[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A
A
A
A
A
4 – CONFERMATA IN GRAZIA
Il
giorno della Visitazione di Maria Santissima, il 2 luglio 1805, dopo la
santa Comunione, mi trattenevo con molto raccoglimento a considerare
l’infinita misericordia di Dio nel tollerare la mia ingratitudine.
Quando fui sorpresa da dolce sopimento.
In questo tempo fui
trasportata in spirito in luogo magnifico, dove vidi nell’altezza dei
cieli l’augusto trono di Dio. Nel vedere cosa così grande e magnifica
il mio spirito si riempì di sommo timore. Molti messaggeri celesti
cortesemente mi invitavano, da parte dell’eterno Dio, ad approssimarmi
al magnifico trono, ma il sommo timore non mi permetteva di accettare
l’invito. Quando a bella posta, apparve la gran Madre di Dio, tutta
ammantata di chiarissima luce, tutto amore verso di me, mi dava con
dolci parole coraggio, acciò mi fossi approssimata all’augusto trono.
Mio Dio, qual confusione è per me manifestare i tratti della vostra infinita misericordia!
La
divina Signora mi onorò, con l’accompagnarmi lei stessa al magnifico
trono. Cosa mai potrò dire per spiegare qualche poco la magnificenza,
la maestà, la santità che conoscevo in Dio, per parte di intima
intelligenza, mentre niente di preciso vidi, perché candido velo, unito
a luce chiarissima m’impediva di vedere. Niente vedevo, e molto
comprendevo per parte di interna cognizione, quali furono gli affetti
del mio cuore non so spiegarlo. Ero tutta intenta a rendere grazie al
mio Dio, quando imperiosa voce così mi parlò: «In questo giorno sei
confermata in grazia. Favore tanto segnalato ti viene compartito per il
valevole patrocinio di questa eccelsa Madre».
4.1. Che cosa voleva dire?
Tornata
in me, mentre ero alienata dai sensi, pensando a quando mi era seguito,
non sapevo cosa volesse dire quella parola: «confermata in grazia».
Credetti che mi fossero stati rimessi i peccati commessi. Non avevo
coraggio di manifestarlo al confessore, perché ne avevo sommo timore,
perché questo ministro di Dio non si era avveduto del mio timido
carattere, per esser poco tempo che assisteva la povera anima mia; mi
teneva in qualche sorta di soggezione, motivo per cui poco e niente
potevo manifestargli quanto passava nel mio spirito.
Ero tutta
contenta, credendo che la parola «confermata in grazia» volesse
significare che mi erano stati perdonati tutti i peccati.
Dopo
qualche tempo che mi era seguito il suddetto fatto, discorrendo, con la
mia sorella monaca, di un gran servo di Dio, mi disse che questo non
andava più soggetto alle sue miserie, per essere il suddetto confermato
in grazia.
A queste parole della mia sorella, intesi balzarmi il
cuore nel petto, restai piena di confusione, mentre la suddetta mi fece
credere che questa grazia fosse molto singolare. Io, benché a questo
parlare della mia sorella, restassi molto sorpresa, nulla detti a
vedere di quanto passava in me, ma con santa indifferenza seppi
occultare la grande ammirazione che cagionò in me il suo parlare.
Nonostante l’interna ammirazione niente mostrai nell’esteriore, ma con
mezzo termine proporziona mi divisi dalla suddetta, per il timore che
avveduta non si fosse di quanto passava nel mio spirito, perché fui
sorpresa da interno fuoco, e questo appariva nel mio volto.
Mi
ritirai in luogo appartato, e incominciai a pensare come potesse essere
vero quanto mi era accaduto. Andavo dicendo tra me: «E come sarà
possibile che sia vero quanto mi è seguito? Io sono tanto scellerata!
La mia sorella ha detto che questa grazia il Signore la concede alle
anime perfette. Sicuramente questa è una illusione!».
Non
sapendo cosa decidere, non avevo coraggio di manifestarlo al
confessore. In questo tempo il suddetto fu eletto vescovo, e per
conseguenza abbandonò il confessionario. Per sua bontà pensò lasciarmi
ad un buon sacerdote, da lui creduto molto pratico intorno alla
direzione di spirito. Questo era un giovanetto di santi costumi, ma
poco e niente pratico di guidare anime. Pensai dunque di andare dal
padre gesuita, mio passato confessore, del quale feci menzione nei
fogli passati, gli raccontai il fatto suddetto.
« Padre », gli dissi, «per carità, mi dica se è illusione del demonio. Come è possibile che io abbia ricevuto questa grazia?».
«
Figlia », rispose il suddetto, «non posso dubitare che quanto mi avete
manifestato non sia grazia del Signore. Figlia, è molto tempo che il
Signore vi ha fatto questa grazia. Sono quattro anni che vi confessate
da me, e non ho mai trovato materia di assoluzione. La grazia che voi
avete ricevuto è di saperlo, a molte anime il Signore concede questa
grazia, ma a poche lo manifesta. Il Signore si è degnato manifestarlo a
voi, ma, batate bene di occultare la grazia ricevuta, non ne parlate
con anima vivente».
4.2. L’obbedire mi fu di molta pena
Assicurata
della grazia dal buon padre gesuita, restai quieta e contenta. Credetti
bene di obbedire il buon Vescovo, proseguii ad andare da quel
confessore che mi aveva lasciato. Il suddetto mi servì di molto
esercizio di pazienza e di somma sofferenza; quando gli rendevo conto
del mio spirito ne formava le più alte meraviglie, e senza proferir
parola su quanto gli avevo detto, mi dava la benedizione, e mi diceva:
«Vi aspetto un altro giorno». In altre occasioni mi diceva: «Non voglio
che le mie penitenti sollevino nelle orazioni le loro menti a Dio. Ho
piacere che camminino terra terra, perciò vi comando che nelle orazioni
altro non meditate che la morte, il giudizio, l’inferno, e non andate
tanto sollevando lo spirito».
L’obbedire mi fu di molta pena,
perché non era in mio potere fare ciò. Il Signore, il più delle volte,
furtivamente mi rapiva lo spirito, per parte di un tocco interno. Ero
sollevata a contemplare le divine perfezioni. A queste cognizioni
intellettuali si accendeva la volontà di amore ardente, che mi traeva
fuori di me stessa, non ero capace di altro che andare appresso al mio
Signore, che fortemente mi tirava. Terminata la divina illustrazione,
mi ricordavo di quanto il confessore mi aveva comandato. Tutta
mortificata mi volgevo al Signore, mostrandogli il dubbio che avevo di
avere disubbidito; ma il mio Signore mi faceva chiaramente conoscere
che non avevo su di ciò colpa alcuna, ma che la creatura non può
resistere al Creatore.
4.3. Un confessore sbagliato
Sicché
le orazioni invece di essermi di consolazione mi erano di pene; andavo
risolutissima di non mi partire dalle meditazioni impostemi dal mio
confessore; procuravo di ritenere lo spirito racchiuso quanto mai
potevo, macché, il più delle volte non avevo terminato l’orazione
preparatoria, che il mio Dio s’impadroniva del mio spirito e mi dava
cognizioni ben grandi, riguardanti le sue divine perfezioni.
A
queste cognizioni la povera anima mia s’infiammava di carità, per mezzo
della carità viepiù s’inoltrava a contemplare le divine perfezioni, ma
appena mi avvedevo di essermi tanto inoltrata, procuravo per quanto
potevo di ritirare lo spirito da questo gran bene, per non mancare
all’obbedienza. Macché, appena avevo ritirato lo spirito, che tornava
nuovamente Dio a sollevarlo.
Queste orazioni mi erano di
afflizione e di pene; tutte le volte che il Signore si degnava di
favorirmi, piangevo dirottamente, per timore di aver mancato
all’obbedienza. Quando il Signore non era tanto lesto di rapirmi lo
spirito, mi mettevo a considerare le pene dell’inferno, e procuravo con
tutto lo studio di eccitare in me orrore e spavento, acciò non si fosse
sollevato lo spirito, macché! trovava ancora in questa tetra
meditazione la maniera di sollevarsi a Dio, considerando, invece della
rigorosa giustizia, l’amore di un Dio amante. «Mio Dio», andava dicendo
fra sé la povera anima mia, «tanto vi preme il beneficarmi, che mi
intimorite con l’inferno! O amore grande ed infinito, tanto vi
compiacete di possedermi, che se non vi voglio amare per amore vi
contentate che vi ami per il timore dell’inferno».
A queste ed
altre simili riflessioni si accendeva il mio spirito di amore tanto
grande verso il suo Dio che, trasportata dalla fiumana della carità, la
violenza dello spirito violentava il corpo, sicché ora cadeva sul suolo
come morto, ora si dibatteva con moti convulsi, ora mi pareva che il
cuore si volesse dividere in mille pezzi, parevami volesse balzare dal
seno; troppo procuravo di far resistenza alla grazia di Dio per
obbedire il mio confessore, ma la forza maggiore vinceva la minore.
Molto
era grande la pena che soffrivo tutte le volte che mi dovevo presentare
al suddetto, perché le sue parole non altro servivano che per
angustiarmi. In undici mesi circa che fui diretta dal suddetto, tutte
le volte che mi parlava aveva nuove idee sopra di me, diverse volte,
senza sapere né che né come, mi leva la santa Comunione. Permette Dio
che i direttori prendano qualche equivoco verso le anime che dirigono,
ma il suddetto, senza sua colpa, trovava tutte le maniere di
affliggermi quotidianamente, nonostante questo forte urto, mai perdetti
la pace del cuore, ma il mio spirito era sempre tranquillo, e, tutta
abbandonata in Dio, passai gli undici mesi.
Per giuste cagioni
il suddetto dovette abbandonare il confessionario. Il Signore mi diede
a conoscere che dovevo trovare altro direttore; fintanto che non fui
soggetta al suddetto direttore mal pratico, credetti sempre che fosse
comune a tutti l’essere così favorita da Dio nelle orazioni, sicché non
sapevo qual fosse il motivo delle sue ammirazioni.
Finalmente
una mattina mi disse: «Ditemi un poco, chi credete di esser voi, che
pretendete di stare in confronto di una santa Caterina, di una santa
Geltrude, di una santa Maria Maddalena de’Pazzi? Eh, ci vuole altro! eh
vi pare a voi cosa conveniente di tanto innalzare lo spirito nelle
orazioni? Lasciate fare alle anime contemplative queste sorte di
orazioni non hanno tanta comunicazione, come dunque sarà possibile di
credere che a voi tanto vi sia permesso da Dio il potervi inoltrare,
se, come dissi, alle anime contemplative, dopo rigorose e austere
penitenze, non a tutte permesso di tanto inoltrarsi, come sarà permesso
a voi di tanto inoltrarvi?».
Prosegue a dire: «Un’altra cosa mi
fa molto specie in voi, mi dite che non soffrite alcuna pena dallo
stimolo della carne, io più rifletto al vostro spirito e meno ne
capisco!».
Le parole di questo ministro di Dio mi misero in
somma pena, pensando che avesse molto ben ragione di farmi un tal
rimprovero, mi detti a credere di essere illusa e dal demonio
ingannata. Secondo il mio solito, ricorsi al mio Dio con molte lacrime,
pregandolo a farmi conoscere se la povera anima mia era ingannata dal
demonio. Il Signore si degnò assicurarmi che non era opera del demonio,
ma opera della sua grazia, mi diede a conoscere ancora, come dissi di
sopra, che mi fossi trovata altra guida, altro direttore. Ricevuto il
suddetto avviso, mi raccomandai caldamente al Signore per fare una
buona scelta.
4.4. Un altro confessore
La mattina
che ricorreva la festa del glorioso apostolo san Giacomo del 1806, ebbi
particolare ispirazione di portarmi in una certa chiesa, e presentarmi
a un tale ministro di Dio, senza sapere chi fosse. Vado dunque, e come
piacque a Dio, trovai un uomo di santa vita, molto pratico, mi accolse
con molta carità. Molte furono le interrogazioni che mi fece riguardo
al mio spirito, ma tutto trovò conforme allo Spirito del Signore. Il
suddetto mi dette coraggio e licenza di andare a Dio tutte le volte che
si degnava chiamarmi, anzi mi disse di più, che nelle orazioni avessi
pure liberamente sollevato lo spirito e fossi andata liberamente dove
Dio si degnava condurmi, che mi fossi slanciata liberamente verso il
mio Signore.
Alle parole dell’accennato direttore, il mio
spirito andava a briglia sciolta verso il suo Signore, tutte le volte
che a sé chiamava per mezzo di interne illustrazioni, oh, come la
povera anima mia stendeva le sue ali, e aspettando se ne stava di
essere sollevata dal benefico vento della carità dell’eterno Dio! E il
mio buon Dio, non curando la sua grandezza, si degnava di abbassarsi
per favorire la mia bassezza. Oh, come facevamo a gara lui a sollevarmi
e io ad umiliarmi! Più mi umiliavo e il mio Dio più mi innalzava.
La
contemplazione era il frequente pascolo che Dio si degnava dare alla
povera anima mia per nutrirla quotidianamente, e così con questo
prezioso cibo si sosteneva senza gustare di quelli tanto diversi cibi
che è solito dare il mondo ingannatore. Trovavo l’anima mia sempre
pronta a sostenere ogni qualunque battaglia che le veniva mossa dai
suoi spietati nemici. Tutti ad un tratto coraggiosamente li affrontavo
con la grazia di Dio.
4.5. Con Anna Maria Taigi alla Scala Santa
Erano
passati già sei mesi che ero soggetta a questo buon direttore, quando
al Signore piacque chiamare agli eterni riposi il mio buon padre. Il
dolore della sua perdita fu mitigato dalla preziosa sua morte, che fu
il 29 gennaio del 1807.
Molto mi affaticavo di suffragare la
benedetta sua anima, non solo con le mie povere orazioni, ma con farlo
raccomandare da diverse anime buone. In questa occasione ebbi la sorte
di conoscere una penitente del padre Ferdinando trinitario scalzo di
San Carlo alle Quattro Fontane. Mi raccomandai a questa buona serva di
Dio, acciò facesse qualche suffragio al defunto mio padre. La suddetta
mi disse che molto giovevole sarebbe stato il visitare per il suddetto
la Scala Santa. Mi portai dunque con la suddetta serva di Dio alla
Scala Santa un giorno di venerdì di marzo.
4.6. Il padre Ferdinando
Il
padre Ferdinando, confessore della suddetta, volle parlare con me; per
cose riguardanti questa sua penitente. In questo tempo mi trovavo senza
condirettore, per essere il suddetto andato fuori a predicare. Erano
dei giorni che avevo bisogno per mia quiete di manifestare una cosa
riguardante il mio spirito. Credetti bene fare una confidenza con
questo buon padre trinitario di quanto mi accadeva nelle orazioni, nel
tempo che non vi era il mio direttore. La cosa era che quando
m’inoltravo molto nelle orazioni, sentivo una voce interna che mi
parlava con tanta chiarezza, e il mio spirito si tratteneva con questa
a parlare con dolcezza di cose molto alte, appartenenti all’infinito
amore che Dio porta alla povera anima mia. Questa voce l’ammaestrava
come si doveva portare verso il suo Dio per potergli piacere, la cosa
era tanto chiara e sensibile, che io ne restavo molto intimorita,
dubitando di qualche illusione, credetti bene manifestarlo al suddetto
padre, il quale mi dette molti avvertimenti riguardo alla maniera che
doveva portarmi in questi casi. Mi disse ancora che tutte le volte che
mi fosse occorso qualche cosa, fin tanto che tornato non fosse il mio
direttore, mi averebbe fatto la carità di assistermi.
La sua
caritativa esibizione riempì il mio cuore di gratitudine e di filiale
confidenza; sicché, tutto il tempo che il mio direttore stette fuori,
mi prevalsi della bontà del lodato padre. Molto giovevoli erano al mio
spirito le sue parole; molto spesso andavo a trovarlo, benché il
viaggio fosse ben lungo, essendo la mia abitazione vicina a piazza di
Pietra, era tanta la dolcezza di spirito che Dio mi faceva provare in
quel lungo viaggio, che non curando né pioggia né vento, mi portavo là
con tanta soavità di spirito che, nell’entrare in quel sacro tempio, mi
pareva di entrare in un paradiso.
Le parole del lodato padre
facevano in me cose molto mirabili; le sue parole avevano tanta
efficacia che erano sufficienti per unirmi con Dio. Oh, quante volte in
confessionario medesimo il Signore si degnava compartirmi i suoi
favori, facendomi gustare i dolci effetti della sua misericordia!
Diverse
volte mi avvedevo che il Signore rendeva partecipe il lodato padre di
quella grazia che Dio si degnava comunicare alla povera anima mia, con
farli provare in quei momenti una particolare dolcezza di spirito.
4.7. La grazia dei santi Esercizi
La
seconda domenica dopo Pasqua tornò in Roma il mio direttore, ringraziai
il buon padre Ferdinando della carità usatami, e piena di filiale amore
mi congedai da lui; ma il mio cuore aveva ricevuto dal suddetto padre
una particolare impressione, che per essere opera di Dio non era in mio
potere poterlo scancellare dal mio cuore. Il mio spirito era sempre a
lui rivolto, quando potevo ottenere dal mio direttore la licenza di
andarlo a trovare, il mio spirito era sopraffatto da interna dolcezza,
e sentiva che forza superiore a lui mi conduceva.
Tra le molte
grazie che Dio mi compartì in questo tempo, una delle maggiori fu il
fare i santi esercizi al Santissimo Bambino Gesù. Grazia veramente
grande, per le grandi difficoltà che dovetti incontrare per ottenere
dai parenti la licenza. Ma, come a Dio piacque, mi fu dai suddetti
accordata la licenza. Il giorno dunque dell’Ascensione del Signore del
1807 mi portai al venerabile monastero del Santissimo Bambino Gesù a
fare i santi esercizi. E come potrò io manifestare tutte le grazie, le
misericordie, i favori che mi compartì il Signore in quei giorni di
ritiro?
Ma per non mancare all’obbedienza, con l’aiuto di Dio
qualche cosa dirò. La vigilia dell’Ascensione del Signore, dopo la
santa Comunione fui sollevata da alta contemplazione, dove il Signore
mi fece intendere che voleva sollevare l’anima mia a un grado molto
alto di perfezione, e fin da quel momento mi fece passare a maggior
grado. In questi termini fu invitata la povera anima mia dal suo
diletto: «Sorgi», mi disse, «sorgi, diletta figlia, sciogli dal collo
tuo le catene, non è più tempo di schiavitù!».
A queste parole
l’anima mia fu sciolta da certi naturali legami che la nostra misera
umanità va soggetta, e che le anime che attendono alla perfezione ne
sono sciolte con la lunghezza del tempo, e con la pratica delle sode
virtù; ma il Signore si degnò usare verso di me questo tratto di sua
infinita misericordia, e mi donò per grazia quello che in nessun conto
mi aspettava per merito.
Ecco come la povera anima ascese ad un
grado di maggior perfezione, senza alcun merito proprio, ma solo per
parte di particolar predilezione di quel Dio che mi creò per amarmi,
nonostante la mia ingratitudine.
Al momento sperimentai i buoni
effetti della grazia, il mio intelletto fu ripieno di sapienza, per
mezzo di questo dono il mio spirito si sollevava a Dio, e da Dio ne
riportava nuove grazie.
4.8. Una preziosa corona
Ho
dimenticato di scrivere un fatto che mi seguì il giorno 19 nel mese di
marzo del 1807, nel tempo che era fuori il mio direttore e che in
mancanza del suddetto mi assisteva il reverendo padre Ferdinando, come
si è detto nei passati fogli.
Il giorno che ricorreva la festa
del glorioso san Giuseppe, nella santa Comunione, ero tutta intenta a
piangere i miei peccati per trovarmi colpevole di impazienza,
improvvisamente fu sopito il mio spirito e sopraffatto da intima
quiete. Mi parve in questo tempo di essere condotta da mano invisibile
sopra di un monte, dove trovai molte anime che formavano d’intorno
all’umanità santissima di Gesù Cristo nobile corona. Si arrestò a
questa vista il mio povero spirito, riconoscendosi indegno di
inoltrarsi, per riconoscere in quelle anime che quivi erano molta
santità e perfezione.
Piena di lacrime mi rivolsi a loro, acciò
si fossero degnate ottenermi dall’amabile Signore il perdono dei miei
peccati, ed intanto, umiliandomi fino al profondo del mio nulla, mi
disfacevo in lacrime di contrizione, desideravo ottenere per grazia di
esser serva di quelle anime che quivi erano.
Oh, quanto mai
erano belle, le vedevo tutte vestite di bianco, trattar familiarmente
con Gesù Cristo. Oh, qual consolazione, dicevo tra me, sarebbe poter
servire queste anime tanto sante! Ma una indegna peccatrice come sono
io non merita tanto onore». Rivolta all’amato Signore, piena di
fiducia, dissi: «Gesù mio, abbiate pietà di me, misera peccatrice!».
Ed
intanto, discostandomi da quel sacro monte, per rispetto e riverenza,
piangendo la mia grande ingratitudine, quando l’amoroso Gesù, pieno di
santo affetto, a me rivolto mi disse: «Mia diletta figlia, ti arresta»,
e, comandato a quelle anime che attorno gli facevano corona, che
liberamente mi facessero passare, a me rivolto soggiunse: «Amica mia,
appressati a me senza timore. Voglio coronare il tuo capo di pregiata
corona».
A questo invito qual contrasto provò il mio cuore di
santi affetti, la propria cognizione non mi permetteva di accettare
liberamente gli amorosi e replicati inviti del mio Signore. «E come
ardirò io», dicevo, «avvicinarmi tanto alla stessa santità? Queste
anime giustamente mi rimprovereranno il mio ardire! Ma come potrò
resistere a invito tanto parziale che mi fa il mio Signore?».
Ma
intanto l’amato Signore, osservando il santo contrasto che facevano i
diversi affetti nel mio cuore, si compiaceva di vedermi per amor suo
così patire, tornò nuovamente ad invitarmi con maggior efficacia,
l’amore di compiacerlo superò il timore di disonorarlo; mi avvicino a
lui qual figlia amante al caro padre suo, mi prostro ai suoi piedi,
piena di; rispetto e riverenza dicendo: «Domine, quid me vis facere? Fiat voluntas tua!».
Appena
ebbi proferito le suddette parole, si degnò con le sue preziose mani
calcare sopra il mio capo preziosa corona, poi fece mettere in
bell’ordine le suddette anime, mi comandò di sedere ad una bella sedia
che quivi era, e comandò alle suddette anime che mi avessero prestato
obbedienza.
Queste, piene di rispetto, si degnarono soggettarsi
a me, due per due vennero a prestarmi ossequiosa obbedienza; per non
più dilungarmi non sto qui a ridire quale e quanta fosse l’umiliazione
che cagionò al mio povero spirito questo rispettoso ossequio. Fu tale e
tanto il lume di propria cognizione che Dio donò all’anima mia, che
credetti veramente di restare annientata nel proprio nulla, un
profluvio di lacrime soffocavano il mio cuore, e piena di rossore e
confusione nel vedermi d’intorno anime sì care, che non alzavo neppure
gli occhi per rimirarle, conoscendomi affatto indegna di loro.
4.9. Otto giorni di Esercizi
Proseguo
a raccontare come passai gli otto giorni degli esercizi al Santissimo
Bambino Gesù. Il giorno dell’Ascensione del Signore del 1807 mi portai
al venerabile monastero del Santissimo Bambino Gesù, in quei santi
giorni mi compartì il Signore una unzione di spirito molto particolare,
mi donò un raccoglimento molto segnalato, posso dire in qualche maniera
che il mio spirito fece la sua dimora non in terra ma in cielo, per
quanto è permesso ad un’anima viatrice. Godevo una familiarità molto
particolare con il buon Dio, che a tutte le ore mi degnava della sua
presenza, godevo ancora della compagnia dei santi Angeli, che commessi
venivano dalla bontà di Dio, per mezzo dei quali mi inviava le sue
grazie, i sentimenti del corpo poco e niente mi assistevano, per la
continua attrazione della grazia che a sé riteneva lo spirito. Nella
santa Comunione poi in tutti quei giorni godetti delle particolari
comunicazioni che mi tenevano dopo la santa Comunione sopita o per
meglio dire alienata dai sensi tre o quattro ore; in guisa che ero
incapace di alcuna sensazione.
Dovetti soffrire il rossore di
essere da quelle religiose assistenti riconvenuta, perché la mattina
mancavo alla orazione comune alle altre esercitanti, all’ora
dell’orazione le buone religiose mi cercavano molto, ma non mi
trovavano, perché, fatta la santa Comunione, mi ritiravo in un angolo
dove non ero osservata, quando mi avvidi che la cosa era un poco di
ammirazione, presi il partito di farmi avvisare, insegnai il luogo dove
mi trattenevo dopo la santa Comunione ad una esercinante, perché mi
avesse avvisato quando era ora di andare all’orazione.
Il dopo
pranzo mi ritiravo nella mia camera, servendomi della scusa che avevo
bisogno di riposare, e così mi dispensavo di stare con le altre all’ora
di ricreazione; nella solitudine della mia camera davo qualche libertà
al represso mio spirito, acciò andasse liberamente al suo Dio, che
fortemente e continuamente lo tirava. Data la libertà allo spirito,
questo senza ritegno tutto ad un tratto si slanciava rapidamente verso
l’infinito suo bene, che gli mostrava l’infinito suo amore per mezzo di
intellettuali cognizioni, tanto s’inoltrava lo spirito, che veniva a
privare di forza il corpo, di maniera che cadeva sul suolo, dove
passavo circa due ore, godendo di un bene molto grande che non so
manifestare.
Benché mi studiassi di soffocare la grazia, perché
nessuno avveduto si fosse dei favori che mi compartiva Dio, indarno mi
affaticai l’ultimo giorno nella Comunione generale, perché, quando fui
vicino a comunicarmi, il Signore mi tirava con tanto impeto, che,
nonostante la forte violenza che facevo a me stessa per occultare la
grazia, il mio corpo balzava a viva forza, sicché ricevuta la sacra
particola, caddi stramazzone per terra. Le buone religiose assistenti
accorsero subito ad aiutarmi, supponendo male naturale, procurarono
alla meglio che poterono di farmi rinvenire, mi somministrarono
dell’acqua fresca, ma non la potei bere, perché non avevo tatto alla
bocca, avevo perduto ogni sensazione, ciò nonostante alla meglio che mi
fu possibile mi misi a sedere, senza mostrare segno alcuno di
straordinario, mostrando somma indifferenza dell’accaduto; ma non
vedevo l’ora di andare alla mia casa, per il rossore e la confusione
che mi cagionava il ricordarmi il fatto seguitomi. Quei pochi momenti
che potevo star sola senza essere osservata, piangevo dirottamente e mi
lagnavo con il mio buon Dio di avermi così trattato alla presenza
altrui.