[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

26 – IL MISTERO DELLA TRINITÀ SACROSANTA


Il dì 26 giugno 1815, così racconta la povera Giovanna Felice: Mi trattenevo alla reale presenza di Gesù sacramentato, era il mio spirito, secondo il solito, afflitto da gravissime pene; era già arrivato ad un grado tanto eccessivo, che non è spiegabile, per essere cosa soprannaturale. Mi pareva allora allora di morire, di finire la vita sotto il grave peso di questa interna pena, quando, ad un tratto, lo spirito passò in uno stato di quiete perfetta, dove per mezzo di cognizione intellettuale conoscevo me stessa e Dio: nella cognizione di me stessa mi umiliavo profondamente, nel conoscere Dio mi disfacevo di amore in lacrime di contrizione.

Oh, quanto mai si affliggeva il mio spirito di avere offeso Dio di bontà infinita. In pochi momenti tanto si aumentò il dolore, che poco mancò che non restassi estinta. Passata che fui a questo grado di contrizione perfetta, somministratami dalla grazia, Dio mi fece passare ad un grado di riposo molto particolare, dove mi si manifestò Dio medesimo in un aspetto quanto mai bello e magnifico.

Padre mio, quanto più soddisfatto resterebbe il mio povero cuore di tacere, invece di manifestare cose tanto grandi e magnifiche, che la mia bassa mente non può comprendere! Io non so e non posso con verità manifestare cose così belle senza oscurare la gloria di quel Dio infinito, incomprensibile che risiede nell’alto dei cieli. Ciò nonostante, per obbedire a vostra riverenza degnissima, dopo essermi protestata avanti al cielo e alla terra di essere la creatura più vile, più peccatrice, più ignorante che mai dir si possa, a gloria dell’eterno Dio, mi accingo a manifestare l’alto favore che mi compartì.

26.1. L’augustissimo mistero della Santissima Trinità


Per mezzo di intellettuale intelligenza, volle Dio darmi in qualche maniera a conoscere l’augustissimo mistero della sua Trinità sacrosanta. Accomodandosi, per sua infinita bontà, al mio scarso talento, mi si fece vedere sotto la seguente figura. Stavo tutta intenta a quell’angolo anzidetto, sperando ogni momento il felice ingresso in quella seconda mansione, quando ad un tratto Dio, di propria mano, mi sollevò sopra l’alto di un muro. Sollevata sopra di questa altura, Dio mi si manifestò sotto la figura di una immensa luce. Era questa luce immensa figurata in tre globi, di una bellezza senza pari; in questa immensa luce la povera anima mia conosceva, per quanto ne è capace, l’infinita essenza di Dio uno e trino. Nel conoscere cose tanto alte e magnifiche, che non ho termini per spiegare, la povera anima mia, piena di rispetto e venerazione e di santo timore, si annientava in se stessa, e profondamente venerava l’augustissimo mistero della santissima Trinità. Questa immensa luce generava fuori di sé cose tanto belle, che io, per la mia insufficienza, non so ridire; ma quello che con mio stupore osservai, era che le opere generate da questa luce tornavano alla medesima luce. Per mezzo di interna illustrazione conobbi che queste sono le opere meravigliose della sua infinita potenza, della sua infinita sapienza, della sua infinita bontà. Per mezzo della suddetta luce Dio mi degnò di un grado molto particolare di unione.

Nel tempo che l’anima era sopraffatta e dall’ammirazione e dalla compiacenza, nell’atto che gli rendeva gli ossequi più veraci, l’amore mi stemperava affatto in lacrime di dolcezza e di santo affetto. In questo tempo vidi dai tre globi anzidetti scoppiare tre raggi di luce purissima, che venne ad investirmi; nell’investirmi generò nel mio cuore gli effetti più puri, più santi, più giusti che mai dir si possa. Al momento trasformarono il mio spirito in Dio. Prodotto che Dio ebbe in me questo bene, tornò a farlo suo, e in questa maniera fu medesimato il mio spirito in Dio. I buoni effetti che sperimentai non mi è possibile manifestarli. Credo certo però che sarà più facile a vostra paternità reverendissima il comprenderli di quello che io, per la mia insufficienza, spiegarli; giacché, a gloria del mio Dio, devo confessare che dopo che avessi detto quanto mai si possa dire da qualunque dottore, mai dirò quanto è in realtà.

Oh, quanto è mai grande l’amore che mi dimostrò il mio Dio in questa comunicazione! Non è spiegabile.

26.2. Un fluido che raffigura l’amore di Dio


Il dì 2 luglio 1815, così racconta la povera Giovanna Felice: fu nuovamente sollevato il mio spirito sopra il muro anzidetto; in questo luogo eminente l’anima mia fu sopraffatta dall’amore di Dio. In quel felice momento, oh quanto, oh come amava il suo Dio!

L’onnipotente Signore, per dare alla povera anima mia un attestato del suo gradimento, dall’alto di un monte altissimo, in cui Dio mi veniva figurato, tramandò un torrente di acqua viva, limpidissima.

Padre mio, io dico acqua, perché non ho termini per spiegarmi altrimenti; ma questo era un fluido che scaturiva dal monte stesso, tanto bello, tanto dolce, tanto soave che mi rapì il cuore. In questo fluido veniva figurato l’amore di Dio. Per sua infinita bontà mi favorì, con urto veemente mi rapì, in quella maniera che le veementi onde del vasto mare rapidamente uno che molto d’appresso se ne sta tutto estatico a considerare il vasto oceano, così la povera anima mia se ne stava tutta intenta ed ammirata in conoscere in Dio tanta magnificenza; più la vista dell’intelletto si stendeva e più le rimaneva da vedere, più si assottigliava e più comprendeva, si dilatava la cognizione e molto più vi era da conoscere, quando il mio povero intelletto si era tutto diffuso, si perdeva affatto nella cognizione; la povera anima mia nella cognizione amava il suo Dio teneramente, e nell’amare restò liquefatta; e così dolcemente si unì e si perdette in quel fluido anzidetto.

Ecco come fu immedesimato in Dio il mio povero spirito, e così divenne una stessa cosa con lui, per mezzo di questo fluido. I buoni effetti, che Dio mi comunicò in questa unione, mi resero un attestato certo dell’alto favore ricevuto. L’ardente fuoco della carità incendiava il mio cuore; la mia ignoranza non mi permetteva sapere di qual grado fosse questa unione, ma il buon Dio volle manifestarmi l’alto favore per mezzo d’intellettuale intelligenza, mi diede a vedere il mio spirito tutto contenuto, tutto unito al suo infinito essere. Cosa più eccelsa di questa non si dà. Io, per la mia insufficienza, non lo so manifestare, né con giustizia comprenderlo, ma ben lo compresero i santi Angeli che, a schiere a schiere, venivano una dopo l’altra ad encomiare l’alta bontà di quell’onnipotente Signore, ricco di misericordia, che si compiace trionfare sopra i peccatori. Questi sublimi spiriti restarono attoniti nel vedermi tanto innalzata sopra la grazia, per l’alto favore compartitomi dall’infinita bontà del sommo Dio.

26.3. Notizia di una futura prova spirituale


Il dì 4 luglio 1815 ebbi una notizia interna, dove mi si fece sapere che nell’andar del tempo vi sarà un sacerdote che, esaminando il mio spirito, sarà di parere che per provare il mio spirito debba vostra paternità commettere ad altro direttore la cura della povera anima. Mi pareva che vostra reverenza fosse obbligato, contro sua voglia, di adottare questo consiglio, sebbene gli costava molta pena, lo zelo però della maggior gloria di Dio superava in vostra paternità la pena, e ne recava generoso a me la notizia.

La povera anima mia si assoggettava prontamente ad obbedire, mediante le sue parole, ripiene della carità di Gesù Cristo, che mi dimostravano esser questa la volontà di Dio; ma quello che mi pareva che breve sarebbe la nostra separazione, mentre Dio si degnava di manifestare chiaramente la veracità dello spirito.

26.4. Una particolare presenza di Dio


Dal 4 luglio 1815 a tutto il dì 15 del suddetto mese, il mio spirito se l’è passata in certe orazioni che poco ne posso render conto, perché la povera anima mia non cercava di conoscere Dio per mezzo di speculazioni, né per mezzo di riflessioni riguardanti le sue perfezioni, ma subito fatta l’orazione preparatoria, in cui impiegavo un quarto, e alle volte una buona mezz’ora, per cagione delle distrazioni, ma subito che lo spirito poteva, per mezzo della grazia di Dio, trovare un momento per fissare Dio, più non curava altra cognizione, ma di volo se ne andava a Dio, e in lui riposava dolcemente, senza alcun desiderio di conoscere di più di quello che conosceva, ma tutta abbandonata nel paterno suo seno, riposava con somma sicurezza tra le sue braccia.

In questo tempo io non so dire cosa facessi, so bene però che l’anima mia amava il suo Dio teneramente; testimoni dell’amore erano le dolci lacrime che in larga copia scorrevano dai miei occhi.

Tutti questi giorni li ho passati nel modo suddetto. Questa orazione rendeva al mio spirito una particolare presenza di Dio, di maniera che le giornate intere mi passavano in continua quiete, tenendo lo spirito, più o meno, sempre assorto in Dio.

26.5. Sorella mia sposa, mi hai ferito il cuore


Dal giorno 15 fino al giorno 17 del suddetto mese di luglio 1815, il mio spirito si è occupato nel meditare la passione e morte del suo Signore. In questa meditazione si è degnato Dio di compartirmi molte lacrime di compassione dei suoi dolori, di dolore per averlo offeso con tanta ingratitudine, di gratitudine nel vedermi tanto beneficata, nonostante la mia ingratitudine, tra lacrime finalmente di amore, desiderando ardentemente di amarlo con tutta l’ampiezza del mio povero cuore, per compensare in qualche maniera l’amore tradito, offrendomi a patire qualunque pena per l’oggetto amato. L’amore veemente riconcentrava lo spirito intimamente, dove mi pareva trattenermi familiarmente con il mio Signore.

«Gesù mio», diceva la povera anima mia, piena di santo affetto, «caro Gesù mio, ditemi cosa pensavate voi, quando io mi ero allontanata da voi con tanti peccati. Pensavate voi forse di incenerirmi con i fulmini della vostra irritata giustizia? o con aprirmi la terra sotto i piedi, per farmi da questa ingoiare, e così farmi provare il rigore della vostra giustizia per tutta l’interminabile eternità?».

Così rispondeva il mio caro Gesù: «No, mia cara figlia», diceva l’amante Signore, «no, mia cara figlia! Io peroravo la tua causa presso il Padre mio, con tanta premura, come se la mia felicità dipendesse dal possedere il tuo amore. Sorella mia sposa, mi hai ferito il cuore, amante ti invito a morire in croce».

A tali parole l’anima mia bruciò di amore. Oh incendio amoroso del mio buon Signore, partecipe rendi il mio povero cuore! Era tanta la fiamma che ardeva nel mio seno, che l’anima languiva di amore.

Dal giorno 18 luglio 1815 fino al 25 del suddetto mese, racconta la povera Giovanna Felice di sé: il mio spirito in questi giorni se n’è stato godendo un particolare raccoglimento, dove più o meno godeva la familiarità di Dio; mi trattenevo alla sua presenza, ora piangendo i miei peccati, ora sperando nelle sue divine misericordie, ora desiderando ardentemente di amarlo, porgendo verso di lui infocati sospiri e lamentevoli gemiti; offrendo tutta me stessa, desideravo patire quanto mai dir si possa, per compiacerlo.