[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A
A
A
A
A
15 – TRASFORMATA IN UN SERAFINO D’AMORE
15.1. L’amoroso cuore di Gesù è il mio rifugio
Il
dì 19 luglio 1814, nella santa Comunione, la povera Giovanna Felice
così racconta di sé. Mi trovai in luogo deserto, era questo luogo come
una tetra e folta selva, il mio spirito lo vedevo sotto la figura di
timida agnelletta, questa tetra selva era abitata da molte bestie
feroci, queste facevano prova di assalirmi. Piena di timore mi rivolsi
al mio Dio, il quale mi additò il luogo di sicurezza. Sollecitamente là
mi nascosi, nessuna di quelle feroci bestie ha ardito di entrare,
mentre Dio medesimo è custode di questo luogo di sicurezza. Mi pare che
questo sia l’amoroso Cuore di Gesù, perché la povera anima mia non
fosse molestata dai suoi nemici, che mi avevano assediata per assalirmi
con forti tentazioni; per liberarmi mi nascose nel suo amoroso cuore.
Oh, bel rifugio, quanto ti devo!
Oh, quante volte mi hai
liberato dalla mano dei miei nemici! Tutto il resto della giornata lo
passai in sommo raccoglimento, in somma quiete, in una profonda
solitudine di spirito.
15.2. In viaggio verso un’unione più alta
Il
dì 20 luglio 1814 nella santa Comunione sortii da quel luogo di
sicurezza, il mio Dio mi diede a conoscere da qual pericolo mi aveva
liberata. Dopo averlo ringraziato infinitamente del favore ricevuto.
Dichiari che pericolo fu.
Mi fece intendere che dovevo
intraprendere un viaggio, il quale mi avrebbe condotto ad un grado di
unione molto segnalata, molto particolare; a questo oggetto si degnò
darmi per condottieri in questo viaggio il glorioso san Giovanni
Battista e il santo Giovanni Evangelista. Mi è stato significato ancora
che questo viaggio contiene tre gradi di unione, alla quale l’anima mia
è chiamata da Dio, se pure con la mia cattiva corrispondenza non
impedisco lo spirito del Signore, che mi vuole condurre ad una
perfezione molto elevata.
Il dì 21 luglio da quale afflizione di
spirito fui assalita, quale insolita oscurità di intelletto, quale
smarrimento prova il mio cuore! è molto maggiore la pena mia di quello
che provar possa pellegrino smarrito in folta selva, in solitario
deserto.
I santi condottieri più non si vedono. Sola, tremante
per l’orrore e per il timore di non essere assalita dalle fiere e dai
mostri abitatori di questo luogo, mi volgevo tutta tremante al mio
angelo custode: «O mio caro custode, a voi ricorro, additatemi il retto
sentiero, dov’è il mio Signore? più non lo trovo in me. Mio Dio, Dio
mio, dove siete? Fatevi per un sol momento vedere da me, e per avere il
piacere di vedervi un sol momento sono pronta di patire ogni qualunque
pena».
In queste e simili esclamazioni si tratteneva il mio
spirito, ma tutto indarno, mentre invece il mio Dio di manifestarsi
alla desolata anima mia più si nascondeva; sicché dal giorno 21 fino al
giorno 24 soffrii questa gravissima pena.
Il dì 24 luglio nella
santa Comunione, nello stesso mese di luglio racconta di sé la povera
Giovanna Felice, sperimentai gli effetti più vivi di contrizione, per
mezzo di interna luce conoscevo quanto disonore abbia dato al mio Dio,
con tanti peccati. A questa cognizione provavo un dolore tanto
eccessivo di avere offeso il mio Dio, che desideravo di morire di puro
dolore, sentivo mancarmi la vita, mi pareva veramente di morire, e
morta sicuramente sarei, se il mio Dio non fosse tornato a darmi la
vita.
Vorrei spiegare gli effetti che mi fece sperimentare
questa contrizione, ma mi si rende veramente impossibile; questa è una
grazia soprannaturale che Dio dona all’anima per disporla a ricevere
nuove grazie.
15.3. Tre gradi di sublimissima unione
Dal
giorno 24 fino al giorno 27 del suddetto mese, la povera anima mia si
affatica in questo desolato e disastroso viaggio, per arrivare al primo
tabernacolo del Signore, come già dissi nei fogli antecedenti. Questo
viaggio contiene tre gradi di sublimazione unione, dove la povera anima
mia è chiamata particolarmente dal Signore. Guai a me, se non
corrisponde all’infinito amore di un Dio amante di me, povera e misera
sua creatura!
è veramente impossibile che possa spiegare l’amore
parziale che mi manifesta questo buon Dio, dopo avere molto scritto,
senza esagerazione, posso dire di non aver detto neppure la metà dei
favori, delle grazie, dei doni che mi ha compartito il mio Dio. Questo
non è per occultare alcuna di queste misericordie, ma solo nasce dalla
mia insufficienza, dalla mia ignoranza, che non ho termini di spiegare
cose che appena comprendo.
Tre sono i tabernacoli che mi ha
mostrato Dio, dove si è degnato di ricevere la povera anima mia, per
unirla a sé intimamente; questi, da me chiamati tabernacoli del
Signore, dove l’anima mia è incamminata, come già dissi, sono questi
tre tabernacoli come forti e magnifici fabbricati, dove il Signore vuol
dare alloggio all’anima mia, per stringere con questa l’unione più
intima che mai dir si possa.
Questo viaggio contiene la pratica
delle sante virtù, particolarmente con i replicati atti di amore molto
si cammina, con i buoni desideri, con offrirsi vittima del santo amore,
con il totale abbandono di tutta se stessa in Dio, per mezzo delle
quali cose viene l’anima a godere una certa tranquillità, una certa
pace inalterabile, senza di questo mi pare che non si possa arrivare a
godere una certa particolare unione. Conosco chiaramente che, per
misericordia di Dio, vostra paternità per me è un mezzo molto efficace
per mantenermi in questo stato, mentre vostra riverenza forma il giusto
equilibrio, acciò la povera anima mia possa mantenersi in questo stato;
ma, padre mio, come faremo adesso? Dio vuole di più, vuole che muoia
affatto a me stessa. Come farò io, che sono tanto miserabile? Ma,
nonostante la mia miseria, sento tutto impegnato il mio cuore a
compiacere il mio diletto.
Adesso le significherò i suoi
sentimenti alla meglio che portò, giacché adesso non è come prima, che
chiaramente parlava; ma adesso, con somma occultezza, manifesta
all’anima i suoi sentimenti, i suoi affetti, per parte di intima
intelligenza mi parla, sicché in profondo silenzio ci intendiamo
scambievolmente. Oh, quanto più eloquente è questo intendere, di quello
che sia ogni eloquente parlare. Mi ha dunque significato Giovanna
Felice deve dichiararlo diversamente.
Il dì 29 luglio 1814 nella
santa Comunione la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Provai
gli effetti più grandi di contrizione che mai dir si possa. Questo
dolore, questa afflizione mi cagionava un male che mi pareva ogni
momento di morire; sentivo tutta disciogliermi in lacrime di
contrizione; mi sentivo come consumare per l’afflizione di avere offeso
Dio. Passai tutta la giornata più o meno sempre morendo.
15.4. Lasciami morire d’amore
Il
dì 30 luglio, nella santa Comunione, proseguiva la povera anima mia il
suo viaggio, come si disse di sopra, nel camminare che facevo, trovai
un piccolo recinto, dove mi fermai a prendere un poco di riposo.
Osservai questo luogo, lo trovai molto adatto per ricevere il mio caro
Gesù Sacramentato. Il luogo era umile ed abietto, ma molto pulito e
proprio; era circondato di forte muraglia, non aveva altra apertura che
la sola porta, e questa era piccola e di forte metallo. Andavo dicendo
tra me: «Se si degna di venire l’amato mio bene in questo luogo, io
chiuderò velocemente la porta, e così avrò il piacere di possederlo
perpetuamente. Non potrà più fuggire, lo necessiterò di trattenersi con
me. E di dove potrà sortire, se non vi è la minima fessura in queste
forti muraglie? La sola porta è questa. Là farò ben guardare dai santi
Angeli che sogliono favorirmi nei miei bisogni». Così andavo ragionando
con santa semplicità, senza offendere l’infinita potenza di Dio.
Mi
accosto dunque a ricevere la santa Comunione. Si degna l’amato mio bene
di entrare nel luogo accennato. Oh, qual contento provò il mio cuore!
Con quanta sollecitudine chiusi la porta! Pregai caldamente il mio
Angelo custode e i santi Angeli che sogliono favorirmi, acciò
custodissero la porta. Assicurata che ebbi la porta, mi rivolgo, tutta
allegra e contenta gli dico: «Gesù mio, siete mio prigioniero, ma
prigioniero di amore! Oh, quanto mai è contento il mio cuore di
possedervi! Ah, Gesù mio, ditemi quanto mi amate voi? io vi amo assai
assai. E per dimostrarvi il mio amore, lasciatemi morire di amore ai
vostri santissimi piedi. Degnatevi di ricevere l’offerta della cosa più
preziosa che abbia ricevuto da voi. Vi offro l’anima e il corpo, fate
di me ciò che vi piace. Se è di onore e gloria vostra l’annientarmi,
annientatemi pure che sono contenta».
Molto gradì l’amato
Signore l’offerta, mi mostrò strumento molto atto a farmi morire;
volevo morire ai suoi piedi, desideravo che di sua propria mano mi
avesse ferita, ma non mi degnò di colpirmi, ma mi fece intendere che di
propria mano devo colpire il mio spirito e farlo morire per vivere
tutta a lui.
15.5. Un serafino d’amore
Dal giorno 29
fino al 31 del suddetto mese mi sono trattenuta in questo luogo in
frequenti atti di fede, speranza e carità, di desiderio di possedere il
mio Dio. L’umiltà, la propria cognizione che mi ha compartito il mio
Signore è stata molto segnalata, di maniera tale che, sebbene mi fosse
apparso un Angelo a dirmi che vi era un’anima più inferiore di me, non
lo avrei creduto, perché chiarissimamente conoscevo di essere la più
miserabile tra tutte le creature che abitano la terra. Ogni giorno più
crescevano in me questi sentimenti umili ed abietti; in questo modo
andava purificandosi la povera anima mia, per mezzo di questi
sentimenti andava disponendosi per entrare in quel primo tabernacolo,
come si disse di sopra.
Il dì 31 luglio 1814 la povera anima mia
fu invitata ad entrare nel primo tabernacolo; ma prima fui purificata
nei meriti di Gesù. Mi vedo a questo oggetto sotto la figura di bella
colomba, e il mio Dio lo vedevo sotto la figura di fonte di acqua viva.
Fui invitata a bagnarmi in quelle preziose acque, vado e là mi immergo.
Oh, qual gioia, oh, qual gaudio inondava il mio cuore! Sentivo
propriamente purificarmi, quando ad un tratto una luce chiarissima mi
venne a percuotere, e con gli influssi del suo calore mi fece morire.
Eccomi dunque già estinta, quando da benefico vento mi è stata ridonata
la vita. Questo prodigioso soffio mi ha trasmutata quasi in un serafino
di amore. Per mezzo di questa trasmutazione sono stata fatta degna di
entrare in quel magnifico tabernacolo.
Mi vedevo vestita da
Terziaria Santissimae Trinitatis, circondata da molti santi Angeli, nel
mezzo dei quali vedevo il mio gran protettore e benefattore, il
glorioso sant’Ignazio. Mi hanno condotto con loro in quel magnifico
tabernacolo, sono stata ricevuta dai santi patriarchi Felice e Giovanni
de Matha, e da molti altri santi. Padre mio, e come proseguirò, se mi
manca la maniera di spiegare la grandezza, la magnificenza, la pompa
con cui Dio ha ricevuto la povera anima mia? è veramente impossibile
poterlo ridire.
Per obbedire, pure qualche cosa dirò. Quattro
sono stati i segnali che mi sono stati donati, e questi sono: prezioso
cingolo mi è stato cinto ai fianchi, ricco e prezioso manipolo mi è
stato posto al braccio destro, candido amitto mi è stato posto sopra le
spalle, sono stata ammantata da prezioso e ricco manto. Questo mi
rendeva preziosa al cospetto dell’Altissimo. Sono stata introdotta in
questo tabernacolo con somma festa e pompa; sono stata tanto inoltrata,
che sono perfino arrivata al talamo del mio Signore. Qual santità, qual
purità, di quale amore mi ha degnato il mio buon Dio in questa unione,
non posso spiegarlo.
15.6. Il mio Dio dov’è?
Dal dì
31 luglio fino al dì 3 di agosto il mio spirito ha goduto una perfetta
pace. Dal dì 3 fino al dì 9 del suddetto mese, il mio spirito ha
sofferto e soffre tuttora, le pene più afflittive che mai dir si possa.
Sono incamminata verso il secondo tabernacolo, ma la strada è molto più
disastrosa della prima. Vi è da passare un certo profondo, un certo
lago ripieno di acque salmastre. Che luogo afflittivo è mai questo! qui
non altro annidano che brutte bestie acquatiche. Oh, che noia rendono
al mio spirito queste brutte bestie. E chi cerco, chi bramo, e chi amo
non si vede! Il mio Dio dov’è? Potessi almeno io andare in traccia di
lui! Ma, oh Dio, non mi è permesso di sortire da questo lago. L’acqua
mi soprabbonda, mi pare di restare sommersa, chiamo il mio Dio in
soccorso, e non mi risponde; lo cerco e non lo trovo. Dubito che mi
abbia abbandonato.
Oh infelicità mia, quanto mai sei grande! Hai
perduto il sommo bene, e perché per colpa tua, o misera creatura, e che
mi serve dunque la vita, se ho perduto l’amato mio bene, che è la vita
stessa? Mio Dio, mio Dio, fatevi trovare da me pure una volta! E dove è
andato quel tempo felice che vi feci mio prigioniero ed ebbi la bella
sorte di possedevi con sicurezza? O creature tutte del cielo e della
terra, additatemi voi il mio Gesù! Ah, Gesù mio, per quell’abbandono
che soffriste sopra la croce, degnatevi di non abbandonarmi come
meriterei per i tanti peccati e cattiva corrispondenza alle vostre
misericordie infinite; ma per la vostra passione e morte, abbiate pietà
di me!
15.7. Il demonio nelle sembianze del confessore
Per
non mancare all’obbedienza aggiungo come la notte del 20 luglio mi
apparve il demonio in sogno, seppur sogno si può chiamare, mentre il
mio spirito era come sopito dall’inganno del tentatore. Mi apparve
dunque in sembianza del mio confessore, vestito con abiti secolari, mi
si presentò ridendo smoderatamente, mi obbligò a baciargli la mano,
accostandola arditamente alla mia bocca. Molto mi meravigliai di questo
insolito modo di procedere, così alla libera, non solo mi obbligò a
baciare la mano, ma con due dita mi strinse gli occhi molto forte e mi
fece provare molto dolore.
Io ero fuori di me, non sapevo che
pensare, perché lo credevo sicuramente il mio confessore, mi trattenevo
in ginocchioni avanti di costui, tutta mortificata, e costui proseguiva
a ridere smoderatamente, mi comandò poi di andare con lui. Vado per
obbedire, e costui mi conduce in luogo solitario, molto crebbe in me la
pena, invocai il mio Dio e costui disparve. Ringraziai infinitamente il
mio Dio di avermi liberata dalle mani dell’insidiatore nemico. Dopo che
costui mi ha toccato gli occhi, come disse di sopra, quando il Signore
mi dà qualche buon sentimento unito alle lacrime, prima che possono
sortire dagli occhi miei, provo un dolore tanto eccessivo che mi pare
che mi si dividono per mezzo; questo dolore mi viene cagionato dalle
prime due lacrime, il resto poi scorrono dolcemente e teneramente verso
il donatore amoroso che me le comparte in tanta copia che formano
prezioso ruscello per dissetare la povera anima mia. Assai più dolci
sono per me le lacrime di quello che dolce possa gustarsi preziosa
bevanda.
15.8. Le acque alla gola
Il dì 11 agosto,
prosegue la povera Giovanna Felice a soffrire gravissime desolazioni di
spirito, unite a tremende tentazioni ereticali. Più non posso esclamare
come facevo prima, ma come perduta avessi la voce, proseguo a stare in
mezzo al suddetto lago. Le acque mi sono ormai arrivate alla gola.
Chiamo il mio Dio e non mi ascolta, vorrei andare in traccia di lui, e
non mi è permesso sortire da questo lago. Dubito di restare vittima
delle pene. Almeno potessi sapere se è in pace con me il Signore! E
come sarà in pace con me, che sono tanto scellerata! Dunque mi avrà
abbandonato, non mi permetterà più il poterlo amare. Mio Dio, mio Dio,
mandatemi ogni qualunque castigo, ma non mi private di questo sommo
contento di potervi amare!». In questa guisa andava esclamando la
povera anima mia, piena di ambascia, cercando qualche conforto
all’affannato cuore.