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11 – LASCEREI I CIELI PER ABITARE LA BELLA ANIMA TUA
Il
primo aprile 1814, venerdì di passione, racconta la povera Giovanna
Felice. Nell’accostarmi alla santa Comunione fui trasportata in una
magnifica sala. Vidi nel mezzo di questa magnifica porta,
improvvisamente si aprì la suddetta, dove vidi amena strada, delizioso
soggiorno. Più volte per il passato sono stata condotta in questo
medesimo luogo; mai però ero sortita fuori della porta di questo
magnifico luogo, che non so giustamente nominare, questo si potrebbe
chiamare magnifico atrio, nobile galleria, ovvero preziosa reggia, dove
si degna il nostro buon Dio trattenersi con le anime sue amiche a
parlare, dove si degna il nostro Signore di comunicare alle sue dilette
le dottrine celesti, dove fa loro gustare la sua dolcezza.
Più
volte, come dissi di sopra, sono stata condotta in questo luogo per il
passato, dove la povera anima mia ha ricevuto molti favori, ne
racconterò qualcuno dei molti. Più volte nella santa Comunione ero in
questo luogo trasportata, vedevo aprire la suddetta porta e vedevo
dall’alto di un monte scendere il mio Signore Gesù Cristo, sotto la
forma di vago fanciullo, tutto circondato di preziosa luce, corteggiato
dagli Angeli santi, si degnava questo divino fanciulletto di entrare in
questo luogo, come si è detto di sopra.
Era cura del mio buon
Angelo custode di chiudere sollecitamente la porta, quando il divino
fanciullo era entrato, perché potesse la povera anima mia trattenersi
con lui, ora ricevendo insegnamenti circa la maniera che voleva che si
regolasse la povera anima, o circa l’esercizio delle sante virtù, ora
si adagiava sopra ricco sgabello, si addormentava placidamente, e la
povera anima mia restava prostrata ai suoi piedi, adorandolo,
benedicendolo, ringraziandolo.
In questo tempo, quali
intelligenze mi venivano somministrate! Il mio intelletto in un momento
penetrava cose molto grandi, appartenenti al suo amore, restava per
parte di queste intelligenze la povera anima mia innamorata di questo
Dio, tanto buono, tanto santo, tanto misericordioso. Si umiliava la
povera anima mia, e piena di ammirazione andava esclamando: «E come mai
è possibile, o Salvatore mio adorabile, che tanto oltrepassi il vostro
amore verso di me, che sono la creatura più vile che abiti la terra?
Sia benedetto in eterno il vostro amore».
Più volte mi ha
mostrato la compiacenza che aveva di abitare la povera anima mia, ora
chiamandola «sua preziosa abitazione», ora «delizioso giardino». Preso
dall’infinito amore suo, una volta così prese a dire: «Figlia, è tanto
l’amore che ti porto, che se per impossibile con la mia immensità non
potessi contenere il cielo e la terra insieme, mi eleggerei di lasciare
i cieli per abitare la bella anima tua!».
11.1. Perduta nell’immensità di Dio
In
questo tempo il mio spirito provava gli effetti più vivi di
contrizione, di umiliazione, di amore. Vicino a questa c’era un albero
bellissimo, e in questo veniva simboleggiata la santissima umanità di
Gesù Cristo, dunque mi abbracciai fortemente a questo. Ero tanto il
contento che provava il mio spirito, desiderosa di mai più disunirmi da
questo prezioso albero di vita eterna, mi raccomandavo al mio Signore
Gesù Cristo, che con pesanti catene mi avesse legato strettamente,
giacché la mia fragilità mi faceva dubitare di stare sempre unita al
suo amore. Pregavo il mio Angelo custode, che vedevo tutto ammirato per
la degnazione di questo Dio verso la povera anima mia; pregavo i tre
santi Angeli, che sono soliti favorirmi. questi nobili cittadini
celesti mi sono stati, per particolare privilegio, assegnati dalla
potenza del Padre, dalla sapienza del Figlio, dalla virtù dello Spirito
Santo, mentre questi santi Angeli appartengono distintamente ai tre
divini attributi. Questi mi conducono, mi ammaestrano, pietosi si
interpongono, quando sono manchevole verso il mio Dio. Mi raccomandavo
dunque, come dicevo, che con pesanti catene mi avessero legato a quel
prezioso albero. Quando il mio Signore mi ha dato a conoscere che
l’amore suo non patisce violenza, che sarebbero disdicevoli le pesanti
catene per unire le anime al suo amore, mentre verrebbero a togliere a
queste la libertà che gli donò; ma per darmi un pegno certo di
sicurezza, mi dava a vedere come teneva legata la povera anima, senza
pregiudicare la sua libertà, per mezzo dunque di prezioso amo, unito a
leggera catenella di oro finissimo, che riteneva nelle sue mani; l’amo
era profondato nel mio cuore, sicché, per mezzo di questo dolce legame,
padrone si rendeva del mio cuore.
Oh bella sicurezza, tu rendi
contento il mio cuore! Possiedimi tutta, o santo amore! e se mille
cuori avessi, tutti, tutti te li donerei!
Qual gaudio improvviso
m’inonda il cuore: la bella fonte mi spruzza le dolci sue acque, il
prezioso albero china verso di me i nobili e verdeggianti suoi rami.
Mio Dio, mio amore, mio Gesù, quanto è mai grande la piena delle vostre
dolcezze! La povera anima non vi può più contenere, mio Dio, basta! Non
più».
Così dicendo mi sono trovata immersa in Dio, perduta affatto nella sua immensità.
Il
giorno 4 aprile 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé.
Dopo la santa comunione, mi trovai nel medesimo luogo. Ricevuto che
ebbi distinti favori e dalla bella fonte e dall’albero nobilissimo, si
tratteneva la povera anima mia in dolce riposo, quando sono stata
invitata a viepiù inoltrarmi. La povera anima mia a questo invito si è
profondamente nel suo nulla, ma desiderosa di compiacere il suo dio,
così ha preso a parlare: «Mio Dio, mio amore, fate di me ciò che vi
piace. Sono tutta vostra, ma ricordatevi che sono la creatura più vile
che abita la terra. Mio dio, mio Signore, non oscurate la vostra gloria
per beneficare l’anima mia».
Avevo appena forzato questo
sentimento, quando leggiadramente sono stata trasportata in luogo
altissimo, adorno di immensa luce. Oh quanto belle cose conoscevo per
parte di intelligenza! Questo luogo mi pare si possa chiamare specola
nobilissima, dove il Signore manifesta se stesso alle sue dilette,
mentre in questo luogo viene comunicata alle anime una scienza
particolare, per conoscere e penetrare i misteri della santa fede.
Dopo
essermi trattenuta qualche tempo a penetrare gli alti misteri della
fede, per mezzo di queste cognizioni la povera anima mia restava
perduta amante di questo immenso Dio, e questo Dio si manifestava
perduto amante di me. Io dunque andavo velocemente verso di lui, e lui
rapidamente veniva verso di me. La povera anima mia restava medesimata
con Dio.
Santi Dottori, datemi la vostra eloquenza per
manifestare questa intima unione e i mirabili effetti di questa; non è
possibile che umano intelletto possa penetrarlo.
11.2. Si è degnato di crocifiggermi
Il
giorno 8 aprile 1814, venerdì santo, racconta di sé la povera Giovanna
Felice. La mattina di buon’ora mi portai alla chiesa, a visitare il
Santissimo Sacramento. In un momento fui trasportata nel medesimo luogo
in cui fui condotta il 4 di aprile. Sono invitata a sortire fuori della
porta, sono condotta in un’altura; vedo questo luogo ripieno di spiriti
celesti, che vestiti a lutto stavano adorando una croce tutta
sfolgoreggiante di bella luce, unitamente agli strumenti della passione
del nostro Signore Gesù Cristo. Anche io, a loro esempio, ho adorato
quella santissima croce, ma nel riconoscermi rea di mille delitti, mi
sono data in preda al dolore, è stata tanto eccessiva la pena, che ho
inteso ad un tratto mancarmi il respiro.
In questo tempo sono
stata sopraffatta da interna quiete, quando sento la voce del mio
Signore, che così prende a parlare: «Conducete la mia diletta a me». A
queste parole sono stata leggiadramente condotta in luogo altissimo,
che non so giustamente nominare. Si può chiamare alta specola, ovvero
forte castello, dove per mezzo di nobile finestra mi si comunicava il
mio Dio per mezzo di risplendentissima luce. Riempiva di sé tutto quel
luogo, il suo nobile splendore, il suo prezioso calore mi trasse fuori
di questo luogo. «Vieni», sentivo dirmi, «vieni ad unirti a me a cuore
a cuore!».
A queste parole mi sono trovata immersa nell’immensa
luce, sono stata qualche tempo affatto perduta nell’immensità di questa
luce, quando nel mezzo di questa, ho veduto il mio caro Gesù in mezzo a
quella luce. Ho veduto apparire una bella croce, unitamente agli altri
strumenti della passione del nostro Signore. Mi manca la lena per
proseguire il racconto. Mio Dio, e come mai è possibile che vi degnate
di amore tanto la povera anima mia? Che voi favorite le anime che vi
sono fedeli è una gran degnazione; ma che vi degnate di favorire la
povera anima mia, questo è un portento tanto grande da fare stupire
tutto il paradiso!
Si è dunque degnato, di propria mano, di
crocifiggermi sopra quella nobilissima croce. Dopo questo si è degnato
ferire il mio povero cuore unitamente al suo, mentre da ferro da ambo
le parti tagliente, prima l’ha appuntato al suo nobilissimo Cuore e nel
tempo stesso ha trapassato il mio, sicché il suo prezioso sangue è
venuto ad inondare il mio povero cuore, e il mio sangue miserabile è
stato benignamente ricevuto dal nobilissimo Cuore. In questo tempo la
povera anima mia ha sperimentato l’unione più perfetta che mai possa
immaginarsi. Non ho termini né parole di spiegare cosa ha sperimentato
il mio cuore.
11.3. La preghiera per sette peccatori
Alle
ore 17 mi portai alla chiesa alle tre ore di agonia di nostro Signore,
fui in questo tempo sorpresa da interno riposo, fui poi condotta sul
monte Calvario a compassionare il mio Signore, vidi molto popolo che
oltraggiava il mio caro Gesù crocifisso; ma in un momento era
sbaragliato tutto questo popolo dalla mano onnipotente: parte di
questi, confessando il loro errore si percuotevano il petto, e con la
fronte a terra adoravano il crocifisso Signore. Ero tutta intenta a
chiedergli perdono dei miei peccati, quando il mio Signore mi ha
comandato di rivolgere le mie preghiere a pro di sette peccatori, che
per i loro peccati si erano deformati.
Prego dunque caldamente
il Signore per questi, e domando cosa devo fare per ottenere la grazia.
Mi viene risposto che offra i meriti di Gesù all’eterno Padre. Mi
rivolgo, piena di fiducia, verso il mio Dio, e per i meriti di Gesù
Cristo gli chiedo la grazia. In questo tempo sono sorpresa da dolore
acutissimo nelle mani e nei piedi, ma in particolare il piede sinistro.
Era
tanto eccessivo il dolore del piede che non solo la gamba, ma tutta la
parte sinistra per fino la spalla ne soffriva il dolore per la
corrispondenza. Il gran dolore che soffrivo nei piedi, in particolare
al piede sinistro, come ho detto, mi cagionava tanta pena che mi faceva
venire meno. Questa mia gran pena la offrivo al divin Padre, unitamente
ai meriti di Gesù Cristo, a pro dei peccatori, quando il moribondo
Signore mi ha comandato di condurre questi alla sua presenza, mi sono a
lui rivolta: «Mio caro Gesù, e come mai farò io per condurre queste
anime a voi?». Mi fece intendere che avessi preso dal mio cuore
quell’amo unito alla catenella di oro sopraffino, che si è degnato
negli scorsi giorni donare alla povera anima, avessi liberamente posto
nella loro bocca l’amo e poi leggiadramente per mezzo della catenella a
lui li avessi condotti; Eseguisco prontamente il comando, mentre
scortata dai tre santi Angeli veniva la povera anima mia, e questi mi
condussero dove questi erano, trovo dunque questi miserabili sotto la
forma di bruttissime bestie, uno differente dall’altro, a seconda dei
vizi loro predominanti. Traggo fuori dal mio cuore l’amo, e piena di
quella fede che mi somministrava la grazia, pongo l’amo nella loro
bocca, e per mezzo della catenella, che unita era all’amo, conduco con
somma facilità queste sette bestie sotto la croce. Li presento al mio
Gesù crocifisso, prego, mi raccomando a pro di questi miseri.
Oh
portento della misericordia, questi incominciano a vomitare le loro
abominazioni, queste putride fecce venivano ingoiate dalla terra, hanno
incominciato a dare fuori della spuma sanguigna, finalmente le loro
bocche le vedevo grondanti di sangue vivo. Questo sangue dimostrava la
contrizione dei loro peccati; Di propria mano si levano dalla loro
bocca gli ami, che per virtù di Dio si erano moltiplicati nel numero di
sette, e li pongono nei loro cuori.
Oh effetto mirabile! posto
che ebbero nei loro cuori gli ami, si trasmutarono e presero la figura
di belli agnelli. Allora la gran madre di dio tramandò dal suo manto un
raggio di luce sopra di questi e candidi al pari della neve divennero.
Restò il mio spirito lodando, benedicendo, ringraziando il Signore e le
sue misericordie, ricolmo di gaudio e di contento.
11.4. Alienata dai sensi
Il
giorno 9 aprile 1814, giorno di sabato santo per speciale favore di
vostra riverenza mi potei accostare a ricevere la santa Comunione, che
ricevetti con sommo giubilo del mio cuore. Fui trasportata sopra
magnifico fabbricato triangolare, fui collocata in un magnifico angolo
di questo, fui sorpresa da interna pace, che mi tenne tutta la giornata
poco presente a me stessa, di maniera tale che; essendo venuto quel
giorno a trovarmi un buon religioso, dovetti soffrire il rossore, la
confusione, mentre, alla presenza di questo, il mio spirito, rapito da
Dio, con tanta forza, che mi sentivo come sollevare il corpo, radunai
la mia forza, per quanto ne ero capace procurai di resistere, ma fui
vinta dal mio Signore, che strettamente abbracciò la povera anima mia;
restai alienata dai sensi, per breve tempo, però mentre, subito che mi
fu permesso, procurai di scuotermi, sebbene con somma mia fatica.
11.5. Dolce rimprovero del Signore
Il
giorno 10 aprile, Pasqua di risurrezione, così racconta la povera
Giovanna Felice di sé. Mi accostai alla santa Comunione con molto
raccoglimento fui sopraffatta da interno riposo, quando mi trovai
nuovamente sopra quel fabbricato, come si disse il giorno 9 del mese
suddetto. Vidi apparire l’umanità santissima di Gesù Cristo, ammantato
di bella nube, mi prostrai con lo spirito dinanzi a lui, chiedendogli
perdono di tanti affronti, di tanti oltraggi che ho commesso contro
l’infinito suo amore. Piangevo dirottamente, parte per la pena di
averlo offeso, parte per il gaudio di vederlo non più tra chiodi e
spine, ma circondato di gloria.
Il mio Signore dolcemente mi ha
rimproverato, facendomi intendere che questo è giorno di gaudio e non
di pianto; mi ha invitato a più inoltrarmi, dopo essermi veracemente
protesta di essere la creatura più miserabile che abita la terra, per
compiacerlo mi sono inoltrata in questo luogo.
Ah, mio Dio, e
chi mai potrà immaginare l’amore che portate alla povera anima mia! Io
stessa ne resto meravigliata. Questo era un luogo pieno di luce. Il mio
Signore si è degnato di sollevare le mani al cielo e tramandare dalle
cicatrici delle mani e dei piedi e del venerando costato, non so dire
se sangue o prezioso balsamo, mentre la fragranza, l’odore che
tramandava sopiva la povera anima mia. Il prezioso sangue che
tramandava dalle cicatrici veniva a bagnare la povera anima mia,
particolarmente in cinque parti, che non so dire se per purificare i
sentimenti del mio corpo, ovvero per dare cinque disposizioni allo
spirito, che sono necessarie per ricevere con qualche degnazione la
particolare unione.
Mio Dio, e come potrò manifestare le grazie
grandi che vi degnate di fare alla povera anima mia! Senza sentenziarmi
per temeraria, ardita, presuntuosa, se sappiamo che i santi apostoli
non gli fu permesso di vedervi salire al cielo il giorno della vostra
gloriosa ascensione; come mai sarà possibile che vi sia creatura che
possa da sé immaginare cosa così grande! O questo può essere per un
favore particolare di Dio, oppure da illusione diabolica, unita alla
superbia più sopraffina che si sia mai veduta o trovata.
Proseguo
dunque, con somma mia confusione fui invitata a viepiù inoltrarmi per
fino a penetrare l’unione dell’umanità santissima di Gesù Cristo con la
sua divinità. È cosa veramente impenetrabile, incomprensibile, è cosa
veramente da fare stupire gli intelletti più sublimi, più intelligenti!
E come dunque io ardirò parlare, che sono la creatura più miserabile
che abita la terra! Padre mio, le basti sapere quanto le dissi a voce
sul fatto riferito, mentre mi si rende impossibile poterlo spiegare.