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1933


Come Gesù mi mandò il mio direttore spirituale

Ignoravo che cosa fosse un direttore spirituale: chi guidava la mia anima era il parroco.

Mia sorella, in un ritiro delle Figlie di Maria 1931, chiese per sé la direzione spirituale al predicatore, padre Mariano Pinho. Questi, avuto notizia di me e della mia malattia, chiese le mie preghiere con la promessa di ricambiarle. Ogni tanto mi man­dava una immaginetta. Due anni dopo, avendo saputo che egli era ammalato, mi commossi fino al pianto; non so perché. Mia sorella, meravi­gliata, mi domandò perché piangessi, dal momento che non lo conoscevo. Le risposi: - Piango perché è mio amico ed io lo sono di lui. - Il 16 agosto 1933 padre Pinho venne nella nostra parrocchia a predicare un triduo in onore del Cuore di Gesù ed in quella occasione lo ottenni per mio direttore spirituale.

Non gli parlai delle mie offerte ai tabernacoli, del calore che provavo, della forza che mi alzava e neppure delle parole che io interpretavo come una semplice ispirazione di Gesù.

Soltanto alcuni mesi dopo io misi al corrente il padre circa le parole di Gesù. Non dissi altro perché non comprendevo nulla delle cose del Signore. Il padre non mi confermò che erano parole di Gesù; tut­tavia io continuai a vivere sempre unita al Signore: giorno e notte erano i tabernacoli la mia dimora prediletta... Soltanto nell'agosto 1934 mi proposi di aprire la mia co­scienza al padre, venuto a Balasar per un ciclo di prediche. Subentrò però in me il forte timore che egli, una volta a cono­scenza della mia vita, non avrebbe più voluto continuare a dirigermi. Mentre vivevo in quell'ansia, Gesù mi disse: - Obbedisci in tutto: non l'hai scelto tu; te l'ho mandato Io. - Quando il padre mi domandò in quale modo avevo udito le suddette parole, non mi spiegò se fossero o no parole di Gesù. Alcuni giorni dopo mia sorella, avendo notato che io im­piegavo molto tempo nella preghiera, mi domandò cosa mai dicessi. Le spiegai come occupavo quel tempo e che cosa sen­tivo, aggiungendo che certamente erano la fede ed il fervore con cui recitavo tutte le mie preghiere ad assorbirmi tanto. Deolinda fu d'accordo e mi pregò di dirle tutto per potersi infervorare lei pure.

Prima Messa nella mia cameretta

« ... Nella sua lettera mi domandava se gradirei la Messa. Già da tempo la desidero. Quando lei venne per il triduo ne parlai a mia sorella; ma per timidezza e per non chiederle il sacrificio di predicare a digiuno, il che ci dispiaceva, non osam­mo proporglielo. Ora, se ciò fosse possibile, ne proveremmo gioia così grande da non saper dire. Però ci pesa il sacrificio che dovrà fare nel venire qui a digiuno e con tanto freddo » (lettera a p. Pinho, 6-11-1933). Il 20 novembre 1933 ebbi la grazia della prima Messa nella mia cameretta.

Perdita dei beni

Il Signore aumentò le sue tenerezze, ma anche il peso della mia croce. Sia però benedetto per la grazia sua che non mi lasciò mai mancare. In quell'epoca incominciammo a soffrire assai per la perdita dei nostri beni. E’ vero che non sentivo più nessun attaccamento a nulla, ma soffrivo amaramente nel vedere che quanto possedevamo non bastava a pagare i debiti di cui mia madre si era fatta mallevadrice.

Si preferiva rimanere senza un centesimo finché non si fosse pagato tutto. Mi mancava spesso l'alimento conveniente: mi nutrivo soltanto di ciò che avevamo, con danno della salute. Soffrivo in silenzio ed i familiari pensavano che quel cibo fosse di mio gradimento; nulla chiedevo per non rattristarli. Se mi donavano qualche buon boccone, lo cedevo a mia sorella assai malaticcia, pensando: - Io sono incurabile, mentre lei può migliorare. - Si giunse a mangiare la minestra senza condi­mento, perché non dicevamo a nessuno le nostre ristrettezze. Versai in segreto molte lacrime, sfogandomi con Gesù e la Mamma celeste; ma proprio queste lacrime mi unirono di più a Gesù e a Mammina e rafforzarono la mia fiducia in Loro. Questa situazione durò sei anni, durante i quali cercai di essere di conforto ai miei cari. Alla mamma, che sovente singhiozzava, consigliavo di avere fiducia in Gesù che volle es­sere povero. Nel mio intimo mi rallegravo di assomigliargli. Pregavo Gesù di aiutarci e, nella Comunione, Gli dicevo: - Tu ci hai consigliato di chiedere, di bussare per essere ascol­tati: io chiedo, io busso e sarò accontentata. Non Ti chiedo onori, grandezze né ricchezze, ma che ci lasci almeno la no­stra piccola casa finché la mamma e la sorella vivranno in modo che Deolinda possa raccogliere i fiori per il Tuo altare della chiesa. O Gesù, tutti i fiori sono per Te. Gesù! Vieni in nostro soccorso! Stiamo per affondare... Porta questa notizia lontano a chi ci possa aiutare. Non scelgo nulla perché non so. Confido in Te! -

In casa nostra era scomparsa la gioia e ci mancavano le cose indispensabili. Però non mi mancò mai la conformità alla volontà di Dio; avevo fiducia cieca in Lui.

È ben vero: la fiducia non è mai troppa... La mia preghiera fu ascoltata. Fu da lontano, molto lon­tano, che una signora venne a sanare la nostra situazione; se non la sanò del tutto, fu per causa della mia timidezza: non dissi la somma precisa del nostro debito. Forse Gesù lo permise per prolungare la mia sofferenza. Ci fu consegnato il necessario per salvare la nostra casa che doveva essere messa all'asta. Ho pianto di confusione e di gioia. Non so dire la sod­disfazione dei miei quando ebbero in mano quella somma, dopo tante e così gravi afflizioni. Sia benedetto Gesù! Soltanto con Lui si poteva vincere.