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28 – HO STABILITO IL MIO TRONO NEL TUO CUORE
28.1. Chi vuole me venga a te
Riprendo
a raccontare quanto mi seguì nello spirito il dì 20 agosto 1815. Così
la povera Giovanna Felice: in brevi parole accenno a quanto mi seguì il
20 agosto 1815, nella santa Comunione si degnò il mio Signore di
stabilire il suo trono nel mio povero cuore. Oh, che grazia è mai
questa! non mi è possibile manifestare l’amore, l’affetto, la
particolare carità che mi comunicò l’amante Signore, che con somma
festa ed applauso venne a me, corteggiato dai più nobili della sua
corte celeste, qual principe amante venne a me, e tutto amore così mi
parlò: «Qual contento è per me regnare in te! Figlia, chi vuole me, venga a te, che mi troverà piacevole, benigno, misericordioso».
A
queste amorose parole l’anima mia restò immersa nella piena delle
infinite misericordie di Dio. Nel tempo che l’anima godeva l’unione più
intima che mai dir si possa, e stava godendo i castissimi
abbracciamenti del suo celeste sposo, tra i casti suoi abbracciamenti
godeva la felicissima immersione delle sue infinite misericordie.
Nuovamente la sua dolcissima voce mi fece ascoltare; ma pure non è
voce, ma la maniera con cui usa parlarmi è tutta nuova, ma l’anima mia
bene intende i dolci affetti suoi e i dolci tratti della sua carità.
Così soavemente mi parlò: «Ho stabilito il mio trono in te. Mi
compiaccio di abitare nell’anima tua; figlia, oggetto delle mie
compiacenze. Ricevi la piena delle mie misericordie».
A queste
parole l’anima restò sommersa in un torrente incomprensibile di acqua
viva, che scaturiva dal seno di un vastissimo monte. Questo distinto
favore non solo per molte ore tenne assorto in Dio il mio spirito, ma
per molti giorni godetti un particolare raccoglimento e diverse
illustrazioni e cognizioni molto particolari, come in appresso
rozzamente dirò.
28.2. Manifesta le mie eterne misericordie
Il
dì 21 agosto 1815 si tratteneva il mio spirito in umili sentimenti, e
tutto annientato in se stesso non poteva comprendere come mai fosse
possibile che un Dio immenso, eterno, infinito, potesse trovare in me
le sue compiacenze; mentre io mi riconoscevo tanto vile, tanto
miserabile. Ma da nuovo raggio di luce fu illuminato il mio intelletto,
e così potei conoscere quanto glorioso sia per il mio amorosissimo
Signore l’avermi cavato dall’abisso del nulla, e quanta compiacenza
abbia il suo infinito amore nell’avermi da questo nulla sottratto.
Conobbi ancora come il genere umano davanti al suo tremendissimo
cospetto era come non fosse.
A questa cognizione molto bene
circostanziata, ma per la mia insufficienza non so manifestare, piena
di ammirazione, diceva la povera anima mia: «Mio amorosissimo Dio, e
come mai vi siete degnato di trovarmi in questo nulla? Conosco, o mio
Dio, che per cavarmi dal nulla impiegaste la vostra infinita potenza,
sapienza e bontà infinita».
Intanto lo spirito si andava
inoltrando in queste considerazioni, e si stupiva in se stesso, e
ardentemente amava l’amante Signore, che si compiaceva, per mezzo di
nuova illustrazione, di farmi intendere come è molto glorioso il fine
per cui mi ha dato l’essere; e, pieno di compiacenza, mi fece conoscere
quante grazie, quanti doni mi aveva compartito, per condurmi al fine
glorioso dei suoi disegni.
«Mira», mi disse il mio Signore, «mira quanto mai sono stato sempre liberale con te!».
Alle sue parole mi si schierarono alla mente tutte le grazie, tutti i
doni, tutte le virtù, in una parola tutte le misericordie generali e
particolari e soprannaturali che, dal mio nascere fino al giorno
presente, l’eterno Dio si degnò compartirmi. A cognizione tanto
particolare, la povera anima mia si stupì; e, sopraffatta
dall’ammirazione di tanti favori, lodava, amava, benediceva,
ringraziava con particolare affetto il suo Signore.
Dalla
considerazione di tanto bene, passai a riflettere alla mia cattiva
corrispondenza. Riconobbi la mia ingratitudine; in maniera particolare
a questa cognizione fui sopraffatta da dolore tanto eccessivo di avere
offeso il mio Dio, che la contrizione provò veramente a spezzarmi il
cuore. Veramente il sopravvivere a questa contrizione lo reputo un
miracolo della grazia di Dio. La violenza del dolore opprimeva il mio
cuore, e dagli occhi tramandai un profluvio di lacrime; ma le mie
lacrime vennero interrotte dalla dolcissima voce del mio Signore, che,
secondo il solito, così mi parlò: «Non ti stupisca la tua miseria,
volgi il tuo sguardo e mira!».
Volgo lo sguardo e vedo
nuovamente schierate alla mia mente tutte le opere virtuose, che con la
grazia di Dio ho esercitato dal primo uso di ragione fino al momento
presente. Mio Dio, qual confusione!
«Scrivi», soggiunse l’amante Signore, «scrivi i buoni effetti che ha prodotto in te la mia grazia».
A questo comando mi misi a piangere dirottamente, e umilmente lo
supplicai a dispensarmi l’obbedire. Allora si degnò di farmi intendere
che il manifestare i suoi favori e tacere le virtù sarebbe lo stesso
che descrivere la bellezza, la vaghezza di una pianta infruttuosa, che
rende inutili le fatiche del suo lavoratore. «Figlia», proseguì a dire il mio Signore, «diletta
figlia, perché vuoi occultare i frutti delle mie fatiche e dei miei
sudori? Scrivi liberamente, se mi vuoi compiacere, manifesta le mie
eterne misericordie».
In brevi parole accenno come ho
passato i giorni 21 fino al giorno 26 agosto 1815. Il mio spirito se
l’è passata quale figlia amante, riposando dolcemente nelle braccia del
celeste mio padre.
Oh, qual contento godeva il mio cuore! niente
cercava, niente curava, niente bramava, perché nelle sue braccia
trovavo quanto mai possa bramarsi di gaudio, di contento, unitamente ad
una interna pace, tranquillità, raccoglimento.
28.3. Amore per il prossimo
Il
dì 26 agosto così Giovanna Felice: nella santa Comunione fu sollevato
il mio spirito da particolare orazione, dove godetti i casti
abbracciamenti del mio Signore. Oh, come in profondo silenzio godevamo
scambievolmente uno dell’altra: Dio godeva dell’anima, e l’anima godeva
eccessivamente di Dio.
Molto parlavamo senza parlare, molto
operavamo senza movimento, ma tutto seguiva per mezzo di profonda
cognizione e di particolare agilità e di scienza infusami dall’eterna
sapienza, che per particolare predilezione mi partecipava lo stesso suo
bene, e unita a lui intimamente mi faceva operare cose così sante, che
non posso né so ridire.
L’anima si accese di santo amore e di
particolare carità verso i miei prossimi: qual madre pietosa per tutti
pregai, e a tutti desiderai di comunicare quel bene. Umile presentai i
miei desideri all’augusto trono della divina sua maestà, e tutto amore
lo supplicai perché a tutti compartisse la sua carità.
L’amoroso
Signore, per compiacermi, così mi parlò: «Diletta mia figlia, e cosa
mai ti potrà negare l’infinito mio amore? Sappi che non solo mi sono
care le tue preghiere, ma i tuoi desideri saranno molto giovevoli per
loro, sempre che questi siano secondo la mia volontà».
A queste
parole l’anima fu sopraffatta dalla carità; la veemenza dell’amore
incendiava il mio cuore, e l’incendio voleva sollevare il corpo; ma
quando mi avvidi di questo, feci al Signore umile preghiera, perché non
permettesse al mio corpo di potersi sollevare. Fatta la preghiera, una
forza imponente rese immobile il corpo, senza privarlo del minimo grado
del bene che godevo, ma tutta incendiata restai dalla bella vampa della
sua carità.
Dal dì 16 agosto 1815 fino al dì 29 il mio spirito
ha proseguito a godere la particolare familiarità di Dio. In questi tre
giorni, nella santa Comunione, sono stata favorita da Dio con
particolari grazie; ma mi mancano i termini per poterle spiegare, per
essere queste grazie che riguardano l’intelletto, che per essere
illuminato da particolare illustrazione dello Spirito Santo, penetra
cose molto mirabili, dove lo spirito si diffonde nella cognizione
dell’infinito essere di Dio, e in questa immensità resta perduto
affatto.
Subito che tornarono alle potenze dell’anima mia le
loro facoltà, desiderai comunicare lo Spirito del Signore a quei
sacerdoti che mi somministrano la santa Comunione; presentai il mio
desiderio all’altissimo Dio, il quale benignamente mi concesse la
grazia, cioè che tutti quei ministri del Signore, che mi
comunicheranno, godranno i buoni effetti della grazia, secondo le loro
particolari disposizioni.
28.4. In te mi renderò mirabile
Il
dì 31 agosto 1815 il mio spirito fu favorito da particolare grazia, che
io non so manifestare. Vedendomi dunque incapace di manifestare la
grazia per la sua sublimità, per non mancare all’obbedienza,
manifesterò, alla meglio che so e posso, gli effetti particolari della
suddetta grazia. Invoco il divino Spirito acciò si degni illuminarmi.
Il
mio spirito fu introdotto negli ampli spazi della divinità. Molto
grande fu la cognizione che mi compartì Dio della sua immensità, che
l’anima mia restò stupita e affatto stordita a tante meraviglie, a
tanta magnificenza. Incapace di ogni idea sensibile restai come
assottigliata per la penetrazione dell’intelletto; lo spirito godeva
una agilità che lo rendeva abile a viepiù inoltrarsi, che se non fosse
per grazia accordatami da Dio, già da lungo tempo dovrei alle volte
soffrire la grandissima confusione di vedere il mio corpo portato in
aria dalla forza dello spirito.
Di qual grado di unione mi degnò
Dio, e quante grazie mi compartì non è possibile manifestarlo. Questa
sola espressione sarà sufficiente, per dimostrare la sua particolare
carità verso di me, miserabilissima sua creatura. Conosco chiaramente
che la particolare sua carità è fondata nei medesimi suoi meriti,
mentre io più mi considero e più mi conosco miserabile e meritevole di
mille inferni.
Questa fu l’amorosa espressione che si degnò
farmi l’eterno Dio: «Ogni qualunque male sarà obbediente ai tuoi cenni.
Io», diceva l’onnipotente Dio, «io in te mi renderò mirabile, per mezzo
di opere molto meravigliose».
A sentimenti così parziali di
carità, la povera anima mia umilmente, profondamente ammirava
l’infinita bontà di Dio; e Dio, compiacendosi nell’umile abbassamento
dell’anima, tornava viepiù a sollevarla, fino ad introdurla negli ampli
spazi della divinità.
Padre, più non posso manifestare; la mia
insufficienza non mi permette di passar più oltre. In questa
comunicazione mi si mostrò Dio in un aspetto grande e magnifico,
benigno e piacevole, che non ho termini di spiegare in verità la sua
immensità. Il mio scarso talento restò ripieno, sopraffatto dalla sua
grandezza, che l’anima mia umile e rispettosa si fermò in ammirare la
sua vastità; passai poi a confrontare la mia vilissima, bassissima
condizione. A questo paragone mi profondai nel nulla, e più non mi
trovavo, mi ero perduta affatto nel profondo della santa umiltà, ma il
pietoso Dio tornò a sollevarmi, e mi fece perdere nella sua immensità.
Gli effetti che produsse in me la replicata unione sarà molto più
facile a vostra riverenza comprenderlo, di quello che a me ridirlo.
28.5. Patire per la gloria dell’eterno Dio
Dal
dì 1 settembre 1815 fino all’11 del suddetto mese, il mio spirito ha
sempre goduto una interna pace, un particolare raccoglimento dove lo
spirito operava cose molto particolari verso il suo Signore. In questi
giorni Dio si è degnato comunicarsi alla povera anima mia con molta
frequenza; ma, siccome ho trascurato di scrivere, non mi ricordo di
preciso i fatti particolari, ma so di certo di essere stata favorita
dal Signore con grazie molto particolari.
Dal dì 12 fino al dì
14 settembre 1815 racconta di sé la povera Giovanna Felice: nella santa
Comunione fui sopraffatta da particolare patimento; una interna pena,
tutta di spirito, mi faceva veramente agonizzare, ma questa pena era
tanto intima che rendeva lo spirito angustiato ed afflitto fino alla
morte, che mi pareva veramente di esalare lo spirito; ma questa pena
non infastidiva lo spirito, ma lo rendeva pacifico e mansueto; nella
pena, umile si offriva a patire ogni qualunque pena per la gloria
dell’eterno Dio, si univa a patire all’amoroso Gesù, particolarmente mi
accompagnavo alla sua penosa agonia nell’orto.