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23 – RIPOSA SICURA TRA LE MIE BRACCIA


Il dì 17 febbraio 1815, giorno di venerdì, così Giovanna Felice: nella santa Comunione fui invitata ad accompagnare il buon Gesù al Calvario. Non mi è possibile spiegare la pena, l’affanno che soffrì la povera anima mia nel contemplare le sue pene. L’anima mia partecipava delle sue acerbissime pene, per mezzo della viva compassione; l’amor doloroso faceva mie le pene sue, e struggendomi di amore e di compassione cresceva a dismisura la pena mia. Credevo veramente ogni momento di finire dal dolore la vita. Questo fatto durò dalle ore 16 e mezza circa fino alle ore 22, il mio corpo in questo tempo ora perdeva ogni idea sensibile, e ora restava affatto alienato dai sensi, tutto il resto della giornata poco e niente fui presente a me stessa.

Il dì 18 febbraio 1815, Giovanna Felice nella santa Comunione: il Signore mi ha dato a vedere la povera anima mia sotto l’immagine di pecorella. Mio Dio! qual pena mi recava questa povera pecorella, perché aveva diversi mali: la testa era inferma, nel fianco destro vi era un brutto sfregio sanguigno, ma grazie a Dio non era né marcio né piagato, aveva della lana mancante sopra il suo dorso, in una parola questa povera pecorella faceva compassione per la sua miseria. Nel vedermi così imperfetta e male acconcia, piangendo amaramente, feci ricorso al mio buon Signore, e con umile sentimento gli dicevo: «Sana animam meam, quia peccavi tibi», e piangendo e pregando mi disfacevo in lacrime, quando ho veduto apparire il buon Gesù sotto la forma di pastorello, che tutto amore verso di me si approssimava, e, presa ad accarezzare l’amata sua pecorella, la curò dei suoi malori; ma quello che con mio sommo stupore osservai, fu la diversità dei rimedi che applicò per guarirla.

Tre erano i mali a cui andava soggetta la suddetta pecorella, e di tre diversi rimedi si servì il buon pastore per guarirla. La testa la curò con la sua preziosa saliva, per così dimostrarmi che la mia ignoranza viene curata dalla sua infinita sapienza; il fianco destro lo curò con il suo prezioso sangue, astergendolo leggiadramente; poi impose all’anima mia di lambire il fianco infermo, per così dimostrare l’obbligo che mi corre di cooperare alla sua grazia. Al momento restò sanata la testa e il fianco. Il caro pastorello, compiacendosi della guarigione della povera pecorella, la prese ad accarezzare, nell’accarezzarla andava crescendo la lana nei luoghi mancanti, e la rendeva quanto mai bella, e compiacendosi in questa, per poterla più comodamente accarezzare, si adagiò in magnifico sedile, la invitò a riposare nel casto suo seno. Collocata che si fu l’anima mia nel paterno suo seno, oh cosa mai sperimentò il mio povero cuore di amore, di rispetto, di venerazione verso l’amato Signore, che amorosamente mi andava accarezzando, e sciogliendo la sua lingua in santi affetti, così prese a consolare la povera anima mia: «Figlia diletta», diceva, «riposa sicura nelle mie braccia. La pace, la tranquillità ti accompagneranno fino alla tomba. Non temere i tuoi nemici. E se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere? chi ti potrà sovrastare? Figlia, diletta mia, riposa in pace tra le mie braccia», e prendendo un’alta compiacenza nel beneficarmi, mi stringeva amorosamente tra le sue braccia.

23.1. Illesa in mezzo a tanto fuoco impuro


Il dì 20 febbraio 1815 Giovanna Felice così racconta di sé: Mi trattenevo in orazioni, quando il Signore, per mezzo di particolar cognizione, mi fece conoscere quanto grande era il suo amore verso di me, benché lo avessi abbandonato con il peccato. Mi fece vedere come in quel tempo la povera anima mia se ne stava infelice lontana da lui, dimentica affatto del suo amore e della sua divina legge. Vedevo questa misera sola in mezzo ad una ciurmaglia di popolo mal costumato, immerso nel vizio. La povera anima mia la vedevo tutta intenta ad osservare le azioni altrui, senza però apprendere la malizia di quelli, ma come una semplice fanciulla, che nel vedere operare cose indegne non resta per queste scandalizzata, non apprendendo di quelli la malizia, ma tutto con somma semplicità interpretava a buon senso, così restava affatto illesa dalla corruzione del peccato.

Nel conoscere la povera anima mia questa grande opera del Signore, si disfaceva in lacrime di tenerissimo amore verso la infinita sua potenza, sapienza e bontà; mentre chiaramente conoscevo e confessavo la mia fragilità, piena di ammirazione non mi potevo persuadere come mai le fosse possibile alla povera anima mia di rimanere illesa in mezzo a tanto fuoco impuro. Piena di ammirazione si volgeva verso il suo Dio, e piena di santo affetto e sommissione gli domandavo come fosse possibile ad una creatura fragile sostenere la piena della corruzione e non perire in quella.

Il Signore si degnò farmi conoscere donde aveva origine portento così meraviglioso; mi fece intendere come lui stesso stava alla porta del mio cuore, e a mano armata impediva alle passioni di potersi introdurre nel mio cuore. Comandava poi agli Angeli santi di darmi prezioso liquore, per mezzo del quale veniva compartita all’anima mia una semplicità soprannaturale, e così restava immune dalla malizia altrui. Quali e quanti furono i ringraziamenti che la povera anima mia rese al suo Signore! E il buon Dio, compiacendosi di avermi così beneficata, amorosamente mi stringeva al suo castissimo seno.

23.2. Venerdì Santo


Dal 20 febbraio fino al 20 marzo 1815 il mio spirito si è impiegato in piangere i propri peccati. In questo tempo però si è degnato il Signore di favorire il mio povero spirito per ben tre volte, col sollevarlo ad una particolare unione. Particolarmente il giorno 9 marzo mi seguì un certo fatto, che io non so ridire, per essere cosa intellettuale; ma, per non mancare all’obbedienza, procurerò di spiegare alla meglio la cognizione che ebbe il mio intelletto.

Mi si mostrò Dio sotto la figura di forte guerriero armato, e con la sua spada vendicatrice era sul momento di vendicare i gravi torti che riceve dai suoi. E, ridendo ed esultando, m’invitava ad esultare con lui; ma la povera anima mia era sopraffatta da mestizia così profonda, che invece di esultare, piangeva amaramente; perché conosceva chiaramente quale strage sarebbe Dio per fare con la sua spada vendicatrice.

A questa cognizione tanto lacrimevole ed afflittiva, procuravo per quanto potevo di resistere a Dio, non con il fatto, né con le parole, ma mostrandogli il mio gran dispiacere e la mia grande pena. Il buon Dio tornava di bel nuovo ad invitarmi ad esultare con lui, non solo m’invitava ad esultare con lui, ma per mezzo di particolare illustrazione mi dava a conoscere quanto retto e giusto fosse il suo operare.

Io, a questa cognizione, piena di umiltà, confessavo questa gran verità, che Dio è giusto e retto in tutte le sue opere; ma il mio cuore ciò nonostante non poteva esultare, anzi per quanto potevo mi opponevo e facevo a Dio resistenza, nel tempo stesso che confessavo con ogni sincerità che la creatura non può né deve opporsi al suo Creatore. Ciò nonostante mostravo al mio buon Dio la grave mia pena. Gli dicevo, piena di santo affetto: «Ah, potessi con il sangue mio risparmiare al mondo il tremendo castigo, oh quanto volentieri lo spargerei! Mio Dio, ti muova a compassione la pena mia».

A questa preghiera tornava il buon Dio a persuadermi. In questo contrasto si è trattenuto il mio spirito dal giorno 9 di marzo 1815 fino al giorno 14 del suddetto mese, giorno di venerdì santo; nell’assistere alla devozione delle tre ore dell’agonia di nostro Signore Gesù Cristo, tanto si era internato lo spirito nella considerazione di questo doloroso mistero, che quattro ore continue stetti in ginocchioni, dimentica affatto di me, solo intenta a compassionare il mio Signore e piangere la mia ingratitudine, che fu la cagione di tanto scempio. Con abbondanti lacrime gli domandavo perdono, e, afflitta fino all’ultimo segno, desideravo morire in croce con lui.

Dopo aver passato circa tre ore in questa considerazione, tutto ad un tratto il Signore fece passare il mio spirito a cognizioni tutte opposte. Di nuovo mi diede a conoscere come la sua divina giustizia a mano armata vendicherà severamente i gravosi oltraggi che tuttora riceve dai suoi... Prendendo alta compiacenza nella sua sovrana giustizia, mi dava a conoscere come avrebbe trionfato, mostrandomi il crudo scempio che è per fare dei viventi. Che spavento, che terrore ebbe mai il mio spirito! Cosa più funesta non si dà! Raccomandiamoci caldamente al Signore, perché si degni mitigare il suo rigore.

Tornò di bel nuovo ad invitare la povera anima mia ad esultare con lui; ma il mio spirito, sentendo una viva compassione fraterna, non poteva prendere compiacenza nella giustizia, anzi procuravo quanto potevo di oppormi, come già dissi.

Il Signore cercava, per mezzo di interne illustrazioni di persuadermi, e per tenermi contenta, mi fece vedere come salverebbe tutte quelle anime che mi fanno del bene, e tutte quelle che sono a me in spirito unite, ponendo sopra queste un segno che le renderebbe sicure. Nonostante tutte queste finezze, io mi opponevo ai suoi voleri col mostrargli la mia pena. Questo contrasto apportava al mio spirito molta angustia e gravissima afflizione.

23.3. Sabato santo e domenica di Pasqua


Dicevo al mio padre la grave afflizione in cui gemeva il mio spirito, ma non avevo coraggio di manifestare la causa. Finalmente il giorno 15 marzo 1815, giorno di sabato santo, manifestai al mio padre la causa della mia afflizione. Il suddetto mi disse che non dovevo oppormi a Dio; ma, a costo di ogni mia pena, dovevo compiacermi nella sua divina volontà, benché dovesse perire tutto il mondo. Non solo mi consigliò, ma mi comandò di fare una preghiera tutta conforme alla divina volontà.

La mattina di Pasqua, nella prima orazione, che sono solita fare subito levata, feci la suddetta orazione con molto raccoglimento e sincerità di affetto. Molto gradì il buon Dio l’orazione, che la chiamò orazione degna di lui. A questo elogio il mio spirito si umiliò profondamente, e presentando al mio Signore il padre mio, lo significavo autore della orazione da lui tanto gradita, e chiedendo a Dio grazia per lui con tutto l’impegno dell’anima mia, mi fu ingiunto di dirgli, per sua consolazione, che il suo nome era scritto nel libro della vita.

La suddetta mattina nella santa Comunione, il Signore mi degnò di particolar favore, all’ora della Messa cantata mi portai in Sant’Andrea delle Fratte. Nell’assistere alla Messa cantata si sopì il mio spirito, e improvvisamente mi parve di essere trasportata sopra un altissimo monte, dove vidi il buon Dio tutto ammantato di luce, compiacendosi nella sua giustizia, con la sua mano onnipotente scagliò nel nostro mondo tre pietre, in tre diverse parti della terra; poi si ammantò di caliginose nubi il cielo, e il nostro mondo lo vedevo gemere sotto il peso di spietate afflizioni, il mio spirito, a cognizioni tanto lacrimevoli, non più si opponeva al suo buon Dio con mostrargli la sua pena, ma come da nuovo spirito rivestito, sperimentavo nel mio cuore una umile soggezione alle divine disposizioni, e annientata in me stessa lodavo e benedicevo Dio senza più soffrire la minima pena, benché conoscessi quale sterminio sia per fare Dio dei viventi. Raccomandiamoci al Signore, acciò si degni mitigare la sua giustizia, molto si può ottenere con le preghiere.

23.4. I travagli della Madre Chiesa


Il dì 1 aprile 1815, giorno che la Chiesa celebrava la festa di Maria SS. Annunziata, non avendola potuta celebrare il giorno prescritto per cagione della settimana santa, dopo il pranzo mi trattenevo in una chiesa all’adorazione del SS. Sacramento, quando in un momento mi parve di essere trasportata in luogo solitario, dove tutto spirava mestizia e afflizione.

Improvvisamente vidi venire molti angeli, che i loro volti e i loro vestimenti denotavano i gravissimi travagli della nostra Madre, la santa Chiesa. Poi vidi venire altri tre Angeli, parimenti in lutto vestiti, molto più mesti dei primi; questi portavano sopra le loro spalle una pietra di smisurata grandezza, di una bellezza senza pari. Posarono con molto rispetto nel solitario luogo la suddetta vastissima, bellissima pietra, tutti i suddetti angeli le fecero d’intorno corona, e, pieni di mestizia, miravano la suddetta e piangevano.

Quale luttuosa impressione ricevette il mio cuore non lo sto a ridire, mentre vostra paternità molto bene lo può capire; ma non finì qui. Ecco da lungi vedo venire altri uomini di santa vita, mesti nel volto e dimessi negli abiti, miravano la suddetta pietra e piangevano. La loro afflizione dimostrava gran cosa. Il mio spirito, a questa comparsa, restò molto afflitto ed angustiato; ma non finì qui la mia pena. Ecco di nuovo vedo apparire molte sacre vergini, meste e dolenti, pallide nel volto e molli nel pianto, i loro cuori erano ricolmi di affanno, queste afflitte vergini conducevano con loro una veneranda matrona, vestita di bruno, mesta nel volto e afflitta nel cuore. A questa vista il mio spirito raccapricciò, e pieno di timore cercava il significato di quanto avevo veduto, quando dall’alto dei cieli sentivo balenare i fulmini dell’irritata giustizia.

Il mio spirito restò stupito per il timore, privo di ogni cognizione.

Il dì 11 aprile 1815, nel raccomandare i bisogni della nostra Madre, la santa Chiesa, e il Sommo Pontefice, mi parve di avere una notizia interna, la quale mi dimostrò la gran manovra che si fa dai persecutori della nostra cattolica religione; questi ribaldi tentano con inganni finissimi di sovvertire, per mezzo di paliate ragioni, il capo della Chiesa, raccomandiamoci caldamente al Signore, perché dalle frodi di costoro non resti ingannato.

23.5. Un casto bacio


Il dì 12 aprile nella santa Comunione, il Signore mi degnò di particolar favore, facendomi riposare nelle sue braccia santissime. Poi si degnò collocarmi nel suo paterno seno, compiacendosi di possedermi, mi avvicinò al suo candido collo, si degnò di dare un casto bacio alla povera anima mia.

Tre furono le grazie che mi compartì il buon Dio in questo favore in tre maniere distinto, facendomi passare dalle sue divine braccia nel suo paterno seno, come si disse di sopra, mi donò un grado maggiore di umiltà, di purità, di semplicità, mi fece intendere che per mezzo di questo maggior grado di virtù si sarebbe degnato di favorire la povera anima mia con grazia molto distinta.