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10 – LE CALAMITÀ DELLA SANTA CHIESA
Il
dì 22 febbraio 1814, giorno ultimo di carnevale, così racconta la
povera Giovanna Felice: mi portai a santa Maria Maggiore per visitare
il santissimo sacramento esposto, e per comando del mio padre
spirituale, raccomandai la santa Chiesa e i suoi bisogni, quando vedo
apparire tre messaggeri celesti con torce accese, mi conducono questi
mi obbligano di andar con loro, mi conducono in luogo sotterraneo, dove
vedo le calamità della santa Chiesa, ma queste tanto in confuso che
niente posso dire, solo dirò che questa vista mi cagionò somma pena,
sommo dolore.
10.1. Molti sacerdoti infedeli
Il dì
24 febbraio 1814, così racconta di sé la povera Giovanna Felice: dopo
la santa Comunione, mi si presentarono nuovamente i tre santi angeli,
m’invitarono di andare con loro, mi conducono al surriferito
sotterraneo, questi, per mezzo delle torce accese, che tenevano nelle
loro mani, mi facevano vedere quello che si faceva nel buio di questo
luogo.
Vedevo molti ministri del Signore che si spogliavano gli
uni con gli altri molto rabbiosamente, si strappavano i paramenti
sacri, vedevo rovesciare i sacri altari dagli stessi ministri del
Signore, vedevo da questi conculcare con i loro piedi con molto
disprezzo i paramenti sacri; per mezzo di un piccolo finestrino ho
veduto il misero stato dei popoli: qual confusione, quale scempio, qual
rovina, io non ho maniera di spiegarlo! Sono stata condotta in altro
luogo, dove vedevo pochi ministri del Signore, con loro il capo della
santa Chiesa, e questi, uniti nella carità di Gesù Cristo, le rendevano
sommo onore, uniti a questi vedevo pochi secolari dell’uno e dell’altro
sesso, che, per essere uniti al loro capo, rendevano sommo culto al
Signore. Quando ho veduto apparire messaggero celeste, e questo ci ha
condotto in luogo grande e spazioso, il capo visibile della santa
Chiesa ha collocato nel luogo più degno l’immagine di Gesù crocifisso,
e poi ha dato ordine che si alzassero; appena hanno questi incominciato
ad annunziare la parola di Dio, vedevo venire da diverse parti molto
popolo all’adorazione di questo crocifisso Signore.
10.2. Tre spine nel cuore di Cristo
Il
dì 28 febbraio 1814, così racconta di sé la povera Giovanna Felice:
Dopo il pranzo mi portai alla chiesa di San Silvestro a Monte Cavallo,
per assistere alla «Buona morte», quando fui alienata dai sensi, il mio
buon Dio mi diede a vedere lo stato infelice di tre anime, e queste
come tre spine le vedevo al cuore di Gesù Cristo. A questa vista volli
morire «Ah, Gesù mio» così prese a dire la povera anima mia, «eccomi ai
vostri santissimi piedi, fate che queste spine trapassino il mio cuore,
eccomi pronta a patire qualunque pena per liberarvi dal crudo dolore
che vi cagionano queste spine crudeli. Venite, crude spine, a lacerare
il mio ingrato cuore, che fu cagione di tanto patire al mio caro Gesù!».
Intanto
il mio spirito, assistito da grazia soprannaturale, andava formando
desideri e offerte molto singolari, e molto piacevoli a quel Cuore
santissimo, trapassato da quelle crude spine. Ah, quanto meno dolore
cagionerebbe, se potessi con queste trapassare il mio afflitto cuore,
assai meno sarebbe la pena mia. Mentre il mio cuore agonizzava per la
pena di vedere il cuore di Gesù trapassato da quelle spine, mi si sono
presentati tre messaggeri celesti, con tre calici nelle loro mani e
altri piccoli ordigni, che io non conoscevo. Questi cortesemente
m’invitavano ad approssimarmi verso quel sacro cuore, che, tutto adorno
di raggi lucidissimi, veniva a mostrare l’immenso amore suo, verso la
povera anima.
Oh, fatto prodigioso e insieme ammirabile! Vuol
servirsi della creatura più miserabile, più vile che abita la terra,
per liberarsi dal dolore che gli cagionano quelle spine!
Ma
approssimo dunque a quell’adorabile cuore, ed espressamente sono
comandata di levare, con mie proprie mani quelle crude spine, che lo
trapassavano. Mossa da santo zelo, vado tutta amore, tutta carità, come
una figlia amorosa per liberare l’amato suo padre dal crudo dolore; mi
viene somministrato strumento molto adatto per fare la nobile
operazione.
O santo Angelo, ti ringrazio che mi hai
somministrato ordigno sì bello; che con somma facilità posso liberare
l’amato mio bene. Traggo fuori le insanguinate spine, un messaggero
celeste scopre il calice e mi comanda di riporre in questo le
insanguinate spine. L’altro messaggero celeste presenta il suo calice;
in questo vi era prezioso balsamo, mi somministrò altro strumento
adatto ad astergere le ferite. Scopre il terzo il suo calice: dentro di
questo vi erano tre bellissime gioie, unite, legate insieme.
«Prendi, o diletta figlia», mi sentivo dire, «prendi le preziose gioie. Vieni, adorna il mio Cuore!».
Prendo
dunque dal calice le suddette gioie e di queste adorno il cuore
santissimo del mio caro Gesù. Adorno che fu da queste gioie il nobile
suo Cuore, si degnò tramandare tre raggi di luce chiarissima a toccare
la povera anima mia, e mi fece degna di unirmi intimamente al suo
amore. La povera anima mia restò sopita dalla dolcezza di sì
particolare unione. Allora mi manifestò chi sono quelle tre anime che
trapassavano come spine il suo Cuore. Per parte d’intelligenza mi fece
conoscere che quel prezioso balsamo erano le mie lacrime, che avevo
sparso a questo oggetto, mentre otto o dieci giorni prima di questo
fatto, il Signore nella santa Comunione mi diede a vedere qual dolore
cagionavano queste tre anime all’amoroso suo Cuore, che come spine
venivano a lacerare il suo amore. Fu tale e tanto il dolore che provò
il mio cuore, che volli propriamente morire; la pena rese cagionevole
anche il corpo, questi giorni non feci altro che piangere, e portata da
vivo desiderio di compensare le ingiurie che riceveva il cuore amoroso
del mio caro Gesù, mi offrivo qual vittima di patire ogni qualunque
pena, per dare qualche compenso. Mi eleggevo di andare anche
all’inferno, se fosse stato di sua gloria. Volevo a bella posta
occultare l’intelligenza che ebbi circa le tre pietre preziose che
dissi di sopra, lo dirò a gloria del mio Signore. In questa venivano
figurate le potenze della povera anima mia, che assistita dalla grazia
e dai meriti di Gesù Cristo, vennero queste a dare un giusto compenso
al suo santissimo Cuore. Opera fu questa della sua potenza, mentre mi
diede tanto di grazia di potere compensare la loro malizia. Cosa
veramente mirabile, o infinita sapienza, e chi mai potrà ridire i
mirabili effetti che produce la tua grazia nelle anime nostre, in un
momento le rendi capaci di fare ogni qualunque operazione.
O
bontà infinita, tu rendesti estatici quei tre personaggi della tua
corte, benché questi fossero di sublime grado, che spettatori e
cooperatori furono di sì grande opera; mentre senza particolare
intelligenza non è possibile comprendere cosa così sublime. Preghiamo
il Signore che ci dia grazia di comprenderne il giusto senso.
10.3. Immedesimata con lui
Il
giorno 7 marzo 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé.
Prima di ricevere la santa Comunione fui da interno raccoglimento
sopita, in questo tempo mi si presentarono i tre santi Angeli, che sono
soliti favorirmi, questi m’invitarono di andare con loro. Dopo essermi
protestata di essere la creatura più vile, più miserabile della terra,
vado obbediente. Questi nobili personaggi mi conducono ai piedi di un
monte altissimo, grandissimo, bellissimo, quando sento la voce del mio
diletto, che con dolci parole m’invitava, e con le espressioni più
amorose si dichiarava amante purissimo della povera anima mia, e qual
diletta sposa la invitava ad unirsi intimamente.
A questi
amorosi inviti del castissimo suo amore e dalla soavità che tramandava
questo mistico monte, la povera anima mia era penetrata da interna
dolcezza, che le cagionava amoroso deliquio. In questo stato provai gli
effetti più forti del suo castissimo amore, questo mi rese qual vittima
amorosa dell’eterno Dio, che sotto questo magnifico monte mi dava a
conoscere la sua immensità: in qualche maniera, per quanto ne sono
capace, mentre mi protesto di non potere comprendere con il povero mio
intelletto l’infinita immensità di Dio.
A queste cognizioni
venivo sopraffatta dall’amore, ma insieme sorpresa da sommo timore per
la sua infinita magnificenza. Andavano crescendo gli amorosi inviti del
mio diletto. Io desideravo andare speditamente, ma mi mancava la lena;
il mio celeste sposo si è degnato mandare prezioso sgabello, sopra di
questo sono stata collocata dai santi Angeli condottieri, da benefico
vento sono stata sollevata fino alla sommità del monte; arrivata che
fui, il mistico monte benignamente aprì il suo immenso seno, e
amorosamente mi ricevette. Propriamente fui immedesimata con lui, gli
effetti straordinari che cagionò nella povera anima questa intima
unione non è possibile poterlo manifestare, solo dirò che questo è un
grado di unione molto particolare.
10.4. Il prezioso liquore del suo cuore
Il
giorno 17 marzo 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Ero
afflittissima per avere mancato alla carità del prossimo con parole, mi
ero confessata di questa mancanza, e piena di confusione e di dolore,
chiedevo perdono al mio Dio. Mi accostai al sacro altare per fare la
santa Comunione, viepiù si aumentava la contrizione del mio povero
cuore, questa mi cagionò pena e dolore. Eccomi dunque vittima del
dolore, restai per qualche tempo priva di sensi; e il mio spirito,
sopraffatto da interna quiete, tutto abbandonato nella misericordia di
Dio, mi sono apparsi i santi angeli e mi hanno condotto alla presenza
del mio Signore.
In questo luogo si è fatta maggiore la pena
mia, mentre da sacri veli era coperto il mio bene, e non mi era
permesso di poterlo mirare, tanto è stata la pena, tanto il dolore,
tanti sono stati gli affetti del cuore, tante le preghiere, che il
pietoso suo Cuore si è mosso a compassione. Per ordine suo medesimo si
sono spalancati i sacri veli, e ho potuto così adorare il sacro Cuore
del mio caro Gesù, che circondato da immensa luce, attorniato da
preziosi raggi, faceva pompa dell’infinito suo amore. Si è degnato
percuotere la povera anima mia con i preziosi suoi raggi, e questa si è
sollevata perfino a lambire il prezioso liquore che tramandava dal suo
amorosissimo Cuore.
10.5. Crocifissa con lui
Il
giorno 18 marzo 1814 così racconta di sé la povera Giovanna Felice. Mi
portai a san Nicola da Tolentino, a visitare la Madonna Santissima di
Savona. Mi trattenni alla messa cantata, passai molto tempo in umiliare
me stessa, pregando la divina madre Maria santissima a volersi muovere
a compassione della povera anima mia, tanto miserabile, tanto
peccatrice, benché indegna mi conoscessi, tutta mi donai al suo
servizio, qual umile ancella.
In questo tempo sono sopraffatta
da intimo raccoglimento, fui trasportata sul monte Calvario, alla
rimembranza di questo solitario monte, mi si facevano presenti alla
mente le pene, gli affanni che in questo luogo patì il buon Gesù, ero
tutta intenta a compassionare il mio caro Gesù, quando vedo apparire i
tre messaggeri celesti che sogliono favorirmi, che portavano nelle loro
mani croce, chiodi, martello, corona di spine, posarono sopra il monte
la croce, m’invitarono a distendermi sopra di questa, mi distendo sopra
questa croce, e questi spiriti, pieni di modestia e di riverenza, mi
inchiodano sopra la croce, con tanta leggiadria che neppure un dito mi
urtarono con le loro purissime mani.
Non mi apportò dolore
questa crocifissione, ma gaudio, consolazione, amore tanto
straordinario, che mi facenva languire, sopra questa croce mi
coronarono il capo di quella preziosa corona, e questa invece di
trafiggere donava al mio intelletto particolare intelligenza di cose
molto sublimi, appartenenti alla Triade Sacrosanta. Mi conviene
confessare la mia debolezza, la mia ignoranza, non ho termini di
manifestare queste cognizioni, che il Signore mi comunica intimamente,
con certa occultezza, che io non so spiegare, nel tempo che le mie
potenze erano tutte intente a penetrare cose così sublimi, ero
sopraffatta dallo stupore di tanta magnificenza, quando vedo apparire
la Vergine Santissima, accompagnata da molte sante Vergini, questa
divina Signora prende la croce nelle sue mani.
Mi sono
dimenticata di dire un’altra cosa, che prima di questo seguì. Nel tempo
che mi trattenevo in quella particolare intelligenza, come già dissi di
sopra, vidi il mio caro Gesù sotto la forma di vago giovanetto, che
dall’altezza di amena collina mi guardava amorosamente. Si degnò
trapassare il mio pover cuore con dolce strale, che teneva nelle sue
mani. Come potrò io ridire i mirabili effetti che provò il mio cuore?
10.6. Salvezza eterna di un giovane di mondo
Il
giorno 19 marzo 1814 così racconta di sé la povera Giovanna Felice. La
mattina del glorioso san Giuseppe, ebbi occasione di parlare con una
buonissima madre di famiglia, che per aver avuto la funesta nova della
morte di un figlio, che repentinamente era passato da questa all’altra
vita, mentre era fuori di Roma, era afflittissima, piangeva
dirottamente, per il timore che aveva della salute eterna di questo,
mentre era stato giovane di mondo. La sua giovanile età di anni 22 la
tenevano in sommo timore, come ancora la poca assistenza che aveva
avuto sì nell’anima come nel corpo.
Mi pregò caldamente che
avessi pregato e fatto pregare, per sapere qualche notizia di
quest’anima, mentre lei non avrebbe cessato di piangere, per muovere il
Signore a pietà, fintanto che saputo non si fosse qualche notizia di
questa povera anima. L’afflizione di questa buona madre impegnò il mio
povero spirito a pregare il Signore, affinché si fosse degnato di dare
alla suddetta notizia del figlio suo defunto.
Quando il mio
spirito fu sopito da interno raccoglimento, mi apparve la santa anima
di Anna Maria, che portava con lei l’anima del giovane defunto, tutto
circondato di fiamme. Piangendo dirottamente, tutto tremante, mi faceva
intendere che per puro miracolo, e per la valevole intercessione della
suddetta santa anima, si era salvato, che privo era di suffragio ma
sperava nella intercessione di questa sua benefattrice, mentre la vita
eterna a lei la doveva, per averlo assistito in punto di morte, e lei
stessa lo aveva condotto davanti al divin giudice, e la misericordia
gli ottenne. Mi fece intendere che le sue lacrime denotavano la
gratitudine del suo cuore verso l’infinita bontà di Dio, e verso la sua
protettrice Anna Maria, mentre senza alcun merito si era salvato.