[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A
A
A
A
A
24 – SARAI ANNOVERATA TRA LE VERGINI
Il
dì 14 aprile 1815 nella santa Comunione il mio spirito fu favorito di
particolare grazia, ma essendo cosa intellettuale, poco posso esprimere
l’alto favore che mi compartì il mio Signore. Dopo avermi a sé tirata
soavemente, si degnò porgere all’anima mia preziosa, squisita bevanda,
nella quale mi si dava tutto se stesso, io non so spiegare i mirabili
effetti che produsse nel mio cuore questo prezioso dono.
Il dì
16 aprile 1815 nella santa Comunione il Signore mi ha manifestato come
la mia ingratitudine non ha né diminuito né alterato l’infinito suo
amore, che ha sempre portato alla povera anima mia, nonostante la mia
ingratitudine, si è degnato compartirmi tutte quelle grazie che mi
avrebbe concesso, se avessi corrisposto fedelmente alle sue grazie
senza offenderlo. Mi si è dato a conoscere tutto festoso per il
contento che ha di possedermi.
A questa cognizione la povera
anima mia si profondava nel suo nulla, detestava la sua ingratitudine,
piangeva amaramente, lagnandosi con l’amato suo bene, dubitando che il
suo parziale amore verso di me sia disdicevole al suo onore, alla sua
gloria. La povera anima mia voleva quasi allontanare da sé questo bene
come suo, rinunciando molto volentieri al suo proprio interesse, per
l’amore e per l’onore del suo Dio, per timore di oscurare la sua
gloria, che unicamente ama.
Quando il Signore, per mezzo di
particolare illustrazione, mi ha dato a conoscere che le colpe mie non
sono pregiudizievoli né al suo onore né alla sua gloria; pieno di santo
affetto così mi disse: «Figlia, diletta mia, né a me, né a te recano
danno le colpe tue. Non ti sono per questo né diminuite, né ritardate
le grazie mie, ma tutte in un cumulo ti sono donate dall’infinito mio
amore. Sarai annoverata tra le vergini, e di queste occuperai uno dei
primi posti. Figlia, oggetto delle mie compiacenze, prodigio della mia
misericordia!».
Queste divine parole formavano nel mio
intelletto una serie molto vasta di cognizioni, e speculandole nel
giusto senso, lo spirito riteneva per sé il nulla, con retta giustizia
rendeva al suo Dio l’onore e la gloria. Non mi è possibile ridire di
quanto contento sia stato al Signore questo atto di giustizia; mi dava
a conoscere che non vi è cosa a lui più gradevole di questa, di
ritenere il proprio nulla e ridonare a lui il dono suo. Questo atto di
giustizia par che necessiti Dio ad amare la povera anima mia così
fortemente, che, per l’amore veemente che sente verso di questa,
rapidamente la investì, rendendola sua, con l’unirla a sé intimamente.
24.1. Eccessi della bontà divina
Lo
stesso giorno 16 dopo il pranzo, giorno che ricorreva la festa del
patrocinio del patriarca san Giuseppe, mio avvocato, mi trattenevo
all’adorazione del SS. Sacramento. Piena di affetto ringraziavo il
Signore della grazia grande che si è degnato compartire alla misera
anima mia, di non averla privata delle grazie, nonostante la mia
ingratitudine, come si disse di sopra. Si struggeva di amore e di
tenerezza in lacrime, e tutta gratitudine verso l’amato Signore si
volgeva invitando tutte le creature del cielo e della terra a
ringraziare Dio per me.
In questo tempo si è sopito il mio
spirito, e mi parve di essere trasportata in un luogo ameno e
delizioso, dove vidi il mio spirito sotto la forma di leggiadro
giovanetto, dotato di doni molto insigni; e questi doni non li
possedeva per se stesso, ma per la grazia di Dio gli venivano
compartiti. Non mi è possibile spiegare tutte le belle doti di questo,
ma per non mancare all’obbedienza, qualche piccola cosa dirò.
Era
questo giovanetto di una bellezza senza pari, agile nel portamento,
sottile nell’ingegno, al pari del sole risplendente, chiara aveva la
memoria, l’intelligenza era il suo intelletto, di santo amore aveva la
volontà ripiena, da molti spiriti angelici era corteggiato; questi
sublimi spiriti, conoscendo la grande opera del Signore, restavano
ammirati, lodavano e benedicevano Dio. Questi si tenevano per fortunati
il potermi presentare all’augusto trono di Dio, loro Signore.
Intanto
andava inoltrandosi questo fortunato spirito verso l’amato suo Signore.
Mio Dio, e come potrò io manifestare i mirabili eccessi della vostra
infinita bontà e misericordia? Vorrei per rispetto occultarli, ma
l’obbedienza mi obbliga a manifestarli. Anima mia, perché ti arresti, e
che non ricordi quello che ti disse il tuo Signore, che avessi
manifestato liberamente il tuo spirito, che lui ne riceveva onore e
gloria?
Mio Dio, mi accingo a manifestare le vostre
misericordie. Cosa mai dirò? già mi perdo. Padre mio, per carità, mi
dica se vide mai amore più grande di quello che Dio porta alla
peccatrice anima mia. Mio Dio, a voi mi rivolgo, e adesso confesso, a
gloria vostra, di provare i buoni effetti delle vostre amorose
espressioni, quando mi faceste sapere dal bel principio delle vostre
misericordie, che avreste favorito la povera anima mia non meno di
quello che vi degnaste favorire le vostre serve fedeli, di una
Geltrude, di una Teresa. Vengano pure queste due sante a dire se
ricevettero nelle belle anime loro maggior favore di questo, che io non
so manifestare; per la sublimità di tal favore, mi degnò il buon Dio di
unione così particolare, che non può comprendersi da umano intelletto;
neppure la povera anima mia fu capace di comprendere la sublimità di
questa unione, benché ne godesse i buoni effetti.
Dal dì 26
aprile 1815 fino al dì 30 del suddetto mese il mio spirito ha goduto
una interna quiete, unitamente ad una contrizione molto bene ordinata,
per mezzo della quale la povera anima mia si umiliava profondamente
sino all’abisso del nulla. Questi buoni sentimenti si aumentavano molto
più nella santa Comunione, lasciando nel mio cuore un raccoglimento
molto particolare, che mi teneva tutto il resto della giornata occupata
in santi affetti verso Dio, godendo della sua presenza ora più ora
meno; ma diverse volte nei suddetti giorni, dopo la santa Comunione, mi
seguì un certo fatto, che non so manifestare con chiarezza. Il fatto è
che, tutto ad un tratto, al mio spirito, per mezzo di particolare
intelligenza, gli si manifestava Dio, non palesemente, ma con somma
occultezza veniva il mio spirito notiziato di cose molto grandi,
riguardanti Dio medesimo; questo seguiva in me per mezzo di scienza
infusami da raggio prodigioso di luce, ma nella magnificenza della
cognizione, si perdevano le potenze dell’anima mia nella stessa
magnificenza. Senza più sapere se in quei momenti vivessi più al mondo,
ma tutta persa ed occupata in Dio, se ne stava la povera anima mia
quando l’anima tornava nei sensi, si sentiva come staccare da questo
bene perfetto, che le comunicava la vita. Questo stacco era molto
sensibile, e cagionava all’anima un forte, ma dolce deliquio, che la
teneva tutta la giornata fuori di sé, languendo di amore.
Altri
due fatti, seguitimi nel suddetto mese di aprile, tralasciati per
dimenticanza: pregando per tre anime a me attinenti, ebbi la bella
sorte di sapere che Dio si sarebbe degnato, per la sua infinita bontà e
misericordia, di salvarle per mezzo delle mie povere orazioni e
continue lacrime. Quante volte io lo voglia e desideri, mi fu fatto
intendere che alle mie premure sono affidate le suddette anime, questa
fu la notizia che ne ebbe da Dio il mio povero spirito. Questo mi seguì
il dì 13 aprile 1815.
Il dì 17 aprile poi, non so troppo
spiegare cosa mi seguì nel mio spirito. So bene che mi fu manifestato
come vostra paternità, con la grazia di Dio, appoggia e sostiene la
povera anima mia, e come questa si appoggi con sicurezza alla sua
direzione, e come vostra paternità la presenta a Dio, e come Dio si
degna riceverla.
24.2. Un misterioso ostacolo tra me e Dio
Dal
primo di maggio fino al giorno 8 del suddetto mese, il mio spirito
nelle orazioni soffre una pena ben grande. Il mio spirito è chiamato
intimamente da Dio, questo va sollecitamente alla dolce chiamata;
macché, un ostacolo mi si frappone e mi impedisce di andare a Dio
liberamente. Io non so cosa sia questo; so bene che mi cagiona gran
pena, perché nel tempo che spero di godere il sommo bene, ne sono
respinta, non con violenza, né con sdegno, ma con dolcezza, senza mai
perdere la vista del mio Dio; ma mi viene da questo ostacolo
contrastato il possesso, non potendo ottenere il possesso del sommo
bene a cui aspiro, il mio spirito si annienta in se stesso,
nell’annientarsi che fa lo spirito, da forza superiore ne è sottratto.
In
questo tempo perdo ogni cognizione intellettuale, e per qualche tempo
restano sospese le potenze dell’anima, e il corpo resta alienato dai
sensi, senza conoscere cosa alcuna; ma per parte di notizia molto
occulta, so benissimo di essere in questo tempo favorita dalla grazia
di Dio.
Dal giorno 9 maggio 1815 tutto il giorno 10, il mio
spirito ha goduto particolar favore dall’infinita bontà di Dio, che mi
ha degnato di grazia molto particolare, ma io non so manifestare.
24.3. Favorita dalle tre divine Persone
Il
dì 13 maggio 1815 nella santa Comunione fu la povera anima mia favorita
dalle tre divine persone, unitamente e distintamente ricevetti grazie
da loro. Non so dir di più, perché nel ricevere questo favore perdetti
ogni uso di ragione, e stette la povera anima mia fuori di se stessa
circa un’ora e mezza. Dopo di questo tornarono alle potenze le loro
facoltà, e nuovamente ricevetti grazie. Mi fu mostrato il mio spirito
sotto la forma di nobile giovanetto, bello nel volto e agile nel
portamento, adorno di bellissimo scapolare trinitario, bianco con croce
sfolgoreggiante di luce.
Il nobile giovanetto portava nella mano
destra un masso di luce risplendentissima; questo masso di luce, così
da me chiamato, per non aver termini adatti per spiegare cosa così
bella e di sommo valore, qual era questa luce, con la quale il mio
spirito si presentava liberamente al suo Dio, e da Dio era benignamente
ricevuto. In questa guisa adorno, fu dai santi patriarchi Felice e
Giovanni e dai santi Re magi presentato all’augusto trono di Dio. Molti
spiriti celesti mi facevano corona d’intorno, e pieni di ammirazione
lodavano e benedicevano Dio. Questi nobili personaggi mi presentarono
al celeste mio Re, il quale benignamente mi ricevette tra le sue
braccia; si degnò farmi gustare il prezioso liquore che scaturiva dal
suo amoroso cuore.
Oh, quanto mai era dolce e soave! la povera
anima mia restò come inebriata dalla fragranza e dalla soavità, ma
quando tutta liquefatta se ne stava, l’amante mio Re mi invitò ad
entrare nel suo cuore. Oh, come l’amore apriva la nobile ferita! con
quale amore mi introduceva ben dentro, non è spiegabile! Di qual sorta
furono i replicati inviti dell’amoroso suo cuore non è di mente umana
il comprenderlo; neppure io, che ne godetti i buoni effetti, ne
comprendevo la gran vastità.
Entrata che fui in quell’amorosa
caverna, chi lo crederebbe? trovai nel suo venerando cuore cose così
grandi e magnifiche, che non so paragonarle a nessuna cosa del nostro
mondo, per bella e magnifica che sia.
Introdotta che fui negli
ampli spazi di questa vastità, godeva la povera anima mia quanto di
dilettevole e di bello possa mai trovarsi sulla terra, ma in una
maniera che non è spiegabile.
24.4. Per giovare ai poveri fratelli peccatori
Il
dì 18 maggio 1815, nella santa Comunione, era il mio spirito tutto
intento ad amare Dio; il mio povero cuore si distendeva per quanto mai
poteva, e raccogliendo tutti i suoi affetti si slanciava con tutta la
forza verso il suo Dio. L’amoroso Signore benignamente la unì a sé
intimamente. Dopo avermi dato gli attestati più cordiali della sua
carità infinita, che si compiace di avere verso di me, mi fece
intendere come desiderava che il mio spirito si fosse perpetuato alla
sua presenza, ai piedi del sacro altare, per adorarlo in spirito e
verità nell’augustissimo sacramento dell’Eucaristia.
Mi fece
intendere che, per mezzo della sua infinita sapienza, e con la mia
cooperazione, potevo perpetuare il mio spirito alla sua presenza, per
adorarlo nel SS. Sacramento dell’altare. A questo oggetto si degnò
donare alla povera anima mia tre gradi di maggior grazia. Mi fece
intendere che avessi soggettato all’obbedienza quanto mi era stato
manifestato.
La povera anima mia, dubitando di non riportare dal
mio direttore la licenza, ne mostrai al mio Dio la difficoltà, il quale
mi assicurò che dal mio direttore ne avrei riportato benignamente la
licenza. Mi fece intendere come, per mezzo di interna cognizione,
avrebbe manifestato la sua volontà al mio direttore, il quale non solo
avrebbe approvato quanto avrei riferito, ma mi avrebbe comandato di
fare ciò.
Ed infatti così seguì. Il mio direttore non solo
approvò, ma mi comandò di fare alla meglio che mi fosse possibile, con
la grazia di Dio, quanto mi era stato manifestato.
Ottenuta dal
suddetto la licenza ed il comando, mi presentai tutta amore, tutta
carità al mio buon Dio, e, fatta un’amplissima offerta di perpetuarmi
alla meglio che mi fosse possibile alla sua presenza, ebbi la bella
sorte di sapere che molto potevo giovare ai poveri peccatori, fratelli
miei, che amo teneramente, per essere io una dei capi tra loro.
Molte
grazie mi promise di concedere a tutte quelle anime che sono a me
unite, e a tutte quelle che mi beneficano e che saranno da me
raccomandate, mi promise ancora che tutte quelle anime che mi si
soggetterebbero godrebbero pace di coscienza. A queste misericordie di
Dio, il mio spirito si profondava nel suo nulla, ammirava l’infinita
liberalità sua verso di me miserabile peccatrice, e, lodando e
benedicendo la sua infinita bontà, mi confessavo meritevole di mille
inferni.
24.5. Trasformata dalla Trinità
Lo stesso
giorno, 18 maggio 1815, dopo il pranzo, nell’assistere alla novena
della SS. Trinità, si tratteneva il mio spirito in santi affetti verso
l’augustissimo sacramento; si protestava di voler star sempre con lui,
e, piena di amore, offriva all’eterno Padre gli alti meriti del buon
Gesù, per mezzo del quale offriva tutta me stessa all’augusta Trinità.
Tutto
ad un tratto si sopì lo spirito e mi fu mostrata l’anima mia sotto la
forma di nobilissimo tempio, dove vedevo magnifico altare, adorno di
preziosi ornamenti, molto diversi dai nostri. Nel vedere tanta
magnificenza, il mio spirito fu sopraffatto dall’ammirazione. Non
poteva comprendere la cagione di tanta magnificenza. Terminata la
novena, vidi apparire i santi patriarchi Felice e Giovanni che,
avvicinatisi all’altare, aprirono il sacro ciborio, e presa nelle loro
mani la sacra ostia, la posero in una sacra patena di oro finissimo,
pieni di rispetto e riverenza, servendosi delle stesse cerimonie della
Chiesa, la condussero nel tempio dell’anima mia, e la collocarono sopra
il magnifico altare, come già dissi.
A grazia così particolare
il mio spirito restò per qualche momento sopraffatto dallo stupore,
estatica nel contemplare il grande amore del mio caro Gesù, quando
improvviso dardo si vide dalla sacra ostia scoppiare e venne sollecito
ad incendiare il mio cuore. L’amabile saetta mi fece morire e poi mi
ridonò la vita. L’anima mia, piena di affetto, rivolta ai santi Felice
e Giovanni: «Miei cari padri, deh, ditemi voi, dunque io più non vivo,
ma vive in me Dio, che vita mi dà!».
Seguìto questo fatto, i
santi patriarchi, pieni di compiacenza per il favore ottenutomi dalla
divina Trinità, pieni di santo amore, unirono il povero mio spirito al
loro sublime spirito, e ambedue li offrirono all’augusta Trinità.
Restarono i sentimenti privi di umana forza e ogni idea sensibile
dell’anima sparì; il corpo restò immobile almeno per ben tre quarti,
poi con fatica e stento andai alla mia casa, e appena fui arrivata mi
posi a sedere, e come morta affatto, senza proferir parola, senza
cambiarmi l’abito, come sono solita.
Le figlie si affliggevano,
vedendomi in quello stato di moribonda, pallida, che dà l’ultimo fiato.
Per grazia dell’Altissimo, potei dire a loro: «Ritiratevi in camera,
non vi prendete pena». A questo mio comando sovente si partirono, e mi
lasciarono sola.
Oh, come in un baleno fu affatto incenerito il
mio spirito dal prodigioso dardo! E per un’ora buona restai morta
affatto. Quando tornai nei sensi, una nuova vita mi parve respirare.
Ebbra di amore santo, con umile sentimento, piena di santo affetto,
così presi a parlare: «Mio Dio, dimmi dove apprendesti amore, e come
senza merito tu mi potesti amare. Mio Dio, più non rammenti l’enorme
tradimento? Oh, prodigioso amore! io non ti comprendo!». La testa mi
vacilla, e il mio cuore, ripieno di nobile carità; la celeste fiamma fa
prova di scoppiar l’alma dal seno, una dirotta pioggia di lacrime
scorrevano dagli eclissati occhi, che appena distinguevano;
un’attrazione di amore unita a santi affetti mi tenevano sopita, senza
poter riflettere. Intanto la bella fiamma ardeva nel mio seno e si
struggeva in lacrime il povero mio cuore. Che grazia è questa mai, che
non si può comprendere? Mio Dio, il tuo immenso amore fuori di te ti
trasse, non ti si può comprendere! Per beneficarmi, cosa facesti mai?
Mi mancano i termini, non posso più spiegare.