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16 – DIO HA VIBRATO VERSO DI ME UN DARDO AMOROSO


16.1. Guai ai duri di cuore!


Il giorno 15 agosto 1814, racconta di sé la povera Giovanna Felice: Mi portai alla missione in piazza Barberini. Ad un tratto il mio spirito restò sopito, e mi fu manifestato il frutto che si sarebbe ricavato da quelle sante missioni. Da vari persone vedevo deplorare il peccato; altri, convinti della ragione, si convertivano; ma guai a quelli che, duri di cuore, non daranno ascolto alla chiamata che Dio ci fa per la valevole mediazione di Maria Santissima! Guai, guai dico, giacché poco e niente posso ridire di tutto quello che vidi. Tanto fu il terrore e lo spavento che ne ebbi, che credetti di morire!

Il tutto mi fu dimostrato con molta rapidità. Vedevo dunque il mondo tutto in scompiglio; non solo gli uomini tutti, ma le bestie stesse erano ripiene di orrore. Vedevo quattro Angeli che rapidamente scorrevano le contrade con la spada sfoderata e intrisa di vivo sangue, per ordine di Dio tutti gli empi restavano morti. Oh quanto poco numero di viventi restava sopra la terra! Sono restata così stordita per l’orrore e per la pena, che mi ha causato un grave dolore di testa. Padre mio, Dio è molto sdegnato con gli uomini, e molti non lo credono. Raccomandiamoci caldamente alla gran Madre di Dio, perché si degni di placare lo sdegno di Dio.

16.2. «Di propria mano voglio ferirti»


Dal giorno 15 fino al giorno 18 agosto 1814 la povera Giovanna Felice non fa altro che piangere la mia e l’altrui ingratitudine, in una maniera tanto grande che alle volte mi sento mancare la vita, tanta è l’afflizione che provo di avere offeso un Dio tanto buono, e il vederlo tuttora offeso dagli altri mi cagiona somma pena. Si andava tanto aumentando questa afflizione, che la sera del 18 piangevo amaramente i miei peccati. Nelle orazioni, che credetti di morire.

Quando un desiderio di carità ha sorpreso il mio cuore, e ardentemente mi faceva desiderare di unirmi al mio Dio, assai più di quello che desiderar possa una cerva ferita l’amata sua fonte. Quando dall’alto dei cieli mi si è dato a vedere Dio, che trasportato dall’infinita sua carità ha vibrato amoroso dardo verso di me, per mezzo di intima cognizione mi significava i suoi sentimenti, come avesse detto: «Figlia, ricevi l’impressione della mia carità, non per mezzo di un Angelo, ma di propria mano voglio ferirti. Questo favore ti dimostra il parziale affetto che ti porto».

Ma da qual fiamma di carità restò accesa la povera anima mia non so spiegarlo. Sentivo sollevarmi tratto tratto il corpo, tanta era la forza dello spirito, che innamorato, per la particolar comunicazione di Dio, si andava sollevando per mezzo di questo amoroso colpo Dio mi unì a sé intimamente. Si può dire che mi colpì con tutto se stesso, mentre nel colpo divenni possessora felice di un Dio amante. Che grazia sua questa, non è spiegabile.

16.3. Minacce del tentatore e dei parenti


Il dì 19, 20 e 21 agosto 1814 ho dovuto molto soffrire la povera Giovanna Felice dal tentatore e dai parenti, istigati da costui. Molte sono le minacce che mi fa il nemico tentatore, perché vorrebbe che retrocedessi dal cammino intrapreso. Più volte mi ha mostrato la gran difficoltà di reggere e sostenere due stati. «È impossibile», mi va dicendo, «che possa unire gli obblighi del matrimonio con gli obblighi che scioccamente e volontariamente hai contratto con Dio! In punto di morte ti troverai di non avere a niente adempiuto. Sopra di te è scesa la maledizione di Dio! Hai tempo a fare! le funeste conseguenze che ne sono venute per il tuo spergiuro non le puoi rimediare neppure con la tua vita!».

A queste forti suggestioni non so che rispondere, mi umilio, mi anniento, mi volgo verso il mio Dio, da me tanto offeso, e piangendo amaramente lo chiamo in aiuto. Nel vedere il nemico che la povera anima mia, con la grazia di Dio, trova la maniera di umiliarsi, e con fiducia ricorre al suo Dio, fugge precipitosamente, e così il mio spirito restò nella pace del Signore.

In questa calma, ovvero sopimento che mi donò la grazia del medesimo Dio, domandai se fosse vero che maledetta da Dio fosse la povera anima mia. Fui assicurata che era grata al Signore la mia condotta, che con la sua grazia avevo intrapreso; e che «questa un giorno servirà per confondere tante madri, che non avranno adempiuto ai loro doveri, servirà di molto rossore a tante vergini, che, invece di corrispondere con fedeltà a quanto avevano professato, hanno vissuto alla libera, di sommo rimprovero sarà alle vedove la tua condotta, o mia diletta figlia, in questa maniera resterò glorificato nella mia opera».

Dal 22 agosto fino al 26 ho sofferto gravissime desolazioni di spirito, un abbandono molto penoso, una mestizia, una tetraggine. Diverse volte mi sono trovata in potere del demonio, priva di ogni aiuto, mi vedevo straziare da Gesù senza potermi liberare. Mi straziava, mi maltrattava assai più di quello che un cane mastino strazi e strappi, laceri uno straccio, quando sopraffatto dalla rabbia, morde rabbiosamente un panno e lo fa in minutissimi pezzi, così fa con me il demonio, mi maltratta, mi strazia in guisa tale che non mi è possibile poterlo ridire.

16.4. Ammaestrata da Dio


Il dì 27 agosto 1814 nella santa Comunione, racconta di sé la povera Giovanna Felice. Sono stata condotta in piccolo recinto, dove la povera anima mia ha preso un poco di riposo, per poi poter con più lena proseguire il suo viaggio verso il secondo tabernacolo del Signore. In questo piccolo recinto mi ci ha condotto lo Spirito del Signore. Questo è un luogo circondato da forte muraglia, non c’è porta né tetto, le mura altissime e impenetrabili per esser di pietra bellissima.

In questo luogo tutto spira raccoglimento e devozione, in questa solitudine vuole Dio che mi trattenga in frequento orazioni. L’anima mia in questo luogo viene ammaestrata da Dio medesimo in cose riguardanti il suo infinito amore. Mi somministra fortezza e coraggio nel patire per suo amore, assicurandomi del suo speciale aiuto in tutti i miei bisogni. Mi sono trattenuta in questo luogo circa 24 ore, e poi ho proseguito il suddetto viaggio. Oh, quanto mai è disastrosa la strada! oh, da quanti affanni è assalita la povera anima mia! oh, mio unico conforto mio, aiutatemi!

Il giorno 28 agosto è stato molto afflittivo, per la gravissima desolazione di spirito.

Il dì 29 agosto, nella santa Comunione, fui confortata da superna luce, nel mezzo della quale vidi il mio Signore, che mi confortava, e amorosamente mi fece riposare nelle sue braccia. Preso breve ma dolce riposo nelle sue amorose braccia, mi additò una strada tutta intralciata di foltissime spine, che essendosi unite da una parte e dall’altra, avevano formato in questa strada un folto spineto, di maniera tale che non si vedeva più né cielo, né terra, ma tutte spine.

Il mio spirito, nel vedere strada sì tetra e spinosa, ne concepì sommo orrore, ma il Signore mi promise la sua speciale assistenza. La sua promessa incoraggiò il mio spirito. Osservai una cosa che molto mi consolò, ed è che questa strada era stretta, ma non aveva altra strada di poter deviare, perché la mia sollecitudine non è il timore del patire, ma si è il timore di deviare dal retto sentiero.

16.5. Un alto posto tra le vergini


Prima di farmi intraprendere il disastroso viaggio, il mio Signore mi ha condotto in bella e amena pianura, bella e verdeggiante campagna, smaltata di preziosi fiori. In questo luogo si degnò il giorno 30 agosto 1814 di favorire la povera anima mia con grado molto particolare di unione. Qual dolcezza mi fece gustare! di quali abbracciamenti mi degnò, con quale unione mi unì a lui, come restai medesimata con quell’immenso bene, quale amore mi compartì, non so spiegare cose molto grandi.

Molto copiosa fu la cognizione che mi compartì Dio di se stesso. A queste cognizioni fui sopraffatta dallo stupore, e rapita dalla cognizione, mi andavo inoltrando viepiù ogni momento. Più mi inoltravo, e più mi innamoravo dell’infinito essere di Dio. Più amavo, e più lo conoscevo degno di amore. Mio Dio, mi manca la maniera di spiegare i dolci effetti che mi faceste sperimentare in questa perfetta unione. La mia grande ammirazione veniva cagionata da due riflessi, uno è di conoscere le alte perfezioni di Dio, l’altro è di conoscere qual gaudio prova Dio in se stesso nel beneficarmi. Padre mio, mi è di sommo rossore il proseguire, ma per non mancare all’obbedienza proseguirò, a gloria di Dio, protestandomi di narrare semplicemente l’accaduto, senza il minimo pensiero di sostenere le mie idee, ma lascio a vostra paternità il deciderle.

Mi ha dato a conoscere qual gaudio abbia provato il suo amoroso cuore in possedermi intimamente, per mezzo di questa unione qual contento le sia di essere amato da me, povera e misera creatura.

«La ricompensa» mi disse, «che sono per darti si è l’alto posto tra le vergini. Sì, mia diletta, tra queste sarai annoverata. Ti amo non meno di quelle che amai la mia Teresa, la mia Geltrude, figlia, oggetto delle mie compiacenze! Quanto grande è la gloria che ti aspetta! Ringrazia l’infinito amor mio, tanto parziale verso di te. La mia predilezione ti rende oggetto delle più alte ammirazioni dei cittadini del cielo. Figlia, diletta mia, parla, domanda che vuoi, cosa ti potrò negare, figlia, arbitro del mio cuore?».

A queste parole amorose l’anima dette uno sguardo a se stessa, e riconoscendosi immeritevole di tanto favore, dette in dirotto pianto. «Mio Dio», diceva piena di confusione, «e come mai, mio Dio, vi potete compiacere in me, che sono la creatura più vile che abita la terra? Mio Dio, non oscurate la vostra gloria, per beneficare quest’anima ingrata. Mio Signore, amo assai più la vostra gloria che il mio proprio interesse! Mio Dio, non posso più sostenere la piena della vostra carità. Basta, Signore, non più».

Sentivo, per la violenza dello spirito, sollevare il corpo; per l’attrazione la fiamma della carità mi aveva come incenerito, e, perduta ogni sensazione, mi pareva di più non esistere.

16.6. Il tentatore mi assaliva come cane arrabbiato


Il dì 2 settembre 1814 fui molestata da varie suggestioni dal nemico tentatore. Soffrii diversi strapazzi dal suddetto, mi impediva a viva forza di poter scrivere quanto mi comanda vostra paternità. Mi assaliva qual cane arrabbiato, faceva prova di strascinarmi per terra, farmi fare dei brutti urlacci, di farmi mordere le proprie carni; ma, per misericordia di Dio, non ebbe licenza di possedermi, ma solo gli permise Dio di assediarmi, di circondarmi per breve tempo. Ma in questi tempi, più volte provò ad assalirmi rabbiosamente. In questi assalti molto si arrabbiava, perché non mi poteva fare quel male che voleva, e per lo sdegno la prendeva contro Dio, perché non glielo permetteva.

In questi assalti restava cagionevole il mio corpo, soffrivo degli stringimenti interni, convulsioni e deliqui penosissimi.