangue. Raccapricciai a tal vista, la divina Madre, piangendo con flebil voce, mi disse: «Figlia, vedi come è ferito. Nascondilo nel tuo cuore».

A vista così compassionevole deposi il timore, e aperto e spalancato tra lacrime e vivi affetti di amore e di vera compassione: «Sì, Madre mia», soggiunsi, «ecco aperto e spalancato il cuore. Conducetelo pure, e fate di me quel che vi piace».

Ciò detto, la divina Madre collocò il ferito fanciulletto nel mio cuore, e preso nelle mani un ricco vaso di prezioso balsamo ripieno, la divina Madre andava con somma attenzione astergendo le ferite del divin Fanciullo. Con questa mirabile astersione si andavano risanando le ferite, io ero tutta intenta a guardare, piena di meraviglia e di stupore, senza però la giusta cognizione di quanto vedevo; ma la divina Madre si degnò significarmi che il suo pianto significava lo sdegno del divin Padre contro quelli che avevano così ferito il suo santissimo Figliolo. E lei come Madre di misericordia, che si compiace di esser Madre dei peccatori, deplorava la perdita di tante anime. Quel balsamo prezioso con cui astergeva le ferite dell’amato suo Figlio, erano le opere virtuose di tante anime buone a lei care.

A questa dichiarazione la povera anima mia fu penetrata da vivo sentimento di devozione e di amore, tutta tutta mi offrii alla maggior gloria di Dio, ma altamente restavo meravigliata come questa divina Madre si fosse degnata compartirmi grazia sì grande, senza alcun merito, ma solo piena di miserie e peccati, mentre vi sono tante anime di santa vita che potevano in quel caso rendere onore e gloria al Sommo Dio.

Avrei ben volentieri rinunziato a quel favore, perché restasse in altre anime glorificato il mio Signore, ma la divina Madre si degnò rendermi la ragione. Mi fece intendere che queste sono grazie gratuite, che Dio le comparte a chi più gli piace, e che due erano i motivi che si degnava favorire la povera anima: per la retta intenzione che ha di piacere in tutto solamente al suo Signore, e per il basso sentimento che ha sempre di sé, umiliandosi continuamente e profondamente dinanzi al suo Dio.

A questa notizia restai ammirata dell’infinita bontà del mio Signore, e, pieno di santo affetto, il povero mio cuore tutto bruciava di carità.

35.6. Che pena vedere tante anime miseramente perdute!


Il dì 4 febbraio 1816, nella santa Comunione, mi parve di vedere la divina Madre mi facesse nuove premure, perché avessi custodito nel mio cuore il suo divin Figliolo, per così nasconderlo dal furore degli empi, e agli sguardi dello sdegnato suo Padre, la di cui giustizia è inesorabile contro di noi, miseri peccatori; se non fosse tanto propensa questa divina Madre verso di noi, guai a noi, guai a noi!

Le lacrime da lei versate, come già dissi, erano versate per la pena di vedere tante anime miseramente perdute. «Va’», mi diceva tutta premura la divina Madre, «va’, impedisci alla divina giustizia il punirle. Offri il prezioso Sangue del Figlio, offri la mia materna esistenza, offri i miei dolori, offri i miei disagi, offri il mio amore. Sono salve quelle anime che io proteggo».

Alle parole di questa vergine Madre, la povera anima mia si ricoprì tutta di confusione e di timore; ciò nonostante obbedì il mio spirito, e annientato in se stesso, profondato nel sentimento più umile del basso concetto di se stesso, pieno di rispetto, assistito dalla particolar grazia di Dio, m’inoltro, e penetro l’immensità di Dio; ma quando fui in un certo punto, mi fu impedito il potermi inoltrare, e così non mi fu permesso sapere se Dio si era degnato di esaudire le preghiere, le premure che aveva la divina Madre delle suddette anime.

Dal dì 4 febbraio 1816 fino al 7 del suddetto mese, il mio spirito ha goduto un particolare raccoglimento, unitamente ad un basso sentimento di me stessa. Ho consumato questi giorni in piangere i miei peccati e nel chiedere perdono al Signore.

35.7. Mi apparve il gran patriarca san Giovanni de Matha


Il dì 8 febbraio 1816, giorno della festa del glorioso patriarca san Giovanni de Matha, nell’assistere alla Messa cantata, dopo di aver goduto un bene intimo nell’anima che non so manifestare, mi apparve il gran patriarca, si degnò questo sovrano personaggio di farmi avvicinare a lui, mi coprì con la gloriosa sua cappa, unitamente al mio padre spirituale, il quale vedevo prostrato ai suoi piedi, pieno di umiltà e di rispetto. Qual consolazione provò il mio spirito per il suddetto favore, qual raccoglimento, qual pace, qual dolcezza di spirito mi comunicò, quanto grande fu il desiderio che nacque in me di piacere a Dio, a costo di ogni grave patimento, non ho termini di spiegarlo. Molte anime vedevo in ginocchioni ai suoi piedi, tutte piene di filiale rispetto e di venerazione. Il venerabile padre tutte benedì, e disparve, lasciando nel mio cuore una particolare consolazione di spirito.

35.8. Gravissima persecuzione diabolica


Dal giorno 10 febbraio 1816 fino al giorno 13 del suddetto mese, il mio spirito ha sofferto una gravissima persecuzione diabolica, mossami dal nemico tentatore, per il metodo intrapreso fino dalla vigilia del santo Natale.

Ho intrapreso il metodo di mangiare ogni ventiquattro ore, usando dei soli cibi di magro e di latticini; per grazia di Dio sono tre anni che mi astengo dai cibi di grasso. Molto ho sofferto per astenermi da questi cibi, per essere molto conformi alla debole mia complessione; ma con la grazia di Dio, e con molta violenza, tanto ho superato, senza pregiudizio della salute, perché in questi tre anni sono stata sempre bene; ma quello che più mi molesta è che il metodo intrapreso di digiuno non solo mi viene contrariato dalla debole mia complessione, ma dal demonio, che non mi lascia un momento in pace, come dirò in appresso negli altri fogli.

Proseguo a manifestare la grave molestia che mi reca il maligno tentatore; non mi lascia neppure un momento in pace, mi gira continuamente attorno, presentandomi delle buone vivande, particolarmente quando sono in orazione, allora inventa tutte le malizie per frastornarmi. Mi comparisce sotto la forma di bel giovanetto, e compassionando il mio stato, mi offre delle buone vivande, me le presenta perché io ne gusti, persuadendomi a lasciare il metodo intrapreso.

Quanta pena soffre il mio povero spirito, perché dubita di dare ascolto alla suggestione del nemico tentatore! Piango, mi affliggo, mi raccomando caldamente al Signore, perché mi dia grazia di vincere e di superare, perché mi pare ogni momento di restare vinta; mi pare di non aver forza di superare la tentazione. Sono poi molestata da fame canina, che mi divora, e da sete ardente, che mi consuma; e intanto il maligno tentatore non fa altro che girarmi intorno, con delle buone vivande e con del buon vino, invitandomi a mangiare e a bere, allettandomi con forti persuasive di dare qualche conforto al mio patire, cerca ad ogni suo costo di darmi a credere che non c’è cosa più felice che il mangiare dei cibi squisiti e di bere del buon vino.

Al forte urto di questa tentazione, il povero mio spirito si trova in uno stato molto penoso e afflittivo; ma questa afflizione non toglie la pace al mio cuore, ma con santa rassegnazione soffre la molestia del nemico insidiatore, confidando nei meriti di Gesù e di Maria, i quali invoco con lacrime e sospiri, perché si degnino aiutarmi in questo penoso conflitto. Molto di frequente mi protesto che sono pronta a morire mille volte, piuttosto che dispiacere al mio Dio con la minima imperfezione volontaria; ma nonostante dubito di essere vinta dall’astuto insidiatore. Non lascia Dio di confortarmi in questa gravissima pena, facendomi sperimentare gli effetti mirabili della sua grazia.

Dal giorno 16 febbraio 1816 fino al dì 7 marzo, il mio spirito se l’è passata ora combattendo col nemico, ora con la mia misera umanità, che ancora non posso vincere né superare, ma con grave pena il povero spirito deve soggiacere alla debolezza umana. Mio Dio! quando mai sarà che potrà lo spirito signoreggiare sopra se stesso, conculcando con sommo disprezzo la propria carne, le proprie inclinazioni? Caro Gesù mio, per i vostri meriti infiniti, fatemi possibile per grazia quello che per natura mi si rende impossibile.