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18 – VITTIMA PER LA SANTA CHIESA
18.1. I miei gravissimi peccati
Dal
primo di ottobre, come si disse al foglio numero, fino al 19 del
suddetto mese, così la povera Giovanna Felice. Il mio spirito ha sempre
goduto una interna pace, un raccoglimento molto efficace. Questo non mi
fa desiderare altro che Dio in tutti i momenti della mia vita, mi viene
poi compartita dalla grazia di Dio una certa propria cognizione, e
questa mi fa detestare con abbondanti lacrime i miei gravissimi
peccati, per mezzo di cognizioni intellettuali mi dà a conoscere le
amorose premure del suo nobil cuore, mi dà a conoscere quanto grandi
erano le diligenze che usava verso di me, quando io mi ero allontanata
da lui con il peccato, perché non perissi in quello. Di più mi fece
conoscere come mi teneva occulta la malizia del peccato stesso, perché
l’anima mia non fosse aggravata di maggior reato.
A queste
cognizioni il mio spirito si accende di santo amore verso il suo
Signore, e sopraffatta dalla gratitudine si andava disfacendo di amore
in lacrime. Così ho passato questi giorni, senza ridire quali sono
stati i buoni effetti che ho sperimentato nella santa Comunione in
tutti questi giorni. Senza dilungarmi di più, vostra paternità li può
comprendere.
Il dì 20 ottobre nella santa Comunione mi degnò il
mio Signore di un grado di unione molto particolare, ma non so
manifestarlo, per essere cosa che riguarda l’intelletto. Molto grandi
furono le cognizioni e i buoni effetti che ricevette il mio spirito da
questa intima intelligenza, che io non so manifestare, per essere cosa
molto straordinaria, assai più di ogni umano intendimento. Fui
propriamente assorbita da Dio e sollevata dall’immensità di Dio e
immedesimata in questa immensità, mi manca la maniera di spiegare di
più.
18.2. La Chiesa scossa da furioso vento
Il dì
23 ottobre 1814 dopo la santa Comunione, racconta di sé la povera
Giovanna Felice: il mio spirito fu prevenuto da interna illustrazione,
e fui come trasportata al di sopra del mondo, mentre mi vedevo in luogo
così eminente, senza mai perdere la cognizione del proprio mio nulla,
vedevo il mondo ripieno di miserie e peccati, vedevo la Chiesa sotto il
simbolo di forte e magnifico fabbricato, che fortemente era scossa da
furioso vento. Questo vento invano faceva prova di rovinarla; già era
sul punto di cadere. Un’anima a me cognita, per comando di Dio e per la
compassione che sentiva di vedere la Chiesa di Dio così dibattuta dal
vento delle massime insane di tanti che, sotto le ombre di bene,
pretendono di rovinarla, costoro tirano sopra il mondo i fulmini del
cielo; ma Dio saprà, con la sua infinita sapienza, punire gli empi, e
salvare gli innocenti.
Quest’anima dunque, andava piena di fede,
mossa dal comando di Dio e dalla carità, andava a sostenere il
magnifico fabbricato, che è quanto dire chiedeva la suddetta anima in
grazia il sospendere la sua divina giustizia; mentre nell’altezza in
cui la suddetta si ritrovava godeva negli ampi spazi della divinità, la
vicinanza di Dio; e come solo si trovava in quella immensità tutta
raccolta in Dio, che la degnava dei casti suoi abbracciamenti, cosa mai
conosceva di immenso, di magnifico, di infinito non è spiegabile, qual
perfezione in quel momento compartiva Dio a questa anima non è
spiegabile; compiacendosi Dio di averla a sé avvicinata la rese oggetto
delle sue compiacenze, così condonò alla suddetta il suo sdegno
irritato; in quel momento la rese arbitra del suo cuore.
18.3. Promessa di vita eterna anche per P. Ferdinando
Il
dì 26 ottobre 1814, ascoltando la Messa di un sacerdote a me cognito,
fui sopraffatta da interna quiete. Dio si degnò di unire con vincolo di
carità il mio spirito a quello del celebrante. Conobbi la maturità
delle sue virtù, a questa cognizione il mio povero spirito si
appoggiava delicatamente nelle virtù del suddetto; intanto Dio mi si
fece presente e si degnò di farci riposare entrambi nel suo paterno
seno. Si degnava mirarci con sommo amore, e nel mirarci ha promesso ad
ambedue la vita eterna. Padre mio, mi promise di mantenermi la
promessa, ne impegnò la sua parola. Dunque tocca a noi corrispondere
fedelmente alle sue infinite misericordie.
18.4. Per piacere al mio Signore
Il
dì 30 ottobre 1814, ascoltando la Messa cantata al SS. Bambino Gesù, fu
il mio spirito sopraffatto da interna quiete. Fu ad un tratto
abbracciato il mio spirito dallo spirito del Signore, e rapidamente
condotto in luogo grande e magnifico. Mi furono in questo luogo
comunicati santi desideri. Questi desideri mi avvicinavano a Dio e mi
facevano conoscere le sue divine perfezioni. Queste cognizioni mi
accendevano di santo amore, l’amore mi faceva bramare la perfezione, in
maniera che ogni gran patire mi pareva lieve per poterla acquistare;
non ad altro fine la bramava, che per piacere al mio Signore, e così
rendere a lui onore e gloria, rinunziando al mio proprio interesse
spirituale e temporale.
Molto gradì la mia offerta il buon
Signore, e mi fece intendere che voleva di più. A questo intendere, la
povera anima mia, tutta amore, tutta carità, così parlò al suo Signore:
«Mio Dio, mio Signore, cosa volete da me? Parlate, che la vostra serva
vi ascolta! Mio Dio son pronta a fare qualunque sacrificio per potervi
piacere».
Allora il Signore mi fece intendere, per parte di
intima intelligenza, quello che voleva da me. Padre mio, non so
spiegare la maniera prodigiosa che usa Dio verso di me da qualche tempo
a questa parte, più non mi parla, ma mi significa chiaramente la sua
volontà, assai più chiaramente che se mi parlasse. Mi viene significata
in una maniera quanto mai bella: questa cognizione mi veniva
somministrata dalla vicinanza di Dio, in cui mi trovavo, per la grazia
di Dio, che senza mio merito mi aveva tanto innalzata.
Mi ha
dunque significato la sua volontà, ed è che mi offra all’eterno Padre
qual vittima, per riparare ai gravi bisogni della santa Chiesa, e alla
cattiva amministrazione della suddetta... e che, spogliata affatto di
tutto, mi offra a pro della santa Chiesa e dei peccatori, e di quelli
che non lo conoscono. Vuole che rinunzi a pro di questi a tutte le
opere meritorie, che con la grazia sua ho praticato fino ad ora, e
tutte quelle che sono, con la grazia sua, per fare fino all’ultimo
respiro della mia vita; vuole che mi offra di patire ogni qualunque
pena in vantaggio dei suddetti.
A questa amorosa domanda il mio
spirito si è profondato nel suo nulla, e riconoscendolo per assoluto
padrone del cielo e della terra, così parlò la povera anima mia: «Sì;
mio Dio, voi siete padrone assoluto dell’anima mia. Fate di me ciò che
vi aggrada. Se il mio confessore si contenta, io vi prometto di fare
questo sacrificio».
Benché l’acconsentire fosse con questa
condizione, al momento sono stata trasportata in una profonda valle,
ripiena di affanni, di angustie, di travaglio, di amarezze, e di quanto
mai di pene possa immaginarsi, nel vedere cose così tetre e afflittive.
Si è inorridito il mio povero spirito e quasi sopraffatta dal terrore
di simili sciagure, ero sul punto di negare il mio consenso; ma
improvvisamente vidi apparire un’ombra chiarissima di luce, in questa
mi si manifestò Gesù Cristo Signore nostro, che mi faceva coraggio
perché avessi acconsentito a quanto mi aveva manifestato. Così mi
sentivo dire: «Figlia, diletta mia, offriti al mio celeste Padre a pro della mia Chiesa. Ti prometto il mio aiuto».
18.5. Le calamità della Chiesa
Per
persuadermi, si è degnato mostrarmi le calamità della suddetta. Per la
seconda volta sono tornata a vedere il fabbricato rovinoso, sono stata
condotta dentro di questo, e mi sono stati mostrati gli sconcerti che
nella Chiesa succedono. Mio Dio! cosa dirò? non è possibile di crederlo!
Vidi
come gli indegni prevalgano la giustizia con tanto disonore di Dio!
Vidi l’oppressione dei poveri! Vidi i sacrilegi che si commettono da
tanti ministri di Dio! Vidi l’ingordigia di questi, l’attacco che hanno
ai beni transitori, la dimenticanza del vero culto di Dio! Vidi il bene
apparente, fatto per fini indiretti! Che delitti sono mai questi non si
possono comprendere.
A queste cognizioni mi inorridii, e quasi
dubitando che Dio fosse per subissare il mondo, tremavo da capo a
piedi. Fui poi condotta a vedere il santuario, e, per il rispetto del
culto di Dio, mi fu comandato di entrare in questo, a piedi scalzi. Mi
fu mostrata la cattiva amministrazione dei santuari. Vidi il gran
disonore che riceve Dio dai cattivi sacerdoti. Fui poi condotta per
mezzo di una scala in luogo molto eminente, dove mi si diede a vedere
il giusto sdegno di Dio, irritato contro di noi, poveri peccatori.
Non
ho termini di spiegare a sufficienza cosa tanto terribile e spaventosa.
Cercavo per il timore di nascondermi nelle viscere della terra, mi
pareva che in quel momento Dio volesse subissare il mondo. Macché! il
nostro amoroso fratello Gesù Cristo si è fatto avvocato per noi, presso
il suo celeste Padre. Mi fece l’amoroso Signore intendere che mi fossi
a lui unita e offerta mi fossi al suo divin Padre, per così placare il
suo sdegno, ma il divin Padre non mi voleva ricevere. Gesù Cristo
Signore nostro ha posto sopra di me i preziosi suoi meriti, e al
momento sono stata rivestita di splendidissima luce e sono divenuta
assai più bella del sole, e in questa maniera sono stata ricevuta dal
divin Padre, ad istanza delle valevolissime preghiere di Gesù Cristo si
è placato lo sdegno di Dio Padre, e si è degnato sospendere il tremendo
castigo e dare spazio di penitenza a noi poveri peccatori. Ma il tempo
che ha determinato di aspettare a penitenza è breve. Ah, potessi con il
mio sangue convertire tutto il mondo! perché nessuno perisse, quanto lo
spargerei volentieri, a costo di ogni gran pena! Tutta piena di fiducia
nei meriti di Gesù Cristo, mi offrivo a Dio di patire ogni pena,
risoluta di morire per compiacere il mio Signore, e per vantaggio dei
peccatori, fratelli miei, e per vantaggio della nostra Madre, la santa
Chiesa. Molto gradì la mia povera offerta l’eterno Dio. Nel conoscere
il suo gradimento, il mio spirito, annientato nel suo nulla, non si
poteva persuadere come fosse possibile che Dio potesse restare
glorificato da sacrificio tanto misero, qual è la povera anima mia.
Il
Signore mi ha fatto intendere che avessi adorato i suoi divini decreti
e le sue divine disposizioni, che avessi attribuito questa nobile
operazione alla sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di
restare glorificato negli umili di cuore. Nell’intendere queste
ragioni, ad imitazione della santissima Vergine Maria, la povera anima
mia, piena di ossequio e di rispetto, confessò l’infinita potenza di
Dio, suo Signore, e quale umile ancella a lui si offrì, acciò facesse
di me quello che voleva, sempre che accordata mi fosse dal mio padre la
licenza della surriferita offerta.
18.6. Feci l’esproprio di tutto ciò che si trova in me
Il
dì 1 novembre 1814 la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del
mio padre mi portai a Santa Maria Maggiore, dove feci l’esproprio di
tutto quello che si trova in me, tanto nell’ordine della grazia, quanto
nell’ordine della natura: i sentimenti del corpo, gli affetti del
cuore, le potenze dell’anima, e tutto quello che si trova in me, tutto,
tutto offrii al divin Padre, tutte le sue misericordie, che ha finora
usate verso di me, e tutte quelle che si degnerà farmi per il tratto
successivo, fino alla mia morte. Così, per compiacere il mio Signore,
rinunziai a ogni qualunque vantaggio e onore mi possa avvenire
nell’amarlo e servirlo, protestandomi da quell’ora in poi di rendermi
incapace di meritare per me stessa, in vigore dell’offerta suddetta, ad
onta di ogni qualunque grande opera possa mai fare, per meritoria che
ella sia, in tutto il corso della mia vita, ma povera e nuda affatto
voglio e desidero comparire avanti al tribunale di Cristo giudice.
Rinunciando a tutti i propri vantaggi, per la gloria del medesimo Dio,
solo desidero e voglio sia glorificato, non cercando più per me né
eterna vita né eterna morte, ma tutta abbandonata alla sua carità,
senza altro pensiero che la sua maggior gloria.
Il primo di
novembre 1814, la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del mio
confessore, mi portai a santa Maria Maggiore, dove feci lo sproprio di
tutto quello che, per la grazia di Dio, si trova in me, tanto
nell’ordine della grazia, quanto nell’ordine della natura, e a
vantaggio della nostra Madre, la santa Chiesa, e dei peccatori, e di
quelli che non conoscono Dio. Offrii i sentimenti del corpo, gli
affetti del cuore, le potenze dell’anima mia e tutte le misericordie
che Dio ha usato finora verso di me, e tutte quelle che si degnerà
usare verso di me per il tratto successivo, fino alla mia morte, come
si è detto nei fogli passati.
Fatta la suddetta protesta, sono
restata spogliata affatto di ogni bene. In vigore della rinunzia che ho
fatto a Dio, mi sono resa incapace per me stessa di meritare cosa
alcuna. Fatta dunque l’offerta, in unione di quella che fece Gesù
Signore nostro, per amore del genere umano e per la gloria dell’eterno
suo Padre, unii il mio povero sacrificio in unione dei fini nobilissimi
che ebbe la sua santissima Umanità nel sacrificarsi sul patibolo della
croce a vantaggio di noi, poveri peccatori.
Vedo apparire due
Angeli, con due calici in mano, che con profondo rispetto tenevano nei
suddetti calici la povera mia offerta, che, in virtù dei meriti di Gesù
Cristo, ai quali l’avevo unita, come dissi di sopra, si era cambiata in
preziosissime gioie e in prezioso liquore. Questi santi Angeli, pieni
di affetto verso la povera anima mia, mi introdussero in luogo vasto e
magnifico, era questo luogo ripieno di luce. I santi patriarchi Felice
e Giovanni mi si fecero incontro e mi accompagnarono all’augusto trono
di Dio. Con somma pompa i santi Angeli presentarono i due calici nelle
mani dei santi patriarchi, i santi patriarchi li consegnarono nelle
mani di Maria SS., che supplichevole si tratteneva all’augusto trono di
Dio. Lei stessa presentò i due calici all’eterno Padre. Che bella
comparsa facevano quei calici nelle mani di Maria Vergine santissima
molto più belle e piene di splendida luce erano le gioie, ed il liquore
tramandava un odore soave. I suddetti calici restarono fissi avanti al
trono di Dio.
18.7. Dal suo cuore un raggio di splendidissima luce
Il
dì 4 novembre, assistendo alla Messa cantata in San Carlo alle Quattro
Fontane, fui sopraffatta da interna quiete, quando mi furono
manifestate le ingiurie, gli affronti, gli strapazzi che il nostro
Signore Gesù Cristo riceve dai suoi ministri, particolarmente da quelli
che amministrano la giustizia, da quelli che governano.
Vidi
come questi barbaramente ponevano sotto i loro piedi il crocifisso
Signore, come temerariamente laceravano le sue carni verginali, quanti
affronti, quante ingiurie, quanti strapazzi! Nel vedere simile
nefandità, il mio spirito, pieno di un santo zelo, volevo io stessa
precipitare per distruggere gli iniqui persecutori del mio crocifisso
Signore. Ero sul punto di gridare giustizia sopra questi miseri, quando
mi è apparso il mio caro Gesù, tutto amore verso i miseri persecutori.
La sua carità ha comunicato al mio povero cuore amore e carità verso i
suddetti.
«Ah, figlia», mi disse il Signore, «chiedi misericordia e non giustizia! Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Nel dire queste parole, ha tramandato dall’amoroso suo cuore un raggio di splendidissima luce. «Prendi», mi disse l’amantissimo Gesù, «prendi,
o mia diletta figlia, nelle tue mani lo splendore della mia
misericordia. Distendi sopra questi il forte riparo, per sostenere i
fulmini dell’irritata giustizia».
A queste parole, con
sommo rispetto e riverenza, ho preso nelle mie mani il raggio di
splendidissima luce, che tramandava dal suo SS. Cuore, e unitamente a
Gesù Cristo ho disteso questo forte riparo sopra i suddetti. Sono poi
ad un tratto passata a vedere la irritata giustizia. Oh, Dio, che
terrore, che spavento! Oh come mi pareva che al momento volesse
subissarli, ma il forte riparo che aveva posto Gesù Cristo sopra di
loro, per mezzo di quella luce, come si è detto di sopra, faceva sì che
i fulmini dell’irritata giustizia non fossero atti ad incenerirli; ma
se dopo tante misericordie non mutiamo costumi, guai a noi, guai a noi!
la misericordia si cambierà in furore.